EssePiù On Line
 Il bimestrale dell'ASA - Associazione Solidarietà AIDS Milano
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O SOCIETÀ

Parlando con una mamma

Ursula Barzaghi, da tempo molto attiva nel campo del volontariato e delle esperienze di auto-aiuto, ha recentemente presentato presso la sede dell'ASA il suo libro "Senza vergogna" (edizioni e/o, L. 15.000). Il libro racconta l'impatto che ha avuto nella famiglia la malattia del figlio Enrico, uno tra i primissimi soci dell'ASA e tra le prime persone sieropositive italiane a dichiarare pubblicamente la propria condizione. "EssePiù" ha voluto incontrare Ursula e ne è nata l'intervista seguente.


In "Senza vergogna", lei racconta la sua esperienza senza nascondere angosce e dubbi. Colpisce soprattutto l'estrema lucidità con cui presenta la storia di Enrico. Non deve essere stato facile scrivere questo libro.

No, non è stato facile, anche perché non potevo sbagliare. Non volevo negare la sofferenza, ma nemmeno farla diventare troppo invadente, per evitare di bloccare il ragionamento accontentandomi dell'emozione. In fondo, volevo scrivere una specie di manuale, dei suggerimenti per le altre famiglie che stanno vivendo la mia stessa esperienza. Devo dire che è stato un grande aiuto frequentare l'ASA: a quell'epoca eravamo tutti alle prime armi. L'ASA è sempre stata in prima linea nelle iniziative di carattere sociale e questo mi ha dato modo di riflettere sulle cose. Non ho mai fatto la mamma che si è cristallizzata nel suo dolore, per evitare che questo dolore diventasse il protagonista della mia famiglia. Questo non è avvenuto, se non nel solo, breve periodo del silenzio, quando mio figlio era solo sieropositivo. Questa è stata per me una grande lezione perché il silenzio agiva da moltiplicatore delle angosce e quindi andava assolutamente rotto. Scrivere poi è stato molto faticoso anche perché il mio italiano è piuttosto... ruspante. (ride, scuotendo i bei capelli grigi).


Questo libro, in fondo, è anche una condivisione. È paragonabile a una coperta del Names Project.

Ho sempre ritenuto che fosse giusto buttar fuori le cose, condividerle con gli altri. Non per caso, sono stata io a portare l'idea delle coperte qui in Italia. Ho preparato io, con le mie mani, le prime sessanta e c'ero anch'io in Piazza della Scala quando la Coperta è stata esposta per la prima volta. Ho sempre cercato di indirizzare le persone sieropositive verso la socialità e la solidarietà dicendo loro: "salvaguardatevi come persone, come persone integre, con qualche acciacco forse, ma integre. Non nascondete i vostri sentimenti, le vostre gioie, i vostri dolori".


Un altro sentimento presente nel libro, ma in questo caso negativo, è la "vergogna", vista da entrambi i fronti, cioè sia da parte della persona sieropositiva, sia da parte di chi, con un certo imbarazzo vede tutto quanto dall'esterno. Lei sostanzialmente afferma che questo muro va abbattuto da entrambe le parti.

Sì, e ritengo giusto che a dare la prima picconata siano coloro che hanno più bisogno. Purtroppo dopo dieci anni di informazione, sul fatto che l'AIDS non si trasmette con l'amicizia, ci sono ancora persone che hanno molta paura, una paura per molti versi irrazionale. In Italia, fra l'altro, questa paura irrazionale è molto più forte che non all'estero. È evidente che la nostra società su questo ha ancora grossi problemi. È stato scritto tante volte, "AIDS, la peste del Duemila": no, la vera peste del Duemila è la mancanza di capacità di confrontarsi con gli altri, la mancanza di amore. È soltanto parlando con le persone, affrontandole, che si può fare qualcosa. Non sanno? Hanno paura? Si fa in modo di fargliela passare. Non tutto arriva sempre dall'alto, bisogna impegnarsi, lottare, conquistarsi pian piano le cose, e questo vale anche per la fiducia del prossimo. L'AIDS non può e non deve diventare una ragione di frattura in un'amicizia, in un rapporto umano.


È un problema comune a molte persone sieropositive il dubbio se rivelare o no la propria condizione. Spesso anche per validi motivi, non è facile rompere il silenzio. Quale è la sua opinione ?

Affrontare l'argomento è molto difficile, anche tra due persone che si vogliono bene. È naturale che la persona sieropositiva abbia paura. All'inizio potrebbe anche scegliere di non dire nulla nemmeno al partner, purché naturalmente tutti i rapporti sessuali siano protetti, ma a un certo punto, se i sentimenti prevalgono, se ci si accorge che anche l'altra persona investe qualcosa, allora io penso che dirlo diventi un obbligo. Le cose non devono necessariamente accadere in maniera drastica, esistono anche percorsi più sfumati, più graduali. Il sentimento autentico regge, non si fa travolgere, il legame non si spezza. I buoni sentimenti, che vengono così spesso derisi in questo momento un po' cinico, sono la via giusta della prevenzione. Se noi creiamo le condizioni per cui una persona possa dire tranquillamente: "sono sieropositivo" senza subire delle pressioni, l'AIDS si ferma.


Questo per quanto riguarda i rapporti affettivi, ma ci sono anche i rapporti sociali. In certe realtà dove determinati condizionamenti culturali pesano di più, le cose possono essere davvero difficili.

