CAPITOLO  III 

LA FORTUNA DEL CATALANO

NELLA LETTERATURA

 

E’ l’abate leccese G. C. Infantino (1634) a inaugurare, appena un decennio dopo la scomparsa del nostro pittore, la “fortuna” letteraria del Catalano come sintomo evidente di una fama che in vita - a differenza per esempio del d’Orlando - deve essere stata profonda grazie ad una vastissima produzione che si sintonizzò completamente con i gusti di una committenza variegatissima: nè si dimentichi come codesto “gusto” fosse sicuramente aggiornato, essendo Gallipoli, grazie ai suoi traffici mercantili, tra le città più “internazionali” del Viceregno.

Scrive infatti l’Infantino: “Nella tavola dell’altar maggiore vi è dipinta l’Assunta con gli Apostoli intorno; opera di Gio. Domenico Catalano eccellente pittore della città di Gallipoli, che l’anni a dietro fè fare Monsignor vescovo Scipione Spina per abbellimento della sua chiesa”(1).

Più entusiastico è il suo parere in quest’altro passo: “Hanno queste suore” - il riferimento è alla chiesa delle domenicane leccesi di S. Maria della Visitazione - “una picciola chiesa, nella quale è la cappella della Visitazione titolo di detta chiesa, lavorata di pietra leccese e posta in oro, con una dipintura in tela sopramodo bellissima, opra di Gio. Domenico Catalano, eccellente dipintore della città di Gallipoli, la quale fu eretta l’anni passati da suora Dianora Pisacane per sua particolare divotione...”(2).

In quest’ultimo passo si ricorda una terza tela eseguita nella chiesa leccese dei paolotti: “la seconda [cappella] de’ Celonesi con una egregia dipintura di S. Carlo Borromeo, opera di Gio. Domenico Catalano della città di Gallipoli”(3).

Alla fine dello stesso secolo è l’aristocratico storico-letterato di Gallipoli, Leonardo Antonio Micetti, a incaricarsi di perpetuare la fama pittorica del Catalano la cui produzione identifica criticamente con l’aggettivo “devota”(4).

Un documento dell’inizio del secolo successivo testimonia, a Gallipoli, come la memoria del pittore fosse ancora viva. Si tratta del già ricordato testamento, datato 1704, del ricchissimo prelato Domenico Antonio Pievesauli  nel quale sono annotati del Catalano, ed appartenenti alla propria famiglia, i quadri dell’Assunta “fatto accomodare per mastro Giuseppe De Franchis”(5) e quello “con l’immagine dell’Immacolata Concettione del Catalano con cornice negra e cartocci indorati” probabilmente disperso(6).

Nel 1724 Bonaventura da Lama nella sua Cronaca scrive che nella chiesa conventuale dei riformati di Minervino “il quadro dell’altare maggiore, opera, come dicono del Catalano di Gallipoli, fu fatto a  divozione di Ruperto Ventura” barone del luogo(7); questa chiesa fu edificata tra il 1624 e il 1628(8).

Nella seconda metà del ‘700, disperse le memorie cittadine di Tommaso e Filippo Briganti e di Giovanni Presta, il testimone passa ai viaggiatori stranieri.

Così  J.H.Von Riedesel, che il 1767 visita Gallipoli, nella cattedrale ammira “due quadri del Catalano, altro pittore gallipolino, che ha imitato la maniera del Parmigianino”(9).

Ma è ancora una volta un autore di Gallipoli - anzi naturalizzato gallipolino essendo nativo di Castiglione - nel primo decennio del XIX secolo, a ricordare in modo più efficace il nostro pittore del quale scrive: “Ottimo pittore fu parimente... Gio. Domenico Catalano: si vede il S. Andrea alla Cattedrale, il Crocifisso allo Spedale, l’altro simile a S. Chiara, e Maria SS. Assunta cogli Apostoli nel Duomo di Lecce. Vi è pure della Confraternita di S. Angelo in Gallipoli la Concezione dello stesso pennello”, opere che, come vedremo, gli appartengono tutte.

Spetterà infine al Ravenna, nella sua monografia del 1836, ritornare con più autorevolezza sul Catalano.

Nella brevissima biografia del pittore, il Ravenna ricorda un momento della sua vita che non è stato mai considerato dagli studiosi della sua opera.

Ecco il passo: “Tra i discepoli di pittura del Catalano vi fu un giovane di Gallipoli, il di cui nome mi è ignoto. Questi dopo di aver studiato sul disegno aveva già cominciato a colorire di primo abbozzo. Il suo maestro dov’è assentarsi dalla città per alquanti giorni, e lasciò al giovane allievo il quadro dell’Addolorata, ch’esiste nella chiesa del Carmine. Glielo lasciò semplicemente delineato, coll’incarico di darvi il primo colore. L’assenza del Catalano fu più lunga del tempo prefisso, ed il discepolo avea già terminato il travaglio prescrittogli. Benché sospettoso d’incontrare il dispiacere del Maestro, azzardò ritoccare e terminar questo quadro. Ritornò il Catalano, e se gli presentò il giovine anticipando le sue scuse, per l’ardimento che avea preso. Nè intese con poco gradimento la prevenzione, e volle osservar l’opera, rimanendone sorpreso e confermandosi nell’ottima riuscita di tal novello pittore. Fu però la prima ed ultima opera di questo giovine insigne, che dopo poco tempo finì di vivere(11).

Episodio, questo, rilevato anche dal Franza che nel suo bizzarro linguaggio così scrive: “Nella chiesa bassa [del Carmine] vi è un bel quadro con Cristo morto  la Vergine e San Giovanni, ed è la migliore opera del pennello d’oro di Catalano. Su questo quadro si racconta una pastocchia novella , cioè che un tal di casato Pescatore, pinse questa grand’opera in due soli giorni...”(12).

