ALTRI
SEGNI DISTINTIVI DELLO SPAZIO ARISTOCRATICO: LA BIBLIOTECA,
LA
GALLERIA, LA
QUADRERIA E
IL "CASINO DI VILLEGGIATURA
Il
possesso di una biblioteca può essere sicuramente o può funzionare come
indice dell’antichità, dunque del maggior prestigio
del titolo patrizio; qualcosa che non può essere immediatamente
dimostrato ma che, perciò, è tanto più profondo e attiene all’essenza
stessa di una supremazia che prima di essere cetuale e di censo è culturale.
I ceti inferiori non sanno leggere e ai commercianti basta saper far di
conto.
Il
possesso del libro nobilitava e per quanto è difficile individuare in
queste residenze uno spazio autonomo destinato ai libri, è pur vero che
nessuna di queste poteva esimersi, al pari dell’albero genealogico, dall’esibizione
del possesso di questo ulteriore fattore di distinzione nel quale si depositavano
non solo le memorie famigliari ma anche quelle della città: Michele Tafuri
nel 1793 scrive che la cinquecentesca manoscritta
De Origine Callipolis di Stefano Catalano era custodita
“authographa in bibliotheca Micettae gentis”, ossia nella raccolta
della famiglia Micetti(30).
Infatti
nell’inventarium bonorum del quondam Sebastiano Micetti,
sono annotati moltissimi “libri vecchi” collocati in diversi luoghi del
palazzo di famiglia che confinava con quello dei Doxi-Stracca (nell’attuale
Via Micetti, detta “via reale”, angolo Via de Tomasi) che conserva ancora
la sua fisionomia cinquecentesca nel portale e nell’androne e nella “larga
gradinata”; ma quel 1780,
epoca dell’inventario, il palazzo doveva essere abbandonato perchè “vecchi”
non erano soltanto i numerosi libri ma anche i quadri ( i “ritratti
de’ maggiori della famiglia Micetti tutti anneriti per la vecchiaia”)
le armi (“schioppi... e spade antiche”) e finanche i reliquiari
dell’oratorio domestico(31).
La
biblioteca dei Micetti come quella
di Giovanni Presta non erano certo un’eccezione perchè altrettanto interessante
è quella, come vedremo, che il 1747 fu annotata co-me appartenente al
vescovo A. M. Pisc-atori.
I
Rocci, che abitavano di fronte alla Cattedrale (attuale palazzo del Municipio),
avevano una intera stanza occupata dalla “libreria” ricca di oltre 200
opere tra cui quelle del Parrino, del Sarnelli, del Giannone, del Muratori
e i “due tomi in ottavo grande delle vite di letterati salentini”
del De Angelis, del 1710-13(32).
Più
antica era la biblioteca del “fisico” Gaspare Tommaso Rizzo che
all’inizio del 1700 abitava nella strada
“vulgo dicta Donna Spina”, e nella cui casa erano conservate molte delle opere classiche di carattere medico
tra cui la Praxis Medica
del Baglivi, ma anche il secentesco Plettro Armonico del concittadino
Giacinto Coppola.
Nè
si dimentichi il generoso lascito di uno dei più significativi “elemo-sinieri”
dei domenicani locali, Maurizio Stradiotti, ai quali il 4 giugno del 1703
affidò “la sua libreria seu studio”(33).
Più
celebre di tutte è poi la biblioteca dei Briganti la cui preziosa consistenza
conosciamo da un elenco compilato a metà ottocento, che come ha scritto
A.Vallone, “costituisce non solo la realtà culturale e civile di una
eccezionale famiglia, ma anche il fondo singolare ed irripetibile di una
città viva e operosa in tutta Terra d’Otranto”(34).
Prima
della ripresa ottocentesca, il XVIII secolo registra un calo di
interesse dell’aristocrazia nell’elaborazione delle memorie patrie, fenomeno
che sembra appartenere ai secoli precedenti.
Alla
storia patria si erano applicati nel XVII secolo
G. Quintiliano Cuti e Antonello Roccio e sopra tutti Leonardo Antonio
Micetti che il 1697 scrisse “un’istoria quasi completa di Gallipoli”.
Quasi contemporaneamente Bartolomeo Nicola Patitari scriveva una
Gallipoli sacra(35) creduta dispersa.
*
* *
La
“galleria” come ambiente di rappresentanza delle residenze aristocratiche,
compare alla fine del XVIII secolo ed esplode come una vera e propria
moda verso la metà del secolo successivo, data a partire dalla quale l’edilizia
civile conosce un’accellerazione costruttiva-decorativa senza precedenti.
Infatti,
come a Lecce, il XVII secolo ha prodotto in campo civile modelli archi-tettonici
di gran lunga inferiori a quelli religiosi.
Dall’inventarium
bo-norum del quondam Angelo Patitari, la sua abitazione sita nel “vicinio
dicto di S. Nicolao diruto de
Sansonetti iuxta domus Ioseph Monit-tola...” risultava di modeste
dimensioni anche se a quella data - il 1665 - il possesso di una notevole
quantità di “quadri” era già un simbolo distintivo.