Sì, sono d'accordo con te e infatti dico: visibilità quando è il caso. Se però si ha una coscienza civica, se ci si vuole impegnare, se si vuole fare qualcosa per cambiare in meglio questa società, allora ci dovrà pure essere qualcuno che si rimbocchi le maniche. Non si tratta solo di una questione individuale: se si dà un contributo alla civile convivenza si migliora anche la società nel suo insieme. Penso che far riflettere una famiglia su questo sia estremamente importante ed è proprio questo il tipo di aiuto che nel mio piccolo tento di dare.
Secondo me, poi, bisogna anche stare attenti a non cadere a nostra volta nei pregiudizi. Per esperienza personale, posso dirti che spesso il gesto vale più della parola. Se una persona con un atteggiamento negativo o diffidente vede che lascio tranquillamente che la mia nipotina, cioè la persona per me più cara al mondo, scambi abbracci e baci con un ragazzo sieropositivo, il messaggio che riceve è che se non sono per niente preoccupata, allora non c'è nulla di cui aver paura. Ho fatto questa prova, in passato, e ha funzionato.


Per cambiare una società però ci vuole tempo e purtroppo talvolta la sensazione è che sia proprio il tempo a mancare.

Sono conquiste lente, è vero. Il rischio da evitare è che l'AIDS diventi il filtro attraverso il quale tutto viene visto e interpretato. Se si va ad analizzare il modo di vivere e di pensare di chi è più intransigente e più severo, magari perché dentro prova una paura irrazionale, spesso ci si accorge che in realtà questa persona ha questo atteggiamento nei confronti di tutto, non solo dell'AIDS. Tenendo conto di questo, diventa anche meno difficile porsi verso questo tipo di persone. Sono cose che ho imparato sulla mia pelle, a mie spese.


È passato qualche anno dalla storia raccontata nel libro. È cambiato qualcosa o siamo ancora al punto di partenza, a dover abbattere i muri di vergogna?

Se si dà credito alle statistiche, la conclusione è che non è cambiato niente: le famiglie erano e sono tuttora invisibili. In realtà, però, qualcosa si muove, anche se molto lentamente. Qualche genitore comincia ad avvicinarsi alle associazioni; sono ancora molto pochi rispetto alla dimensione del fenomeno, ma ci sono. Le associazioni e il volontariato sono molto importanti, soprattutto quando cercano di dare spazio alle persone. Oggi si tende a medicalizzare subito la situazione, trasformando l'individuo in "paziente" anche quando non è malato. Ciò significa abituare all'assistenzialismo e per di più, non aiuta le persone a trovare la forza, a dire: "insieme ce la facciamo" nel modo più sereno possibile. Le associazioni consentono un approccio diverso; se scopro di essere sieropositiva e mi rivolgo a un'associazione è perché sono una persona normale e reagisco come tale: sono in crisi e quindi cerco di rivolgermi a chi mi può aiutare. In quel momento, da persona normale e non da "paziente", non ho tanto bisogno di uno psicologo quanto di un amico, di un conforto, di un'informazione. Solo se la mia tensione e la mia angoscia diventano eccessive deve intervenire l'esperto.


Per quanto riguarda la comunicazione di massa, come giudica la "visibilità" che viene data oggi all'AIDS e alle persone sieropositive?

Il mondo dell'informazione predilige gli eccessi, gli aspetti emotivi o sensazionali, i fatti di cronaca nera. Si danno spazio e ascolto alle voci autorevoli, ai grandi medici, oppure all'elemento da criminalizzare o al "malato di AIDS", al poveretto da compatire, che non dia troppo fastidio, e così ci si dimentica di avere a che fare con persone. Il mondo è molto superficiale ed è facile fare di ogni erba un fascio: basta presentare le persone abbinandole a un'immagine immediata, usando un linguaggio che la grande maggioranza possa capire e che consenta l'identificazione. In questo modo però l'AIDS finisce per diventare la pattumiera delle disgrazie del mondo. L'ASA a suo tempo mi gettò in prima linea, e la cosa fece scalpore, proprio per sottolineare la normalità della mia situazione: in fin dei conti, io sono una madre appartenente a una famiglia come tante altre, che in casa non ha grossi problemi. C'era bisogno, c'è ancora bisogno di questo messaggio, anche per combattere la paura. Un'altra cosa che manca in Italia, e anche in questo ci distinguiamo negativamente rispetto all'estero, è la voce della cultura. Negli USA gli intellettuali, il mondo dello spettacolo si sono impegnati subito, in modo compatto, hanno fatto sentire forte la loro voce. Qui invece abbiamo solo voci isolate. C'è un'assenza.


I nuovi farmaci hanno aperto nuove prospettive per le persone sieropositive. Che conseguenze vede negli aspetti sociali della lotta all'AIDS?

Le nuove cure, proprio perché aumentano le prospettive di vita, rendono ancora più importanti la salvaguardia della dignità della persona e la prevenzione. Anche se l'HIV diventa terapeuticamente "gestibile", non per questo la possibilità di trasmettere l'infezione diminuisce. Secondo me, lo Stato, non facendo assolutamente nulla per la prevenzione, sta seguendo una politica molto stupida. Scrivilo bene in grande.


A cura di G. Gasparini - © EssePiù 1997.

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