ALTRI SEGNI DISTINTIVI DELLO SPAZIO ARISTOCRATICO: LA BIBLIOTECA,

LA GALLERIA, LA QUADRERIA E IL "CASINO DI VILLEGGIATURA

Il possesso di una biblioteca può essere sicuramente o può funzionare come indice dell’antichità, dunque del maggior prestigio  del titolo patrizio; qualcosa che non può essere immediatamente dimostrato ma che, perciò, è tanto più profondo e attiene all’essenza stessa di una supremazia che prima di essere cetuale e di censo è culturale. I ceti inferiori non sanno leggere e ai commercianti basta saper far di conto.

Il possesso del libro nobilitava e per quanto è difficile individuare in queste residenze uno spazio autonomo destinato ai libri, è pur vero che nessuna di queste poteva esimersi, al pari dell’albero genealogico, dall’esibizione del possesso di questo ulteriore fattore di distinzione nel quale si depositavano non solo le memorie famigliari ma anche quelle della città: Michele Tafuri nel 1793 scrive che la cinquecentesca manoscritta  De Origine Callipolis di Stefano Catalano era custodita “authographa in bibliotheca Micettae gentis”, ossia nella raccolta della famiglia Micetti(30).

Infatti nell’inventarium bonorum del quondam Sebastiano Micetti, sono annotati moltissimi “libri vecchi” collocati in diversi luoghi del palazzo di famiglia che confinava con quello dei Doxi-Stracca (nell’attuale Via Micetti, detta “via reale”, angolo Via de Tomasi) che conserva ancora la sua fisionomia cinquecentesca nel portale e nell’androne e nella “larga gradinata”; ma quel 1780, epoca dell’inventario, il palazzo doveva essere abbandonato perchè “vecchi” non erano soltanto i numerosi libri ma anche i quadri ( i “ritratti de’ maggiori della famiglia Micetti tutti anneriti per la vecchiaia”) le armi (“schioppi... e spade antiche”) e finanche i reliquiari dell’oratorio domestico(31).

La biblioteca dei Micetti  come quella di Giovanni Presta non erano certo un’eccezione perchè altrettanto interessante è quella, come vedremo, che il 1747 fu annotata co-me appartenente al vescovo A. M. Pisc-atori.

I Rocci, che abitavano di fronte alla Cattedrale (attuale palazzo del Municipio), avevano una intera stanza occupata dalla “libreria” ricca di oltre 200 opere tra cui quelle del Parrino, del Sarnelli, del Giannone, del Muratori e i “due tomi in ottavo grande delle vite di letterati salentini” del De Angelis, del 1710-13(32).

Più antica era la biblioteca del “fisico” Gaspare Tommaso Rizzo che all’inizio del 1700 abitava nella strada “vulgo dicta Donna Spina”,  e nella cui casa erano conservate  molte delle opere classiche di carattere medico tra cui  la Praxis Medica del Baglivi, ma anche il secentesco Plettro Armonico del concittadino Giacinto Coppola.

Nè si dimentichi il generoso lascito di uno dei più significativi “elemo-sinieri” dei domenicani locali, Maurizio Stradiotti, ai quali il 4 giugno del 1703 affidò “la sua libreria seu studio(33).

Più celebre di tutte è poi la biblioteca dei Briganti la cui preziosa consistenza conosciamo da un elenco compilato a metà ottocento, che come ha scritto A.Vallone, “costituisce non solo la realtà culturale e civile di una eccezionale famiglia, ma anche il fondo singolare ed irripetibile di una città viva e operosa in tutta Terra d’Otranto(34).

Prima della ripresa ottocentesca, il XVIII secolo registra un calo di interesse dell’aristocrazia nell’elaborazione delle memorie patrie, fenomeno che sembra appartenere ai secoli precedenti.

Alla storia patria si erano applicati nel XVII secolo  G. Quintiliano Cuti e Antonello Roccio e sopra tutti Leonardo Antonio Micetti che il 1697 scrisse “un’istoria quasi completa di Gallipoli”. Quasi contemporaneamente Bartolomeo Nicola Patitari scriveva una  Gallipoli sacra(35) creduta dispersa.

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La “galleria” come ambiente di rappresentanza delle residenze aristocratiche, compare alla fine del XVIII secolo ed esplode come una vera e propria moda verso la metà del secolo successivo, data a partire dalla quale l’edilizia civile conosce un’accellerazione costruttiva-decorativa senza precedenti.

Infatti, come a Lecce, il XVII secolo ha prodotto in campo civile modelli archi-tettonici di gran lunga inferiori a quelli religiosi.

Dall’inventarium bo-norum del quondam Angelo Patitari, la sua abitazione sita nel “vicinio dicto di  S. Nicolao diruto de Sansonetti iuxta domus Ioseph Monit-tola...” risultava di modeste dimensioni anche se a quella data - il 1665 - il possesso di una notevole quantità di “quadri” era già un simbolo distintivo.

