Prodromi della “congiura dei baroni” negli avvenimenti gallipolini del 1484

di Elio Pindinelli

Come già per Otranto 4 anni prima, anche per Galli­poli, nel maggio del 1484, gli stranieri invasori trovarono praticamente priva di soccorsi la Terra ‘d’Otranto e addi­rittura sguarnita la città ‘di difensori, mentre l’armata del re di Napoli al comando del figlio primogenito di lui Alfonso duca di Calabria era impegnata ‘contro Venezia a difesa delle ragioni del duca d’Este.

Anche in quel fatidico mese di luglio dell’anno 1480, quando i turchi al comando di Ahmed Pascià assalirono e presero con grandissima strage di uomini la città di Otranto, Alfonso al comando degli eserciti regio e papale campegg]ava a Siena, e scendendo p’recipitosamente verso Terra d’Otranto dovette abbandonare la lusinga del do­minio sulla terra di Toscana, giacchè “di natura all’armi inclinato, di niuna cosa mostrava esser più vago che di ac­cendere guerre in diverse parti dell’italia; mediante le qua­li avesse occasione di acquistar foma, gloria e stato”. (1)

Ferdinando I, dopo il suo secondo matrimonio con la ‘cugina Giovanna, ‘figlia di Giovanni LI di Aragona e di Sicilia, che lo affrancava delle pretenzioni dello zio sul Regno di Napoli, aveva inaugurato, assecondando in que­sto la naturale inclinazione del figlio Alfonso, una politica volta al consolidamento del potere ed all’estensione del dominio di Napoli su altri Stati italiani. Una politica che doveva necessariamente contare su sicure e solide alleanze e su di un esercito continuamente mobilitato. Per procu­rarsi le prime Ferdinando aveva concessa in sposa al du­ca d’Este Ercole, signore di Ferrara, la figlia primogenita Eleonora (1474) e successivamente nel 1476 l’altra figlia Beatrice a Mattia Corvino re di Ungheria, forse nella recondita speranza così di intimorire, per l’ideale accerchia­mento, la repubblica di Venezia, la più tenace e sospettosa rivale di Napoli.

E sul figlio bastardo don Alfonso, Ferdinando aveva puntato per il possesso di Cipro.

A questa politica di predominio faceva però riscontro, in campo interno, un erario ormai ridotto al lumicino per soccorrere il quale insostenibili erano divenuti i gra­vami fiscali imposti, destinati a mantenere la gente d’arme al servizio del duca di ‘Calabria eternamente impegna­to al di fuori dei confini del regno in continue azioni di guerra.

E d’altronde questa politica di espansione, portata avanti da Ferdinando, aveva insospettito quasi tutti gli Stati italiani, soprattutto quello veneziano il quale, come nel 1480 non aveva esitato, in combutta coi fiorentini, per allontanare da Siena e quindi dal settentrione italiano il primogenito del re di Napoli, a sollecitare l’intervento turco ad Otranto, così nel 1484 volle ripetere lo stesso atto strategico inviando in Puglia l’armata navale al co­mando del generale Giacomo Marcello “disegnando la Si­gnoria che la guerra, ch’ella aveva in Lombardia in sua casa, fosse tratta in Puglia  per divertire le forze del Duca di Calabria a difesa dei suoi stati”. (2)

Non si era curato però Ferdinando, dopo aver elimi­nato anche fisicamente i due più potenti baroni del regno, il principe ‘di Rossano Marino Marzano e il principe di Taranto Giovanni Antonio Orsini, di ristabilire, come era naturale, un più sereno rapporto con i feudatari del re­gno, i quali comunque rappresentavano la forza dello Stato. Invece, succube del figlio Alfonso, che predicava doversi abbassare le prerogative e le fortune dei baroni, molti dei quali avevano accumulato beni fino a gareggia­re con lo stesso re, aveva inaugurato una prassi volta ad impinguare e dotare la corona a danno delle più presti­giose famiglie baronali del regno, creando ed alimentando con ciò odi e desideri di rivincita radicati che tarderanno a spegnersi. (3)

