Università degli Studi di Messina
Facoltà di Medicina e Chirurgia

CATTEDRA DI CHIRURGIA GENERALE
Titolare: Prof. Salvatore Gorgone

 

Chirurgia Cardiaca

 

 

Anatomia della parete toracica

La gabbia toracica è costituita da una cavità espandibile con gli atti respiratori costituita da 12 vertebre toraciche, da 12 paia di coste e dallo sterno. Ha la forma di un tronco di cono ad apice rivolto in alto.

La parete anteriore, che si estende per circa 18 cm dal giugolo all’apofisi xifoidea, è costituita dallo sterno e dalle cartilagini costali delle prime 10 coste. Le pareti laterali sono formate dalle ultime 10 coste. La parete posteriore è costituita dalle 12 vertebre toraciche e dalle 12 coste. È chiusa in alto dalla clavicola, dall’articolazione della spalla, posteriormente dalla scapola.

L’apertura superiore è delimitata dalle prime coste, dal manubrio dello sterno e dal corpo della prima vertebra toracica. L’apertura inferiore, occupata dal diaframma, è circoscritta dalla dodicesima vertebra e dalle coste, anteriormente dalle cartilagini VII - XII costali e dal processo xifoideo.

Le pareti toraciche delimitano all’interno un ampio spazio, che è suddiviso nelle due cavità pleuriche separate dal mediastino.

La parete toracica comprende due gruppi muscolari suddivisi in estrinseci, che collegano il torace allo scheletro degli arti superiori (muscoli grande e piccolo pettorale, dentato anteriore; trapezio, gran dorsale, romboide, dentato posteriore, lunghi del dorso), ed intrinseci, i muscoli intercostali (esterni, medi e interni).

Gli spazi intercostali sono percorsi dall’arteria, dalla vena e dal nervo intercostale, che dopo l’angolo costale si portano sotto il margine inferiore delle coste.

Nella gabbia toracica sono contenuti: i polmoni, il cuore, i grossi vasi, l’esofago e importanti tronchi nervosi.

Nel suo insieme la gabbia toracica gode di una notevole elasticità.

Nel maschio l’altezza del torace è nel complesso maggiore che nella femmina. Le coste sono più oblique in basso, lo sterno è più verticale. Nella donna il torace è meno alto, le coste sono più orizzontali, lo sterno è più proiettato in avanti; in complesso è simile alla gabbia toracica di età infantile.

CHIRURGIA CARDIACA

 

Anatomia e fisiologia cardiaca

Il cuore è un organo muscolare cavo con quattro cavità, che genera un flusso continuo di sangue per mantenere un livello pressorio nell’albero circolatorio. Il cuore è rivestito da una membrana fibroelastica il pericardio, tra pericardio e miocardio vi è una cavità virtuale, la cavità pericardica, che in condizioni normali contiene sino a 50 cc. di liquido pericardico, distribuito in maniera da costituire un velo liquido lubrificante che permette al cuore di muoversi liberamente durante la contrazione e il rilasciamento. In alcune malattie la quantità di liquido aumenta fortemente ostacolando la funzione del cuore.

L’atrio destro riceve lo sbocco del seno coronarico e delle vene cave superiore ed inferiore che portano il sangue refluo dalla circolazione generale. L’auricola è ad ampia base d’impianto.

L’atrio sinistro riceve le vene polmonari che portano il sangue refluo dal circolo polmonare. L’auricola è allungata.

Il setto interatriale è costituito dalla fossa ovale ovvero dall’accollamento dei due foglietti primitivi, che in età neonatale collabiscono chiudendo il forame ovale.

Il ventricolo destro è ampiamente trabecolato dai muscoli papillari, la sua struttura muscolare non è molto sviluppata e durante la sistole spinge il sangue nel circolo polmonare.

Il ventricolo sinistro, più liscio, ha una struttura muscolare parietale che consente una adeguata contrazione durante la sistole per pompare il sangue nel circolo generale.

Il setto interventricolare è costituito da una ampia porzione muscolare e da una porzione membranosa. Questa superiormente si continua nella parte fibrosa del cuore (scheletro) che supporta, circondandole, le valvole mitrale, aortica e tricuspide.

Gli atri e i ventricoli infatti sono in comunicazione reciproca per mezzo di due orifizi atrio-ventricolari forniti di valvole che ne regolano la chiusura (nel ventricolo destro la tricuspide, nel sinistro la mitrale).

La valvola mitrale è costituita da due lembi con ampia superficie di collabimento e questo può consentire un certo grado di prolasso di uno di essi. Le corde tendinee nascono in gran parte dai muscoli papillari e si inseriscono sia nella porzione marginale che nella porzione ventricolare dei lembi.

La valvola tricuspide è più ampia della mitrale, i tre lembi non sono di eguale dimensione. Le corde tendinee sono più esili.

La valvola aortica è interposta tra ventricolo sinistro e aorta ascendente; è formata da tre coppe ancorate ad un anello fibroso. Nella parte libera ogni lembo presenta un margine ispessito con un nodulo centrale, che consente una buona tenuta della struttura. Al di sopra dell’impianto della valvola dall’arteria aorta nascono le due arterie coronarie, destra e sinistra, che si distribuiscono a tutto il cuore per irrorarlo.

La valvola polmonare è simile all’aortica, manca però lo scheletro fibroso di sostegno, le cuspidi sono più sottili.

L’area degli osti valvolari è tale da consentire il flusso sanguigno fisiologico senza gradiente pressorio tra i due compartimenti che si mettono in comunicazione a valvola aperta. Quando essa si chiude i lembi valvolari, accollando gli orletti di chiusura, impediscono il reflusso del sangue.