Ottantenne,
il Patitari era stato due volte Sindaco della città e, a corto di eredi,
nominò tale il Capitolo della cattedrale al quale raccomandò la sua cappella
“nuovamente eretta” che dovrà appartenere in perpetuo, insieme alla sepoltura
ancora da realizzare, alla sua famiglia: è l’altaredi S.Oronzo e S.Nicola
coll’omonima tela del Coppola(36); quest’ultimo, il celebre pittore, qualche decennio
avanti aveva ristrutturato, in forme modeste, la sua residenza accanto
alla chiesa della Misericordia, nell’attuale Via Fontò(37), probabilmente
quella appartenuta nel XIX secolo a Vincenzo Starace.
Ecco
l’elenco dei quadri ritrovati nell’abitazione del Patitari: “un quadretto
con un fiore dipinto; un altro quadro con l’immagine di S.Francesco di
Paola; due quadri con l’immagine di S.Antonio; due altri con S.Carlo e
l’Angelo Custode... uno con la Maddalena, l’altro con S.Geronimo...un
altro quadro senza discernesi l’immagine... dodici quadri di Sibille,
un quadro con pitture d’uccelli”(38)
La
“galleria” compare nella residenza del magnifico Marcello Antonio de Leo,
situata “in vicinio dicto l’incrocata”, con un lato con-finantecon
una “curte comune” forse quella attualmente denominata Talamo(39).
Non
doveva essere vasta, ma si sviluppava su due livelli; quello superiore
era decorato con “un quadro di S.Oronzo, 16 quadretti di paesi pittati
con cornice negra; due altri con S.Vincenzo e S.Anna”, c’erano poi
“10 quadretti con le figure in stampa di rame... e più 7 altri usati
con cornice negra”; accanto al quadro di S.Maria di Daliano, anche
questo indice di una devozionalità tutta locale, c’erano “16 quadretti
“d’imprecisato soggetto; frutti e pesci” raffiguravano invece 13
altri quadri grandi, mentre altri 20 erano di carta stampata.
Quest’abitazione
fu acquistata nel 1681 e due anni dopo il de Leo aveva comprato un “giardino
di alberi comuni con vigne, pergolito, colonne di fabrico et case sito
nel feudo di detta città di Gallipoli in loco detto Prandico...”
dal quondam Tommaso Cuti(40).
Nella
galleria, “sala non finita”, c’erano “diversi libri stampati parte
vecchi e parte usati di diversi trattati”.
Qualche
anno dopo, esattamente nel 1701(41), i beni di Giuseppe d’Ospina passarono a Leonardo Raymondo;
tra questi “un paro di case dentro Gallipoli all’incontro della venerabile
chiesa delle monache di S.Chiara, consistente in supportico e cortile,
con tre camere a mano sinistra e due a man destra, stalla e cantina; una
sala di sopra, ballaturo e cinque camere et una cucina superiore, sei
solari et torre di sopra”; tra i mobili elencati: “11 sedie d’appoggio
usate; 12 di paglia napolitane tornite; 8 boffette di noce; 7 quadri de’
mesi pittati in tela; 9 quadri di paesaggi finti in tela;7 quadri di diverse
figure di santi; 2 altri di
favole pinti in tela; un quadro della Vergine del Rosario, lo stesso che
stava nella cappella di detto quondam Giuseppe d’Ospina dentro la Chiesa
del Monastero dei padri domenicani di Gallipoli; 6 altri quadri d’istorie
e santi... 6 quadretti piccoli... 3 scrittori cioè due con le cornici
di gigiola et uno di noce; due candelieri d’argento”;
moltissimi i libri, in gran parte di diritto.
Il
palazzo in questione è quello che attualmente fa angolo con la piazza
De Amicis, di proprietà della famiglia Zacà.
Verso
il 1719, millesimo che si legge sul cartiglio che regge un putto fissato
alla chiave di un coevo e superstite arcone in via Monzilla, i Margiotta
ristrutturarono il proprio palazzo, il cui portone era di fronte alla
cappella di S.Domenica, edificio religioso ora distrutto, su via d’Ospina.
In un documento del 1776, che è l’inventario dei
beni del quondam Felice Margiotta, che oltre ad essere un ricco
mercante “aveva l’ufficio di Fante della Regia Dogana”, così il
palazzo viene descritto: “nella sala del succennato palazzo... vi sono
sette quadri con fiorami, sette altri piccoli tra paesaggi e fiorami con
cornice torchine. Due quadri grandi rappresentanti l’istoria sacra...
un altro lungo di carta con cornice rappresentante l’isola di Malta. Un
altro grande con la Vergine di Leuca; un altro di S.Rocco mezzano; un
altro che è il ritratto del quondam D.Pietro Margiotta. Un altro più piccolo
novo, con cornice indorata, che è D.Gaetano Margiotta; un altro simile
che è Pascalina Margiotta, morta impubere. Un altro con ritratto di un
Principe. Dodici sedie grandi d’appoggio... due banche grandi di noce
vecchie, Una sedia poltrona e tre sedie di paglia. Un cantara-no all’antica
foderato d’oliva[...]. Nella camera ove morì il quondam D.Diego: sette
quadri rappresentanti uno l’Immacolata, un altro S. Pascale, un altro
S. Giovanni, un altro S.Oronzo, un altro S.Pietro d’Alcantara, un altro
S. Giacinto e l’altro S.Rocco; ed altri diece piccoli con cornici indorate
vec-chii. Una nicchia... con una statua indorata di S.Giuseppe. Due stipi
grandi con vetri avanti, con libri e carte che si descriveranno dopo”.
