Alessandro Manzoni

  La vita 

 

L'Enciclopedia e l'Europa dei Lumi

Nasce a Milano il 7 marzo 1785 da Pietro e Giulia Beccaria, figlia di Cesare, autore del trattato Dei delitti e delle pene. Studia presso i barnabiti e i somaschi, poi entra in contatto con il fervido ambiente culturale milanese dominato da Monti e da Parini; Vincenzo Cuoco lo avvicina al pensiero vichiano. Nel 1805 raggiunge a Parigi la madre e diviene amico del critico e storico Claude Fauriel, tra i principali promotori delle idee romantiche in Francia. Nel frattempo si avvicina alla lettura e alla meditazione dei grandi moralisti della letteratura francese e contatta i cattolici giansenisti.

Nel 1808 sposa Enrichetta Blondel, svizzera d'origine e calvinista di religione. Il 1810 segna la conversione di Manzoni al cattolicesimo: le nuove convinzioni religiose e morali trovano un sostegno nell'amicizia con Antonio Rosmini. Nello stesso anno lo scrittore rientra a Milano. Nel 1861 viene nominato senatore del Regno. Muore il 22 maggio 1873.

Le prime opere 

La prima composizione poetica di Manzoni è il poemetto Il Trionfo della libertà (1801), composto dopo la pace di Lunéville, nel quale manifestò le sue idee antitiranniche e lo spirito libertario. Nel 1803 compose l'epistola in versi sciolti Adda, alla quale seguirono i quattro Sermoni. La concezione pessimista del mondo e il moralismo manzoniano si manifestarono apertamente nel carme In morte di Carlo Imbonati (1805), nel quale si annunzia la missione poetica dello scrittore.

Tra 1808 e 1810 maturò la crisi che porterà alla conversione religiosa, nata da un bisogno di rinnovamento morale. La testimonianza del travaglio interiore si ritrova nel poemetto Urania (che celebra gli antichi doni delle Muse agli uomini) e nell'Epistolario.

  Gli Inni sacri 

La nuova concezione della poesia e i nuovi ideali cristiani ispirarono gli Inni sacri. Dei dodici progettati Manzoni ne scrisse quattro tra il 1812 e il 1815 (La Resurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione) e uno, La Pentecoste, composto tra il giugno del 1817, l'aprile del 1819, e il settembre del 1822.

Gli argomenti rivelano attenzione sia per i contenuti teologici cattolici sia per i princìpi socio-morali. Pur sperimentando temi e tecniche nuovi, gli Inni sacri spesso risentono della pesantezza dei riferimenti biblici. Il capolavoro è la Pentecoste, che ruota sul motivo della grazia divina che aiuta l'uomo a superare i travagli della vita.

La lirica religiosa di Manzoni unisce al nuovo linguaggio poetico, che procede per evocazioni di immagini, una religiosità concretamente vissuta e partecipata da tutto un popolo. Lo sforzo di ritrovare nella storia un tracciato della volontà divina portò lo scrittore alla stesura del Proclama di Rimini del 1815, nel quale si esalta il tentativo di Murat di porre le basi per l'unità d'Italia.

  Le tragedie 

  Alessandro Manzoni

Tra il 1816 e il 1819 compose la tragedia Il Conte di Carmagnola (pubblicata nel 1820). Le teorie innovatrici elaborate sul teatro spingevano Manzoni a rappresentare la verità storica. Di qui la necessità di abolire le regole aristoteliche dell'unità di tempo, di luogo e azione per privilegiare la rappresentazione della psicologia e della tensione morale dei personaggi. Questo programma teorico è contenuto nella prefazione della tragedia indirizzata a Claude Fauriel.

L'opera in cinque atti in endecasillabi sciolti, a eccezione del coro che chiude il secondo atto composto in decasillabi rimati in strofe di otto versi, descrive le vicende di Bartolomeo Bussone, capitano di ventura del XV secolo, al servizio del duca di Milano Filippo Visconti, passato poi alle dipendenze della nemica Repubblica di Venezia e, infine, nonostante la condotta franca e leale, accusato di tradimento dagli stessi veneziani. Al coro della tragedia il poeta affida il compito di divulgare il messaggio politico che denuncia situazioni a lui contemporanee.