Esistono delle parti anatomiche deputate alla diffusione ritmica e coordinata dell’eccitazione elettrica del muscolo cardiaco. Queste strutture specializzate nella conduzione degli stimoli sono: il nodo del seno situato tra vena cava superiore e atrio destro, è il pace-maker fisiologico del cuore; il nodo atrio-ventricolare situato davanti allo sbocco del seno coronarico ed in diretta continuazione il fascio di His, che si divide in due branche i cui rami si sfioccano in un fascio periferico di fibre sull’endocardio dei due ventricoli.

Il passaggio di una onda di eccitazione lungo le fibre miocardiche si accompagna a variazione di potenziale elettrico lungo la fibre; tale variazione di potenziale viene evidenziata tramite l’elettrocardiogramma, le cui onde rappresentano la registrazione del passaggio dell’impulso e dell’attivazione della muscolatura delle diverse parti del cuore.

In un ciclo cardiaco, gli atri destro e sinistro vengono riempiti dal sangue che ritorna ad essi, rispettivamente, attraverso le vene cave e le vene polmonari. Trascorso il breve tempo necessario al riempimento, essi si contraggono simultaneamente, spingendo il loro contenuto rispettivamente nel ventricolo destro e sinistro. Questi ultimi, una volta riempiti, si contraggono anch’essi contemporaneamente. La forza della loro contrazione chiude le valvole atrioventricolari ed apre quelle polmonare e aortica, attraverso le quali il contenuto ventricolare viene rispettivamente spinto nell’arteria polmonare e nell’aorta. Nello stesso tempo gli atri si riempiono di nuovo. L’efficienza del cuore dipende in gran parte dal fatto che queste diverse fasi si susseguono ordinatamente. In certe condizioni patologiche molto comuni (aritmie, fibrillazione), questa sequenza di eventi viene alterata.

Dalla ritmica attività delle contrazioni atriale e ventricolare vengono generati i toni cardiaci provocati dalla rapida accelerazione e decelerazione che il sangue subisce durante il ciclo cardiaco.

Il I tono origina dalla sistole ventricolare segnandone l’inizio; è causato dall’urto del sangue contro le valvole atrio-ventricolari e all’oscillazione del sangue tra le valvole e le pareti e dall’oscillazione del sangue che esce dalla dall’aorta e dall’arteria polmonare.

Il II tono origina dalla fine della sistole ventricolare; è causato dalla vibrazione della colonna di sangue sui lembi chiusi delle valvole aortica e polmonare.

Il III tono origina alla fine della fase diastolica di riempimento rapido; è causato dalla vibrazione di tutto il sistema atrio-ventricolare.

Il IV tono origina a metà della sistole atriale; è causato dalla stessa sistole.

Diastole ventricolare: comincia subito dopo l’onda T dell’ECG (fase di ripolarizzazione) con il rilasciamento della muscolatura ventricolare. Le valvole semilunari si chiudono per effetto di un regime pressorio più elevato in aorta ed in arteria polmonare rispetto alle cavità ventricolari; le valvole mitrale e tricuspide, al contrario, si aprono in seguito alla caduta delle pressioni ventricolari al di sotto di quelle atriali ed il sangue fluisce attraverso di esse ad una velocità che progressivamente si riduce, con il riempimento dei ventricoli, al termine della diastole.

Sistole atriale: comincia dopo l’onda P ed attraverso la contrazione della muscolatura atriale contribuisce ad un 20% del riempimento ventricolare.

Sistole ventricolare: ha inizio dopo il complesso QRS dell’ECG (fase di depolarizzazione) con la contrazione del miocardio e la rapida chiusura delle valvole atrioventricolari per l’improvviso aumento di pressione all’interno delle cavità ventricolari. Si distingue una fase isometrica della sistole durante la quale tutte le valvole cardiache risultano chiuse e la tensione sviluppata dalle pareti muscolari (lavoro cardiaco statico) si trasmette alla massa sanguigna contenuta nelle cavità ventricolari aumentandone la pressione interna; quando quest’ultima supera la pressione diastolica in aorta (70-80 mmHg) ed in arteria polmonare (10-15 mmHg), con l’apertura delle rispettive valvole semilunari, ha inizio la fase isotonica durante la quale la tensione di parete si trasmette alla massa sanguigna espulsa nei condotti arteriosi ad un determinato regime pressorio (lavoro cardiaco dinamico).

Il cuore è in grado di adeguare la portata cardiaca alle esigenze metaboliche dei tessuti periferici attraverso semplici variazioni dei due parametri: frequenza cardiaca e gittata sistolica.

Meccanismi dello scompenso cardiaco sono la perdita di massa contrattile con sostituzione fibrotica per danno cellulare diretto o l’aumento di massa muscolare in risposta ad un sovraccarico di pressione o di volume.

 

Circolazione extracorporea

La circolazione extracorporea permette di sostituire temporaneamente la funzione di pompa del cuore e di scambiatore di gas del polmone. Essa è indispensabile per la chirurgia cardiaca e per l’assistenza prolungata in pazienti con grave insufficienza cardiaca acuta o con insufficienza respiratoria acuta.

I componenti essenziali di un circuito extra-corporeo, destinati a sostituire il cuore e i polmoni per consentire una perfusione e un’ossigenazione dei tessuti il più vicino possibile alle condizioni fisiologiche, sono la pompa e l’ossigenatore. A questi si aggiungono gli aspiratori, il cardiotomo, i filtri e lo scambiatore di calore. Questi vari componenti sono collegati al paziente mediante tubi e cannule di materiale sintetico.