In uno stipo c’era parte della numerosissima argenteria.
Nella galleria c’erano 19 quadri tutti di soggetto religioso, “due
specchi grandi con cornici indorate di oro fino... con due cornucopie
di ottone a due lumi;quattro specchi più piccoli indorati con cornici
all’antica”; accanto a “dodici sedie di appoggio... malconce”
c’era una grande “scrivania vecchia foderata di noce... una banca vecchia...
un’orologio di camera antico... due gabbie vecchie di ferro filato vuote
e senza uccelli”.
Nella
camera detta dello studio: un cantarano con monete varie e oggetti
preziosi (“otto campanelle d’argento per collana di cagnolino”);
in un cassetto si conservava “il privilegio di dottore del sig. Felice
Margiotta”; varie erano pure le armi conservate nella stessa camera.
In quella contigua si annotarono dieci quadri grandi - tra cui uno raffigurante
la Vergine della Purità - “quattro tondini con cornici indorate ovali;
uno specchio piccolo e tre altri quadri rappresentanti uno S.Gaetano con
la Vergine, un Gesù Cristo colla Croce in spalla e l’altro con la Vergine
col Bambino”; sulla stessa parete c’erano 6 altre tele; in uno scatolino
si conservava altra argenteria minuta.
La
“stanza ove dorme la sig. Veneranda” risultava arredata con 22
tele, tre specchi, due sedie, un inginocchiatoio e uno “stipo... con
due candelieri di ottone, bassi all’antica; un fornicello di rame per
uso di caffè e pignate di cose commestibili”; l’argenteria e le gioie
proprie di donna Veneranda erano conservate in un mobile definito blò.
Accanto c’era la “camera della serva” dove era depositata una grande
quantità di suppellettile di porcellana, creta, vetro smaltato, cristallo
e vetro, più “sei quadretti piccoli”.
I
vestiti erano conservati in diversi baulli e casse vecchie. Seguiva la cucina piccola e quella grande.
Nel “solaro sopra di detto palazzo” si conservavano, tra l’altro,
“24 piatti di creta della Terza; due grandi e sei mezzani simili; due
zuppiere e tre boccali simili; una caffettiera, due chicchere e due zuccheriere
simili”. A piano terra c’erano tre studietti con ben 15 quadri
antichi.
Dal
cortile si accedeva ai consueti ambienti di deposito, alla stalla e al
“magazzino del vino”. La cappella di S.Domenica, propria della famiglia
Margiotta, era come abbiamo visto, di fronte al palazzo.
Nel
documento descritto veniva subito dopo
riportato l’inventario dei circa 500 volumi che costituivano la
biblioteca privata del Margiotta, in gran parte di carattere giuridico
e storico, anche se non mancavano edizioni di interesse locale. In un
“baullo esistente nel monastero di S.Teresa” furono rintracciate
gioie per un valore di 633 ducati.
Più
recente appare l’arredamento nel “casino di campagna, nel feudo di
Gallipoli, loco detto Rodogallo o sia Prandico”; così è descritta
la sala: “dodici quadri piccoli di carta con figure di Germania, con
cornici negre; otto quadretti nuovi e pittati alla cinese; nove sedie
napolitane verdi ed indorate; una banca ovata grande.. e due stipi vuo-ti”;
il casino aveva una cappella intitolata a S. Giuseppe. La famiglia aveva
il patronato della cappella di S.Anna nella chiesa dei Paolotti(42).
*
* *
Lo
stesso schema nella gerarchizzazione delle residenze urbane e di quelle
rurali si rintraccia per i beni dei vescovi. Ecco quanto si ricava dall’inventario,
compilato nel 1747, del presule Antonio Maria Piscatori che era scomparso
improvvisamente ab intestato nella chiesa “della Lizza”.
“
Nelle cinque camere di sopra: prima camera,5 quadri rappresentanti
una l’immagine di S.Agata, poi S.Girolamo, il terzo S. Maria Maddalena,S.
Gennaro e il quinto l’Egiziaca. Un quadretto con cornice indorata rappresentante
la Vergine. Due ginefre indorate... un panno d’altare... 14 sedie d’appoggio
... un letto di campagna...
Seconda
camera: un padiglione di damasco verde... 4 portieri di panno coll’imprese di detto vescovo... un tappeto di lana
con fiorami... 6 sedie di appoggio... 2 quadri ovati mezzani, uno rappresentante
la Famiglia Sacra e l’altro la SS.ma Trinità, due altri quadri
piccoli con figure in rame... una banca di legno sopra della quale due
candelieri piccoli d’argento coll’imprese del vescovo Filomarini.
Terza camera: due piatti mezzani d’argento... 12 piatti consimili,
un sottocoppa d’argento, 6 potsate d’argento, una saliera d’argento indorata
dal di dentro, 2 candelieri d’argento, un bacile con suo bocale d’argento...
quattro candelieri d’ottone... un orologio di camera con campana... due
orologi di saccoccia... una tabacchera... una croce d’ottone di pietre
false... una crocetta d’oro... un anello d’oro... un calice con piede
d’argento con sua patena... un campanello piccolo d’argento con imprese
della casa di detto vescovo... un’acquasantiera di cristallo... Nella
quarta sala: una boffetta di noce; quinta camera: un lampione al salire
della grada sopra dette camere”.
