1) PREMESSA
Il progresso della tecnica topografica di
questi ultimi anni è stato così notevole da provocare
una vera rivoluzione nelle operazioni di campagna e nei relativi
calcoli a tavolino.
Ne sono derivati l'abbandono di un cospicuo patrimonio di procedure
con le quali si riusciva ad ottenere lusinghieri risultati anche
con i mezzi relativamente modesti allora disponibili ed inoltre
la loro irrimediabile perdita essendo fatalmente destinate ad
entrare nell'oblio. Si cerca qui di scongiurare tale pericolo
descrivendone gli aspetti curiosi ed intelligenti sperando, al
tempo stesso, che tale loro caratteristica peculiare possa destare
l'interesse dei lettori.
La trattazione è volutamente limitata alla parte pratica,
operativa di alcune operazioni topografiche tralasciandone la
teoria in quanto esula completamente dagli scopi di questo lavoro.
2) LA MISURA DELLE DISTANZE
La misura delle distanze, un tempo, rappresentava
un problema di difficile soluzione in tutte le operazioni topografiche.
L'attrezzo più usato era allora il nastro metrico da 20
o da 50 metri in tela o in acciaio che poteva dare buoni risultati
solo quando il terreno su cui si operava era pianeggiante oppure,
abbinato con il filo a piombo, in presenza di dislivelli modesti.
Negli altri casi era molto usata la coppia di triplometri muniti
di bolla atta a garantirne la verticalità o l'orizzontalità.
Si eseguiva la ben nota canneggiata cioè la sezione del
terrreno con rilievo delle distanze in proiezione orizzontale
e, quando necessario, anche dei dislivelli.
La canneggiata, completa degli opportuni
riferimenti planimetrici di solito effettuati tramite allineamenti,
squadro semplice o graduato e nastro metrico, ha costituito per
decenni la modalità più adottata per rilevare i
terreni ma, soprattutto per quanto riguarda la misura della distanza,
di cui tratta questo capitolo, i risultati erano modesti.
In tale settore, e, più in generale, nei rilievi topografici,
un notevole balzo in avanti é stato compiuto con l'uso
del tacheometro e del più preciso teodolite.
Caratteristica saliente di questi strumenti era una grande precisione
nella misura degli angoli nel mentre per quanto riguarda quella
delle distanze, ottenuta mediante lettura dei tre fili del reticolo
su una comune stadia verticale da 4 metri, i risultati erano assai
modesti essendo possibile un errore di circa lo 0.2% della lunghezza
in gioco nel mentre l'estesa di ogni misura non poteva superare
i 200 m.
In tutti i casi in cui era richiesta una maggior precisione era
necessario ricorrere a particolari metodologie mediante le quali
la misura delle distanze era ricavata esclusivamente da quella
angolare essendo, come detto, soltanto quest'ultima la determinazione
che gli strumenti allora disponibili potevano effettuare con grande
precisione. Ne é derivata una fioritura di artifici riguardanti
sia il lavoro di campagna sia il calcolo a tavolino sui quali
vale la pena di soffermarsi per gustarne appieno l'intelligenza.
La difficoltà incontrata nella misura delle distanze imponeva
l'adozione di regole particolari sopratutto nelle operazioni topografiche
inerenti la costruzione di grandi opere, ad esempio gli impianti
idroelettrici. In questo caso il primo intervento consisteva nella
creazione di una rete di caposaldi altimetrici e planimetrici
che costituivano i riferimenti fissi per i tracciati. Nonostante
si fosse in presenza di opere molto estese, pur tuttavia il relativo
campo topografico di lavoro era ristretto se paragonato a quello
della cartografia nazionale e internazionale e, in quanto tale,
consentiva di trascurare le problematiche dovute alla sfericità
terrestre, potendo invece operare in piano e quindi utilizzare
le normali regole della trigonometria piana e della geometria
analitica. Un'altra ragione per consigliare detta metodologia
va ricercata nella necessità di usare dimensioni reali
in quanto destinate a due funzioni la cui approssimazione ammissibile
era estremamente contenuta: il tracciamento e la contabilizzazione
delle opere. Gli elementi topografici dovevano quindi essere scevri
da ogni alterazione e quindi anche di quelle normalmente usate
nella topografia classica per rappresentare nel piano la superficie
elissoidica del suolo, primo tra tutti il modulo di deformazione
lineare correntemente applicato nella proiezione di Gauss-Boaga.
Il primo problema da affrontare, quando si iniziava la realizzazione
della rete trigonometrica fondamentale era la misura delle basi,
di solito in numero di due per ciascuna rete e che, come sarà
spiegato più avanti, costituivano l'elemento di partenza
e quello di arrivo della rete di caposaldi. Dalla loro precisione
dipendeva, pertanto, l'esattezza dell'intera rete
Tra i molti sistemi descrivo quello basato sulla stadia orizzontale
in invar che ho personalmente avuto modo di usare per la misura
delle basi in argomento . La stadia consisteva in una coppia di
mire nere su sfondo bianco di forma triangolare tenute rigorosamente
ad una distanza di 2 metri esatti una dall'altra da un filo in
invar, metallo che ha la caratteristica di conservare inalterata
nel tempo la sua lunghezza anche al variare della temperatura
ambientale.
