CAPITOLO II
LA FAMIGLIA
E L’AMBIENTE
I Catalano non devono essersi affacciati alla
vivace realtà di Gallipoli prima del XV secolo; non ebbero perciò modo
di intrattenere solidi rapporti
parentali con la locale struttura sociale tanto che, come famiglia, appare
già estinta nella seconda metà del XVII secolo.
La fama di questo gruppo famigliare sembra temporalmente
coincidere proprio con quella dell’attività pittorica più significativa
di Giandomenico, ossia il quarantennio a cavallo tra XVI e XVII secolo,
che non a caso sono gli stessi decenni nei quali matura l’effetto di un
innegabile protagonismo della città rispetto agli altri centri salentini.
Se si considera che Nardò dal 1447 al 1561 triplica appena il suo peso
demografico, quando Gallipoli, invece, quasi lo decuplica, si avrà l’immagine
di un centro nuovo che con appena 600 abitanti a metà del ‘400, incarna
le spinte propulsive dell’economia salentina del XVI secolo.
Questa “spinta” che non si verifica nei vecchi
centri medievali (Copertino, Nardò) è anche la causa della resistenza
alla crisi demografica che a partire dagli ultimi anni del ‘500 esploderà
drammaticamente nel secolo successivo e in maniera generalizzata (1).
Abbiamo visto che con ogni probabilità il pittore
era nato verso il 1560 da Tommaso e Anna Berta. La famiglia che fu allietata
da tre altri figli, Ottavio, Francesco e Laura, tutti nati probabilmente
negli anni sessanta del secolo (2), viveva nel vicinato della cappella
di S. Luca detto pure “vicinato delli Catalani” perchè vi abitavano altri
nuclei famigliari con lo stesso cognome e sicuramente - siamo alla fine
del secolo - quelli di Nicola e di Stefano Catalano. Quest’ultimo è il
celebre autore del De origine urbis Gallipolis, nato verso il 1553
e scomparso a Gallipoli il 1620, come si evince dalla targa commemorativa
ancora esistente nella chiesa dei francescani riformati(3).
In quel vicinato risiedeva proprio Ambrosino Catalano(4), in un’abitazione contigua a quella della famiglia del
nostro pittore, che da Giulia Sabatino il 1598 ebbe Giovanni, il futuro
gesuita che si affermò come filosofo e predicatore sia a Lecce che a Napoli(5).
Erano personalità prestigiose che sicuramente
contribuirono all’affermazione di Giandomenico come protagonista della
pittura oltre i confini di Gallipoli: fama insidiata solo dal pittore
contemporaneo neretino Antonio Donato d’Orlando(6).
Specialmente Stefano, pratico e introdotto negli
ambienti culturali partenopei, deve essere stato il tramite per i soggiorni
“formativi” del pittore nella capitale.
Sposatosi in età matura, Giandomenico ebbe il
1597, da Porzia Lombarda, Giovan Tommaso e il 16 dicembre 1599 Giovan
Pietro. Entrambi i figli, e sicuramente il secondogenito, fecero parte
di una bottega che deve essere stata se non affollata almeno nutrita se
consideriamo la notevole produzione pittorica esistente che riconosciamo
essere solo una parte di quella che uscì realmente da quella bottega.
Che Giandomenico - sicuramente in vita il 1621
- sia diventato il personaggio di punta della sua famiglia è testimoniato,
tra l’altro, dal fatto che sia nel 1594 che nel 1614, è indicato a vario
titolo come responsabile dell’eredità di un cognato (Guglielmo Ragusa
marito della sorella Laura) e di un nipote (Gio. Paolo Ragusa figlio di
Laura)(7).
Il secondogenito
del Catalano, Giovan Pietro, sposa Elisabetta Mazzuci, appartenente ad
una delle famiglie non certo secondarie di Gallipoli e da questa ebbe
numerosa prole: Maria(8.12.1632) Porzia Maria (13.8.1634), Porzia Caterina
(1.12.1637) e Porzia (21.5.1639). Ma dal suo testamento che è datato 7
ottobre 1639(8), apprendiamo che l’unica figlia superstite risulta essere
Porzia Caterina, istituita sua erede universale sotto la tutela della
madre, avendo ella a quel tempo poco meno di
due anni.
