ILARIO ROSSI pittore    back   home page

 

Carlo M. De Paola,

Gian Carlo Cavalli,

Francesco Arcangeli e altri

Pitture di ILARIO ROSSI

Edizioni Alfa, Bologna, 1968

 

 

Testimonianza introduttiva di

Carlo M. De Paola

Gli elaborati di Ilario Rossi, compresi quelli recentissimi cui si rivolge in particolare la mia attenzione, non propongono ardue alternative di lettura né mi pare presentino difficoltà esegetiche di rilievo. Un linguaggio articolato e pluridimensionale vi è assunto ad esplicitare una interiorità ricca di fermenti e riesce a comporvi una vasta condizione di vita con esiti fruibili anche dall'amatore appena sensibilizzato alle cose d'arte. Il medium espressivo non tradisce la nobiltà del dizionario classico. Alla corposa sostanza delle immagini fa riscontro la vibrata e guizzante duttilità del segno, alla forza espressiva del colore la sottile eleganza di personalissime modulazioni tonali, alla mordente immediatezza percettiva il decantato stupore della trasfigurazione lirica.

Il curriculum di Rossi, pittore della generazione di mezzo, in alterna vicenda testimone interessato ovvero artista direttamente coinvolto nel travaglio contemporaneo delle arti, è tutto qui, nell'antologica idealmente ordinata nel presente volume e nei regesti critici di estimatori che ne riconobbero il talento e ne seguirono l'avventura. Oggi una ennesima presentazione, un'ulteriore biografia per dati esterni, rischierebbe di apparire insignificante e tautologica. Per questo ho preferito indugiare sul senso meno appariscente delle sue scelte, sulla dialettica delle sue interne tensioni, sul suo modo di disporsi e di essere presente alla vita e all'arte.

Come tutti gli artisti della sua generazione, Rossi è vissuto in tempi di ingrate mutilazioni, le più gravi che la storia del pensiero abbia mai registrato. La teoria della relatività ha messo in crisi la certezza paradigmatica delle strutture spazio-temporali; il principio di indeterminazione ha invalidato ogni serio tentativo di approccio gnoseologico; l'una e l'altro, configurando un universo di pure energie in movimento, hanno deteriorato l'ordine delle cose e scardinato in profondità le basi del nostro sapere. E se è vero, come da più parti si afferma, che certe mutilazioni, riducendo il nostro fardello, ci fanno più mobili e attivi, è del pari innegabile che la rinunzia al conoscere per essenze legittima la libertà codarda degli irregolari, dei mitomani, degli impostori, degli anarcoidi velleitari. Mai come in passato il mondo delle arti visive pullula di pseudo personaggi la cui pleonastica presenza è resa possibile solo dalla generale alienazione dai codici di una cultura in crisi e dall'assenza di un'avanguardia responsabile che rifiuti lo sterile gioco dell'eversione preconcetta e si voti a doppiare la realtà emergente di una rete organica di parole e di gesti nuovi.

È alla luce di questa caotica eppure stimolante temperie spirituale che la figura di Ilario Rossi acquista una sua inconfondibile fisionomia e si compone in una coerente stratificazione di sensi. Si è più volte osservato che Rossi ha saputo far tesoro della lezione di Morandi; e individuando quella lezione con un'aurea crestomazia di precetti tecnici ovvero confondendola con una sorta di normatività tematica o di sintassi espressiva a livello europeo, si è valutata l'opera dell'allievo sulla base delle sue consonanze e delle sue culminazioni creative rispetto a quella del maestro. Con ciò si sono tradite le intenzioni dell'una e dell'altra. Prima che artista di raffinata sensibilità, Morandi fu maestro nell'accezione più profonda e nobile del termine, e la sua fu una lezione di coerenza, di chiarezza, di disciplina, di fede assoluta nella missione ordinatrice dell'uomo. Una lezione che il poeta di Grizzana seppe trarre dagli autentici rivoluzionari di tutti i tempi, da Piero della Francesca a Cézanne, e che incarnò lungo tutto l'arco della non breve attività figurativa.

A questo esemplare modello di costume e di vita vanno ricondotte la personalità e l'opera di Ilario Rossi.