Ottantenne, il Patitari era stato due volte Sindaco della città e, a corto di eredi, nominò tale il Capitolo della cattedrale al quale raccomandò la sua cappella “nuovamente eretta” che dovrà appartenere in perpetuo, insieme alla sepoltura ancora da realizzare, alla sua famiglia: è l’altaredi S.Oronzo e S.Nicola coll’omonima tela del Coppola(36); quest’ultimo, il celebre pittore, qualche decennio avanti aveva ristrutturato, in forme modeste, la sua residenza accanto alla chiesa della Misericordia, nell’attuale Via Fontò(37), probabilmente quella appartenuta nel XIX secolo a Vincenzo Starace.

Ecco l’elenco dei quadri ritrovati nell’abitazione del Patitari: “un quadretto con un fiore dipinto; un altro quadro con l’immagine di S.Francesco di Paola; due quadri con l’immagine di S.Antonio; due altri con S.Carlo e l’Angelo Custode... uno con la Maddalena, l’altro con S.Geronimo...un altro quadro senza discernesi l’immagine... dodici quadri di Sibille, un quadro con pitture d’uccelli(38)

La “galleria” compare nella residenza del magnifico Marcello Antonio de Leo, situata “in vicinio dicto l’incrocata”, con un lato con-finantecon una “curte comune” forse quella attualmente denominata Talamo(39).

Non doveva essere vasta, ma si sviluppava su due livelli; quello superiore era decorato con “un quadro di S.Oronzo, 16 quadretti di paesi pittati con cornice negra; due altri con S.Vincenzo e S.Anna”, c’erano poi “10 quadretti con le figure in stampa di rame... e più 7 altri usati con cornice negra”; accanto al quadro di S.Maria di Daliano, anche questo indice di una devozionalità tutta locale, c’erano “16 quadretti “d’imprecisato soggetto; frutti e pesci” raffiguravano invece 13 altri quadri grandi, mentre altri 20 erano di carta stampata.

Quest’abitazione fu acquistata nel 1681 e due anni dopo il de Leo aveva comprato un “giardino di alberi comuni con vigne, pergolito, colonne di fabrico et case sito nel feudo di detta città di Gallipoli in loco detto Prandico...” dal quondam Tommaso Cuti(40).

Nella galleria, “sala non finita”, c’erano “diversi libri stampati parte vecchi e parte usati di diversi trattati”.

Qualche anno dopo, esattamente nel 1701(41), i beni di Giuseppe d’Ospina passarono a Leonardo Raymondo; tra questi “un paro di case dentro Gallipoli all’incontro della venerabile chiesa delle monache di S.Chiara, consistente in supportico e cortile, con tre camere a mano sinistra e due a man destra, stalla e cantina; una sala di sopra, ballaturo e cinque camere et una cucina superiore, sei solari et torre di sopra”; tra i mobili elencati: “11 sedie d’appoggio usate; 12 di paglia napolitane tornite; 8 boffette di noce; 7 quadri de’ mesi pittati in tela; 9 quadri di paesaggi finti in tela;7 quadri di diverse figure di santi; 2 altri di favole pinti in tela; un quadro della Vergine del Rosario, lo stesso che stava nella cappella di detto quondam Giuseppe d’Ospina dentro la Chiesa del Monastero dei padri domenicani di Gallipoli; 6 altri quadri d’istorie e santi... 6 quadretti piccoli... 3 scrittori cioè due con le cornici di gigiola et uno di noce; due candelieri d’argento”; moltissimi i libri, in gran parte di diritto.

Il palazzo in questione è quello che attualmente fa angolo con la piazza De Amicis, di proprietà della famiglia Zacà.

Verso il 1719, millesimo che si legge sul cartiglio che regge un putto fissato alla chiave di un coevo e superstite arcone in via Monzilla, i Margiotta ristrutturarono il proprio palazzo, il cui portone era di fronte alla cappella di S.Domenica, edificio religioso ora distrutto, su via d’Ospina.

In  un documento del 1776, che è l’inventario dei beni del quondam Felice Margiotta, che oltre ad essere un ricco mercante “aveva l’ufficio di Fante della Regia Dogana”, così il palazzo viene descritto: “nella sala del succennato palazzo... vi sono sette quadri con fiorami, sette altri piccoli tra paesaggi e fiorami con cornice torchine. Due quadri grandi rappresentanti l’istoria sacra... un altro lungo di carta con cornice rappresentante l’isola di Malta. Un altro grande con la Vergine di Leuca; un altro di S.Rocco mezzano; un altro che è il ritratto del quondam D.Pietro Margiotta. Un altro più piccolo novo, con cornice indorata, che è D.Gaetano Margiotta; un altro simile che è Pascalina Margiotta, morta impubere. Un altro con ritratto di un Principe. Dodici sedie grandi d’appoggio... due banche grandi di noce vecchie, Una sedia poltrona e tre sedie di paglia. Un cantara-no all’antica foderato d’oliva[...]. Nella camera ove morì il quondam D.Diego: sette quadri rappresentanti uno l’Immacolata, un altro S. Pascale, un altro S. Giovanni, un altro S.Oronzo, un altro S.Pietro d’Alcantara, un altro S. Giacinto e l’altro S.Rocco; ed altri diece piccoli con cornici indorate vec-chii. Una nicchia... con una statua indorata di S.Giuseppe. Due stipi grandi con vetri avanti, con libri e carte che si descriveranno dopo”.