La base da misurare consisteva in un rettifilo della lunghezza
di circa 700-800 metri scelto in posizione opportuna su terreno
orizzontale e materializzato in posto da una serie di picchetti
con chiodini perfettamente allineati e posti ad un interasse di
una trentina di metri. Fatta stazione sul picchetto n. 1 con il
teodolite e posta la stadia invar in quello n. 2 dopo averla messa
in bolla ed orientata tramite l'apposito mirino, veniva letto,
seguendo rigorosamente le regole di cui al seguente capitolo 3),
l'angolo sotteso per avere, tramite un semplice calcolo o le tabelle
di cui era corredata la stadia, la distanza esatta che intercorreva
tra i due picchetti. Il teodolite veniva poi spostato sul picchetto
n. 3 e, fatta ruotare la stadia di 180 gradi attorno al suo asse,
ripetuta la lettura dell'angolo e la determinazione della misura
del secondo tratto. Era la volta, subito dopo, di ruotare il teodolite
di 180 gradi attorno al suo asse verticale per poter rilevare,
in maniera analoga, la successiva lunghezza del terzo tratto.
L'intera operazione veniva ripetuta spostando lo strumento via
via su tutti i picchetti di numero dispari e la stadia in quelli
pari fino ad esaurire l'estesa totale della base. La lunghezza
complessiva della base veniva determinata una seconda volta facendo
stazione sui picchetti di numero pari e con stadia in invar piazzata
in quelli dispari. La misura definitiva era data dalla media aritmetica
dei due valori così ottenuti.
E' impressionante la diversità che sussiste con una misura
dello stesso tronco di 700/800 metri eseguita ai nostri giorni
che, grazie all'uso del diffusissimo distanziometro a raggi infrarossi,
non richiederebbe che pochi minuti di lavoro! Ma la cosa ancora
più eclatante é data dal fatto che la base nelle
moderne triangolazioni, a bella posta diventate trilaterazioni,
non esiste più in quanto é normale effettuare la
misura diretta delle distanze da un trigonometrico all'altro,
il che, oltre ad una grande semplificazione delle procedure, assicura
risultati ancora migliori di quelli, pur sempre ottimi, che si
raggiungevano un tempo!
3) LA LIVELLAZiONE
La determinazione delle quote altimetriche
tramite livellazione geometrica è forse la sola operazione
topografica che in questi ultimi anni ha subito poche trasformazioni.
L'unico miglioramento oggi presente è quello dell'automatismo
che garantisce l'orizzontalità del piano di mira del livello
nel mentre nei vecchi strumenti essa doveva essere ottenuta manualmente
portando a coincidere le due semi-immagini della bolla.
Aggiungerei che, in questo particolare settore, la precisione
era senza dubbio più elevata nei vecchi livelli con bolla
a riflessione di immagine rispetto a quella degli attuali strumenti
automatici.
Mi preme segnalare come tutte le determinazioni altimetriche mediante
livellazione venissero eseguite tassativamente in doppio modo
cioè in andata e ritorno oppure con percorso ad anello
chiuso al fine di consentire una sicura verifica dei risultati
e di effettuare la compensazione degli errori di chiusura.
Nelle operazioni importanti l'assenza di errori grossolani era
assicurata in doppio modo grazie ad una determinazione totalmente
indipendente da quella in oggetto e cioé tramite la livellazione
trigonometrica, come indicato in dettaglio nel cap. 9), il che
costituiva un ulteriore fattore di garanzia di buona qualità
delle operazioni topografiche eseguite.
Merita di essere qui ricordato, per la praticità che lo caratterizzava, il livelletto di Abney un tempo molto usato per misure altimetriche nelle quali non fosse richiesta una grande precisione. Consisteva in un cannocchiale privo di lenti attraverso il quale era possibile vedere, fianco a fianco, la bolla della livella inclinabile a piacere e la mira e quindi eseguire la livellazione ed anche tracciare livellette con pendenza prefissata.
4) I PRIMI STRUMENTI AUTOMATICI
Oltre ai livelli automatici cui si é fatto cenno al capitolo precedente, nei primi anni 50 sono apparsi i tacheometri autoriduttori Wild RDS e RDH che, tramite dispositivi esclusivamente meccanici, consentivano di raggiungere risultati ragguardevoli: la lettura diretta alla stadia della distanza orizzontale e del dislivello tra stazione e punto battuto.
Il primo dei due strumenti era un comune tacheometro che, in luogo del normale reticolo con tre trattini fissi, era munito di un reticolo che, tramite organi meccanici, variava in funzione dell'inclinazione sull'orizzonte del cannocchiale e quindi dava direttamente le due misure lette su una comune stadia verticale a 4 m. Si otteneva una grande facilitazione nel lavoro ma permanevano, per quanto riguarda la precisione dei risultati, gli stessi inconvenienti del tacheometro tradizionale e sopratutto la scarsa precisione delle distanze misurate. Tali problemi erano invece brillantemente risolti dal RDH, un geniale e complicatissimo apparecchio il quale, tramite un doppio sistema ottico, sovrapponeva l'estremità destra della speciale stadia orizzontale piazzata tramite cavalletto sul punto da rilevare, a quella di sinistra.