A
piano terra c’era la cucina. Accanto vi era il cosiddetto palazzo vecchio,
utilizzato come deposito.
Il
giorno seguente si fece l’inventario del palazzo vescovile di Gallipoli;
nella cappella privata c’era un quadro “della Beata Vergine ovato con
cristallo et raggi di legno”. In circa venti ambienti suddivisi su
due livelli, si potevano ammirare circa 200 tele tra grandi e piccole,
tutte rigorosamente munite di “cornici intagliate”; erano in gran
parte di soggetto religioso tra cui le Anime del Purgatorio, copia
del grande quadro della Cattedrale.
Non
mancavano però i paesaggi, le nature morte, i fiori, una “veduta della
città di Gallipoli” e molte carte geografiche. Ricca la biblioteca con
molte edizioni in francese, con le opere del Muratori, del Sarnelli ecc.
Nei
pressi di tale ambiente vi era “il quarto ove si regge la Curia”
con due “casce di processi”.
L’ambiente
di rappresentanza era anche qui la “galleria” di seguito così descritto:
“...nella galleria situata a ponente... 4 quadri di paesaggi e fiori...
2 quadri mezzani... 8 quadri tutti continuati nella parte superiore di
detta galleria... continenti istorie dell’Antico Testamento... 7 sedie
nuove.. 9 sedie di paglia verdi indorate, un cembalo”.
Seguiva
la cappella che custodiva “l’urna di legno ed ebano, guarnita d’argento
e rame indorata col corpo di S.Fausto”. A piano terra, come qualsiasi
altro palazzo aristocratico, c’erano gli ambienti si servizio, i depositi
e il trappeto(43).
*
* *
avevano
innalzato “il secondo appartamento del palazzo vescovile... affinchè avessero
avuto un respiro più libero d’aria e d’aspetto di mare”.
Ma
l’ingegnere deponendo come la città fosse “molto angusta e, pertanto,
“era lecito ad ognuno edificare a suo piacere, adducendone molti esempi”,
diede torto al vescovo e i Doxi-Stracca poterono completare il loro palazzo
che riuscì uno dei più significativi esempi dell’architettura civile del
maturo XVVIII secolo(45).
Alla
fine del ‘700, e precisamente il 1795, così appariva l’interno di questa
residenza arricchita dall’ormai scomparso Nicola Doxi-Stracca(46):
“palazzo d’abitazione con con cortile metà coverto e metà scoverto...
con magazeni per riponere vino... e scala di 20 gradini. Nella sala vi
erano 7 quadri e uno “colla pianta del palazzo”; ben 13 erano i quadri
della cappella nei pressi della quale c’era “la camera alla turca con
un lettino con suo padiglione alla turca”. Nella galleria: “6 boffettini
con marmi indorati; quattro altri angolari d’un piede con marmi e 4 vasi,
due grandi e due bislunghi di porcellana alla cinese”; c’erano inoltre
“12 sedie di paglia e 6 foderate col sofà simile; 2 boffettini da giorno;
dieci placconi; 2 altri bislunghi con finimenti dorati. Un lumiere di
cristallo; un’apparato di damasco cremisi; 3 cinefre indorate; una balconata
di ferro; due orologi di tavolino”.
Uno
di questi è quello che Pasquale, padre di Nicola, il 1777, commissionò
al “mastro orologiaio” gallipolino Andrea Guarna, attualmente conservato
in una privata raccolta milanese(47).
Gli
argenti lavorati furono stimati per un valore di 360 ducati.
Ma
si pensi che solo di “crediti cambiari” don Nicola possedeva quasi
36.000 ducati: i debiti ammontavano a oltre 5.000 ducati, incluse le spese
per specchi e placche” acquistate a Venezia. Altri 57 quadri ornavano
le pareti degli altri ambienti tra cui una seconda “galleria”.
Il
casino sito in località Camerelle era
una vera e propria villa sontuosamente arredata con annessa una
grande cappella(48). I beni del Doxi-Stracca si estendevano per tutto l’hinterland
di Gallipoli: Taviano, Racale, Melissano, Alliste, Felline, Parabita e
Galatone(49).
*
* *
Una
ricchezza non così sfacciata ma sicuramente più antica poteva esibire
la famiglia Rocci il cui palazzo, l’attuale residenza municipale, fronteggiava
un lato della Cattedrale, sul luogo e nell’arteria principale della città.
Il
grande palazzo era delimitato da tre strade pubbliche, e, almeno per il
XVIII secolo, era diviso in più quote tra i diversi membri della stessa
famiglia. Ed era antica, forse
una delle più antiche fabbriche civili se è vera la notizia del 1790 che,
sulla volta nell’androne si leggeva ancora l’arma di famiglia con un’iscrizione
che ricorda Sancio Roccio del 1501: “MODESTE SUMPTA VIRESCIT LIMPHA”,
forse di origine virgiliana; la stessa che campeggiava nella “lapide sepolcrale”
nella chiesa dei Riformati datata 1689.
La
porzione che prospettava sul “largo di S.Agata” e “girava verso la curte
longa” (attuale via Garibaldi), il 1779 apparteneva a Francesca Sylos,
vedova recentissima di Giuseppe Rocci Cerasoli; così è descritta la galleria
coperta da una “intempiatura di tela con friso attorno”; i quadri dell’ambiente:
“4 tele grandi con pitture rappresentanti le istorie del Tasso... due
con pitture di battaglie e 6 con storie sacre”; diverse le nature morte.