In  uno stipo c’era parte della numerosissima argenteria. Nella galleria c’erano 19 quadri tutti di soggetto religioso, “due specchi grandi con cornici indorate di oro fino... con due cornucopie di ottone a due lumi;quattro specchi più piccoli indorati con cornici all’antica”; accanto a “dodici sedie di appoggio... malconce” c’era una grande “scrivania vecchia foderata di noce... una banca vecchia... un’orologio di camera antico... due gabbie vecchie di ferro filato vuote e senza uccelli”.

Nella camera detta dello studio: un cantarano con monete varie e oggetti preziosi (“otto campanelle d’argento per collana di cagnolino”); in un cassetto si conservava “il privilegio di dottore del sig. Felice Margiotta”; varie erano pure le armi conservate nella stessa camera. In quella contigua si annotarono dieci quadri grandi - tra cui uno raffigurante la Vergine della Purità - “quattro tondini con cornici indorate ovali; uno specchio piccolo e tre altri quadri rappresentanti uno S.Gaetano con la Vergine, un Gesù Cristo colla Croce in spalla e l’altro con la Vergine col Bambino”; sulla stessa parete c’erano 6 altre tele; in uno scatolino si conservava altra argenteria minuta.

La “stanza ove dorme la sig. Veneranda” risultava arredata con 22 tele, tre specchi, due sedie, un inginocchiatoio e uno “stipo... con due candelieri di ottone, bassi all’antica; un fornicello di rame per uso di caffè e pignate di cose commestibili”; l’argenteria e le gioie proprie di donna Veneranda erano conservate in un mobile definito blò. Accanto c’era la “camera della serva” dove era depositata una grande quantità di suppellettile di porcellana, creta, vetro smaltato, cristallo e vetro, più “sei quadretti piccoli”.

I vestiti erano conservati in diversi baulli e casse vecchie.  Seguiva la cucina piccola e quella grande. Nel “solaro sopra di detto palazzo” si conservavano, tra l’altro, “24 piatti di creta della Terza; due grandi e sei mezzani simili; due zuppiere e tre boccali simili; una caffettiera, due chicchere e due zuccheriere simili”. A piano terra c’erano tre studietti con ben 15 quadri antichi.

Dal cortile si accedeva ai consueti ambienti di deposito, alla stalla e al “magazzino del vino”. La cappella di S.Domenica, propria della famiglia Margiotta, era come abbiamo visto, di fronte al palazzo.

Nel documento descritto veniva subito dopo  riportato l’inventario dei circa 500 volumi che costituivano la biblioteca privata del Margiotta, in gran parte di carattere giuridico e storico, anche se non mancavano edizioni di interesse locale. In un “baullo esistente nel monastero di S.Teresa” furono rintracciate gioie per un valore di 633 ducati.

Più recente appare l’arredamento nel “casino di campagna, nel feudo di Gallipoli, loco detto Rodogallo o sia Prandico”; così è descritta la sala: “dodici quadri piccoli di carta con figure di Germania, con cornici negre; otto quadretti nuovi e pittati alla cinese; nove sedie napolitane verdi ed indorate; una banca ovata grande.. e due stipi vuo-ti”; il casino aveva una cappella intitolata a S. Giuseppe. La famiglia aveva il patronato della cappella di S.Anna nella chiesa dei Paolotti(42).

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Lo stesso schema nella gerarchizzazione delle residenze urbane e di quelle rurali si rintraccia per i beni dei vescovi. Ecco quanto si ricava dall’inventario, compilato nel 1747, del presule Antonio Maria Piscatori che era scomparso improvvisamente ab intestato nella chiesa “della Lizza”.

Nelle cinque camere di sopra: prima camera,5 quadri rappresentanti una l’immagine di S.Agata, poi S.Girolamo, il terzo S. Maria Maddalena,S. Gennaro e il quinto l’Egiziaca. Un quadretto con cornice indorata rappresentante la Vergine. Due ginefre indorate... un panno d’altare... 14 sedie d’appoggio ... un letto di campagna...

Seconda camera: un padiglione di damasco verde... 4 portieri di panno coll’imprese di detto vescovo... un tappeto di lana con fiorami... 6 sedie di appoggio... 2 quadri ovati mezzani, uno rappresentante la Famiglia Sacra e l’altro la SS.ma Trinità, due altri quadri piccoli con figure in rame... una banca di legno sopra della quale due candelieri piccoli d’argento coll’imprese del vescovo Filomarini. Terza camera: due piatti mezzani d’argento... 12 piatti consimili, un sottocoppa d’argento, 6 potsate d’argento, una saliera d’argento indorata dal di dentro, 2 candelieri d’argento, un bacile con suo bocale d’argento... quattro candelieri d’ottone... un orologio di camera con campana... due orologi di saccoccia... una tabacchera... una croce d’ottone di pietre false... una crocetta d’oro... un anello d’oro... un calice con piede d’argento con sua patena... un campanello piccolo d’argento con imprese della casa di detto vescovo... un’acquasantiera di cristallo... Nella quarta sala: una boffetta di noce; quinta camera: un lampione al salire della grada sopra dette camere”.