Sopra il cannocchiale si trovava la vite micrometrica, visibile nella foto allegata dove è contrassegnata col n. 2, agendo sulla quale si poteva far ruotare uno dei due sistemi ottici provocando lo scorrimento di un'immagine sull'altra e quindi leggere la distanza orizzontale ed il dislivello in maniera del tutto analoga ad una normale lettura del nonio. Ovviamente tutto l'automatismo agiva, tramite un complicato meccanismo automatico, in funzione dell'inclinazione del cannocchiale rispetto all'orizzonte in modo da dare, con grande precisione, la distanza ridotta all'orizzonte ed il dislivello. Si può capire come quest'ultimo strumento costituisse un notevole balzo in avanti nella tecnica della topografia frenato però dal suo elevatissimo costo d'acquisto e, soprattutto, dalla lentezza di uso. Ogni battuta al punto da rilevare richiedeva infatti la posa in opera e la messa in bolla, su di esso, della stadia tramite l'apposito treppiede con un'operazione lunga e, nei terreni accidentati od in presenza di ostacoli, di difficile attuazione. Ne derivava un rilievo del terreno tutt'altro che "celerimetrico" il che ne ha, in definitiva, decretato la scarsissima diffusione.
5) LA MISURA DEGLI ANGOLI
Lo strumento più semplice che veniva usato in operazioni di modesta entità e precisione era lo squadro, in origine costituito da un cilindro in lamierino munito di un sistema di traguardi formato da coppie di fessure verticali contrapposte, alcune dotate in mezzeria di un sottile filo.
Il suo uso, un tempo limitato soltanto al tracciamento di angoli di 90 gradi, con la applicazione di un cerchio graduato ed anche della bussola, è stato esteso alla misura di angoli in genere.
Molto usato, per il solo tracciamento di
angoli a 90 e 45 gradi, lo squadro a prismi il quale, piazzato
nel vertice dell'angolo da tracciare e tramite un sapiente gioco
delle facce speculari dell'ottica, creava un'immagine sovrapposta
delle due paline di direzione dei due lati dell'angolo consentendo
di giungere al risultato in maniera rapida e precisa. Lo squadro
a prismi presentava l'altra utile caratteristica di poter tracciare
un punto intermedio di un rettifilo materializzato sul posto da
due paline od oggetti inaccessibili. Esso infatti dava all'operatore
la visione sovrapposta delle due paline di inizio e fine rettifilo
consentendo una agevole identificazione del punto intermedio perfettamente
allineato con gli altri due.
Gli strumenti topografici che consentivano di effettuare misure
angolari di grandissima precisione erano il tacheometro e sopratutto
il teodolite con i quali era possibile ottenere ottimi risultati
sfruttando razionalmente tale loro fondamentale caratteristica
e tramite una oculata organizzazione del lavoro.
Non si può evitare un sia pur minimo accenno a quello che,
per le sue straordinarie doti di praticità e precisione
é stato il re dei teodoliti : il Wild T2. Per avere un'idea
della cura con cui era costruito basterà dire che per la
lettura dei cerchi, finemente scolpiti in vetro, esisteva un sistema
ottico che affiacava due parti diametralmente opposte del cerchio
nel mentre una apposita vite micrometrica consentiva di farle
scorrere una rispetto all'altra fino a farle coincidere e leggere
quindi i decimi ed i centesimi di grado. L'angolo
corrispondeva alla media fra i due valori diametralmente opposti
del cerchio contribuendo a migliorare la già notevole bontà
dei risultati.
Per i rilievi di campagna, oltre ad applicare
le regole ben note e relative alla accurata messa in stazione
dello strumento e alla esecuzione di letture abbinate con cannocchiale
diritto e capovolto, si aveva cura di ripetere la misura di ogni
angolo più e più volte e poter quindi affinare il
risultato tramite la media artmetica di valori determinati in
modi diversificati. Per le misure importanti ogni angolo veniva
letto non meno di 16 volte e con le seguenti modalità:
- strumento diritto e capovolto
- utilizzazione di quattro diverse aree ddel cerchio cioè
facendo base a zero, cento, duecento e trecento gradi centesimali,
- operando in diverse condizioni meteorollogiche.
I risultati erano veramente buoni. La somma degli angoli interni
di un triangolo normalmente si scostava dai 200 gradi centesimali
di non più di 10-15 secondi.
In altri lavori le letture erano in numero nettamente inferiore.
Ad esempio per la misura con stadia orizzontale in invar da 2
m venivano eseguite, per ciascun angolo, 8 letture nel mentre
per la misura dei lati di una poligonale del rilievo celerimetrico
l'angolo era letto due sole volte, una con strumento diritto ed
una capovolto, per ridursi ad una unica determinazione con strumento
diritto nei punti di dettaglio .
Da segnalare le regole che si dovevano seguire per la lettura
degli angoli verticali. Gli strumenti non erano muniti di alcun
sistema automatico per mantenere il cerchio rigorosamente con
lo zero sullo zenit ma occorreva invece regolarlo a mano tramite
la vite dei piccoli spostamenti verticali fino a portare a coincidere
tra di loro le due metà della bolla a riflessione di immagine.
Si trattava evidentemente di un sistema macchinoso ma che garantiva
risultati ottimi, senza dubbio migliori di quelli ottenibili con
i moderni strumenti automatici.
6) LA POLIGONALE
La poligonale costituiva l'ossatura di base
della maggior parte del rilievo di aree aventi una estesa superiore
ad 400 metri circa oppure con visibilità resa difficile
dalla presenza di ostacoli e da eseguirsi sia con la celerimensura
e sia tramite le già descritte canneggiate e squadro.