In tutto si contavano circa 100 quadri; cospicua la biblioteca.
Il
casino era in contrada Migliorie, con la consueta cappella.
Più
oltre verso S.Chiara, di fronte al cinquecentesco palazzo d’Acugna vi
era quello, assai più modesto dei precedenti, appartenuto alla famiglia d’Aprile e descritto nell’inventario post mortem
di Salvatore d’Aprile.
Il
palazzo di famiglia attaccava all’edificio dell’ospedale (oggi biblioteca-museo comunale) ed era appartenuto
a donna Anna Massa Capece baronessa di Collepasso.
Le
finestre di questa residenzasi caratterizzano per una soluzione inedita:
le mostre stuccate incorniciano l’apertura ma non toccano il parapioggia
che rimane, pertanto, sintatticamente un elemento autonomo.
L’inventario
dei beni inizia con “un trappeto in farina sito sotto la casa del sign.
D.Carlo d’Acugna nella strada detta di S.Chiara”.
Prosegue
con la descrizione del “palazzo sito nella detta strada di S,Chiara” che
aveva l’uscita “per la parte della Purità” dove c’era la stalla, la rimessa
con “una carrozza usata foderata di panno bianco”; accanto “tre abitazioni...
che s’affittano”.
Superiormente
esisteva un “quarto grande” e due stanze per la servitù; nella prima stanza
c’erano “10 quadretti con carte
geografiche”. Seguiva la cucina, una saletta con 6 carte geografiche e
un ritratto” e la stanza del riposto con quadri e ritratti numero 8”.
Quattro erano i quadri dell’oratorio domestico.
Questa
invece la descrizione della galleria: “quadri grandi e piccoli numero
26; tavolini di noce n.4; buffettini indorati n.2, specchi grandi n.4;
placche n.8; sedie indorate n.20; un sofà piccolo vecchio”.
Accanto
si apriva “ la stanza che chiamasi di Monsignore” ( destinata ad ospitare
evidentemente mons. Filippo d’Aprile, fratello di Salvatore, vescovo di Teano e poi di Melfi e Rapolla)
con relativo “retro-camerino”, quindi la “stanza di D.Marianna” contigua
a quella “delle figliole”.
Molto
più grande e arredata era la “stanza della Signora” che conteneva una
sorta di archivio privato e uno “scrigno” con gli argenti di famiglia
che pesavano complessivamente 166 libre. La famiglia aveva inoltre diversi
“appartamenti d’affitto” e due magazzini al “largo del Castello”. Il casino
di campagna era nel luogo detto S.Venerdia.
Risulta
che solo successivamente i d’Aprile
ristrutturarono i casamenti posseduti
“nel luogo detto S.Nicola” dove realizzarono un “palazzo d’abitazione
con stanze d’abitazione n.9 e superiori n.8, con sedie indorate 30”.
Di
questo è descritta la galleria
dove c’erano “due buffettini di noce” e altri
mobili.
Ben
arredata era anche la “camera dei forestieri”. Esisteva naturalmente una cappella e un “giardino di delizie murato”.
Nonostante
l’ingente patrimonio fondiario “la
casa possedeva in affitto l’abbazia di S. Salvatore”.
L’inventario
termina con l’elenco di quanto fu trovato in “tre baulli venuti da
Napoli” dove fu rinvenuto, tra l’altro, un “libro di memorie della casa”(50).
Sullo
stesso lato, oltrepassato palazzo Raymond,o in corrispondenza del largo
ove si svolgeva la fiera di S.Chiara (ora prosaicamente piazza De Amicis),
s’incontra, arretrato, il palazzo
Grumesi, del 1740, poi quello, più avanzato, forse appartenuto al notaio
Liborio Crusi che nonostante il suo status di magnifico e non di patrizio,
deve aver avuto pur sempre un bel palazzo con la sua galleria(51); palazzo
che comunque non era meno importante di quello, confinante, del barone
Francesco Frisulli, ristrutturato il 1779(52).
Per un certo tempo qui si conservò la “statua
grande d’argento a mezzo busto del protettore S.Sebastiano colla di lui
base anche d’argento, e tronco ove è legato di rame rossa indorata e con
tre frecce d’argento e
colla sua iscrizione”, arrivata
da Napoli nel 1776; questo possesso momentaneo era dovuto
alla carica rivestita dal Frisulli di “General Sindaco”; la statua di
S.Sebastiano alla comunità era costata 366 ducati.
Un
altro dei patrimoni aristocratici e anche tra i più antichi era quello
dei Tafuri che il 1764, ma a più riprese,
avevano completato il loro palazzo avito disegnato dall’architetto
alessanese Felice De Palma, che per questo riuscì, da un punto di vista
formale, una autentica innovazione nel campo dell’edilizia civile che,
tuttavia, non ebbe un significativo impatto artistico.
Ecco
come nel 1792 sono descritti i beni immobili e stabili dell’eredità del
fu don Vincenzo Maria Tafuri(53): Un palazzo d’abitazione sito a Gallipoli nella strada
detta dei signori Tafuri, confinante colle strade pubbliche per levante,
scirocco e ponente e con le case di D. Pietro paolo senape, ed altri confini
consistente in un portone, atrio, camere basse n. 5 vuote, per la parte
di ponente e la parte di levante una stalla. Nel mezzo della scala vi
sono tre mezzani per la gente di servizio, con entro due cassoni pieni
di vari libri, ed un baulo pieno di libri, e con varie provviste per la
casa.