Svincolatosi per gradi dagli irrigidimenti dogmatici di una logora precettistica figurale, Rossi si apre ad un proficuo contatto con le esperienze e gli esiti delle scritture postimpressioniste e rivela una nativa, prevalente vocazione per la pittura di paesaggio. Un lucido gioco di protensioni e ritensioni lo investe della fervida tematica del naturalismo astratto e dalla originaria fedeltà agli schemi della percezione lo spinge fino alle soglie della proposta informale. Ma il rapporto ormai solidamente instaurato con la partitura di ispirazione tradizionale - nel suo plenum triadico di paesaggio, figura e natura morta - non gli consente di varcare quelle soglie. Al momento focale di un iter artistico che potrebbe volgere con prospettive di successo alla cattivante avventura della sperimentazione non figurale, Rossi non esita a scegliere l'alternativa meno gradita ai centri di potere del mercato e della critica e si colloca decisamente nella schiera degli eredi e dei rinnovatori della tradizione figurativa occidentale.

Oggi si presenta nella condizione precaria del personaggio isolato che non si attesta nella roccaforte di una tendenza né si riconosce nelle istanze pluralistiche di un ethos scopertamente rivolto a " plagiare " l'individuo ed a farne docile strumento di fruizioni economiche collettive. Ed il suo fare artistico, ricercando di sé motivazioni del tutto singolari e private, si dispiega e trova posto tra la dimensione della realtà per intero coperta da cifre e quella della conoscenza speculare e riflessa, in una ideale zona mediana svincolata così dagli abiti linguistici, percettivi e pragmatici, come da ogni integrazione teoretica e da ogni generalizzante assunzione categoriale. La zona del ritmo interiore, del tempo vissuto, del " mondo della vita ", laddove l'intervento ordinatore dell'artista costringe in forme limpide ed oggettive il confuso ed amorfo apeiron degli stati d'animo e delle apparenze sensibili.

In questi termini che sono di conservazione e di progresso, di tradizione e scoperta, di disciplina e libertà creativa, Rossi concreta il senso della sua partecipazione al dibattito dell'arte contemporanea.

 

Miscellanea

olio, 1963, cm 150 x 200

Grigio e azzurro

olio 1963, cm 140 x 200

 

Presentazione alla "Strozzina" di Firenze (1950)

Gian Carlo Cavalli

Non dovette essere impresa da poco quella di Ilario Rossi e di qualche altro, che in una città chiusa agli scambi vivi della cultura artistica si trovarono a dover uscire dalle strette di una poetica neorazionalistica, da un lato, e dall'inafferrabile senso della parola scarnificata di Guidi, dall'altro. Dotato di qualità native non comuni, Rossi intese soprattutto il significato morale della lezione morandiana, cui era congenialmente sospinto dalla sua natura meditativa e studiosa, e che è rimasto al fondo della sua formazione. Muovendo da quelle esperienze tonali, anzi che dirigere le sue ricerche nel senso di una continua riduzione oggettiva, lo vediamo via via allargare la sua gamma espressiva in una lenta ma continua osservazione degli aspetti naturali, che si risolve infine nella rappresentazione pacatamente calda, quasi sensuosa della realtà. Il colore e la luce giocheranno così, volta a volta, in accese rapide giustapposizioni per un variare continuo dell'emozione. Non è forse nel rapido accendersi del colore sulle case al piede del colle di S. Luca che batte l'accento poetico, sceso lungo la "curva malinconia" del monte? o nell'illuminarsi improvviso di un muro o di un tetto sotto il variare della stagione e dell'ora? Nella fondamentale esperienza del tono, il colore e la luce sono spinti a possibilità estreme e si caricano di patetiche risonanze, ove talora parrà vibrare qualche traccia dell'affocato mondo di Scipione attraverso il più accordato modulare mafaiano; talora invece, nella sua esperienza di mezzo, il pittore sembrerà insistere con qualche compiacenza su certe venature del sentimento da suggerire quasi un allentarsi della sintesi formale, una diversa qualità narrativa, più scopertamente romantica. Ma pur sempre Rossi offrirà la testimonianza di come si possa nell'identificazione del mondo sensibile dirigere i passi costeggiando l'orma di una tradizione italiana ormai illustre e liberare da essa una coerente personalissima individualità espressiva. La sua pittura ha assunto ormai un timbro inconfondibile e appartato; è venuta approfondendo via via l'analisi della natura in un processo di scarto, di chiarimento interno, di semplificazione ancora in atto, che azzarda come il tasto di un acceleratore; una scrittura tecnicamente più veloce ed abbreviata. La sua ancor pacata e sensuosa rappresentazione si va ora stringendo in una sintesi non prima raggiunta, ove il colore piega su di un tonalismo quasi elementare, di sostanza interna. La natura del paesaggio ch'egli predilige si ordina per dati essenziali e si riassume lungo le curve grevi e malinconiche dei colli emiliani, lungo i profili d'ombra delle case e degli orti, nelle gamme ormai schiarite del colore; e si leva la sua voce lenta, quasi mormorata e pigra, in una sorta di bucolica accorata e severa.