La poligonale dei rilievi celerimetrici era composta da una serie
di lati ciascuno di lunghezza inferiore a 200 metri costituenti
un percorso aperto o chiuso su sè stesso oppure su punti
di coordinate note al fine di poter effettuare la compensazione
degli errori seguendo le regole classiche. La misura degli angoli
intercorrenti tra un lato e l'altro era fatta in duplice modo
con strumento diritto e capovolto al fine di evitare gli errori
per cattiva verticalità dello strumento o errata lettura
del cerchio orizzontale. La distanza tra i vertici era data dalla
media aritmetica dei due valori letti in andata e ritorno sulla
stadia verticale.
7) IL RILIEVO CELERIMETRICO
Era quella in argomento la modalità
comunemente usata nella maggior parte dei rilievi e che merita
una approfondita disamina.
Le funzioni da svolgere in quel contesto erano molteplici e variegate,
da esse dipendeva la qualità del prodotti finale e la durata
del lavoro. Occorreva innanzitutto operare la semplificazione
della configurazione del terrreno trascurandone gli elementi poco
rappresentativi e scegliendo accuratamente i punti atti a definirne
fedelmente l'andamento. I punti da rilevare risultavano comunque
in numero sempre elevato il che ha portato alla adozione di tecniche
speciali volte ad abbreviare al massimo i tempi di esecuzione
del lavoro di campagna e di quello a tavolino. Tra di esse segnalo
le particolarissime modalità correntemente adottate dal
sottoscritto per la più onerosa tra tutte le operazioni
e cioè per la lettura della stadia.
Come noto gli elementi da determinare per
ciascuno dei punti da battere erano cinque.
Tra di essi erano i fili del reticolo a condizionare pesantemente
l'esecuzione del lavoro di campagna in quanto, dovendo essere
letti alla stadia mantenuta perfettamente verticale sul punto
da rilevare, impegnavano il canneggiatore per tutto il tempo necessario
per posizionarsi sul punto e per restarvi durante la lettura.
Invece gli altri due elementi, cioè il cerchio orizzontale
e quello verticale, potevano essere letti anche più tardi
ed indipendentemente dall'opera del canneggiatore stesso che risultava
quindi libero di spostarsi, nel frattempo, nel nuovo punto. In
altri termini la velocità di esecuzione del rilievo celerimetrico
dipendeva, in buona parte, dalla rapidità di lettura della
stadia. Sono ben note le caratteristiche delle tre letture ai
fili del reticolo. La differenza tra superiore ed inferiore dava
la distanza inclinata da ridurre, con successivo calcolo, all'orizzonte.
Il filo medio, oltre a servire per il controllo della lettura,
entrava nel calcolo della quota del punto. Per esempio immaginiamo
che le tre letture fossero, nell'ordine 1.20, 1.40, 1.60. La differenza
1.60-1.20, moltiplicata per il coefficiente 100, cioè 40.00,
costituiva la distanza inclinata mentre 1.20, oltre fornire la
prova di corretta lettura in quanto corrispondente esattamente
alla media aritmetica degli altri due valori, dava l'altezza da
sottrarre dalla quota del piano di mira per ottenere quella del
suolo. In campagna la stima e la trascrizione a mano delle tre
letture nonché un sommario controllo a mente della loro
validità richiedevano un certo tempo nel mentre sussisteva
il pericolo che nell'intervallo intercorrente tra l'una e l'altra
la stadia fosse stata mossa rendendo inutilizzabile la battuta
in corso. Ecco i trucchi escogitati per risolvere il problema.
Innanzitutto, anziché effettuare una lettura casuale come
quella presa per esempio, si curava di far coincidere il filo
inferiore esattamente con 1,00 metri della stadia ottenendo i
seguenti notevoli vantaggi.
1) Eliminazione del primo numero da leggere, da ricordare e da
trascrivere nel libretto:
2) Lettura immediata della distanza inclinata rendendo inutile
l'esecuzione della successiva operazione di sottrazione tra i
due valori dei reticoli estremi;
3) Possibilità di ricordare a memoria l'intera battuta
del punto in quanto composta da due soli numeri e cioè
la distanza inclinata ed il filo medio, e quindi di liberare immediatamente
il canneggiatore dandogli modo di spostarsi quanto prima nel nuovo
punto;
4) Verificare se al momento delle letture la stadia fosse realmente
ferma ed il filo inferiore sempre posizionato esattamente su 1.00,
provvedendo in caso contrario a riportarvelo con la vite dei piccoli
spostamenti verticali.
5) Verificare l'assenza di errori di lettura tramite una facile
operazione mnemonica.
La lettura riportata prima come esempio avrebbe avuto il seguente
svolgimento.