NELLA
SALA
Abbiamo
trovato esservi quattro cassabanchi, una buffetta tonda ed un’altra bislunga
e sei quadri vecchi, un lampioncino e uno stipone con due servigi di creta,
uno di Inghilterra e uno na-politano; da detta sala essendoci introdotti
in una camera che conduce al quarto della signora Teodora, vi siè trovato
due commò pieni di biancherie con le seguenti robbe della cappella: una
pianeta bianca ricamata in oro, un’altra nera di seta e due altre di color
mischio; n.6 sedie ricamate con sete ed oro color celeste. Calice d’argento
e patena simile. Messale, quadretti n.6 e n.4 fiori. Quattro quadri grandi
con cornici indorate, un altro più mezzano, quello del ritratto del re,
due altri più piccoli, un tondino, una banca grande, due sedie usate,
uno stipo ed un’altro più piccolo.
STANZA
DI DONNA VINCENZA
Un
letto in ordine, un baule con le robbe della stessa, una buffetta e cinque
sedie.
CAMERA
DOVE ABITA DONNA TEODORA
Un
letto in ordine con suo padiglione rigato; sedie n.8 ed un’altra più piccola;
una buffetta piccola, un quadro grande vecchio e due altri più piccoli,
un commò pieno di biancherie ed un stipetto.
CAMERA
DOVE ATTUALMENTE ABITA DONNA BEATRICE
Un
letto in ordine e padiglione di rasino cremisi rigato e l’ossatura indorata;
n.8 sedie, due commoncini, due baulli pieni di abiti, un letto piccolo,
una libraria, una cassa bianca, tre quadri usati, sette quadretti ed uno
stipo pieno di libri.
ANTICAMERA
NEL
QUARTO NOBILE
Un
cembalo grande con suo piede, 6 sedie, un quadro grande, 14 ritratti di
vari signori, quattro stipi pieni di vari cristalli e vetri, e due specchi
grandi.
CAMERA VICINO ALLA
GALLERIA
Un
riposto colli seguenti argenti: due guantiere d’argento, posate n.24 colli
ma-nichi di avolio, 4 cocchiarini d’argento, 4 cortelli di tartaruga rigati
d’argento. Due sottocoppe, un boccale col suo bacile, una caffettiera;
6 candelieri per cera, una acquasantiera col sicchietto, 2 quadretti di
filograne e una scrivania, 4 saliere, uno smiccio col suo piattino, tre
cocchiaroni d’argento, un cortello grande ed un forchettone di osso. Una
sporta d’argento, 2 guantiere di rame, n.24 piatti di porcellane, due
ripostine di noce con l’estremità indorata fissi nel muro con molte chicchere,
caffettiere, zuccariere di porcellana fina, tre boli
per il poncio, un trionfo di olio e aceto anche di porcellana.Sedie di
legno impagliate n.12, specchi mezzani n.2; quadri mezzani n. 11, più
piccoli n. 2, un altro più grande; una boffetta indorata ed una guantiera
di legno.
Tre
portieri per li balconi di mussolina con le cinefre indorate.
GALLERIA
Una
ripetizione di tavolino, un trionfo di cristallo con molti lumi, 2 boffette
tutte indorate con i marmi e foderate; n.18 sedie di damasco cremisi;
un canapè di damasco indorato e foderato; 12 sedie di paglia; 12 placche
indorate; due specchi grandi e un altro più piccolo indorato: due quadri
bislunghi con cornice indorata; 3 quadri grandi; 4 poco più piccoli; due
altri coll’estremità indorate: 7 altri più piccoli, tre cinefre indorate.
CAMERA
AL FONDO
DELLA
GALLERIA
PER
PARTE DI TRAMONTANA
Un
padiglione nuovo di da-masco cremisi con l’ossatura indorata; 2 commò,
un baullo, un quadro grande con cornice indorata e nera; un altro bislungo;
4 quadri più piccoli; 5 altri più piccoli simili; 2 tondini, 12 sedie
di paglia verdi, una banca con vari tiratoi pieni di scritture. Una sedia
poltrona, una cinefra col portiere.
AL
CAMERINO CONTIGUO PER LEVANTE
Una
toletta; due casse di legname con biancheria ed un’altra più piccola piena
di scritture.
CAMERA
CONTIGUA ALLA GALLERIA
Un
letto di campagna; un scarabotto grande col piede di noce con varie figure,
una cassa bianca piena di livree per la servitù; 7 quadri piccoli e
6 sedie.
ALTRA
CAMERA CONTIGUA
Un
letto in ordine; sedie di paglia n.11; tre quadri colla cornice indorata
e 2 altri bislumghi con l’immagine dell’Ecceomo; due tavolini, uno stipetto
con chicchere di porcellana.