 

Rose e ideogrammi

olio 1966, cm 50 x 65

Seggiolone e liuto

olio 1966, cm 50 x 60

 

Dalla presentazione alla mostra di Modena (1958)

Francesco Arcangeli

La difficoltà maggiore per Rossi, uomo vivo e tutt'altro che insensibile al moderno corso dei problemi, fu quella d'avviare in nuova direzione le sue possibilità, senza tradirle. Questi tentativi di rinnovamento volsero, con alterna fortuna, in due direzioni: verso l'espansione di ricchi e potenti strati di sensibilità; o verso le gamme chiare, accompagnate dall'eleganza quasi francese di sottili grafie. Non sarebbero certo mancati a Rossi, pittore nato, i mezzi tecnici e di stile, per giocare queste sue possibilità in astratto. Ma l'astrattismo non sarà mai, probabilmente, la sua vocazione; anche per quel suo bisogno innato di ancorare l'opera a una struttura profondamente sentita e sostanzialmente reale. Pensate ad una sensibilità così fatta, ponetela a contatto con gli avviamenti talvolta crudamente intellettualistici, talaltra unilateralmente e profondamente immediati, anarchici, dell'attuale pittura: capirete come Rossi non abbia potuto risolvere presto, entro di sé, il dilemma fra il suo primo e amatissimo mondo e le novità ultime. Ma, da qualche tempo, egli lotta con rinnovato entusiasmo in questa situazione di trapasso drammatico fra vecchia e nuova cultura. Le strutture moderne, di traslata eredità cézanniana, le alternative e sperimentazioni tecniche della pittura di materia, o di quella che gli americani chiamano "pittura d'azione", fanno ormai corpo con le doti provate di Rossi: basterebbe vedere con quale padronanza, con quale golosa ma trattenuta dolcezza egli stenda con la spatola gli strati del suo colore, nutrendone gli accordi lungo una gamma talvolta piacevole, talvolta semplice e austera: spesso rara. In questo impasto non facile è presente la vita: un poco come è viva la lotta, la violenza con cui, là nella sua bellissima periferia, le nuove, crude costruzioni assalgono l'antica gravità della civiltà rustica bolognese. Così, grigioverdi abbandoni, bianchi di calce o d'avorio dolce squilli di note franche, bruni di parete, neri e oliva di vegetazione autunnale, qualche cosa di vero, di diretto, di intimamente e sensibilmente mescolato si gradua e vive in rilassatezze bellissime o in controlli severi, e quasi sempre si assesta entro una macchina strutturale che è, ormai, incorporata al timbro cromatico; e non, come accade in molti artisti anche noti, prefabbricata come vano stilismo sintattico. Puó esser singolare, a questo punto, notare che Rossi, bolognese, e portato da sempre al tono naturale e alla visione diretta, non abbia ceduto, come poteva, alle legittime tentazioni del cosiddetto "ultimo naturalismo". Senza straniarsene, vi ha reagito a suo modo. E' questo il segno più vivo d'una sua presenza personale, e di quel bisogno, che lo accompagnò fin dagli inizi, di sposare le doti d'istinto pittorico con quelle di meditazione strutturale.


 

 

 

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