Il filo inferiore, posizionato come di consuetudine a 1 metro,
non richiedeva alcuna lettura. Il filo superiore andava a posizionarsi
su m 1.40 rendendo estremamente facile ricavare e trascrivere
direttamente la distanza inclinata cioè 40.00. L'unico
filo il cui valore andava rilevato e trascritto normalmente era
il filo medio (1.20 in questo caso). Il calcolo di verifica di
corretta lettura poteva farsi molto semplicemente raddoppiando
l'eccedenza rispetto a uno (20 * 2 = 40). In pratica, con la metodologia
in oggetto non appena il canneggiatore aveva posizionato la stadia
sul punto da rilevare, l'operatore in pochi secondi poteva fare
la lettura dei due valori, e con un cenno al canneggiatore fargli
capire che, essendo la lettura alla stadia ultimata, poteva spostarsi
nel prossimo punto. Il completamento della battuta e cioè,
in sequenza, la trascrizione nel libretto dei due dati e la lettura
e trascrizione nel libretto dei valori angolari dei due cerchi
potevano farsi successivamente e con tutta calma. Molto importante,
ai fini di una buona restituzione, la breve descrizione delle
caratteristiche di ciascun punto che riportavamo nel libretto
di campagna. Il risultato finale era un rilievo molto veloce,
preciso, compatibilmente con la strumentazione allora disponibile,
in quanto comprensivo del controllo della inamovibilità
della stadia durante la lettura e della verifica dei dati di stadia
ed infine con l'indicazione della natura dei manufatti, della
qualità del suolo e della sua conformazione. Si può
dire che l'esecuzione del lavoro di campagna, contrariamente a
quanto accade ai nostri giorni nei quali la semplificazione delle
varie operazioni è così notevole da renderle più
precise ma, al tempo stesso, banali, e,alla fin fine, noiose,
richiedesse una grande partecipazione del topografo nell'utilizzare
i trucchi del mestiere da renderla più interessante e piacevole.
Da aggiungere a quanto già indicato il linguaggio a segni,
oggi efficacemente sostituito da piccoli ma potenti apparecchi
di trasmissione via radio, che veniva comunemente usato per comunicare
a distanza col canneggiatore, il libretto di campagna, oggi sostituito
da registrazione automatica dei dati, ed un tempo studiato per
una facile loro scrittura a mano e per una rapida esecuzione dei
calcoli a tavolino delle distanze e delle quote. La differenza
con le moderne procedure diventa abissale quando si pensi ai moderni
tacheometri che non richiedono nemmeno la presenza dell'operatore
in quanto si orientano da soli sul segnale posto nel punto da
rilevare ed eseguono automaticamente la lettura e la registrazione
dei dati di campagna completi dei relativi commenti vocali. Tutto
ciò senza voler accennare ad altri moderni sistemi di rilievo
che si basano su tecnologie ancora pù avanzate e strabilianti
come, ad esempio quelle relative alla fotogrammetria aerea o terreste
o quello con collegamento a satelliti o a stazioni terrestri a
speciale tecnologia.
Ma torniama nostro racconto della vecchia topografia.
Ultimato il lavoro di campagna aveva inizio la restituzione del
rilievo per giungere al risultato finale e cioè al disegno
della planimetria a curve ri livello e in scala adeguata.
A tale scopo occorreva innanzitutto completare la compilazione del libretto di campagna riportando negli spazi predisposti la distanza in proiezione orizzontale da stazione a punto battuto nonché la quota di quest'ultimo. Questa attività, a un certo punto, è stata facilitata dalla comparsa del regolo calcolatore speciale per topografia che consentiva di calcolare le ridotte in maniera rapida e precisa.
Anche per la messa in carta degli innumerevoli punti tramite gli elementi calcolati come detto e cioè per angolo e distanza dalla stazione, avevamo escogitato un metodo molto rapido e preciso. Innanzitutto ci eravamo costruiti e disegnato su carta lucida riproducibile dei rapportatori centesimali di grande diametro (il più grande aveva un metro di diametro) che fissavamo sul tavolo da disegno al di sotto del foglio trasparente su cui stavamo riportando il rilievo avendo cura di far coincidere il suo centro con la stazione ed orientandolo sulla base dei dati rilevati. A questo punto il rapportatore rappresentava esattamente sulla carta il tacheometro usato in campagna ed era possibile aprire per angolo e distanza tutte le battute fatte e riportare, a matita ed in scala opportuna, tutti i punti rilevati, ciascuno rappresentato con un circoletto e numero adiacente che indicava la relativa quota altimetrica. Tale operazione era facilitata da uno spillo infisso in corrispondenza del centro del rapportatore e da una tacca di riferimento fatta allo zero di una lunga riga centimetrata sulla quale avevamo riportato anche i valori nelle scale più usate.
Appoggiata la riga con la tacca sullo spillo,
era sufficiente farla ruotare fino a leggere sul sottostante rapportatore
visibile in trasparenza l'angolo
orizzontale di campagna e sulla riga la distanza orizzontale per
poter tracciare via via tutti i punti.
Ultimato il posizionamento sulla carta di tutte le battute, aveva
luogo il tracciamento, sempre a matita, delle curve di livello
per interpolazione delle quote dei punti rilevati e il disegno
del contorno dei vari manufatti il tutto sulla base delle descrizioni
riportate nel libretto. L'elaborato finale su carta lucida riproducibile
eliograficamente, era ottenuto ripassando il tutto con inchiostro
di china nero. A proposito di eliografia vale la pena di ricordare
come questo appellativo ed il chiaro riferimento alla luce del
sole in esso presente, con cui si designa il più diffuso
sistema di riproduzione dei disegni, derivi direttamente dal fatto
che le prime riproduzioni dei lucidi venivano da noi fatte sfruttando
la luce del sole alla quale esponevamo i nostri disegni dopo averli
inseriti assieme alla carta sensibile in un telaio in legno con
piano anteriore in vetro e con strettoio a vite che li teneva
pressati tramite il pannello posteriore, anch'esso in legno.
