*LA LOTTA PAGA. *
*DOPO LA VITTORIA DEI LAVORATORI INNSE, ALCUNE RIFLESSIONI.*
La lotta dell’INNSE ha dimostrato che la resistenza, attuata da 15 mesi con forme di lotta dura, in questo caso ha pagato. La parola d’ordine “*facciamo come l’INNSE*”, già raccolta da altri lavoratori nelle stesse condizioni, diventa un’ esempio da imitare, agitando i sonni della Confindustria in previsione di un’ autunno caldo.
Alla INNSE gli operai e i lavoratori specializzati hanno trovato un nuovo padrone che ha comprato la fabbrica, ritenendola in grado di fare profitti. Impegnandosi a riassumere tutti i 49 lavoratori, il capitalismo “buono”, quello industriale del padrone proprietario del Gruppo Camozzi, ex operaio e ex-sindacalista Fiom che “organizza con gli operai delle sue aziende tornei di calcio” (dubitiamo che lo faccia anche con i 1600 lavoratori della sua fabbrica in Cina) consigliato e rappresentato dal “consulente”, tal Maurizio Zipponi ex dirigente Fiom, ex membro della segreteria di Rifondazione Comunista, ex membro dell’area che ha a capo Vendola e oggi, dopo essere stato trombato alle elezioni europee passato, con Di Pietro), ha sconfitto quello “speculativo” del vecchio padrone Genta (che comunque si porta a casa 4 milioni di eurper un’azienda che ha pagato 700 mila euro), confermando la tesi tanto cara a Confindustria (e non solo) sul ruolo progressista del capitale industriale.
Alla INNSE la FIOM-CGIL,e il gruppo di Operai Contro che ha diretto la lotta, hanno evidenziato, soprattutto, che la chiusura della fabbrica non dipendeva dalla crisi, ma dalla bassezza di padron Genta “*rottamaio e speculatore*” che, per realizzare il massimo profitto, chiudeva uno stabilimento che aveva commesse di lavoro e un mercato, quindi in grado di continuare a produrre occupazione e profitti.
Che il signor Genta, come tutti i padroni, sia uno sfruttatore e uno speculatore che fa soldi sulla pelle dei lavoratori è fuori discussione. Tuttavia aver impostato la lotta con queste premesse ha evidenziato una situazione particolare (che pure c’era, quella di una azienda che aveva mercato e che l’avidità speculativa di padron Genta voleva liquidare mettendo in strada 49 operai e le loro famiglie) isolando oggettivamente la lotta dell’INNSE da quelle di altre fabbriche, non nelle stesse condizioni, facendo passare il messaggio che, in alcuni casi (nelle fabbriche produttive con un mercato), è possibile reggere lo scontro, mentre in altre non si può far altro che accettare gli ammortizzatori sociali, se non i licenziamenti.
Non è un caso che gli operai INNSE non abbiano mai partecipato a coordinamenti, fuori dalle iniziative targate Fiom, con altri operai e lavoratori di fabbriche e aziende in crisi o no, come l’Alfa, le cooperative di Origgio, di Turate, della DHL di Corteolona,, ecc. e che i vari Rinaldini, Cremaschi e soci politici siano accorsi in pompa magna al servizio della loro causa.
Nella crisi, l’attacco generalizzato alla classe operaia si moltiplica e quasi un milione di lavoratori si trovano in mezzo ad una strada o a presidiare i cancelli di fabbriche e aziende chiuse dai loro padroni perché “fuori mercato”, mentre altri vedono costantemente attaccato il salario e le loro condizioni di lavoro e di vita.
Senza una strategia che unifichi le lotte per la difesa del posto di lavoro e del salario contro i singoli padroni - in una lotta unitaria contro il capitale - i lavoratori non hanno prospettiva dii vittoria
La lotta va fatta comunque e in tutte le circostanze, anche nelle fabbriche in crisi dove i padroni - pur realizzando profitti - delocalizzano la produzione per ottenere il massimo profitto, con o senza mercato. Non possiamo accettare il ricatto di chi sostiene che nelle fabbriche in crisi non rimane altro che contrattare, azienda per azienda, ammortizzatori sociali per rendere meno doloroso il licenziamento.
Il parlamentarismo borghese basato sulla democrazia rappresentativa serve a inculcare nel proletariato e nelle classi sottomesse e sfruttate il principio della delega. Dividendo, distinguendo e separando la lotta di classe fra politica e sindacale, divide gli interessi del proletariato che lotta per eliminare il sistema di sfruttamento capitalista dell’uomo sull’uomo.
