"America, stai pagando la tua guerra perpetua"
Intervista allo scrittore americano Gore Vidal


Articolo inviato da Mario (Bmarius73@yahoo.it)


Lo scrittore Gore Vidal dice agli americani che l'Empire predestinato alla rovina non è una legge di gravità, volendo si può rinunciare all'Empire a favore della libertà e del benessere.

"Non siamo andati in Afghanistan per acciuffare Osama ma perché i talebani rinviavano all'infinito la costruzione di un oleodotto che avrebbe trasportato il petrolio del Caspio. E' il momento di ritirare il nostro Empire: ci è costato miliardi di dollari e non serve a nessuno".

Gore Vidal, 76 anni, ha passato la vita a criticare gli impulsi imperiali americani, e attraverso una ventina di romanzi e centinaia di saggi ha sostenuto con forza la necessità che gli Stati Uniti tornino alle loro radici jeffersoniane, la smettano di immischiarsi nelle faccende di altre nazioni e in quelle private dei propri cittadini. E' questo il filo conduttore dell'ultimo best-seller di Vidal - una raccolta di saggi pubblicati sull'onda dell'11 settembre dal titolo Perpetual War for Perpetual Peace: How We Got to Be so Hated ("Guerra perpetua per la pace perpetua: come siamo arrivati a essere tanto odiati", tradotto in Italia con il titolo "La fine della libertà"). Per rispondere all'interrogativo, Vidal parte dal presupposto che non abbiamo il diritto di domandarci che cosa abbia motivato gli autori dei due più grandi attacchi terroristici della nostra storia, la bomba di Oklahoma City nel 1995 e la distruzione delle Torri Gemelle nel settembre scorso. "E' una legge della fisica - dice Vidal -: non esiste in natura azione senza reazione. La stessa cosa sembra valere per la natura umana, cioè la storia". L'"azione" cui Vidal si riferisce è la prepotenza dell'Empire americano all'estero (illustrato da venti pagine di grafici sulle avventure militari statunitensi oltreoceano dalla fine della seconda guerra mondiale) e l'innesto di uno stato di polizia in patria. L'inevitabile "reazione" non è altro che l'opera sanguinaria frutto delle mani di Osama bin Laden e di Timothy McVeigh. "Ciascuno - scrive - arrabbiato per le avventate aggressioni del nostro governo ad altre società", e quindi "provocato" a rispondere con orrenda violenza.

Lei sta sostenendo che i tremila civili americani uccisi l'11 settembre si meritavano in qualche modo il loro destino?

"Non credo che noi, popolo americano, ci meritassimo ciò che è accaduto. Né ci meritiamo i governi che abbiamo avuto negli ultimi quarant'anni. Sono i nostri governi ad averci procurato tutto questo con le loro azioni in giro per il mondo. Nel mio nuovo libro c'è un elenco che dà al lettore un'idea di quanto siamo stati impegnati in interventi militari. Purtroppo riceviamo soltanto la disinformazione dei canali ufficiali. Gli americani non immaginano l'entità delle malefatte del loro governo. Il numero di interventi militari messi a segno contro altri Paesi senza essere stati provocati ammonta a oltre 250 dal 1947-48. Sono interventi di rilievo, da Panama all'Iran. E l'elenco non è neppure completo. Non comprende paesi come il Cile, perché è stata un'operazione della Cia. Mi sono limitato a elencare gli attacchi militari. Il governo gioca con la relativa innocenza degli americani, o per essere più precisi con la loro ignoranza. Ecco probabilmente il motivo per cui dalla seconda guerra mondiale la geografia non viene praticamente più insegnata: per mantenere la gente all'oscuro su dove stiamo bombardando. Perché la Enron lo vuole. O perché la Unocal, la grande compagnia petrolifera, vuole una guerra da qualche parte. E la gente dei Paesi che ricevono le nostre bombe si arrabbia. Gli afgani non avevano niente a che fare con quanto è successo al nostro Paese l'11 settembre. L'Arabia Saudita invece sì. Quando siamo andati in Afghanistan, al nostro capo delle operazioni militari è stato chiesto quanto tempo ci sarebbe voluto per trovare Osama bin Laden. E il generale, piuttosto sorpreso, ha risposto che non era quello il motivo per cui eravamo lì". "Ah no? E qual è la storia allora? Ci hanno così spiegato che i talebani sono gente molto molto cattiva, che tratta molto male le donne. A loro non interessano sicuramente i diritti delle donne, mentre noi in fatto di diritti delle donne siamo molto forti; e dobbiamo essere con Bush su questa cosa perché sta togliendo quei sacchi di patate dalla testa delle donne". "Beh, no, la storia non è proprio così. La storia vera è che questa è una stretta imperiale sulle risorse energetiche. Fino a oggi la nostra principale fonte di petrolio importato è stato il Golfo Persico. Siamo andati là, in Afghanistan, non per prendere Osama e infliggergli la nostra vendetta. Ci siamo andati in parte perché i talebani stavano diventando troppo inaffidabili. E poi perché la Unocal, la compagnia californiana, aveva stipulato un accordo con loro per un oleodotto che trasportasse il petrolio del Caspio, la riserva petrolifera più ricca al mondo. Con l'oleodotto volevano fare arrivare il petrolio in Pakistan, a Karachi, passando dall'Afghanistan, e da lì mandarlo via mare in Cina".