La fine dell'esposizione era segnalata dal
cambiamento di colore della carta sensibile, dal giallo intenso
al bianco, cui faceva seguito lo sviluppo ad ammoniaca ottenuto
introducendo e mantenendo la copia in elaborazione per una ventina
di minuti in un cassone verticale e con apertura inferiore nel
quale era contenuta la bottiglia dell'ammoniaca senza tappo di
chiusura.
Interessante anche l'utilizzazione del "metodo dello spillo"
già descritto per svolgere un'operazione, allora di difficile
attuazione, come quella di ridurre o ingrandire, naturalmente
in scala, dei disegni geometrici. A tale scopo, fissato il disegno
al tavolo (senza rapportatore) e lo spillo sia all'interno sia
all'esterno della figura da elaborare a seconda della ubicazione
desiderata della nuova immagine da tracciare, era sufficiente
orientare la riga, tenuta rigorosamente con la tacca sullo spillo,
ad un punto caratteristico del disegno, leggervi, nella scala
appropriata, la distanza polare dallo spillo e quindi, senza muovere
la riga, tracciare il corrispondente punto semplicemente adottando
sulla riga medesima tale distanza ma letta nella nuova scala.
Passando via via di punto in punto era possibile e relativamente
veloce, ricostruire l'intera figura nella nuova scala.
In tema di attrezzatura da usarsi negli anni in argomento non si può esimersi dal citare il planimetro cioè quello strumento a polo fisso che, facendo percorrere con il cursore a punta il contorno di una figura disegnata in scala, consentiva di determinarne l'area. E' da rilevare come le superfici dei terreni che ancora oggi figurano nei registri castastali, siano state determinate con uno strumento rudimentale come quello rappresentato nella foto percorrendo a mano i confini di tutte le particelle sulla mappa scala 1:2000!
8) LA TRIANGOLAZIONE
Tra le opere più importanti realizzate
nel dopoguerra figurano al primo posto gli impianti idroelettrici
nel mentre per la loro realizzazione risultava di estrema importanza
la topografia in quanto da essa dipendeva direttamente la buona
riuscita delle imponenti opere di cui gli impianti stessi erano
costituiti. Allo scopo era necessario disseminare in tutto il
territorio interessato dai lavori, dei punti chiaramente ed esattamente
individuabili i quali potessero costituire i riferimenti planimetrici
di tutte le opere. Ad esempio dovendo costruire una galleria,
lunga qualche decina di chilometri e munita di alcune finestre
per accedervi in diversi punti lungo il suo percorso, era necessario
avere in prossimità di ciascun imbocco dei punti di coordinate
note dai quali poter determinare il punto di inizio e la esatta
direzione di ogni tronco.
Importante innanzitutto la scelta dei punti trigonometrici i quali,
oltre ad essere ubicati in prossimità di tutte le opere
da tracciare e quindi disseminati in tutto il territorio, dovevano
costituire i vertici di una maglia di triangoli che desse il risultato
migliore in considerazione del fatto che le successive determinazioni
erano basate esclusivamente su misure angolari.
I triangoli della maglia dovevano quindi
avvicinarsi il più possibile alla forma equilatera e costituire,
intersecandosi due a due, dei quadrilateri che ne agevolavano
la compensazione chiamati cassoni.
Il compito non era affatto agevole visto e considerato che, essendo
gli impianti idroelettrici di cui si parla ubicati in zone montagnose,
per consentirne la visibilità reciproca i punti dovevano
essere ubicati sulle cime delle alture o comunque in zone prive
di ostacoli come alberature o manufatti.
Fissati i punti ed individuati con apposite
mire in legno dipinte di bianco e completata la misura delle due
basi con le modalità già indicate, aveva luogo la
lettura degli angoli nonché il calcolo delle coordinate
applicando le regole della trigonometria piana e le relative compensazioni
degli angoli e dei lati.
Come già detto i risultati erano ottimi. I lati dei triangoli
e dei quadrilateri, determinati in doppio modo differivano tra
di loro di pochi centimetri nel mentre il controllo definitivo
consistente nella lunghezza
della seconda base dava una differenza contenuta entro i 10 cm.
La elevata precisione delle triangolazioni, come si evince dalla
descrizione, era dovuta non tanto alle compensazioni fatte a tavolino
o a particolari modalità di calcolo che, al contrario,
erano fondate sulle elementari formule della trigonometria piana,
quanto invece alla elevatissima qualità dei dati di campagna
e cioé dalla rigorosa misura della distanza delle basi
ed alla elevatissima precisione degli angoli misurati. Ai nostri
giorni esistono sofisticati programmi di calcolo che tengono conto
di mille circostanze, che effettuano un rigoroso trattamento degli
errori di chiusura per dare il migliore risultato finale. Io ho
fondati motivi per affermare che nulla può nella realtà
sostituirsi alla cura che nei tempi andati veniva posta nella
esecuzione del lavoro topografico condotto con le modalità
indicate. Il tutto é comprovato dai risultati reali cui
si perveniva. Era sopratutto nella costruzione delle gallerie
degli impianti idroelettrici e precisamente nel momento di "foratura"
di due tronchi lunghi svariati chilometri i cui fronti di scavo
procedevano nel sottosuolo alla cieca l'uno verso l'altro fino
a combaciare perfettamente, che aveva luogo la spettacolare dimostrazione
della alta qualità del lavoro topografico! Il tutto tanto
più ammirevole in quanto condotto utilizzando apparecchi
rudimentali come quelli indicati!