  Il Sacro Romano Impero

Nel 1822 Manzoni procedette alla stesura della seconda tragedia, l'Adelchi, che narra delle vicende accadute durante la fase conclusiva dello scontro tra longobardi e franchi. Carlo, re dei franchi e difensore del papa, assedia Pavia, capitale del regno longobardo, dopo aver ripudiato Ermengarda, figlia di Desiderio.

Nella cornice degli avvenimenti si svolgono le storie drammatiche di Adelchi, figlio del re longobardo che muore in difesa della patria e di Ermengarda, sua sorella, che ospite di un convento si strugge d'amore per Carlo. Il pessimismo manzoniano raggiunge i toni più amari nel tratteggiare le figure della regina ripudiata, esempio di bontà e di purezza, vittima di lotte e della ragion di stato e di Adelchi, personaggio che incarna l'eroe moderno e romantico.

  Le odi civili 

L'interesse per il presente condusse Manzoni alla composizione di alcune odi definite "civili". In Marzo 1821, scritta tra il 15 e il 17 marzo 1821, celebra la coalizione degli eserciti piemontesi e lombardi contro gli austriaci come l'avverarsi di una volontà divina che vuole i popoli oppressi liberi e uniti contro gli oppressori.

  L'Europa di Napoleone (1804)

Tra il 16 e il 26 luglio 1821 Manzoni compose la seconda ode Il cinque maggio, in strofe di sei settenari legati in coppia, scritta in occasione della morte di Napoleone. Il destino di Bonaparte, uomo dapprima in auge per le glorie militari riportate sui popoli, e in seguito all'esilio decaduto e sopraffatto dai ricordi, simboleggia il disegno provvidenziale di Dio che decide sul corso della storia.

Tra il 1819 e il 1823 il poeta pubblicava alcune opere dottrinali e storiche. Nelle Osservazioni sulla morale cattolica risalta l'interesse per le indagini psicologiche e, sul piano teorico, l'apertura verso un cattolicesimo che ben si accorda alle dottrine liberali del tempo. Dalla lettura del Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia (1822) si evince il nuovo modo di far storia del Manzoni, sempre attento ai problemi umani e morali attribuendo la giusta importanza ai drammi delle vittime, degli oppressi, dei poveri.

  La poetica manzoniana 

La poetica manzoniana è affidata a due scritti teorici: la Lettre à M. Chauvet (1820) e la lettera a Cesare D'Azeglio intitolata Sul Romanticismo (1823). Nella prima Manzoni sostiene che l'arte non è gioco né divertimento dell'intelletto o della fantasia. Essa deve sempre proporsi il conseguimento dell'utile e della morale. Non esiste quella distinzione tra "bello poetico" e "vero morale" che costituiva il contenuto della polemica classico-romantica.

Sulla base di questi presupposti lo scrittore esalta la funzione del teatro come mezzo per conseguire il progresso morale. Di conseguenza, condanna il principio di imitazione dei classici e il teatro classico esaltando quello di Shakespeare e teorizza la dottrina dell'arte come utile. Essa deve esprimersi per mezzo di una lingua viva, moderna e popolare e trattare argomenti veri. Si stabilisce così la differenza tra storia e poesia, tra vero storico e vero poetico. La storia si occupa di avvenimenti reali e li descrive con obiettività, la poesia esalta le passioni dei individui (umili e potenti), e quindi narra la verità dei sentimenti e delle idee, "verità estetiche e psicologiche", scrive Manzoni, "non storiche". Il concetto che meglio illustra questi princìpi è quello della "verosimiglianza".

Il secondo scritto rafforza la teoria, condannando il gusto per la mitologia e per il principio d'imitazione e proponendo soggetti ispirati al "vero", di largo interesse popolare e illuminati dallo spirito degli ideali cristiani.

  I promessi sposi 

La nuova poetica si traduce nella stesura di un'opera narrativa a carattere storico dal titolo Fermo e Lucia, alla quale Manzoni si dedicò dal 24 aprile 1821 al 17 settembre 1823, e che riprese e riscrisse con il titolo I promessi sposi, pubblicò nel 1827, ricorresse ancora soprattutto dal punto di vista linguistico e ripubblicò in veste definitiva nel 1840.