A piano terra c’era la cucina. Accanto vi era il cosiddetto palazzo vecchio, utilizzato come deposito.

Il giorno seguente si fece l’inventario del palazzo vescovile di Gallipoli; nella cappella privata c’era un quadro “della Beata Vergine ovato con cristallo et raggi di legno”. In circa venti ambienti suddivisi su due livelli, si potevano ammirare circa 200 tele tra grandi e piccole, tutte rigorosamente munite di “cornici intagliate”; erano in gran parte di soggetto religioso tra cui le Anime del Purgatorio, copia del grande quadro della Cattedrale.

Non mancavano però i paesaggi, le nature morte, i fiori, una “veduta della città di Gallipoli” e molte carte geografiche. Ricca la biblioteca con molte edizioni in francese, con le opere del Muratori, del Sarnelli ecc.

Nei pressi di tale ambiente vi era “il quarto ove si regge la Curia” con due “casce di processi”.

L’ambiente di rappresentanza era anche qui la “galleria” di seguito così descritto: “...nella galleria situata a ponente... 4 quadri di paesaggi e fiori... 2 quadri mezzani... 8 quadri tutti continuati nella parte superiore di detta galleria... continenti istorie dell’Antico Testamento... 7 sedie nuove.. 9 sedie di paglia verdi indorate, un cembalo”.

Seguiva la cappella che custodiva “l’urna di legno ed ebano, guarnita d’argento e rame indorata col corpo di S.Fausto”. A piano terra, come qualsiasi altro palazzo aristocratico, c’erano gli ambienti si servizio, i depositi e il trappeto(43).

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avevano innalzato “il secondo appartamento del palazzo vescovile... affinchè avessero avuto un respiro più libero d’aria e d’aspetto di mare”.

Ma l’ingegnere deponendo come la città fosse “molto angusta e, pertanto, “era lecito ad ognuno edificare a suo piacere, adducendone molti esempi”, diede torto al vescovo e i Doxi-Stracca poterono completare il loro palazzo che riuscì uno dei più significativi esempi dell’architettura civile del maturo XVVIII secolo(45).

Alla fine del ‘700, e precisamente il 1795, così appariva l’interno di questa residenza arricchita dall’ormai scomparso Nicola Doxi-Stracca(46):palazzo d’abitazione con con cortile metà coverto e metà scoverto... con magazeni per riponere vino... e scala di 20 gradini. Nella sala vi erano 7 quadri e uno “colla pianta del palazzo”; ben 13 erano i quadri della cappella nei pressi della quale c’era “la camera alla turca con un lettino con suo padiglione alla turca”. Nella galleria: “6 boffettini con marmi indorati; quattro altri angolari d’un piede con marmi e 4 vasi, due grandi e due bislunghi di porcellana alla cinese”; c’erano inoltre “12 sedie di paglia e 6 foderate col sofà simile; 2 boffettini da giorno; dieci placconi; 2 altri bislunghi con finimenti dorati. Un lumiere di cristallo; un’apparato di damasco cremisi; 3 cinefre indorate; una balconata di ferro; due orologi di tavolino”.

Uno di questi è quello che Pasquale, padre di Nicola, il 1777, commissionò al “mastro orologiaio” gallipolino Andrea Guarna, attualmente conservato in una privata raccolta milanese(47).

Gli argenti lavorati furono stimati per un valore di 360 ducati.

Ma si pensi che solo di “crediti cambiari” don Nicola possedeva quasi 36.000 ducati: i debiti ammontavano a oltre 5.000 ducati, incluse le spese per specchi e placche” acquistate a Venezia. Altri 57 quadri ornavano le pareti degli altri ambienti tra cui una seconda “galleria”.

Il casino sito in località Camerelle era  una vera e propria villa sontuosamente arredata con annessa una grande cappella(48). I beni del Doxi-Stracca si estendevano per tutto l’hinterland di Gallipoli: Taviano, Racale, Melissano, Alliste, Felline, Parabita e Galatone(49).

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Una ricchezza non così sfacciata ma sicuramente più antica poteva esibire la famiglia Rocci il cui palazzo, l’attuale residenza municipale, fronteggiava un lato della Cattedrale, sul luogo e nell’arteria principale della città.

Il grande palazzo era delimitato da tre strade pubbliche, e, almeno per il XVIII secolo, era diviso in più quote tra i diversi membri della stessa famiglia.  Ed era antica, forse una delle più antiche fabbriche civili se è vera la notizia del 1790 che, sulla volta nell’androne si leggeva ancora l’arma di famiglia con un’iscrizione che ricorda Sancio Roccio del 1501: “MODESTE SUMPTA VIRESCIT LIMPHA”, forse di origine virgiliana; la stessa che campeggiava nella “lapide sepolcrale” nella chiesa dei Riformati datata 1689.

La porzione che prospettava sul “largo di S.Agata” e “girava verso la curte longa” (attuale via Garibaldi), il 1779 apparteneva a Francesca Sylos, vedova recentissima di Giuseppe Rocci Cerasoli; così è descritta la galleria coperta da una “intempiatura di tela con friso attorno”; i quadri dell’ambiente: “4 tele grandi con pitture rappresentanti le istorie del Tasso... due con pitture di battaglie e 6 con storie sacre”; diverse le nature morte. In tutto si contavano circa 100 quadri; cospicua la biblioteca.