Il giorno della foratura culminava con una grande festa con la
quale si premiavano tutti coloro che avevano contribuito al raggiungimento
dell'importante risultato tra i quali, ovviamente, l'esecutore
materiale del lavoro topografico che tanta parte aveva avuto in
esso. E' opportuno rilevare come, vista l'importanza del lavoro
topografico relativo alla costruzione delle gallerie, si usava
eseguire un ulteriore importante controllo riguardante la loro
direzione planimetrica. Esso aveva luogo mediante il così
detto poligono esterno che consisteva nella esecuzione di una
poligonale di collegamento di tutti gli imbocchi di una stessa
galleria. Si trattava di una poligonale a lati molto lunghi dei
quali venivano misurati solo gli angoli e pertanto, come già
detto, era possibile controllare soltanto la direzione angolare
del primo tronco di galleria. Si trattava, comunque, di un elemento
importante che era veniva controllato con una procedura a se stante
e quindi valida.
9) LA LIVELLAZIONE TRIGONOMETRICA
Nella esecuzione della triangolazione di cui al precedente cap. 8) venivano letti, con la cura descritta, anche gli angoli del cerchio verticale il che consentiva, tramite l'applicazione di apposite formule e coefficienti che tenevano conto sia pure in maniera approssimativa della rifrazione e della sfericità terreste, di determinare le quote altimetriche dei punti trigonometrici. Quest'ultime, essendo basate su battute molto lunghe e per di più soggette alle citate approssimazioni, non erano esatte ma servivano quale importantissima verifica dell'assenza di errori grossolani nella livellazione geometrica di precisione già descritta al cap. 3).
10) IL TRACCIATO DELLE DIGHE AD ARCO CUPOLA
Assieme a quello delle gallerie era quello
in oggetto il tracciato più spettacolare per il topografo.
Anche in questo frangente la carenza più sentita era l'impossibilità
di effettuare, con la necessaria precisione, la misura delle distanze,
elemento essenziale per materializzare ogni mattina i molti punti
che occorreva fornire ai carpentieri perché potessero predisporre
le casserature del getto.
Il problema venne risolto usando, anche in questo caso, le sole
misure angolari e cioé tracciando ciascun punto per intersezione
diretta delle visuali di due teodoliti in stazione contemporanea
su due pilastrini anticipatamente predisposti al di fuori della
zona di lavoro vera e propria.
Oltre ai pilastrini, scelti in modo che tutta l'opera fosse visibile
da almeno due di essi, e definiti nello spazio tramite triangolazione,
occorreva predisporre le coordinate di tutti gli elementi da tracciare
e calcolati analiticamente sviluppando le equazioni matematiche
fornite dai progettisti e che davano, in funzione della quota,
gli angoli al centro, i raggi di curvatura e le coordinate dei
centri relativi alla diga stessa e riferiti alla prefissata rete
trigonometrica. In pratica il contorno dell'opera veniva definito
nello spazio dalle coordinate di una serie di punti scelti per
strati orizzontali ad equidistanza di 2 m corrispondenti all'altezza
di ogni getto di calcestruzzo, nel mentre, per poterli materializzare,
i punti stessi venivano riferiti ai pilastrini esistenti e di
coordinate note tramite le sole direzioni azimutali.
Si intuisce chiaramente come si trattasse
di una enorme quantità di elementi analitici da calcolare
utilizzando le modeste attrezzature allora disponibili, praticamente
i soli logaritmi e i logaritmi delle funzioni trigonometriche
e, più tardi, i valori naturali delle funzioni trigonometriche
e la calcolatrice meccanica a mano. Nonostante tutte le difficoltà
chi visitava il cantiere poteva vedere che di primo mattino, come
si aprivano i lavori, in pochi minuti il canneggiatore osservando
alternativamente lo strumento di destra e quello di sinistra piazzava
sul calcestruzzo precedentemente gettato la serie di chiodini
che definivano la posizione del bordo superiore della nuova casseratura.
Anche questo capitolo non può concludersi senza far rilevare
l'enorme facilitazione resa possibile, riguardo le operazioni
topografiche che ne formano oggetto, dalla moderna tecnologia.
Da citare, oltre ai moderni distanziometri, l'uso del CAD che
permetterebbe di saltare a pie pari tutti i calcoli analitici.
In pratica i profili e le piante alle diverse quote della diga
potrebbero essere tracciate direttamente sul display del computer
e, partendo direttamente dalle equazioni fornite dei progettisti,
si potrebbero disegnare, sempre a video, i punti di dettaglio
e quindi leggere direttamente i riferimenti ai pilastrini, cioé
le aperture da strumento a punto per angolo e distanza atti al
tracciamento di cantiere con operatore unico.
11) I CALCOLI TOPOGRAFICI
I mezzi a disposizione nei primi tempi,
come già detto, erano esclusivamente i logaritmi dei numeri
e delle funzioni trigonometriche che, non esistendo calcolatrici
di sorta, facilitavano l'esecuzione delle operazioni di calcolo
necessariamente fatte a mano. E' ben noto come, tramite i logaritmi,
vengano operate delle importanti semplificazioni delle procedure:
le moltiplicazioni sono trasformate in somme, le divisioni in
sottrazioni, le elevazioni a potenza in moltiplicazioni e così
via.