SOPRA
AL PALAZZO
Una
cogina con caporale di rame e con i rispettivi coverchi n.8; barchiglie
di rame n.7; buccarotti n.9, un forno di campagna; tortiere n.2. Una piccioniera
col suo coverchio e un bozzonetto nuovo, un caldarotto con caldara; Una
caccia carne di ferro col manico di ferro, un coppino di rame, una pignata
di rame, unma cocchiara grande con i buchi e un’altra più piccola; una
fersura, un coprifuoco, un cortello, una camastra, due quartare di rame
grandi, due spieti, un cortello grande; triangoli tre e due altri piccoli;
gratiglie n.2 con paletta di ferro; una camastra, gratiglie per le fornacelle;
una fornacella grande di ferro per il molinello del caffè; una grattacacio,
un mortaio di bronzo, 3 cioccolatere di rame. Candelieri d’ottone n. 8;
un bancone grande per uso della cucina suddetta.
ORI
DELLA SIGNORA
Un
paio d’oricchini di brillanti; una rosetta ed un coretto di brillanti
per la gola; un paio di orecchini d’oro a camastra; un pezzo d’argento
a figura di treglia. Due corniole buone col cerchio d’oro, due mostre
d’oro, quattro spilloni di brillanti. Una gioia grande di smeraldi, varie
perle fini con coretto con una cateniglia d’oro, un reliquario grande
d’argento.
Gioie
regalate alla Signora prima dello sposalizio che vuole annotarle per sua
cautela non già perchè sono di pertinenza dell’eredita: un anello a rosetta
grande di brillanti; una riputazione d’oro colla catena simile; una scatola
di oro forastiero, un paio d’orecchini d’oro con pietre fini a tre pendenti,
un acolaro di tartaruga colli finimenti d’oro, un ditale d’oro, un anello
di brillanti e rubini, un paio di bottoni d’oro, un paio di ciappe di
brilli incastrate in argento; un ventaglio d’avolio indorato.
RIMESSA
SISTENTE SOTTO IL PALAZZO DI D. VINCENZO
DE
MASSA PROPRIA DELL’EREDITA’.
Una
carrozza nobile all’ingese a quattro cristalli tutta guarnita a fiocchi
di seta colla fodera di velluto bianco e torchino e col suo casino dietro
per servidori... un secondo carrozzino a tre luoghi e tre cristalli foderato
di velluto verde... Sotto al descritto palazzo vi sono al vento di ponente
tre camere e a quello di levante due che si affittano.
Un
altro comprensorio di case sito nell’istesso luogo e rimpetto al palazzo
descritto, consistente in quattro camere basse a lamia e quattro altre
superiori a tetto con scala di pietra... Un altro comprensorio di case
sito entro questa città nella strada detta li signori Muzi... più un altro
comprensorio di case contiguo alle descritto.
BENI
STABILI DELL’EREDITA’ SUDDETTA
Una
masseria sita in feudo di Collepasso nominata de’ signori Tafuri in ordine
con curti, case di abitazione, capanne, cappella, stalle, forno, giardino,
cisterna, aia, bestiami[...]
Un’altra
masseria sita in feudo di Neviano nominato Torre Nuova con curti, torre,
case, capanne, magazzeno, palombaro, forno, giardino...
Vigneto
in Matino nel luogo detto il pozzo nuovo seu Turi... più in feudo di Gallipoli
una chiesura olivata... nominata Marangone... più un’altra chiesura olivata...
nel luogo detto la Lizza... altra possessione olivata nominata Centodocati...
più una possessione olivata nel luogo detto Metriano grande... altra possessione
nominata Metriano piccolo... più un’altra possessione olivata nominata
Puzzielli seu Calamata... più un giardino sito in questo feudo nel luogo
detto la Lizza... consistente... in giardino d’agrumi e un palazzo con
atrio murato all’ingresso del quale vi è una camera bassa a tetto... per
uso del giardiniere... da detto atrio si entra in una stalletta... e poi
in un’altra per uso di cucina, contigua alla quale vi è una cameretta
e poi la cappella o sia oratorio, con altare e fiori n.4, candelieri d’ottoni
n.4, un crocefisso di legno, quattro statuette, carte di gloria, un messale,
due cuscini ricamati, un’inginocchiatoio, un piccolo confessionale e una
boffetta.
Da
detta sala per il vento di ponente si entra nella Galleria di figura ottangulata,
nella quale vi sono 4 canapè foderati di rasino di color cremisi, due
altri foderati di tela stampata; 12 sedie d’appoggio; 8 ritratti di imperadori
antichi; 8 quadretti in carta bislunga che sono otto città capitali d’Italia.
Quattro tavolini.
QUARTO
DI DONNA TEODORA
All’anticamera
sedie rosse n.12; due boffetti; n.3 quadri, altri due bislunghi con carta
rappresentanti città capitali; uno stipo di
crete, un boffettino alla cine, un guardarobe.
CAMERA
DI D. VINCENZO E QUARTO DI DONNA BEATRICE
Un
boffettino e un guardarobe; un letto, n.12 sedie alla chinese, due stiponi,
una scrivania; quadri piccoli n.6; 2 di carta bislunghi rappresentanti
due città capitali; per il vento di ponente vi sono due camerinetti...
QUARTO
DI TRAMONTANA
Nella
prima camera vi sono n.18 sedie verdi; due quadri, un tondino grande e
6 quadri bislumghi di carta; nelle due retrocamere non vi è niente.
ALTRO
QUARTO PER LEVANTE
Nella
prima camera vi sono due statuette di lecciso. Attaccato a detto quarto
vi è un’altra camera per uso di didpensa... Altro casino sito in feudo
di Gallipoli nel luogo detto S.Vennardia... con giardino serrato d’agrumi
[...]