Gli inconvenienti legati al circuito sono di lieve entità quando viene usato per qualche ora, divengono rilevanti nell’assistenza prolungata cardiaca o respiratoria.

Il sangue, dopo eparinizzazione del paziente viene raccolto da una cannula posta in atrio destro o da due cannule inserite nelle vene cave e raggiunge l’ossigenatore da dove, depurato dalla CO2 e ossigenato, quindi opportunamente riscaldato o raffreddato, viene pompato nell’albero arterioso attraverso una cannula inserita nell’aorta ascendente o nell’arteria femorale. In questo modo il sangue del paziente bypassa il cuore e i polmoni rendendo possibili interventi a cuore aperto con campo esangue e cuore fermo. Circuiti accessori permettono di aspirare il sangue eparinato dal campo operatorio, esso viene raccolto e convogliato in un serbatoio (cardiotomo), filtrato e fatto defluire nell’ossigenatore. Necessari sono i filtri per fermare microemboli e piccole bolle d’aria, uno scambiatore di calore e sistemi di monitoraggio della pressione e della temperatura.

Il circuito extracorporeo deve essere riempito di sangue o altre soluzioni prima di essere collegato al paziente per evitare l’immissione di aria in circolo. Attualmente si adoperano per il priming soluzioni idroelettrolitiche bilanciate per ottenere un ematocrito del 20 - 25% con un minor uso di sangue, diminuzione della viscosità del sangue durante l’ipotermia, minore entità di danni polmonari, renali ed encefalici postoperatori.

Il danno miocardico conseguente all’arresto ischemico è la più comune causa di mortalità e di morbilità nella chirurgia a cuore aperto. Pertanto vengono introdotte nelle coronarie, attraverso la radice aortica, soluzioni cardioplegiche (soluzioni alcaline fredde con una concentrazione di potassio di 15 - 30 mEq/l, lievemente ipocalcemiche e a contenuto in magnesio simile a quello intracellulare) che riducendo le richieste metaboliche del miocardio stabilizzando lo stato fisico-chimico delle membrane cellulari proteggono il cuore dall’insulto ischemico. Rispettando i principi e le modalità di esecuzione, che devono assicurare una distribuzione uniforme della soluzione cardioplegica in tutte le regioni miocardiche, con l’ipotermia profonda e la cardioplegia si può protrarre anche per due ore il tempo di ischemia.

La ridotta riserva cardiaca, l’instabilità circolatoria, le ripercussioni della circolazione extracorporea sui polmoni e sugli altri apparati, l’elevata richiesta metabolica (per lo stato di "infiammazione generalizzata" e per la necessità di riscaldarsi dall’ipotermia) impongono un trattamento intensivo nell’immediato periodo postoperatorio. Il paziente ancora sedato e intubato viene collegato ad un respiratore automatico e monitorizzato. Raggiunta la stabilità circolatoria e riscaldato l’operato viene lasciato emergere dalla sedazione e quindi estubato. In genere, quando tutto procede bene, sono necessarie 8 - 12 ore postoperatorie per raggiungere una situazione di equilibrio stabile e 24 ore per recuperare il normale stato di coscienza.

Per il successo di un intervento chirurgico assume particolare importanza il controllo continuo di taluni parametri, indici di funzionalità dei principali apparati (cardiocircolatorio, respiratorio, renale e cerebrale), della coagulazione e del metabolismo generale, in modo da poterne controllare le variazioni e agire tempestivamente con manovre e accorgimenti terapeutici idonei. Il monitoraggio va attuato sia durante l’intervento che nell’immediato periodo post-operatorio in unità di terapia intensiva.

Arresto circolatorio

Complicanza del decorso postoperatorio, soprattutto delle prime 24 ore postoperatorie.

Le cause più frequenti sono infarto postoperatorio, tamponamento cardiaco, ipovolemia acuta da sanguinamento massivo, distacco di protesi valvolare, ipokaliemia o iperkaliemia, pneumotorace ipertensivo.

Terapia: massaggio cardiaco esterno (80-100 compressioni al minuto che provochino la depressione dello sterno di 4-5 cm); ventilazione in ossigeno puro (12-15 insufflazioni al minuto sincronizzate con le compressioni toraciche); defribillazione elettrica (scarica non sincronizzata di corrente continua fino a 360 Joule di energia); farmaci (adrenalina in bolo di 0,5-1 mg o in infusione continua nella linea venosa centrale e cloruro di calcio); massaggio cardiaco interno (dopo riapertura d’emergenza del torace); contropulsatore aortico (catetere a palloncino posizionato in aorta discendente collegato ad un apparecchi esterno che gonfia il palloncino in diastole e bruscamente lo sgonfia all’inizio della sistole, in questo modi si ha un rialzo pressorio diastolico con aumento della perfusione coronaria).

Insufficienza renale acuta postoperatoria

Circa il 4% dei pazienti operati in CEC sviluppa insufficienza renale oligoanurica, condizione che è gravata da una mortalità elevata (60-80%). Fattori predisponenti sono la creatininemia preoperatoria > 1,6 mg/dl; l’insufficienza cardiaca preoperatoria; l’età avanzata; la durata della CEC; la bassa portata postoperatoria; la politrasfusione; l’uso di mezzi di assistenza circolatoria meccanica. Una volta instaurata, l’insufficienza renale acuta oligoanurica insensibile al trattamento con i diuretici deve essere trattata aggressivamente con emofiltrazione o dialisi per evitare le conseguenze dell’uremia, della ritenzione idrica e dell’iperpotassiemia.