Il casino era in contrada Migliorie, con la consueta cappella.

Più oltre verso S.Chiara, di fronte al cinquecentesco palazzo d’Acugna vi era quello, assai più modesto dei precedenti, appartenuto  alla famiglia d’Aprile e descritto nell’inventario post mortem di Salvatore d’Aprile.

Il palazzo di famiglia attaccava all’edificio dell’ospedale (oggi  biblioteca-museo comunale) ed era appartenuto a donna Anna Massa Capece baronessa di Collepasso.

Le finestre di questa residenzasi caratterizzano per una soluzione inedita: le mostre stuccate incorniciano l’apertura ma non toccano il parapioggia che rimane, pertanto, sintatticamente un elemento autonomo.

L’inventario dei beni inizia con “un trappeto in farina sito sotto la casa del sign. D.Carlo d’Acugna nella strada detta di S.Chiara”.

Prosegue con la descrizione del “palazzo sito nella detta strada di S,Chiara” che aveva l’uscita “per la parte della Purità” dove c’era la stalla, la rimessa con “una carrozza usata foderata di panno bianco”; accanto “tre abitazioni... che s’affittano”.

Superiormente esisteva un “quarto grande” e due stanze per la servitù; nella prima stanza c’erano “10 quadretti con  carte geografiche”. Seguiva la cucina, una saletta con 6 carte geografiche e un ritratto” e la stanza del riposto con quadri e ritratti numero 8”. Quattro erano i quadri dell’oratorio domestico.

Questa invece la descrizione della galleria: “quadri grandi e piccoli numero 26; tavolini di noce n.4; buffettini indorati n.2, specchi grandi n.4; placche n.8; sedie indorate n.20; un sofà piccolo vecchio”.

Accanto si apriva “ la stanza che chiamasi di Monsignore” ( destinata ad ospitare evidentemente mons. Filippo d’Aprile, fratello di Salvatore,  vescovo di Teano e poi di Melfi e Rapolla) con relativo “retro-camerino”, quindi la “stanza di D.Marianna” contigua a quella “delle figliole”.

Molto più grande e arredata era la “stanza della Signora” che conteneva una sorta di archivio privato e uno “scrigno” con gli argenti di famiglia che pesavano complessivamente 166 libre. La famiglia aveva inoltre diversi “appartamenti d’affitto” e due magazzini al “largo del Castello”. Il casino di campagna era nel luogo detto S.Venerdia.

Risulta che solo successivamente i  d’Aprile ristrutturarono i  casamenti posseduti “nel luogo detto S.Nicola” dove realizzarono un “palazzo d’abitazione con stanze d’abitazione n.9 e superiori n.8, con sedie indorate 30”.

Di questo è descritta la  galleria dove c’erano “due buffettini di noce” e altri  mobili.

Ben arredata era anche la “camera dei forestieri”. Esisteva naturalmente  una cappella e un “giardino di delizie murato”.

Nonostante l’ingente patrimonio fondiario “la  casa possedeva in affitto l’abbazia di S. Salvatore”.

L’inventario termina con l’elenco di quanto fu trovato in “tre baulli venuti da Napoli” dove fu rinvenuto, tra l’altro, un “libro di memorie della casa(50).

Sullo stesso lato, oltrepassato palazzo Raymond,o in corrispondenza del largo ove si svolgeva la fiera di  S.Chiara (ora prosaicamente piazza De Amicis), s’incontra, arretrato,  il palazzo Grumesi, del 1740, poi quello, più avanzato, forse appartenuto al notaio Liborio Crusi che nonostante il suo status di magnifico e non di patrizio, deve aver avuto pur sempre un bel palazzo con la sua galleria(51); palazzo che comunque non era meno importante di quello, confinante, del barone Francesco Frisulli, ristrutturato il 1779(52).

Per  un certo tempo qui si conservò la “statua grande d’argento a mezzo busto del protettore S.Sebastiano colla di lui base anche d’argento, e tronco ove è legato di rame rossa indorata e con tre frecce d’argento e colla sua iscrizione”, arrivata da Napoli  nel 1776; questo possesso momentaneo era dovuto alla carica rivestita dal Frisulli di “General Sindaco”; la statua di S.Sebastiano alla comunità era costata 366 ducati.

Un altro dei patrimoni aristocratici e anche tra i più antichi era quello dei Tafuri che il 1764, ma a più riprese,  avevano completato il loro palazzo avito disegnato dall’architetto alessanese Felice De Palma, che per questo riuscì, da un punto di vista formale, una autentica innovazione nel campo dell’edilizia civile che, tuttavia, non ebbe un significativo impatto artistico.

Ecco come nel 1792 sono descritti i beni immobili e stabili dell’eredità del fu don Vincenzo Maria Tafuri(53): Un palazzo d’abitazione sito a Gallipoli nella strada detta dei signori Tafuri, confinante colle strade pubbliche per levante, scirocco e ponente e con le case di D. Pietro paolo senape, ed altri confini consistente in un portone, atrio, camere basse n. 5 vuote, per la parte di ponente e la parte di levante una stalla. Nel mezzo della scala vi sono tre mezzani per la gente di servizio, con entro due cassoni pieni di vari libri, ed un baulo pieno di libri, e con varie provviste per la casa.