Ed i baroni per tutta risposta, forse aspettando un capo che mancò, in cui riconoscersi e nel nome del quale tentare la riscossa, si strinsero in formidabile lega tra loro nel vincolo della più stretta parentela. (4)

E questo della parentela a noi è sembrato l’elemento chiave per comprendere a pieno gli avvenimenti che poi si andranno a sviluppare dal 1484 al 1487, quando iniziò a manifestarsi esplose e poi nel sangue barbaramente fu soffocata quella che passò alla storia come “la congiura dei baroni”. (Cfr. tavole di appendice).

La storia vuole che i baroni ribelli a re Ferdinando stringessero in un patto di azione le loro fila nel 1485, anno in cui, con l’occasione del matrimonio della figlia del duca di Capaccio con il figlio di Giovanni Caracciolo, Troiano, tutti i congunti convennero a Melfi per misurar­ne le forze e decidere una condotta comune di lotta. (5)

Ma eravamo ormai in tempi di pace quando, termi­nata la guerra di Ferrara, il duca Alfonso aveva fatto il suo trionfale ritorno a Napoli facendosi precedere da moz­zi che spazzavano il terreno su cui egli doveva passare: chiarissima allusione a ciò che il duca di Calabria ed erede al trono aveva intenzione di fare coi baroni. (6) E biso­gnava quindi alla fine pur agire.

Ma quando era scoppiata la guerra con Ferrara e Ve­nezia aveva portato le sue offese in Puglia, allora doveva all’interno del regno di Napoli, necessariamente succedere qualcosa.

D’altra parte c’era stato chi, senza indugiare, aveva deciso di agire subito, come quel Salvatore Zurlo, barone di Salice e Guagnano, che già dal 1483 preferì con 13 uo­mini d’arme mettersi al servizio di Venezia per la quale già militava il duca. di Lorena pretendente al trono di Napoli. (7)

E in questa chiave a nostro avviso è da interpretare il comportamento del conte di Ugento e duca di Nardò, Anghilberto del Balzo, il quale concluso l’assedio venezia­no di Gallipoli, “mandò in quella città al vice capitan ge­nerale a offerirgli la città di Nardò [...] e i castelli Gala­tene, Paravera, Racona, Lista e Sacardo”. (8)

Certo un comportamento di tal fatta potrebbe anche essere interpretato nel senso che Anghilberto volle evitare per le sue terre quelle devastazioni e rovine che altrove (vedasi S. Vito e Carovigno) i veneziani avevano portato (9); o forse i motivi erano ambedue. Vero è che una annotazione inserita negli “Annali” del Malipiero, ci induce a riportare il comportamento del conte di Ugento in una logica più complessa.

Ci piace infatti credere che proprio Anghilberto abbia intravisto nel momento l’occasione propizia dell’insperato aiuto veneziano, per scalzare finalmente dal trono di Napo­li Ferdinando, con la complicità degli altri baroni t’ra loro legati dal vincolo del sangue.

Riferisce infatti il conquistatore di Gallipoli: “el Malipiero hebbe in otto zorni, oltre Galipoli e Nardò, Lopor­tino e XXII castelle, mentre i Principi di Bisignan e de Rossan, e il marchese de Bitonto ghe fece saver che i vo­leva intenderse con esso, e far rebelar in un zorno altre sessanta città al re”. (10)

Un fatto questo, e non potremmo trovare ragioni per smentirne la fondatezza provenendo l’affermazione da chi di quegli avvenimenti fu magna pars, che ci illumina e del comportamento di Anghiberto del Balzo e dei suoi inne­gabili collegamenti con gli altri baroni.

