Guerriglieri per una notte
I carabinieri bloccano otto "ribelli veneti"
dal corrispondente de La Repubblica
ROBERTO BIANCHIN
VENEZIA - Hanno le mani alzate al cielo e gli occhi ridotti a due fessure quando escono sconfitti da quel buffo blindato fatto in casa sui resti di un camion, che monta la canna di una stufa al posto del cannone e ha un leone spettinato dipinto sulla fiancata. Un sole tiepido si affaccia su San Marco alle otto del mattino. Sono giovani, tranne uno, hanno i capelli corti e gli occhi stanchi, gli ultimi combattenti della Serenissima. Due escono dal blindato, gli altri sei dal campanile.
I carabinieri non fanno complimenti. Li sbattono in ginocchio, testa in giù sulla piazza. Li frugano, li ammanettano. Loro ringhiano. "Sèmo prigionieri poitici" gridano nel dialetto stretto delle campagne venete. "I ne vendicarà". "Ci vendicheranno" minacciano. Una voce, un'ora dopo, urla nel telefono, al centralino della Rai: "State attenti, la lotta continua. Viva la Repubblica Veneta". E alle nove di sera la "Armata veneta di liberazione" minaccia, in un comunicato all'Ansa, di "rispondere alla violenza degli occupanti italiani" se gli otto veneti non verranno rilasciati entro 48 ore.
Sono riusciti a "liberarla", Venezia, solo per sette ore, asserragliati in cima al campanile, protetti da un camper e dal blindato, armati di un mitra, di casse di vino e bottiglie di grappa, naturalmente veneta. Per resistere almeno fino a lunedì, giorno del bicentenario della caduta della Serenissima. Per lanciare proclami e volantini. Come aveva detto il loro Doge, il pirata, durante le intrusioni televisive al Tg1: 15, dal 17 di marzo. L'ultima, alle sei e mezza di ieri mattina, trasmessa da un'emittente di forte potenza che si erano portati dietro e avevano piazzato in cima al campanile: "Abbiamo liberato Piazza San Marco". Un'impresa che può costare molto cara. I "liberatori" dovranno probabilmente rispondere di una sfilza di reati: banda armata, associazione sovversiva, sequestro di persona a scopo di eversione, attentato all'integrità dello Stato e detenzione illegale di armi. Condanne: da 15 anni all'ergastolo.
Gli otto combattenti del "VSG" (Veneto Serenissimo Governo) e della "VSR" (Veneta Serenissima Repubblica), hanno resistito una notte sola. Ma per una notte hanno tenuto in scacco la città, con Piazza San Marco isolata, blindata, i tiratori scelti appostati sui tetti dei palazzi, gli elicotteri a ronzare nel cielo, e quel buffo blindato a gironzolare solitario per la piazza con la bandiera oro e granata della Serenissima sul tetto e un faro sul davanti. Uno scenario irreale, da golpe. Non si sono arresi, no. Aspettavano il loro "ambasciatore" e il loro "presidente", che però non si sono fatti vedere. Alle prime luci del giorno, sono stati sorpresi da un blitz fulmineo dei Gis, i reparti speciali dei carabinieri, che in otto minuti hanno scalato il campanile e li hanno bloccati. Uno dopo l'altro.
Sono quattro veronesi e quattro padovani. Flavio e Christian Contin, zio e nipote (Flavio è il più vecchio del commando, ha 55 anni), Andrea Viviani, Fausto Faccia, Moreno Nemini, Gilberto Buron, Luca Peroni, Antonio Barison. In serata a Cittadella, nel padovano, ne fermano un altro. Giuseppe Segato, studioso del popolo veneto. E' sospettato di essere l'"ambasciatore" degli insorti e l'autore dei testi dei proclami al Tg1. Barison invece finisce in ospedale, in prognosi riservata. Ignote le cause del malore, i Gis dicono che non ci sono stati scontri, secondo la "Armata veneta" invece ci sono state "torture e sevizie", perchè gli agenti "tutti del sud, odiano la gente del nord".