NELLA SALA

Abbiamo trovato esservi quattro cassabanchi, una buffetta tonda ed un’altra bislunga e sei quadri vecchi, un lampioncino e uno stipone con due servigi di creta, uno di Inghilterra e uno na-politano; da detta sala essendoci introdotti in una camera che conduce al quarto della signora Teodora, vi siè trovato due commò pieni di biancherie con le seguenti robbe della cappella: una pianeta bianca ricamata in oro, un’altra nera di seta e due altre di color mischio; n.6 sedie ricamate con sete ed oro color celeste. Calice d’argento e patena simile. Messale, quadretti n.6 e n.4 fiori. Quattro quadri grandi con cornici indorate, un altro più mezzano, quello del ritratto del re, due altri più piccoli, un tondino, una banca grande, due sedie usate, uno stipo ed un’altro più piccolo.

STANZA DI DONNA VINCENZA

Un letto in ordine, un baule con le robbe della stessa, una buffetta e cinque sedie.

CAMERA DOVE ABITA DONNA TEODORA

Un letto in ordine con suo padiglione rigato; sedie n.8 ed un’altra più piccola; una buffetta piccola, un quadro grande vecchio e due altri più piccoli, un commò pieno di biancherie ed un stipetto.

CAMERA DOVE ATTUALMENTE ABITA DONNA BEATRICE

Un letto in ordine e padiglione di rasino cremisi rigato e l’ossatura indorata; n.8 sedie, due commoncini, due baulli pieni di abiti, un letto piccolo, una libraria, una cassa bianca, tre quadri usati, sette quadretti ed uno stipo pieno di libri.

ANTICAMERA 

NEL QUARTO NOBILE

Un cembalo grande con suo piede, 6 sedie, un quadro grande, 14 ritratti di vari signori, quattro stipi pieni di vari cristalli e vetri, e due specchi grandi.

CAMERA  VICINO  ALLA GALLERIA

Un riposto colli seguenti argenti: due guantiere d’argento, posate n.24 colli ma-nichi di avolio, 4 cocchiarini d’argento, 4 cortelli di tartaruga rigati d’argento. Due sottocoppe, un boccale col suo bacile, una caffettiera; 6 candelieri per cera, una acquasantiera col sicchietto, 2 quadretti di filograne e una scrivania, 4 saliere, uno smiccio col suo piattino, tre cocchiaroni d’argento, un cortello grande ed un forchettone di osso. Una sporta d’argento, 2 guantiere di rame, n.24 piatti di porcellane, due ripostine di noce con l’estremità indorata fissi nel muro con molte chicchere, caffettiere, zuccariere di porcellana fina, tre boli per il poncio, un trionfo di olio e aceto anche di porcellana.Sedie di legno impagliate n.12, specchi mezzani n.2; quadri mezzani n. 11, più piccoli n. 2, un altro più grande; una boffetta indorata ed una guantiera di legno.

Tre portieri per li balconi di mussolina con le cinefre indorate.

GALLERIA

Una ripetizione di tavolino, un trionfo di cristallo con molti lumi, 2 boffette tutte indorate con i marmi e foderate; n.18 sedie di damasco cremisi; un canapè di damasco indorato e foderato; 12 sedie di paglia; 12 placche indorate; due specchi grandi e un altro più piccolo indorato: due quadri bislunghi con cornice indorata; 3 quadri grandi; 4 poco più piccoli; due altri coll’estremità indorate: 7 altri più piccoli, tre cinefre indorate.

CAMERA AL FONDO

DELLA GALLERIA

PER PARTE DI TRAMONTANA

Un padiglione nuovo di da-masco cremisi con l’ossatura indorata; 2 commò, un baullo, un quadro grande con cornice indorata e nera; un altro bislungo; 4 quadri più piccoli; 5 altri più piccoli simili; 2 tondini, 12 sedie di paglia verdi, una banca con vari tiratoi pieni di scritture. Una sedia poltrona, una cinefra col portiere.

AL CAMERINO CONTIGUO PER LEVANTE

Una toletta; due casse di legname con biancheria ed un’altra più piccola piena di scritture.

CAMERA CONTIGUA ALLA GALLERIA

Un letto di campagna; un scarabotto grande col piede di noce con varie figure, una cassa bianca piena di livree per la servitù; 7 quadri piccoli e 6 sedie.

ALTRA CAMERA CONTIGUA

Un letto in ordine; sedie di paglia n.11; tre quadri colla cornice indorata e 2 altri bislumghi con l’immagine dell’Ecceomo; due tavolini, uno stipetto con chicchere di porcellana.