Valutazione del rischio chirurgico

European System for Cardiac Operative Risk Evaluation o EUROSCORE rappresenta uno dei più recenti strumenti a punteggio per valutare il rischio chirurgico. Pubblicato nel 1999, è stato costruito su un set di circa 19.000 pazienti operati in 128 centri di 8 paesi europei. L’end point analizzato è la mortalità entro 30 giorni oppure nel corso del ricovero, se questo dura più di 30 giorni. La stima di mortalità nello studio originale è la seguente: da 0 a 2 punti: 0,8%; da 3 a 5 punti: 3,0%; oltre i 5 punti: 11,2%.

 

Cardiopatie congenite

Nel feto solo una piccola quantità di sangue passa nei polmoni non espansi; gran parte del sangue pompato dal ventricolo destro passa nell’aorta discendente tramite il dotto arterioso. La pressione nell’atrio destro si mantiene più alta che a sinistra e quindi parte del sangue può defluire attraverso la pervietà del forame ovale nel ventricolo sinistro e da qui, insieme ad una piccola quota proveniente dalle vene polmonari, nell’aorta.

Alla nascita, dopo i primi atti respiratori, si ha una marcata vasodilatazione arteriolare con grande aumento di flusso; nel contempo aumentano le resistenze periferiche per la chiusura dei vasi ombelicali. L’aumentato ritorno venoso polmonare incrementa la pressione nell’atrio sinistro con chiusura del forame ovale dapprima funzionale, per apposizione dei foglietti del setto interatriale, in seguito anatomica. Pochi giorni dopo la nascita parimenti avviene la chiusura totale del dotto arterioso di Botallo.

La valutazione clinica di un neonato con cardiopatia congenita è rivolta al riconoscimento della presenza di cianosi, di rumori cardiaci aggiunti, della difficoltà nell’alimentazione, della mancata crescita ponderale, di frequenti infezioni respiratorie, della facile stancabilità ed irritabilità.

La valutazione strumentale comprende necessariamente la radiografia del torace e l’elettrocardiogramma. L’esame ecografico bidimensionale e Doppler consente il riconoscimento specifico della maggior parte delle cardiopatie congenite. Nelle forme più complesse si aggiunge il cateterismo cardiaco.

La chirurgia delle cardiopatie congenite si indirizza sempre più verso la correzione completa in età precoce con l’obiettivo di ristabilire il più rapidamente possibile una normale funzione emodinamica.

L’intervento palliativo invece non raggiunge questo obiettivo e complica il quadro anatomopatologico, tuttavia è fuori discussione il valore delle tecniche palliative nelle malformazioni complesse, nelle procedure d’urgenza e in particolari situazioni anatomiche. Infatti solo poche malformazioni sono completamente risolte dall’intervento, più frequentemente la correzione consente un radicale mutamento dell’aspettativa di vita, ma non esita in un completo ritorno alla normalità.

Difetto interatriale

È una comunicazione di varia dimensione tra i due atri, in genere si ha uno shunt sinistro - destro. Rappresenta il 7% delle cardiopatie congenite.

Abitualmente il riscontro di difetto interatriale è occasionale, la sintomatologia si manifesta nella IV - V decade di vita con aritmie sopraventricolari, dispnea da sforzo e, nei casi gravi, scompenso cardiaco; nei primi anni di vita possono essere presenti frequenti episodi bronchitici; all’ascoltazione soffio sistolico polmonare.

Il cateterismo cardiaco non è necessario nei bambini e nei giovani, negli adulti può essere necessario per valutare i valori della pressione polmonare.

L’intervento chirurgico è indicato nei pazienti con shunt superiore al 50% della portata sistemica e consiste nella chiusura del difetto mediante sutura diretta o con patch di materiale sintetico.

Difetto interventricolare

É dovuto alla presenza di una comunicazione tra i due ventricoli. Le dimensioni del difetto e le resistenze polmonari condizionano il quadro fisiopatologico. Un ampio difetto causa un importante shunt sinistro - destro con grave iperafflusso polmonare e tendenza precoce allo scompenso cardiaco. Se lo shunt è bidirezionale compare cianosi ma il compenso di circolo si mantiene più adeguato. Difetti piccoli presentano quadri emodinamici più sfumati e paucisintomatici.

L’80% dei difetti interventricolari diagnosticati ad un mese di vita si chiude spontaneamente entro il primo anno.

I criteri diagnostici sono: soffio sistolico, segni di scompenso cardiaco che rispondono bene alla terapia medica; frequenti infezioni broncopolmonari; scarsa crescita corporea. Un terzo dei pazienti è asintomatico.

La diagnosi, oltre ai reperti clinici, è formulata sulla base dei dati ecocardiografici bidimensionali e Doppler.

L’intervento di chiusura con patch è da fare in urgenza nei casi di difetti ampi con scompenso conclamato e intrattabile. Può essere dilazionato se i sintomi non sono severi.

Persistenza del dotto arterioso

Il dotto arterioso costituisce una comunicazione tra l’aorta e la parte distale del tronco dell’arteria polmonare. Nei nati a termine il dotto arterioso si chiude nei primi giorni di vita. Se esso rimane pervio si verifica iperafflusso polmonare con graduale tendenza allo scompenso cardiaco.

Il 5% dei nati a termine con persistenza del dotto arterioso muore entro il primo anno di vita per scompenso cardiaco e complicanze polmonari. Nella prima infanzia si osservano frequenti infezioni dell’apparato broncopolmonare con scompenso cardiaco; nei bambini più grandi i sintomi sono sfumati ma è presente un soffio sisto-diastolico sul focolaio della polmonare.