E a Lecce si trovava quel marchese di Bitonto citato dal Malipiero, Andrea Matteo Acquaviva nipote di Anghil­berto (11), dove era giunto con numerosi altri baroni in­viati dal re per la difesa di Terra d’Otranto (12). E non è un caso che l’Acquaviva parli o faccia parlare un suo messaggero con la bocca anche del principe di Bisignano, (suocero della sorella Paola sposa di Onorato Sanseverino), capo riconosciuto della congiura, Geronimo di Sanseverino, (13) e perchè no anche di quel principe di Rossano, Ma­rino Marzano (e ciò è sintomatico), che da alcuni anni, con il figlio Giovan Antonio, languiva nelle regie galere e al quale il re aveva confiscato i beni. (14)

D’altra parte il progetto poteva avere una forte pos­sibilità di riuscita, anche perchè l’Acquaviva non era solo in Terra d’Otranto. Con lui a Lecce campeggiavano il duca di Melfi, Giovanni Caracciolo, suocero di Giovan Paolo del Balzo figlio di Anghiiberto, ‘(15), Pietro de Guevara, mar­chese di Vasto genero di Pirro principe d’Altamura, fra­tello del conte di Ugento (16), Inico d’Avalos, conte di Monteoderisio, la cui figlia Costanza aveva sposato Fede­rico figlio di Pirro e nipote di Anghilberto (17). C’era inol­tre Giovanni Sanseverino, conte di Tursi fratello del princi­pe di Salerno, Antonello, nipote del principe d’Altamura (18).

E se vogliamo c’era, perchè dell’accordo doveva far parte almeno al momento, essendo cognato del principe di Salerno per averne sposato la sorella Giovanna, nipote quin­di di Pirro del Balzo, il conte di Consa, Luise Gesualdo (19).

Poi dal Salento la rivolta si sarebbe estesa in tutto il regno dai centri maggiori controllati dai baroni.

Un progetto non impossibile, che poteva essere facil­mente coronato da successo innanzitutto perchè Alfonso era lontano in Lombardia con l’armata di terra, a Napoli l’armata di mare era sotto il controllo del duca di Sarno (tra i principali congiurati contro il re) e si apprestava a portarsi in Terra d’Otranto, (20) ma soprattutto vi era il duca di Lorena a cui i baroni potevano legittimamente riferirsi per una successione al trono di Napoli.

Purtroppo poi, anche se l’arrivo dell’armata vene­ziana nel Salento non spaventò, almeno sulle prime, Fer­dinando I, terrorizzò però il duca di Bari, Ludovico Maria Sforza, al cui intervento fu dovuta quasi subito la pace di Bagnolo ‘(7.8.1484) (21), e svanì con essa la possibilità (forse la più concreta) di realizzare quel progetto che qualche anno dopo avrà tragica conclusione per quasi tutti i congiurati (22).

NOTE AL TESTO

1)  Camillo Porzio, Della congiura de’ baroni del regno di Napoli contra il re Ferdinando I, Napoli, Domenico De Feo, 1875, p. 5.

2)  Andrea Navagero, Storia della repubblica veneziana. In: Rerum Italicarum Scriptores, Milano, 1733, t. XXIII col. 1187.

3)  Il re di Napoli aveva investito del titolo e dei beni apparte­nuti al principato di Squillace, del principe di Rossano, il pro­prio figlio Federico d’Aragona poi principe di Taranto, del titolo e dei beni appartenuti al conte di Catanzaro, AntDnio Centelles, il figlio naturale Enrico d’Aragona, e dei beni di Rug­gerone Accrocciamuro, padrone di Celano, il genero Antonio Pic­colomini. Dopo la morte del Principe di Taranto aveva ritenuto per la corona tutti i beni spettanti ad Anghilberto del Balzo, al quale toccava la successione al titolo per avere sposato la primogenita di Giovanni Antonio Orsini. Stesso trattamento ri­serverà poi Ferdinando a Pietro De Guevara, al quale spettava la successione al principato di Altamura per aver sposato la figlia maggiore di Pirro del Balzo, Gisotta Ginevra. Il re ne aveva invertito il diritto di successione a favore di Isabella futura moglie di suo figlio Federico. Cfr. Regis Ferdinandi I Instructionuni liber, a cura di Luigi Volpicella, Napoli ,1916, pp. 214, 235, 317, 345; Michele Paone, Arte e cultura alla corte dl Giovanni Antonio del Balzo Orsini. In: Studi in onore di Giu­seppe Chiarelli, voi. Il, Galatina 1973, p. 60 n. 7. Giovanni Papuli. Documenti editi ed inediti sui rapporti tra le Università di Puglia e Ferdinando I alla morte di Giovanni Antonio Orsini. In:      Studi in onore di Nicola Vacca, Galatina 1971 p. 377.