SOPRA AL PALAZZO

Una cogina con caporale di rame e con i rispettivi coverchi n.8; barchiglie di rame n.7; buccarotti n.9, un forno di campagna; tortiere n.2. Una piccioniera col suo coverchio e un bozzonetto nuovo, un caldarotto con caldara; Una caccia carne di ferro col manico di ferro, un coppino di rame, una pignata di rame, unma cocchiara grande con i buchi e un’altra più piccola; una fersura, un coprifuoco, un cortello, una camastra, due quartare di rame grandi, due spieti, un cortello grande; triangoli tre e due altri piccoli; gratiglie n.2 con paletta di ferro; una camastra, gratiglie per le fornacelle; una fornacella grande di ferro per il molinello del caffè; una grattacacio, un mortaio di bronzo, 3 cioccolatere di rame. Candelieri d’ottone n. 8; un bancone grande per uso della cucina suddetta.

ORI DELLA SIGNORA

Un paio d’oricchini di brillanti; una rosetta ed un coretto di brillanti per la gola; un paio di orecchini d’oro a camastra; un pezzo d’argento a figura di treglia. Due corniole buone col cerchio d’oro, due mostre d’oro, quattro spilloni di brillanti. Una gioia grande di smeraldi, varie perle fini con coretto con una cateniglia d’oro, un reliquario grande d’argento.

Gioie regalate alla Signora prima dello sposalizio che vuole annotarle per sua cautela non già perchè sono di pertinenza dell’eredita: un anello a rosetta grande di brillanti; una riputazione d’oro colla catena simile; una scatola di oro forastiero, un paio d’orecchini d’oro con pietre fini a tre pendenti, un acolaro di tartaruga colli finimenti d’oro, un ditale d’oro, un anello di brillanti e rubini, un paio di bottoni d’oro, un paio di ciappe di brilli incastrate in argento; un ventaglio d’avolio indorato.

RIMESSA SISTENTE SOTTO IL PALAZZO DI D. VINCENZO 

DE MASSA PROPRIA DELL’EREDITA’.

Una carrozza nobile all’ingese a quattro cristalli tutta guarnita a fiocchi di seta colla fodera di velluto bianco e torchino e col suo casino dietro per servidori... un secondo carrozzino a tre luoghi e tre cristalli foderato di velluto verde... Sotto al descritto palazzo vi sono al vento di ponente tre camere e a quello di levante due che si affittano.

Un altro comprensorio di case sito nell’istesso luogo e rimpetto al palazzo descritto, consistente in quattro camere basse a lamia e quattro altre superiori a tetto con scala di pietra... Un altro comprensorio di case sito entro questa città nella strada detta li signori Muzi... più un altro comprensorio di case contiguo alle descritto.

BENI STABILI DELL’EREDITA’ SUDDETTA

Una masseria sita in feudo di Collepasso nominata de’ signori Tafuri in ordine con curti, case di abitazione, capanne, cappella, stalle, forno, giardino, cisterna, aia, bestiami[...]

Un’altra masseria sita in feudo di Neviano nominato Torre Nuova con curti, torre, case, capanne, magazzeno, palombaro, forno, giardino...

Vigneto in Matino nel luogo detto il pozzo nuovo seu Turi... più in feudo di Gallipoli una chiesura olivata... nominata Marangone... più un’altra chiesura olivata... nel luogo detto la Lizza... altra possessione olivata nominata Centodocati... più una possessione olivata nel luogo detto Metriano grande... altra possessione nominata Metriano piccolo... più un’altra possessione olivata nominata Puzzielli seu Calamata... più un giardino sito in questo feudo nel luogo detto la Lizza... consistente... in giardino d’agrumi e un palazzo con atrio murato all’ingresso del quale vi è una camera bassa a tetto... per uso del giardiniere... da detto atrio si entra in una stalletta... e poi in un’altra per uso di cucina, contigua alla quale vi è una cameretta e poi la cappella o sia oratorio, con altare e fiori n.4, candelieri d’ottoni n.4, un crocefisso di legno, quattro statuette, carte di gloria, un messale, due cuscini ricamati, un’inginocchiatoio, un piccolo confessionale e una boffetta.

Da detta sala per il vento di ponente si entra nella Galleria di figura ottangulata, nella quale vi sono 4 canapè foderati di rasino di color cremisi, due altri foderati di tela stampata; 12 sedie d’appoggio; 8 ritratti di imperadori antichi; 8 quadretti in carta bislunga che sono otto città capitali d’Italia. Quattro tavolini.

QUARTO DI DONNA TEODORA

All’anticamera sedie rosse n.12; due boffetti; n.3 quadri, altri due bislunghi con carta rappresentanti città capitali; uno stipo di  crete, un boffettino alla cine, un guardarobe.

CAMERA DI D. VINCENZO E QUARTO DI DONNA BEATRICE

Un boffettino e un guardarobe; un letto, n.12 sedie alla chinese, due stiponi, una scrivania; quadri piccoli n.6; 2 di carta bislunghi rappresentanti due città capitali; per il vento di ponente vi sono due camerinetti...

QUARTO DI TRAMONTANA

Nella prima camera vi sono n.18 sedie verdi; due quadri, un tondino grande e 6 quadri bislumghi di carta; nelle due retrocamere non vi è niente.

ALTRO QUARTO PER LEVANTE

Nella prima camera vi sono due statuette di lecciso. Attaccato a detto quarto vi è un’altra camera per uso di didpensa... Altro casino sito in feudo di Gallipoli nel luogo detto S.Vennardia... con giardino serrato d’agrumi [...]