Descrivendo la cattedrale il Ravenna ricorda ancora la tela di S. Andrea Apostolo “opera del pittore Gio. Domenico Catalano nostro concittadino”(13); inoltre “due piccoli quadri laterali di D. Catalano pittore di Gallipoli” nella chiesa di S. Angelo, confraternita dei nobili(14) e la tela di S. Pancrazio nella “chiesa della Lizza”(15) che in un altro passo attribuisce “al pittore Domenico Catalano nostro concittadino”(16). Stranamente però accredita  al Coppola - ma sicuramente è una svista - la tela con i SS. Pietro e Paolo, datata 1590, nell’altare maggiore della chiesa delle clarisse(17), mentre di quella con “la Passione di Gesù Cristo” nella chiesa dei domenicani afferma “ch’è copia del Giordano”(18).

Per tutto il secolo non si andrà oltre le indicazioni del Ravenna, anzi rispetto a queste si farà qualche passo indietro.

 

1) G.C. INFANTINO, Lecce Sacra, Lecce 1634, p.7; la tela, ancora conservata, è quella eseguita per la Cattedrale di Lecce; inoltre L. GALANTE, Aspetti dell’iconografia sacra dopo il concilio di Trento, in “Ordini religiosi e società” ecc., v. II, Galatina 1987, pp-517-8.

2) Ibidem, p.83: questa tela è andata dispersa.

3) Ibidem., p.94; la tela è quella, autografa, eseguita tra il 1612 e il 1613 e ancora in situ (cfr. doc.23 dell’Appendice); questo dato conferma l’attendibilità delle precedenti asserzioni dell’Infantino.

4) L. A. MICETTI,  Ms. 36 BPL, f. 128: “Vi si vedono ancora in diverse cappelle molte pitture del devoto Catalano di Gallipoli, et una del vago pennello di Gio: Andrea Coppola nella propria mia cappella con sepoltura, et beneficio jus patronato di mia casa” (Tricase, chiesa matrice sotto il titolo di S. Maria del foggiaro)

...nella cappella del nome di Gesù (monastero dei domenicani) vi è una divotissima pittura del Catalano, cappella di Francesco Micetti con fraternità et beneficio. Jus patronato hoggi di Margherita Micettia mia moglie così della cappella e sepoltura come erede del medesimo mio cognato e suo fratello”;

f.442v. “nella chiesa di questo monastero vi sono molte pitture del famoso Catalano nostro cittadino, tutte d’ammirarsi”;

f. 92v. “...un sontuosissimo altare nella gran chiesa di s. Maria della Lizza con un quadro copiato dall’antiche immagini che stava pittate in  fresco nella medesima sua chiesa, esprimente l’ufficio che teneva vestito alla pontificale in atto di celebrar messa con diacono e suddiacono e con l’assistenza di molti clerici nella forma appunto che sogliono celebrare i vescovi de nostri tempi. Vi stà nel medesimo quadro pittata la città come quella ch’à lui stava soggetta...”.

5) M. CAZZATO - E. PINDINELLI, Dal particolare alla città cit., p.195; la tela è quella comunemente designata come Dormitio Virginis.

6) Ibidem, p.196; almeno che non la si voglia individuare nell’Immacolata proveniente dall’ex oratorio dei Nobili di  S. Angelo e ora custodita nel palazzo vescovile di Gallipoli; vedi infatti ciò che su questa tela scrive L. RICCIO nella sua Descrizione istorica della città di Gallipoli, ed.1996, p.58.

7) B. DA LAMA, Cronaca dei Minori osservanti riformati della Provincia di S. Nicolò, parte seconda, Lecce 1724, p.285; questo passo ha ingenerato, negli studiosi, diversi equivoci; qui conta soltanto sottolineare che l’attuale tela nell’altare maggiore di questa chiesa non è certo l’originale.

8) Ibidem, pp.283-84.

9) Cfr. J.H.VON RIEDESEL, Nella Puglia del ‘700, ed. a cura di T. Pedio, Cavallino 1979, pp.70-71.

10) L. RICCIO, Descrizione cit., p.58.

11) B. RAVENNA, Memorie istoriche cit., pp.517-18 nota 12; cfr., inoltre, la nota 14 a p.518.

12) L. FRANZA, Colletta istorica, Napoli 1836, p.74

13) Ibidem, p.330.

14) Ibidem, p.390; su questa confraternita cfr. E. PINDINELLI,  La congregazione dei nobili e la chiesa di S. Angelo, in Civitas confraternalis cit., pp.52-55.

15) Ibidem, p.436-37.

16) Ibidem, p.468.

17) Ibidem, p.382.

18) Ibidem, p.366: “copia” non consentita dalla cronologia.

19) C. DE GIORGI, in La Provincia di Lecce, vol.I, Lecce 1882, p. 58, scrive che nella cattedrale di Gallipoli, del Catalano esistono le seguenti opere: “un S. Andrea Apostolo, un S. Giovanni Battista, e la Madonna delle Grazie”, non accorgendosi che si trattava della medesima tela. Altrettanto inutilizzabile è la voce “Catalano” nell’ottocentesco Dizionario biografico degli uomini illustri di Terra d’Otranto, recentemente pubblicato (Manduria, 1999). Più interessante è la stessa voce che il Foscarini stese nel manoscritto Artisti salentini in corso di pubblicazione, dal quale hanno attinto a piene mani gli studiosi successivi come M. PAONE, nell’articolo Un dipinto inedito di G. D. Catalano in Lecce, apparso su “Studi Salentini”, XXIV, dicembre 1966, pp.391-94, a torto spesso citato.