Il trattamento terapeutico viene effettuato mediante chiusura chirurgica del dotto.

Tetralogia di Fallot

Malformazione caratterizzata da stenosi infundibolare e valvolare polmonare, ampio difetto del setto interventricolare e cavalcamento aortico del setto.

Costituisce il 12% delle cardiopatie congenite. È dovuta alla deviazione anteriore del setto infundibolare male allineato con le restanti porzioni del setto interventricolare.

Si realizza nelle forme tipiche un quadro di shunt destro - sinistro con ridotta portata polmonare, elevata portata aortica, cianosi marcata, dispnea da sforzo, ippocratismo digitale, squatting.

Se la stenosi polmonare è moderata lo shunt sarà prevalentemente sinistro - destro con cianosi modesta.

La gravità e l’età di comparsa della sintomatologia sono in rapporto al grado di severità della stenosi polmonare.

La tetralogia di Fallot è spesso associata con difetti di crescita, ma se la malformazione cardiaca viene riparata precocemente, può essere ottenuta a lungo termine una crescita normale. L'intervento precoce, prima dei 5 anni di età, determina un'accelerazione della crescita in altezza e peso, con normalizzazione del processo di crescita a lungo termine e raggiungimento del potenziale genetico individuale.

Trattamento medico: prevenzione delle crisi asfittiche. In considerazione della prognosi naturale molto severa (la sopravvivenza media spontanea è di 12 anni, con mortalità del 50% nel primo anno) e degli ottimi risultati tecnici raggiunti, la tetralogia di Fallot rappresenta una indicazione assoluta all’intervento chirurgico correttivo.

Stenosi polmonare

Rappresenta circa il 10% delle cardiopatie congenite. Causa un’ostruzione alla fuoriuscita del sangue dal ventricolo destro con conseguente aumento della pressione intraventricolare. È sempre presente un soffio sul focolaio polmonare; nei casi gravi crisi ipossiche e scarsa crescita; dispnea da sforzo e facile stancabilità; possibilità di morte improvvisa.

Il trattamento di scelta consiste nella dilatazione valvolare percutanea con catetere a palloncino (valvuloplastica). Forme associate con comunicazione interatriale o con prevalente ostruzione muscolare infundibolare richiedono la correzione chirurgica (commissurotomia valvolare).

Coartazione aortica

Restringimento dell’aorta a livello dell’istmo. In epoca neonatale provoca scompenso cardiaco con mortalità elevata (75% nel primo anno di vita) che impone il precoce intervento chirurgico di resezione dell’istmo aortico stenotico e successiva anastomosi termino-terminale dell’aorta. La coartazione può rimanere asintomatica fino all’adolescenza quando compaiono i sintomi: astenia, crampi da sforzo agli arti inferiori, cefalea, epistassi.

 

Trasposizione dei grossi vasi

La trasposizione dei grossi vasi è una delle più frequenti cardiopatie cianogene del neonato, rappresentando il 30 - 40% di tutti i casi. È la risultanza di una anomala divisione del tronco bulbare nel corso dello sviluppo embriologico, così che l’aorta origina dal ventricolo destro e l’arteria polmonare dal ventricolo sinistro. L’ossigenazione ematica è possibile solo attraverso un mescolamento (mixing) delle due circolazioni mediante l’esistenza di un difetto interatriale o interventricolare. L’assenza del mescolamento è incompatibile con la vita. I sintomi sono precoci: cianosi di vario grado in rapporto al mescolamento, scompenso cardiaco. La mortalità è molto alta: 90% nel primo anno di vita. Di notevole complessità è la sua correzione, che deve essere precoce e gravata di alta mortalità.

Altre cardiopatie congenite

Altre cardiopatie congenite di minore frequenza, spesso associate, sono:

stenosi aortica

ritorno venoso anomalo totale

atresia della tricuspide

sindrome del cuore sinistro ipoplasico

cor triatrium

ventricolo unico

anomalie coronariche

malposizione del cuore.

Cardiopatie acquisite

Valvulopatie

La stenosi valvolare si crea quando le cuspidi o foglietti valvolari si inspessiscono e si fondono tra loro negli angoli in cui si toccano (commissure). Separando le due parti fuse tra di loro si può ridurre la stenosi e permettere ai foglietti di muoversi più liberamente.

L’insufficienza valvolare può essere causata dall’indebolimento o allungamento dei foglietti valvolari o delle corde tendinee. Il bordo dei lembi che normalmente devono combaciare viene spostato, la valvola non chiude più correttamente ed il sangue refluisce indietro. Il rigurgito stesso del sangue fa ulteriormente progredire la disfunzione valvolare causandone la dilatazione; diventa quindi necessario restaurare chirurgicamente i corretti rapporti tra le diverse componenti della valvola. Per far questo può essere necessario asportare il tessuto in eccesso, oppure accorciare le corde tendinee, oppure ancora stringere l’anello valvolare rinforzandolo con anelli di supporto. In alcuni casi le due alterazioni sono presenti contemporaneamente nella stessa valvola: "steno-insufficienza".

Stenosi aortica

Può essere di origine congenita (rara), degenerativa ma più frequentemente reumatica (50% dei casi); il reperto anatomopatologico è caratterizzato inizialmente dall’ispessimento, la retrazione e la fusione delle cuspidi valvolari che successivamente, a causa della turbolenza del flusso ematico a livello dell’ostio valvolare alterato, andranno incontro a calcificazione e/o fusione di una o più commissure.

L’ostacolo che la valvola aortica stenotica oppone all’uscita del sangue dal ventricolo sinistro determina un aumento del lavoro necessario per mantenere adeguata la portata cardiaca.

