Dante Alighieri

Paradiso XXXIII, 1-39

 

Vergine madre, figlia del tuo Figlio,

umile e alta più che creatura,

termine fisso d’eterno consiglio,

tu se’ colei che l’umana natura

mobilitasti sì che ‘l suo fattore

non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l’amore

per lo cui caldo nell’eterna pace

così è germinato questo fiore.

Qui se’ a noi meridiana face

di caritate, e giuso, intra’ mortali,

se’ di speranza fontana  vivace.

Donna se’ tanto grande e tanto vali,

che qual vol grazia e a te non ricorre,

sua disianza vuol volar senz’ali.

La tua benignità non pur soccorre

a chi domanda, ma molte fiate

liberamente al dimandar precorre.

In te misericordia, in te pietate,

in te magnificenza, in te s’aduna

quantunche in creatura è di bontade.

Or questi, che da l’infima lacuna

de l’universo infin qui ha vedute

le vite spirituali ad una ad una,

supplica te, per grazia, di virtute

tanto, che possa con li occhi levarsi

più alto verso l’ultima salute.

E io, che mai per mio veder non arsi

più ch’i fo per lo suo, tutti i miei prieghi

ti porgo, e priego che non sieno scarsi,

perché tu ogne nube disleghi

di sua mortalità co’ prieghi tuoi

sì che il sommo piacer li si dispieghi.

Ancor ti priego, regina, che puoi

ciò che tu vuoli, che conservi sani,

dopo tanto veder, li affetti suoi.

Vinca tua guardia i movimenti umani:

vedi Beatrice con quanti beati

per li miei prieghi ti chiudon le mani!