Nel cortile della caserma dei carabinieri, a San Zaccaria, dove arriva il comandante generale dell'Arma, Sergio Siracusa, a fare i complimenti ai suoi uomini ("lo Stato ha dimostrato una capacità di reazione molto importante"), gli otto serenissimi combattenti sfilano coi ferri ai polsi. Orgogliosi. Flavio, il vecchio, ha ancora addosso una
specie di tuta mimetica, di foggia militare. Sorride, sprezzante, come di chi si sente dentro la storia. "Par Venessia - biascica - par eà Republica". Gli altri sono in jeans, portano maglioni, camicie a righe e capelli corti. Uno ha gli occhiali da miope e una faccia da ripetente, un altro è grassottello, sulla trentina. I Contin, insieme a Viviani e Faccia, erano già finiti nel mirino del procuratore capo di Verona. Guido Papalia, che li considera "simpatizzanti leghisti fuoriusciti", li teneva d'occhio sin dai giorni dell'inchiesta sulle camicie verdi, nel settembre '96, e li aveva indagati, lo scorso marzo, per le incursioni nel Tg1. La procura veronese aveva preparato un blitz per arrestarli stanotte.
"Siamo prigionieri politici" dicono. E spiegano che hanno agito "come esponenti dell'esercito del Veneto Serenissimo Governo, e su mandato del presidente della Repubblica di Venezia". In tasca hanno una carta di identità contraffatta, rilasciata dalla Repubblica di Venezia. "Doveva arrivare il nostro ambasciatore in Piazza San Marco - aggiungono - ma non ha potuto farlo, perchè è sopraggiunto un impedimento che all'ultimo momento non gli ha consentito di raggiungerci". Spiegano che l'assalto al campanile aveva un significato di "occupazione simbolica" di tutta la città in attesa dell'arrivo del misterioso "Presidente", previsto per lunedì.
Erano arrivati col ferry-boat, il blindato nascosto sopra un camion con rimorchio. Per la corsa di mezzanotte e venti, dal Tronchetto al Lido, c'era una fila di auto in attesa. Loro vestono divise militari e superano la coda, scaricano il blindato, lo mettono di traverso, bloccano l'accesso, e puntano il Mab (l'unica arma del commando, con 70 pallottole) in faccia al comandante del "San Marco", Giovanni Girotto. "Molla gli ormeggi" gli dicono, e chiudono nel cesso gli unici quattro passeggeri. "Erano determinati, si parlavano tra loro con delle radioline - racconta Girotto - ma non sembravano molto preparati militarmente, e dicevano che con la Lega non c'entravano nulla. Prima di salire hanno anche pagato il biglietto".
Il commando fa fermare il ferry davanti al molo di San Marco. Sbarcano il camper e il blindato ma lasciano a bordo il camion. "Regalalo a Scalfaro" urlano al comandante. I turisti che tirano tardi nei caffè non fanno una piega. Credono che sia un film. Si preoccupano solo quando vedono arrivare un esercito di poliziotti e di carabinieri armati che circondano la piazza. Il blindato scorazza per San Marco. "Andate via o spariamo" gridano i serenissimi che hanno il volto coperto dai passamontagna. Parcheggiano il camper davanti alla porta del campanile, la sfondano e salgono su. Comincia una lunga notte di trattative, attorno al camper, tra il commando e la polizia. Poi arriverà anche il sindaco. "Diteci cosa volete" dice la polizia. "Non avvicinatevi, tra poco arriverà il nostro ambasciatore, parlerete con lui" ripetono gli assaltatori.
La trattativa non porta a nulla. Alle otto del mattino Giovanni Troiani, il prefetto, ordina il blitz. 24 agenti speciali dei Gis dei carabinieri sono arrivati nella notte con un volo da Livorno. Hanno una Range Rover d'assalto con il tetto che si alza fino a dieci metri. Si dividono in tre gruppi e salgono, con delle scale, fino in cima al campanile. Tirano due lacrimogeni e in pochi minuti sorprendono i serenissimi combattenti che si arrendono senza fare resistenza. Nel campanile trovano pacchi di volantini, casse di viveri, come se pensassero di resistere a lungo, e una radio trasmittente.