Pazienti portatori di stenosi aortica possono essere asintomatici. I pazienti sintomatici hanno sincopi, vertigini, angina pectoris o dispnea durante lo sforzo fisico. Nel 10% si verifica la morte improvvisa. La sopravvivenza media senza intervento è di 2 anni.

Bisogna intervenire alla comparsa dei primi sintomi o quando all’esame emodinamico si riscontri un gradiente pressorio transvalvolare superiore a 75 mmHg.

L’intervento chirurgico correttivo consiste nella sostituzione della valvola aortica con una protesi valvolare meccanica o biologica.

Insufficienza aortica

Il reflusso di sangue dall’aorta al ventricolo sinistro durante la diastole determina un aumento del lavoro del cuore, il ventricolo sinistro ad ogni sistole deve espellere oltre alla gittata sistolica anche il sangue refluito durante la diastole precedente.

L’etiologia può essere secondaria a malattia reumatica, ad ectasia dell’anulus aortico, ad endocardite infettiva, secondaria ad aneurisma aterosclerotico dell’aorta, essere complicanza della sifilide o di malattie autoimmuni che retraggono le cuspidi valvolari.

Può essere un vizio valvolare cronico ingravescente che spesso gode di una lunga fase asintomatica, o avere un inizio improvviso e acuto.

I sintomi dominanti sono: dispnea da sforzo, angina pectoris, cardiomegalia.

Vi è indicazione all’intervento chirurgico di sostituzione valvolare in tutti i pazienti sintomatici e negli asintomatici con cardiomegalia o con tendenza al sovraccarico ventricolare in cui non raramente è necessario procedere ad un intervento d’urgenza.

Stenosi mitralica

La causa più frequente (99%) è la malattia reumatica. Si manifesta con un’incidenza doppia nel sesso femminile rispetto al maschile.

Il paziente lamenta dispnea da sforzo, ortopnea e dispnea parossistica notturna.

Complicanze della stenosi mitralica sono: la fibrillazione atriale episodica o persistente con concomitante embolia arteriosa sistemica, l’edema polmonare acuto, l’emottisi, l’ipertensione polmonare che può determinare scompenso ventricolare destro.

Tre tipi di intervento chirurgico, consigliabile in tutti i pazienti sintomatici a causa del basso rischio operatorio e della possibilità di episodi embolici cerebrali, possono essere praticati: la commissurolisi mitralica "a cuore chiuso" mediante un divulsore che forza sui lembi valvolari in modo da separare le commissure fuse; la commissurotomia in circolazione extracorporea; la sostituzione della valvola mitralica con protesi.

Insufficienza mitralica

Il reflusso di sangue dal ventricolo sinistro all’atrio sinistro può essere ad etiologia cronica dovuto a malattia reumatica, a mesenchimopatie, a prolasso della mitrale, a lesioni valvolari determinate da una endocardite infettiva o ad una malformazione della valvola, o acuta per rottura dei muscoli papillari da ischemia miocardica.

La forma cronica può restare asintomatica per anni. Sintomi caratteristici sono: astenia e ridotta tolleranza allo sforzo, dispnea da sforzo e parossistica notturna, ortopnea, palpitazioni.

Vanno trattati chirurgicamente pazienti con insufficienza mitralica sintomatica refrattaria al trattamento medico o pazienti asintomatici con ingrandimento progressivo del ventricolo sinistro. L’intervento chirurgico consiste nella riparazione della valvola o nella sua sostituzione con una protesi.

Insufficienza tricuspidale

É il vizio più frequente a carico della valvola tricuspide Determina un reflusso di sangue dal ventricolo destro all’atrio destro durante la sistole. Riconosce nella maggior parte dei casi una etiologia reumatica. Con l’eccezione delle forme da endocardite settica, frequenti nei tossicodipendenti, non si presenta in forme isolate, ma spesso è associata a valvulopatie mitraliche.

Il quadro clinico comprende edemi declivi, turgore giugulare, epatomegalia, frequente la fibrillazione atriale.

L’insufficienza tricuspidale isolata lieve o moderata non ha indicazione a correzione chirurgica perché ben tollerata, quella severa richiede il trattamento chirurgico di riparazione o di sostituzione quando determina una netta riduzione della capacità funzionale del paziente.

Stenosi tricuspidale

Il quadro anatomico è caratterizzato dalla fusione dei lembi valvolari che delimitano una piccola apertura centrale di 1 - 1,5 cm di diametro, con alterazioni più o meno gravi delle corde tendinee.

Per la sua correzione si può procedere alla commissurotomia o alla sostituzione valvolare, in base alle alterazioni anatomiche dei lembi e delle corde tendinee.

Le alterazioni a carico della valvola tricuspide vengono generalmente trattate chirurgicamente al momento della correzione della concomitante e più importante patologia mitralica.

Endocardite infettiva

È una infezione localizzata sulle valvole cardiache native (endocardite valvolare da Streptococco), sulle protesi (endocardite protesica da Stafilococco), sull’endocardio parietale. La sintomatologia è costituita da: febbre, segni sistemici di infezione, insorgenza o aggravamento di un rigurgito valvolare. Sono frequenti le complicanze emboliche o microemboliche a carico di ogni distretto. Il trattamento medico, dopo l’antibiogramma, deve essere attuato per via endovenosa; quello chirurgico deve essere sollecito se la sepsi non è controllata rapidamente (10 gg) dall’antibiotico, se compare scompenso cardiaco, se si verificano embolie.

