Eraclio
il Colosso
In Corso
Vittorio Emanuele a Barletta si trova la più imponete e magnifica
opera d'arte bronzea dell'antichità che ci sia pervenuta al giorno
d'oggi.
Ma come
è arrivata lì?
Di che
epoca è e chi è il personaggio rappresentato?
Era il 19
maggio del 1491 quando a forza di braccia, leve e cavi fu issato sul piedistallo
di marmo che ancor'oggi sorregge quell'enorme statua che la popolazione
barlettana già aveva battezzato Arè (Eraclio)
Tutto ebbe
inizio nel 1204 quando i veneziani stavano tornando in laguna dopo la vittoriosa
crociata del medesimo anno.
Sfortunatamente,
o forse è meglio dire fortunatamente, una nave, per ignoti motivi,
affondò innanzi alla costa Barlettana assieme a tutto il suo carico
prelevato alla Costantinopoli infedele, tra cui c'era questa statua dalle
dimensioni che ricordavano le leggende del colosso di Rodi.
Questa
ipotesi è da molti rifiutata perchè non ci sono resti di
alcun relitto, ma è poco probabile che i veneziani abbiano potuto
perdere un carico del genere ed è assolutamente impensabile che
se ne siano voluti disfare.
Comunque
qualche tempo dopo il colosso viene recuperato e collocato nella Dogana
vecchia del porto di Barletta. Lì rimarrà per circa ben un
centinaio d'anni, durante i quali (nel 1309) i domenicani di Manfredonia,
dopo aver avuto il permesso da Carlo d'Angiò in un editto, ne staccheranno
gambe e braccia per fonderle e farne le campane per una chiesa in costruzione
a Siponto.
Solo, come
già detto, il 19 maggio del 1491, pochi mesi prima della scoperta
delle Americhe, la cittadinanza barlettana sceglie il suo simbolo: Eraclio.
Il padre
gesuita Paolo Grimaldi nel XVII sec. affermava che la statua portata dai
veneziani da Costantinopoli fosse raffigurante l'imperatore Eraclio e fosse
stata frutto delle mani di un abile scultore
chiamato Polifobo.
Secondo
gli esperti tutto ciò e assolutamente falso ma questi dati errati
però sono stati totalmente inglobati nella cultura locale, infatti
tutti a Barletta chiamano il colosso: Eraclio (in dialetto barlettano Aré).
Studiosi
contemporanei, come Testini e Demougeot, hanno fatto charezza sulla vicenda;
ovvero osservando la pettinatura, la corona con al centro quel goiello
barbarico, le vesti e risalendo tramite esami alla effettiva antichità
dell'opera scultorea ed alla fine confrontando il tutto con un busto marmoreo
conservato al Louvre di Parigi, hanno potuto affermare che con buone probabilità
il personaggio rappresentato è Teodosio II.
Teodosio
II sarebbe stato onorato a Ravenna dal cugino e genero Valentiniano III
figlio di Galla Placida, poichè egli aveva in passato aiutato il
giovane imperatore d'Occidente e sua madre contro l'usurpatore Giovanni
e Valentiniano ne aveva sposata nel 437 la figlia Licinia Eudoxia. Col
colosso veniva onorato non solo l'Augusto ma anche il suo codice
"Teodosiano" e la ritrovata unità imperiale.
La statua
rimase all'aperto fino alla II Guerra Mondiale quando fu ricoperta per
nasconderla ai tedeschi che cercavano metalli per fonderli in munizioni
e armi.
Dopo le
ostilità torna all'aperto.
Nel 1978
qulcuno s'accorse che il colosso bronzeo dell'epoca classica più
grande del mondo era in condizioni pietose.
Vinto l'appalto,
una società romana di restauri completò l'impalcatura
l'8 luglio 1979 ed iniziò i lavori di pulizia e di rinforzo delle
gambe che erano notevolmente lesionate da anni e anni di compressione sotto
gli oltre 8500 Kg di Eraclio (per un'altezza complessiva di circa 4,50
m).
Il primo
agosto 1981 il Colosso fu finalmente liberato dalle impalcature e fu visibile
in tutto il suo splendore.
I ragazzini
che erano soliti arrampicarsi all'interno della statua cava per poi sbucare
dalla corona di Eraclio (al quale manca il pezzo che dovrebbe completare
il cranio), rimasero notevolmente delusi quando notarono la griglia messa
sotto la veste della statua dagli operai, per evitare agli scalatori di
caricare d'un ulteriore peso la statua appena restaurata e rinforzata.
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