Anche la determinazione delle funzioni trigonometriche non era
tanto agevole dovendo essere fatta utilizzando le tavole e calcolando,
angolo per angolo e per interpolazione tra due dati successivi,
il valore del seno, coseno e delle altre funzioni relative all'angolo
reale definito con più decimali dopo la virgola di quelli
riportati nelle tavole.
Tale determinazione era facilitata dalle
apposite tabelline di interpolazione riportate in calce di ogni
pagina, l'operazione era comunque macchinosa e fonte di possibili
di errori. Ad un certo punto apparvero le prime calcolatrici meccaniche
che permisero di abbandonare i logaritmi ed usare direttamente
i valori naturali delle funzioni trigonometriche anch'esse calcolate
tramite le apposite tabelle e con interpolazione effettuata come
già spiegato.
Una delle calcolatrici più diffuse era la Brunsviga con
la quale era possibile eseguire, sia pure con una certa manualità,
le quattro operazioni fondamentali e perfino, con una procedura
più complicata, la radice quadrata. Il balzo in avanti
era già notevole ma lo é stato ancora di più
quando é arrivata una macchina tanto straordinaria da meritare
qui una menzione particolare: la Brunsviga doppia. Era composta
da due calcolatrici manuali del tutto analoghe a quella prima
descritta abbinate tra di loro e che potevano funzionare sia girando
ambedue nello spesso senso o nel senso contrario l'una rispetto
all'altra a seconda della impostazione data dall'operatore nel
mentre il contatore meccanico o numeratore che dir si voglia,
era unico.
In pratica la calcolatrice doppia era in
grado di effettuare contemporaneamente due operazioni di somma,
sottrazione, moltiplicazione o divisione, in funzione di un unico
numeratore. Ad esempio si poteva moltiplicare, con una unica operazione,
per 43 sia il numero 520 che il numero 88 ottenendo nei due registri
(quadri dei prodotti) i due risultati rispettivamente 22360 e
3784. Ma la cosa straordinaria era rappresentata dal fatto che
una volta opportunamente impostate le due calcolatrici abbinate,
era possibile, agendo sul carrello e sulla manovella di rotazione
che ne costituivano i principali strumenti di utilizzazione, ricercare
quella soluzione che dava, per ambedue le formule impostate, un
unico risultato consentendo così di risolvere, in maniera
semplice, problemi matematici che avrebbero, con le normali calcolatrici
allora in uso, richiesto complicatissime procedure. Ciò
poteva aver luogo ogni qualvolta esistevano, come in matematica
o in geometria accade assai frequentemente, due diverse formule
che, partendo da dati diversi, portavano al medesimo risultato.
Si trattava in qualche modo di precorrere i tempi e cioè
di una rudimentale applicazione del calcolo iterativo, comunemente
usato nei moderni computer.
Come noto, ai nostri giorni, quando siamo in presenza di problemi
particolarmente difficili da risolvere, si ricorre alla iterazione
che consiste nell'iniziare il calcolo con una procedura approssimata
e quindi affinare via via il risultato, sempre con procedure approssimate
ma semplici. Ad ogni iterazione il computer confronta automaticamente
il nuovo risultato con quello precedente sospendendo le iterazioni
non appena la differenza riscontrata rientra entro le tolleranze
ammesse. Allo stesso modo con la calcolatrice doppia il risultato
veniva via via affinato fino ad ottenere, con la equiparazione
di quello dell'una a quello dell'altra macchina che funzionava
in parallelo o in senso contrario, la risoluzione definitiva di
problemi matematici complessi. Non si ritiene opportuno in questa
sede descriverne in dettaglio le procedure, data la difficoltà
che vi si incontrerebbe. Ci si limita ad indicare come, nella
realtà, fossero in grado di dare, tenuto conto dei tempi
di cui si discorre ed una volta imparate, velocità nei
calcoli prima giudicate impensabili. In ognuna delle due calcolatrici
abbinate bisognava impostare i dati di una formula atta a dare
il medesimo risultato fatta salva la necessità di tener
conto dei segni matematici di ogni elemento mediante la regolazione
del senso di rotazione dell'una macchina rispetto all'altra e
del senso di rotazione assoluto della manovella. Il tutto era
codificato dalle regole precise del libretto di istruzioni che
veniva fornito, in copia eliografica di un lucido redatto a mano
libera, assieme alla macchina e di cui si riporta, per darne un'idea
di massima, un breve estratto nella figura 23 relativa alla esecuzione
di calcoli topografici. Quanto sopra può dare un'idea delle
reali difficoltà che si incontravano allora nella esecuzione
di calcoli oggi resi estremamente facili dai mezzi di calcolo
di cui si può facilmente disporre.
12) CONCLUSIONI
Sono state descritte alcune delle procedure che un tempo venivano comunemente utilizzate nelle operazioni topografiche per poter ottenere gli stessi risultati che oggi si hanno in maniera notevolmente più semplice grazie alle attrezzature disponibili sia come strumentazione di campagna e sia in quelle di restituzione a tavolino. Viene posta in risalto la grande partecipazione che allora era richiesta nell'esecuzione di operazioni che, con la moderna attrezzatura, sono superate e sostituite dagli automatismi rendendo il compito estremamente semplice e, in definitiva, meno interessante.
aggiornamento: agosto 2006