Cardiopatia ischemica

È determinata da uno squilibrio fra fabbisogno e apporto di Ossigeno o per aumentato consumo miocardico o per riduzione del flusso coronario.

La causa più importante è la malattia aterosclerotica. La lesione fondamentale è la placca ateromasica a sviluppo nei vasi arteriosi intraluminale ed intraparietale. Se la placca cresce lentamente si possono sviluppare circoli collaterali in grado di mantenere una buona riserva coronarica. La placca può andare incontro a complicanze quali la calcificazione, l’ulcerazione, l’emorragia e la trombosi. Quest’ultima non comporta necessariamente una ostruzione permanente poiché la retrazione del coagulo o la ricanalizzazione del trombo permettono il ristabilirsi, almeno in parte, della circolazione sanguigna.

Nella maggior parte dei casi nella genesi dell’ischemia miocardica accanto al fattore organico partecipa quello funzionale: lo spasmo dei vasi coronarici. L’aterosclerosi coronarica può essere asintomatica o può determinare vari gradi di angina per giungere fino all’infarto, allo scompenso, alle aritmie, alla morte improvvisa.

Sintomo principale è il dolore anginoso, improvviso, intenso, di breve durata ~10 m, alla parete anteriore del torace, che si irradia alla spalla e all’arto superiore sinistro (faccia ulnare), o alla mandibola. Talora presenti: pallore, sudorazione, senso di angoscia.

La diagnosi si basa sull’anamnesi, sull’esame obiettivo, sulle curve enzimatiche, sull’ECG, sull’ecocardiogramma e sulle indagini radioisotopiche a riposo, da sforzo e dopo somministrazione di farmaci coronaroattivi. La coronarografia è utile per valutare sede e gravità delle alterazioni coronariche ed è il presupposto indispensabile ad una procedura di rivascolarizzazione miocardica. La ventricolografia sinistra permette di valutare l’efficienza ventricolare e la presenza di altre complicanze o di altre patologie.

La terapia chirurgica della cardiopatia ischemica ha il compito di normalizzare il flusso nelle zone di miocardio nelle quali la malattia lo ha ridotto e correggere eventuali complicanze dell’infarto al fine di alleviare la sintomatologia soggettiva e prolungare la vita del paziente. La normalizzazione del flusso coronarico viene ottenuta impiantando sulla porzione sottostenotica dell’arteria ammalata (by-pass aorto-coronarico) un tratto di vena safena autologa di calibro idoneo che all’estremo craniale viene impiantata sull’aorta ascendente, oppure l’arteria mammaria interna il cui estremo prossimale viene lasciato alla sua origine nell’arteria succlavia, oppure, in caso di estrema necessità, delle protesi sintetiche di dacron e teflon. I risultati dei by-pass sono condizionati da alcuni fattori negativi quali possibilità di obliterazione della protesi (15 - 20%) nel primo anno postoperatorio e dalla naturale tendenza alla progressione della malattia aterosclerotica di base con ostruzione a monte dell’anastomosi. Altra moderna metodica di rivascolarizzazione è l’angioplastica coronaria percutanea transluminale che consiste nell’introdurre nell’arteria coronarica un catetere con palloncino e, in corrispondenza della stenosi, risolvere la stessa gonfiando il palloncino.

Nei pazienti colpiti da infarto miocardico possono evidenziarsi a breve o a lungo termine complicanze dell’episodio necrotico stesso, quali la perforazione del setto interventricolare, l’insufficienza mitralica, l’aneurisma ventricolare sinistro; queste lesioni determinano solitamente gravi alterazioni dell’emodinamica cardiaca.

La correzione di queste complicanze prevede una serie di procedure chirurgiche tendenti a rimuovere, riparare, sostituire le strutture anatomiche danneggiate (resezioni di aneurismi, infartectomia con resezione endomiocardica mirata; chiusura delle brecce settali; sostituzione o riparazione valvolari, ecc.).

Tumori del cuore

Possono essere primitivi o secondari. I primitivi possono essere benigni o maligni. L’incidenza dei tumori maligni primitivi varia dal 5 all’11% di tutti i tumori maligni dell’organismo.

Tra i tumori benigni il più frequente è il mixoma, che si sviluppa nell’atrio sinistro, è costituito da cellule mucoidi con scarso connettivo e si presenta generalmente come una formazione multilobulata a consistenza gelatinosa; si manifesta tra i 30 e i 60 anni con tre possibili quadri:

stenosi mitralica per ostacolato passaggio del sangue al ventricolo sinistro;

embolia arteriosa per sfaldamento del tumore;

sincope per completo ostacolo al flusso sanguigno.

L’intervento di asportazione va effettuato appena il tumore viene scoperto per il rischio di embolia sistemica.

Il lipoma si sviluppa da cellule adipose localizzate più frequentemente nel subendocardio dell’atrio destro o del ventricolo sinistro. Il fibroelastoma papillare appare come una massa gelatinosa che origina dal tessuto connettivo delle valvole atrioventricolari, delle semilunari aortiche o più raramente dall’endocardio ventricolare. Tali neoformazioni sono spesso asintomatiche e rappresentano un riscontro occasionale.

Tutti i tumori maligni sono sarcomi (angiosarcoma, rabdomiosarcoma, fibrosarcoma), rari, invadono il pericardio con versamento emorragico.

La sintomatologia è costituita da affaticamento, dispnea, edemi, turgore giugulare, epatomegalia, anemia.

L’intervento non è quasi mai eseguibile.

I tumori secondari sono conseguenti (21%) a localizzazioni metastatiche di neoplasie primitive del polmone, della mammella, di linfomi o leucemia, oppure a infiltrazione miocardica da parte di tumori contigui.