Scomparsa anche Porzia Caterina il patrimonio
del padre passa alle nipoti, Giovanna e Laura, che sono costrette a mettere
all’asta quei beni per pagare i debiti dello zio(9): siamo negli anni sessanta del
XVIII secolo.
A fine secolo, esattamente il 1694, il legato
che aveva fondato Giovan Pietro Catalano, era andato a finire alle famiglie
Sansonetti-Castiglione, segno tangibile che i Catalano risultavano estinti(10).
Non così la fama di Giandomenico del quale, proprio
allo scadere del secolo, dal concittadino Leonardo Antonio Micetti, sono
ricordate le “molte pitture del devoto Catalano di Gallipoli” eseguite
a Tricase (11); mentre nel suo testamento del 1704, il ricchissimo
commerciante d’olio Domenico Pievesauli, ricordava ai suoi eredi che “non
si dilapidasse ma s’abbino a conservare” i suoi beni, in testa ai quali
c’era “un quadro con l’immagine dell’Immacolata Concettione del Catalano
con cornice negra e cartocci indorati”(12).
In precedenza, verso il 1685, il medesimo pio
testatore aveva fatto accomodare da “mastro Giuseppe de Franchis” il quadro
dell’Assunta che concordemente è ritenuto una delle prime e più acerbe
opere del Catalano(13).
Il nostro pittore scompare dopo il 1621 e prima
del 1627, probabilmente tra il 1624 e il 1626: anche per questa cronologia
sembra improponibile un alunnato del giovane Coppola presso la sua bottega
che tuttavia, come abbiamo visto, continuò con l’attività ancora sconosciuta
del figlio Gio. Pietro almeno fino al 1639(14) e che, provvisoriamente, possiamo
riconoscere nella consistente produzione attribuita convenzionalmente
“alla bottega del Catalano” risolvendo così, a livello di ipotesi di lavoro,
“certi irrigidimenti del segno, certe torpidità delle forme che appesantiscono”
una parte della produzione “catalaneggiante”(15) come, per esempio, la tela della
Visitazione nella chiesa delle clarisse di Gallipoli.
1) Per tutte queste annotazioni cfr. M.A. VISCEGLIA,
Territorio feudo e potere locale. Terra d’Otranto tra Medioevo ed età
Moderna, Napoli 1988, capitolo secondo.
2) G.COSI, Il notaio cit., p.97.
3) B. RAVENNA, Memorie istoriche, pp.531-32.
4) G. COSI, Il notaio cit., p.105.
5) B. RAVENNA, Memorie istoriche cit.,
pp.534-35.
6) Su questo pittore cfr. M. CAZZATO, A. D.
D’Orlando (XVI-XVII sec.), Nardò 1986, con bibliografia precedente;
recentemente è apparso un interessante articolo di L. MANNI, L’Annunziata
di Corigliano: un dipinto(1588) scomparso di A, D. d’Orlando, ne “Il
Bardo” del dicembre 1997, p. 9; la tela in questione, su commissione del
marchese di Corigliano G. Delli Monti, era destinata al locale convento
dei cappuccini e costituisce la prima opera sicura del d’Orlando.
7) Cfr. APPENDICE, docc. n. 4 e n. 29.
8) Cfr. APPENDICE, doc. n. 35.
9) G. COSI, Il notaio cit., p.105.
10) ACVG, Benefici, beneficio Catalano-Sansonetti-Castiglione
1694.
11) L. A. MICETTI, Memorie, in Tricase,
supplemento a “Rassegna Salentina”, a. II, n. 1, 1977, p.7, a cura di
A. COFANO-ANDRIOLO.
12) M. CAZZATO - E. PINDINELLI, Dal particolare
alla città cit., p.156.
13) Ibidem, p. 195.
14) Per la biografia del Coppola il contributo
più rilevante è in G. COSI, Altre notizie su Giovanni Andrea Coppola,
in Salento arte e storia, Gallipoli 1987, pp.81-95; contributo
del quale non potè avvalersi G. WIEDMANN nel suo saggio Considerazioni
su Giovanni Andrea Coppola in Ricerche sul Sei-Settecento in Puglia,
III, Fasano 1989, pp. 155-209. Nessuna novità si coglie invece in F. NATALI,
I Coppola nel ‘600, Taviano 1999, che si
basa essenzialmente su una bibliografia
non aggiornata.
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