4)  Cfr. P. Litta, Delle famiglie nobili napoletane, Napoli, 1847; L. Volpicella, Note biografiche dei personaggi nominati nel libro delle istruzioni, in app. a Regis Ferdinandi I instructionum liber cit.; Luigi Tasselli, Antichità di Leuca, Lecce, Micheli, 1693; Roge­ri de Pacienza, Opere a cura di Pietro Marti, Milella Lecce, 1977. De Raho, Peplus Neapolitanus, Mosca, Napoli, 1710.

5)    Camillo Porzio, cit., p. 32.

6)    Notar Giacomo, cronica di Napoli, Napoli, stamperia reale, 1845, p. 153.

7)  Cfr. L. Volpicella, Note biografiche, cit. p. 462.

8)  Navagero, cit. col. 1188.

9)  Cfr.G. Guerrieri, Le relazioni tra Venezia e Terra d’Otranto fino al 1530, Trani, Vecchi, 1904, p. 58.

10)  Domenico Malipiero, Annali veneti dal 1457 al 1500, ordinati da F. Longo. In: “Archivio storico italiano”, t. VII, p. 284-5.

11)  Luigi Volpicella, cit., p. 215.

12)  Con gli altri baroni Ferdinando I aveva inviato in soccorso di terra d’Otranto invasa dai veneziani il figlio Ferdinando Vincenzo, principe di Capua, con il nipote Cesare, Marino Bran­caccio, Rinaldo Ferramosca, Luise Di Loffredo e Giovanni Ca­striota conte di MonteSant’Angelo. Cfr. Ibidem, ad nomen.

13)  Cfr. Elenco dei congiurati in: Porzio cit., p. 33.

14)  Luca De Rosis, Cenno storico della Città di Rossano e delle sue nobili famiglie, Napoli, Mosca, 1838, pp. 70-2; Luigi Volpicella, cit.. p. 359.

15)  Ibidem, p. 300.

16)  Ibldem, p. 345.

17)  Ibidem, p. 271.

18)  Ibidem, p. 429.

19)  Ibldem, p. 342.

20)  Notar Giacomo, cit., p. 151.

21)  Ottavio Albino, Lettere istruzioni ed altre memorie de’ Re Ara­gonesi, Istruzione 16-6-1484, p. 84, In: Raccolta di tutti i più ri­nornati scrittori dell’Istoria generale del Regno di Napoli, torno V, Gravier, 1769.

20)  Tra il marzo ed il luglio del 1487 furono catturati ed irnpri­gionati in Castel Nuovo di Napoli la maggior parte dei con­giurati tra i quali Salvatore Zurlo, Pirro del Balzo con il fi­glio Beltrando, Anghilberto con i figli Giovan Paolo e Gu­glielmo, il duca di Melfi e il principe di Bisignano. Pietro De Guevara era stato avvelenato qualche anno prima e Andrea Matteo Acquaviva era scampato all’arresto per intercessione del duca di Amalfi, genero del re. I figli naturali di Pirro e Anghil­belto del Balzo con Salvatore Zurlo sopravviveranno al mas­sacro eseguito la notte del capodanno del 1491 quando “li ba­runi del regno quali stavano carcerati mio castello novo erano stati amazarati in mari” (Notar Giacomo cit., p. 171). Sui figli naturali di Pirro e Anghiiberto del Balzo Cfr. Rogeri de Pacienza, cit., pp. 111 e 262.

21)  Notar Giacomo, cit., p. 151.

22)  Ottavio Albino, Lettere istruzioni cit., Istruzione 16-6-1484, p. 84,