Pericarditi

Le affezioni del pericardio di interesse chirurgico si dividono in infiammatorie e tumorali.

La pericardite essudativa non provoca alterazioni emodinamiche fino a che non si verifica un rapido accumulo o una notevole raccolta di liquido pericardico e quindi il tamponamento cardiaco. La sintomatologia è costituita da un dolore atipico non specifico; all’esame obiettivo rumori pericardici e attenuazione dei toni cardiaci. La terapia consiste nella aspirazione del liquido pericardico (pericardiocentesi) o nella rimozione chirurgica (sternotomia e drenaggio).

La pericardite costrittiva è una forma subacuta o cronica di tamponamento cardiaco, causata da retrazione fibrosa del pericardio secondaria ad un processo infiammatorio. La sintomatologia consiste in dispnea, febbre, perdita di peso, tosse, dolore pericardico e pleurico in fase acuta, tachicardia compensatoria e indebolimento dei toni cardiaci; in fase cronica dispnea da sforzo e fibrillazione atriale. Può essere presente epatomegalia, ascite e turgore delle giugulari. L’indicazione chirurgica è assoluta nei casi con impegno emodinamico e consiste nella rimozione più ampia possibile del pericardio.

Trapianto del cuore

Nel 1967, Christian Barnard, recentemente scomparso, eseguì in Sudafrica il primo trapianto cardiaco. Ora questo intervento è diventato talmente affidabile da essere in aumento progressivo e costante in tutto il mondo. In Italia a partire dal luglio 1985 il Ministero della Sanità ha autorizzato 8 centri a compiere i trapianti di cuore

La compatibilità tra donatore e ricevente viene stabilita innanzitutto sulla base del gruppo sanguigno, con gli stessi criteri utilizzati per le trasfusioni, AB0 e HLA. L’organo di una persona di gruppo 0, per esempio, è compatibile con tutti gli altri, però vista la difficoltà di trovare organi, può donare solo ad altre persone dello stesso gruppo, che altrimenti sarebbero penalizzate. Il secondo criterio è rappresentato dalle dimensioni del cuore e dall’età di donatore e ricevente. Il donatore deve essere di età inferiore a 60 anni, deceduto per causa naturale o accidentale, sieronegativo per HBV, HCV, HIV. Per l’inserimento in lista d’attesa sono necessari una serie di accertamenti ed un’attenta valutazione clinica. Successivamente, se ritenuto idoneo, il paziente dovrà eseguire controlli periodici che serviranno a verificare lo stato di salute durante l’attesa. Si possono così riassumere i criteri generali di selezione:

· malattia cardiaca terminale con prognosi di vita inferiore ai 6 mesi

· età inferiore a 65 anni

· funzione renale ed epatica normale

· assenza di infezioni

· negatività per diabete insulino-dipendente

· stabilità psicosociale e ambiente familiare cooperante.

Il trapianto di cuore è ancora in grande prevalenza ortotopico, ossia avviene per sostituzione del cuore del ricevente con quello del donatore. Alla tecnica tradizionale, nota anche come tecnica biatriale, si è aggiunta di recente la tecnica bicavale che prevede la resezione della vena cava superiore e inferiore, conservando l’integrità dell’atrio destro.

Il trapianto eterotopico, in paziente con alte resistenze polmonari o in caso di cuore di donatore di dimensioni inferiori rispetto al ricevente, si realizza posizionando l’organo nell’emitorace destro.

Appena viene segnalata l’esistenza del potenziale donatore, il primo paziente compatibile in lista d’attesa deve entrare in ospedale e prepararsi per la possibile operazione, mentre nell’altro ospedale l’equipe incaricata valuta le caratteristiche dell’organo. Una volta accertata l’idoneità del cuore, l’equipe chirurgica inizia l’asportazione, in stretto coordinamento con i medici dell’ospedale del ricevente. Il cuore del donatore viene lavato con una soluzione fisiologica salina fredda (4 gradi), prelevato e immerso in un contenitore con la stessa soluzione, in grado di conservarlo per 4-5 ore. Inizia a questo punto la corsa contro il tempo che prevede uno scambio di informazioni costante tra le due equipe. L’intervento dura poco più di un’ora, dopodiché il paziente viene portato nell’unità di terapia intensiva per le cure post-operatorie. Dopo il trapianto è necessario seguire una terapia con farmaci che impediscano i fenomeni di rigetto, cioè le reazioni immunitarie con le quali l’organismo tenta di liberarsi dell’organo "intruso". Altre frequenti complicanze sono le infezioni, la cui insorgenza viene ridotta da protocolli di farmaci antibiotici, antivirali e antimicotici, e le coronaropatie. Nel reparto di degenza ordinaria il paziente si ferma per un periodo di circa tre o quattro settimane durante le quali si effettuano prelievi del sangue per monitorare il nuovo organo. Quindi il paziente può tornare ad una normale attività e all’abituale stile di vita.

I VAD (Venticular Artificial Device), sono pompe pulsatili che vengono inserite, in "parallelo", al cuore, in crisi, del paziente; impiantate all’interno del corpo e collegate ad una fonte (pneumatica od elettrica) energetica esterna.

Anche questi "ventricoli artificiali", il cui vantaggio principale consiste nel poter rendere svincolabile il paziente dal letto di degenza, servono non solo come "ponte" al trapianto, ma si sta facendo strada l’ipotesi di utilizzarli per consentire, anche a pazienti non candidabili al trapianto, di prolungare la loro sopravvivenza in condizioni di qualità di vita dignitose, se non addirittura normali.