30)
Cfr. l’introduzione di M.Tafuri alla pubblicazione degli Opuscula
nonnulla di Gio.B. Pollidori e S. Catalano tra cui il
De Origine Urbis Callipolis , Napoli 1793, pp.IX-X.31) Cfr. ASL, 77/9, atto del 30.10.1780 da
f.4062; all’epoca i Micetti tra l’altro, possedevano la cappella del Crocifisso
nel feudo di Gallipoli e la Masseria S.Salvadore.
32) Cfr. D.DE ANGELIS, Le Vite di Letterati
Salentini, parte I, Firenze 1710, parte II Napoli 1713; in quest’ultima
è contenuta (pp.43-56) la Vita di Gio. Battista Crispo da Gallipoli.
33)
Cfr. ASL, 40/15, testamento del 4 giugno
1703, f.1692 e sul quale cfr. M.CAZZATO, Il più bell’altare
barocco di Terra d’Otranto è a Gallipoli nella Chiesa del Rosario (1703-4),
ne “Il Bardo”, agosto 1999, p. 2.
34)
Cfr. A.VALLONE, Tommaso e Filippo Briganti
e altri minori, Lecce 1993, pp.79-83.Così le Notizie memorabili
della fedelissima città di Gallipoli, composta da Antonello Roccio
il 1640; la Topografia di Gallipoli e il teatro dei Vescovi
di Gallipoli, di Gian Giacomo Rossi, appartenente ad una famiglia
tra “le più antiche e principali di Gallipoli”, estinta nei primi decenni
del XIX secolo.
35)
Tutte le citazioni sono tratte dal “sesto libro” delle Memorie istoriche
del Ravenna, pp.511-572.
36)
Come ha documentato G. COSI nel saggio
Altre notizie su Giovanni Andrea Coppola, in “Salento arte e storia”,
Gallipoli 1987, pp.92-93; il quadro rimase incompleto per la sopraggiunta morte del pittore (1659); il relativo altare
secondo le ricerche del Cosi e
l’inventarium cit. fu completato tra il 1661 e il 1664.
37)
G.COSI, Altre notizie cit., p.89 e sgg. (ma
sembra errata l’individuazione dell’abitazione dell’artista così come
proposta a p.93).
38)
ASL, 40/13, atto del 6 gennaio 1665; il testamento
del Patitari è ai ff. 13-17 t.; la sua abitazione dovendo essere prossima
a quella dei Munittola, era vicina a quella del Coppola, probabilmente
sulla stessa strada.
39) Ma si potrebbe trattare di quella fronteggiante,
quella De Maio in corrispondenza della quale, in angolo, verso via Galateo,
è un’altra vasta residenza con ampi androni e scalone.
40)
ASL, 40/16, atto del 25 aprile 1701.
41)
ASL, 40/17, atto del 18 maggio 1701.
42)
I documenti sono in ASL, 40/27, atto del 28 aprile 1776. Un ulteriore
sepolcro con lapide e stemma marmorei è presente in S.Francesco d’Assisi
ai piedi dell’altare dell’Immacolata, cfr. E. PINDINELLI, Eugenio
Vetromile patriarca degli indiani, in Gallipoli. Fatti personaggi
e monumenti della nostra storia, Gallipoli 1984, p. 91 in nota.
43)
Cfr. ASL, 40/27, inventario del 12 gennaio 1747; il quadrocon la
“Beata Vergine ovato con cristallo et raggi di legno si conserva ancora
negli ambienti del vescovado.
45) La lite è riassunta nella Conventio del 4 aprile 1764,
in ASL, 40/27
46) Marito di Francesca Storti, era trapassato il
3 febbraio 1794; Cfr. l’atto cit. alla nota successiva.
47) Cfr. G. COSI, Un orologio da tavolo
costruito a Gallipoli nel ‘700, in “L’uomo e il mare”, n.6. 1986,
pp.17-19. Il Guarna è presente a Gallipoli almeno dal 1773, quindi è incaricato
di “risarcire il pubblico orologio”, cfr. ASL, Conclusioni dell’Università
di Gallipoli del
3aprile 1773, e definito “mastro orologiaio”.
48)
Illustrazioni in A.COSTANTINI, Guida alle ville cit, p.157-160.
49)
Cfr. ASL, 40/33, Inventarium del 23 febbraio 1795.
50) Cfr. ASL 40/33, Inventarium del 14 settembre
1784
51) Descrizione in ASL, 40/27, atto del 2
ottobre 1790.
52)
ASL, 40/31, atto del 13 settembre 1779.
53)
cfr. ASL, 40/33, atto del 13 marzo 1792.
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* *
Termina
qui questa sommaria rassegna dell’edilizia civile di Gallipoli dalla
quale emergono molti dati e, fra i primi la volontà dell’aristocrazia
di accaparrarsi i siti centrali della città, possibilmente l’arteria sulla
quale si attesta la Cattedrale e i pochi larghi pubblici.
Quando
questo non è possibile -ed è il caso dei Tafuri, dei Doxi-Stracca e dei
Romito - si conferisce alle facciate una inaudita verbosità tutta barocca
proprio per riscattare una condizione topografica ritenuta penalizzante.
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