Eppure al di là dell'elenco degli interventi militari americani riportati nel suo libro, non crede che esistano altre forze del male?

"Oh sì. Ma qui viene scelto il gruppo sbagliato, una delle famiglie più ricche al mondo - i bin Laden. Sono estremamente vicini alla famiglia reale dell'Arabia Saudita, che ha portato noi americani a farle da guardia del corpo contro possibili rivolte da parte del suo stesso popolo. Un popolo ancora più fondamentalista di quanto non lo siano i suoi sovrani. Abbiamo quindi a che fare con un'entità potente. Quello che non è vero però è il mito che gente come lui sbuchi dal nulla".

Eppure gli americani sembrano abbastanza sensibili a quella sorta di sciovinistico "club del nemico del mese" che viene fuori da Washington. Tuttora la maggioranza dichiara di appoggiare George W. Bush, soprattutto sulla questione della guerra.

"Spero che lei non creda alle cifre. Non sa come vengono manipolati i sondaggi? E' semplice. Dopo l'11 settembre il paese era veramente scioccato e terrorizzato. Bush fa una misera danza di guerra e parla dell'"asse del male" e di tutti i paesi che ha intenzione di braccare. E lo vediamo lì che reagisce, che bombarda l'Afghanistan. Be', potrebbe anche bombardare la Danimarca. La Danimarca non ha avuto a che fare con l'11 settembre? Nemmeno l'Afghanistan. Non gli afghani, almeno. Quindi ci domandano sempre la stessa cosa: sei orgoglioso del tuo presidente? Sei con lui mentre ci difende? Ma finiranno per capirlo".

Finiranno chi? Gli americani?

"Sì, gli americani. Ai quali fanno queste domande veloci. "Lei approva l'operato del presidente"? "Oh, sì, sì. O sì, ha fatto saltare in aria tutte quelle città con i nomi strani...". Ma ciò non significa che amino Bush. Quando lascerà l'incarico sarà il presidente più impopolare di tutta la storia. Le istituzioni erano troppo pronte con il Patriot Act (la legislazione di emergenza anti-terrorismo approvata a fine ottobre 2001 tra le accuse di molti democratici, giuristi e delle associazioni per i diritti civili, ndr) appena siamo stati colpiti. Bush e i suoi uomini erano pronti a togliere l' habeas corpus, il legittimo processo, l'inviolabilità delle comunicazioni tra avvocato difensore e assistito. E questo significa che sono già al loro stato di polizia".

Secondo lei gli Stati Uniti dovrebbero prendere armi e bagagli e tornarsene a casa da tutto il pianeta?

"Sì, senza eccezione alcuna. Noi non siamo i poliziotti del mondo.Non riusciamo nemmeno a mantenere il controllo negli Stati Uniti,salvo per rubare denaro alla gente e in generale provocare distruzione. Nella maggior parte del Paese la polizia è vista abbastanza spesso, e giustamente, come il nemico. Credo che sia il momento di mandare in pensione l'Empire - non sta facendo del bene a nessuno. Ci è costato cifre incalcolabili, e questo mi fa pensare che sia destinato a crollare da solo perché alla fine non saranno rimasti abbastanza soldi per farlo funzionare".


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