  "Piazza Borromeo sotto la neve" di A. Inganni

Il romanzo può dirsi "storico" sotto vari riguardi: in quanto ricostruiva, intorno alle vicende dei protagonisti, la situazione della Lombardia verso il 1630, ossia negli anni della dominazione spagnola; in quanto si riallacciava al modello del "romanzo storico" di Walter Scott; infine, in quanto ricostruiva la storia degli umili, secondo la tendenza che Manzoni aveva assorbito sia dagli storici francesi sia dal Vangelo (e alla quale aveva già dato voce nell'Adelchi).

Misto di storia e di invenzione, I promessi sposi sono impostati dal Manzoni come la narrazione di una vicenda privata sullo sfondo delle vicende di un paese e di un popolo: l'umile storia di un filatore di seta e di una popolana (Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, ai quali un signorotto locale, Don Rodrigo, vieta di sposarsi e che al matrimonio arriveranno dopo molte dolorose traversie) si collega a quella della Lombardia e della Spagna, e lo scioglimento della loro storia d'amore non sarebbe né possibile né comprensibile senza i tumulti della carestia a Milano, la calata dei lanzichenecchi, la peste.

Ma i protagonisti sono Renzo e Lucia: il che significa che per la prima volta nella letteratura italiana "alta" e "tragica" il terzo stato guadagna il ruolo di primo piano. Di questo aspetto rivoluzionario fu cosciente lo stesso Manzoni, che nell'Introduzione al romanzo dichiarò (con una finzione) di averlo trascritto da un manoscritto secentesco e di volersi limitare a scrivere di "fatti memorabili" occorsi a "gente di piccol affare".

  Il significato della "Provvidenza" 

D'altro canto, Manzoni giudicò gli uomini e le vicende del libro dal punto di vista non dei valori terreni ma di Dio, cosicché I promessi sposi si configurano anche come "epopea della Provvidenza": dietro la storia umana opera, nascosta e vigile, la volontà divina.

Da ciò deriva la svalutazione di ogni atto umano che miri a sostituirsi alla Provvidenza di Dio e la critica alla tracotanza dei potenti ma anche degli umili. Così l'autore si introduce di tanto in tanto con i propri commenti e punteggia il romanzo delle sue battute, ora amare, ora gravi e pensose, ora sferzanti, e l'opera acquisisce la caratteristica generale di essere narrata programmaticamente per bocca del Manzoni stesso ("Di tal genere, se non tali appunto, erano i pensieri di Lucia"), sul cui piano morale vengono costantemente sollevati i pensieri e i discorsi dei vari personaggi.

A questi fini la lingua è usata con sapienza: Manzoni sceglie un eloquio che, senza toscaneggiare molto, fosse nazionale e comprensibile dalle Alpi alla Sicilia, con la ricorrenza alle parole consuete di ogni giorno - anche nei momenti di tensione lirica più alta - ma riscattate dalla loro "quotidianità" da una tessitura stilistica nitidissima.

  Le ultime opere 

Il silenzio creativo che segue all'edizione definitiva del romanzo è interrotto dalla pubblicazione di alcune opere a carattere storico, la Storia della colonna infame (1842), già stesa al tempo del Fermo e Lucia, nella quale si riprende il tema della peste ampiamente trattato nel romanzo e il Saggio comparativo sulla rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859, pubblicato postumo.

Si segnalano anche opere a carattere dottrinario come il dialogo Dell'invenzione (1840), dove Manzoni sostiene che l'invenzione poetica deve trovare il proprio fondamento in una verità ideale che l'artista non crea ma trova in Dio, e il discorso Del romanzo e in genere de' componimenti misti di storia e d'invenzione (1845), nel quale condanna il dramma e il romanzo storico ritenendo che solo la storia pura può essere fonte del "vero".

Molto interessanti sono gli scritti e gli studi sulla lingua: la lettera a Giacinto Carena Sulla lingua italiana (1845); la relazione ufficiale Dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla (1868); le lettere al Bonghi Intorno al libro "De vulgari eloquio" e Intorno al vocabolario (1868); la Lettera al marchese Casanova (1871). Per Manzoni occorre superare la condizione dialettale per creare una lingua comune e nazionale. Perciò è necessario ispirarsi all'idioma fiorentino integrandolo con quello delle altre province toscane e italiane. La lingua deve essere quella dell'uso colto, in modo che sia libera da vincoli accademici e letterari.