In tal modo, mentre l’attacco del capitale è generalizzato, la lotta economica diretta da sindacati e partiti che riconoscono - come fa del resto la stessa CGIL - legittimo il profitto e il sistema capitalista (a tal proposito Epifani, in una intervista a “La Repubblica” del 13 agosto, ha rivendicato che la lotta all’INSSE sta all’interno del modello di relazioni sindacali che vede uniti per gli stessi interessi padroni ed operai), viene dispersa, frammentata in molte lotte parziali, divise le une dalle altre per aziende e settori produttivi, come se l’obiettivo dell’abolizione dello sfruttamento e la difesa dell’occupazione e di un salario decente non fosse un obiettivo comune e unificante della classe.
Alla INNSE gli operai con la loro determinazione hanno lottato direttamente per difendere la fabbrica che aveva un mercato e hanno vinto; ma sono stati i sindacati (in questo caso la FIOM con i suoi dirigenti nazionali sul posto) e i partiti che dicono di rappresentarli (PRC; PD) che hanno contrattato ed esercitato pressioni sugli organismi rappresentativi e sul governo, a cominciare dal prefetto, facendosi difensori dei loro interessi.
Ora la FIOM e la CGIL, muniti di questo patentino benemerito di “lottatori”, potranno fare i pompieri nelle lotte operaie, accreditatisi come difensori dei lavoratori e usando il fatto della mancanza del mercato nelle aziende in crisi sosterranno che i lavoratori devono, “purtroppo” (il mercato è sovrano…) , semplicemente lottare per ottenere gli armonizzatori sociali.
L’esperienza di anni di lotte operaie, dovrebbe ormai aver dimostrato al movimento operaio che le divisioni artificiali, prodotte da anni di parlamentarismo borghese, sono funzionali agli interessi padronali e che esiste un’unica lotta di classe, che tende contemporaneamente a limitare lo sfruttamento capitalistico della società borghese e nello stesso tempo a battersi per sopprimerlo, e questo si fa senza deleghe.
*Le guerriglie quotidiane per difendere le condizioni di vita e di lavoro, o per conquistarne di nuove, ancor più se vittoriose, per quanto limitate vanno valorizzate essendo di esempio per altri operai e lavoratori, ma hanno maggior valenza se si sbarazzano dal ruolo nefasto che hanno i servitori sindacali e politici al servizio del sistema capitalistico*. *Ancor più se queste lotte avvengono in un quadro di peggioramento generale della condizione proletaria provocato dalla perdita del potere d’acquisto dei salari e delle pensioni, dal rialzo dei prezzi, dalla speculazione finanziaria e fondiaria che sempre più pesantemente annullano le “conquiste sindacali” *
Nelle crisi viene regolarmente distrutta una parte dei prodotti e delle forze produttive. La crisi provoca un’epidemia che si chiama “sovrapproduzione di capitali e di merci” e nel sistema capitalista gli operai - per aver prodotto troppo - sono costretti alla fame.
Il proletariato moderno è composto da operai che vivono solo se trovano lavoro e, nella misura in cui il loro lavoro aumenta il capitale, diventano sempre più accessori delle macchine.
Mentre lottiamo contro i licenziamenti, per un salario medio garantito ai disoccupati e per la difesa delle condizioni di vita e di lavoro, lottiamo per abolire la società in cui l’operaio esiste solo in funzione della valorizzazione del capitale e nell’interesse della classe dominante.
Senza nulla togliere alla *esemplare lunga lotta condotta dagli operai dell’INNSE*, Il ruolo esercitato dalla FIOM e dai partiti (PRC in testa), sostenitori del sistema del lavoro salariato e della schiavitù operaia, in questa vicenda servirà ad essi per aumentare il controllo sul movimento operaio, cercando di riportare nella soglia delle “compatibilità” le lotte e spezzando l’unità che si crea fra appartenenti alla stessa classe, dividendo gli interessi generali da quelli particolari fra fabbriche in crisi e no. A poco valgono le dichiarazioni dei militanti di “Operai Contro” che denunciano e rifiutano di farsi strumentalizzare dai sindacati e politici di turno: essi sanno che la conquista di un livello più alto di coscienza e di organizzazione dei lavoratori è data su un piano più esteso della loro fabbrica e questo può avvenire non solo attraverso la denuncia ideologica del sistema di sfruttamento, ma contemporaneamente sgombrando il campo dall’opera dell’opportunismo sindacale e politico (cosa che nella lotta all’INSSE non è avvenuto, perché essi gestivano le cose in tandem con la segreteria della Fiom).
Solo dotandosi di un’organizzazione indipendente e anticapitalista gli operai e i lavoratori possono liberarsi da queste pastoie: in questa prospettiva alcuni di noi hanno partecipato al presidio fuori dall’INSSE sostenendo la lotta e la resistenza dei 49 operai .
*Work, notiziario per il coordinamento dei proletari e dei lavoratori comunisti*