 

30) Cfr. l’introduzione di M.Tafuri alla pubblicazione degli Opuscula nonnulla di Gio.B. Pollidori e S. Catalano tra cui il  De Origine Urbis Callipolis , Napoli 1793, pp.IX-X.31) Cfr. ASL, 77/9, atto del 30.10.1780 da f.4062; all’epoca i Micetti tra l’altro, possedevano la cappella del Crocifisso nel feudo di Gallipoli e la Masseria S.Salvadore.

32) Cfr. D.DE ANGELIS, Le Vite di Letterati Salentini, parte I, Firenze 1710, parte II Napoli 1713; in quest’ultima è contenuta (pp.43-56) la Vita di Gio. Battista Crispo da Gallipoli.

33) Cfr. ASL, 40/15, testamento del 4 giugno 1703, f.1692 e sul quale cfr. M.CAZZATO, Il più bell’altare barocco di Terra d’Otranto è a Gallipoli nella Chiesa del Rosario (1703-4), ne “Il Bardo”, agosto 1999, p. 2.

34) Cfr. A.VALLONE, Tommaso e Filippo Briganti e altri minori, Lecce 1993, pp.79-83.Così le Notizie memorabili della fedelissima città di Gallipoli, composta da Antonello Roccio il 1640; la Topografia di Gallipoli e il teatro dei Vescovi di Gallipoli, di Gian Giacomo Rossi, appartenente ad una famiglia tra “le più antiche e principali di Gallipoli”, estinta nei primi decenni del XIX secolo.

35) Tutte le citazioni sono tratte dal “sesto libro” delle Memorie istoriche del Ravenna, pp.511-572.

36) Come ha documentato G. COSI nel saggio Altre notizie su Giovanni Andrea Coppola, in “Salento arte e storia”, Gallipoli 1987, pp.92-93; il quadro rimase incompleto per la sopraggiunta  morte del pittore (1659); il relativo altare secondo le ricerche del Cosi  e l’inventarium cit. fu completato tra il 1661 e il 1664.

37) G.COSI, Altre notizie cit., p.89 e sgg. (ma sembra errata l’individuazione dell’abitazione dell’artista così come proposta a p.93).

38) ASL, 40/13, atto del 6 gennaio 1665; il testamento del Patitari è ai ff. 13-17 t.; la sua abitazione dovendo essere prossima a quella dei Munittola, era vicina a quella del Coppola, probabilmente sulla stessa strada.

39) Ma si potrebbe trattare di quella fronteggiante, quella De Maio in corrispondenza della quale, in angolo, verso via Galateo, è un’altra vasta residenza con ampi androni e scalone.

40) ASL, 40/16, atto del 25 aprile 1701.

41) ASL, 40/17, atto del 18 maggio 1701.

42) I documenti sono in ASL, 40/27, atto del 28 aprile 1776. Un ulteriore sepolcro con lapide e stemma marmorei è presente in S.Francesco d’Assisi ai piedi dell’altare dell’Immacolata, cfr. E. PINDINELLI, Eugenio Vetromile patriarca degli indiani, in Gallipoli. Fatti personaggi e monumenti della nostra storia, Gallipoli 1984, p. 91 in nota.

43) Cfr. ASL, 40/27, inventario del 12 gennaio 1747; il quadrocon la “Beata Vergine ovato con cristallo et raggi di legno si conserva ancora negli ambienti del vescovado.

45) La lite è riassunta nella Conventio del 4 aprile 1764, in ASL, 40/27

46) Marito di Francesca Storti, era trapassato il 3 febbraio 1794; Cfr. l’atto cit. alla nota successiva.

47) Cfr. G. COSI, Un orologio da tavolo costruito a Gallipoli nel ‘700, in “L’uomo e il mare”, n.6. 1986, pp.17-19. Il Guarna è presente a Gallipoli almeno dal 1773, quindi è incaricato di “risarcire il pubblico orologio”, cfr. ASL, Conclusioni dell’Università di Gallipoli  del  3aprile 1773, e definito “mastro orologiaio”.

48) Illustrazioni in A.COSTANTINI, Guida alle ville cit, p.157-160.

49) Cfr. ASL, 40/33, Inventarium del 23 febbraio 1795.

50) Cfr. ASL 40/33, Inventarium del 14 settembre 1784

51) Descrizione in ASL, 40/27, atto del 2 ottobre 1790.

52) ASL, 40/31, atto del 13 settembre 1779.

53) cfr. ASL, 40/33, atto del 13 marzo 1792.

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Termina qui questa sommaria rassegna dell’edilizia civile di Gallipoli dalla quale emergono molti dati e, fra i primi la volontà dell’aristocrazia di accaparrarsi i siti centrali della città, possibilmente l’arteria sulla quale si attesta la Cattedrale e i pochi larghi pubblici.

Quando questo non è possibile -ed è il caso dei Tafuri, dei Doxi-Stracca e dei Romito - si conferisce alle facciate una inaudita verbosità tutta barocca proprio per riscattare una condizione topografica ritenuta penalizzante.