INTRODUZIONE
In
Civitas Confraternalis(1) si cercò di sistematizzare - tra l’altro - e in ordine
strettamente cronologico, il fenomeno dell’architettura religiosa di
Gallipoli - specialmente quello di committenza confraternale - nel suo
fondamentale ruolo di definizione della facies barocca, specialmente
tra XVII e XVIII secolo, che per questo conoscerà la più radicale e
duratura trasformazione d’immagine della sua lunghissima storia(2).
E
tuttavia questa straordinaria mutazione operata attraverso quest’architettura
religioso-devozionale, proprio per il suo carattere “specialistico”,
non poteva che marginalmente influenzare - su di un piano strettamente
formale - l’architettura civile per quanto siano gli stessi, artefici,
organizzazione del cantiere, materiali edilizi e tecniche costruttive.
Assistiamo
perciò, a differenza di quanto avveniva per esempio nello stesso periodo
a Lecce, ad uno sviluppo parallelo dell’architettura religiosa e dell’architettura
civile che se sono soggetti naturalmente ai medesimi fenomeni economici,
hanno esiti formali sostanzialmente diversi.
Non
si tratta della solita differenza tra architettura religiosa “ridondante”
e architettura civile povera: tutt’altro. Se escludiamo il caso della
cattedrale, che ha un esterno fastoso, in parte di gusto zimbalesco(3), la ricchezza
degli edifici religiosi di Gallipoli
è confinata quasi esclusivamente nell’elaborata articolazione pittorica
dello spazio interno; nell’architettura civile, invece, ciò che conta
è la superficie esterna che si carica oltremodo di “segni” alla ricerca
di una riconoscibilità senza esitazioni, chiaramente espressiva dello
status del dovizioso committente. Ed erano committenze completamente
diverse: quella religiosa esprimeva, o voleva esprimere, la pietas secolare e profonda del popolo di Gallipoli; quella civile, proprio
per la complessa composizione del suo tessuto socio-economico, si dimostra
più articolata, più aperta nei confronti di “gusti” e delle mode con
orizzonti, quindi, ben più vasti.
E’
come se per le due serie architettoniche, la religiosa e la civile, adottino due diversi statuti.
Per valutare quanto e come le due serie si differenziano
è necessario, per quella civile, operare
una sorta di analisi strutturale cercando di individuare gli elementi
suoi più ricorrenti e perciò peculiari, trascurando quelli più complessi
o di difficile lettura (per esempio la tipologia).
E’
un tipo di analisi che definisce in itinere il suo oggetto perchè
nulla può essere dato per scontato: né il dato formale, né quello storico.
Per non parlare del problema delle attribuzioni.
In
conclusione, questa ricerca mira, come si vede, a definire il carattere
profondo dell’architettura civile di Gallipoli e gli elementi strutturali,
anche e soprattutto minimi, che quel carattere strutturano(4).
Il
passaggio da questi elementi alla città e da questa al territorio è
autorizzato proprio dalla loro comprensione profonda, dal loro legarsi
a precise gerarchie formali, a inaspettati ambiti architettonici.
Si
parla di Gallipoli: ma da quest’analisi sarà confermato il dato, in
parte acquisito, che la città ionica è il centro di una vasta area comprendente
numerosi centri del retroterra: Alezio, Tuglie, Taviano ma anche Parabita,
fino a Matino partecipano della medesima condizione.
Allontanandosi
da questi centri la facies architettonica gradatamente assume
connotatti completamente diversi: pensiamo all’architettura di un centro
come Maglie.
Per
sottolineare il carattere didattico di questo lavoro, abbiamo voluto
riprodurre, alla fine, due opere di Stefano Catalano, poligrafo gallipolino,
vissuto tra il XV e il XVI secolo.
La
prima è l’epistola intitolata De origine urbis Callipolis, composta
intorno al 1594, come ha osservato I. Nuovo; la seconda, più o meno
coeva, è la Descrizione della città di Gallipoli.
Entrambe
furono edite la prima e l’ultima volta da Michele Tafuri a Napoli, per
i tipi di Vincenzo Ursini il 1793.
Sono
opere costantemente citate ma, come dimostra una recente opera sulle
origini precristiane di Gallipoli, mai concretamente utilizzate come
il passo, estremamente importante, della Descrizione di tutta Italia
del domenicano Leandro Alberti (1525 ca.).
La
rarità dell’edizione settecentesca ci ha convinto della bontà della
riproposizione ad un pubblico più vasto, per quanto sia evidente la
necessità di un’edizione critica della stessa, procedendo innanzitutto
dal modello letterario di riferimento, la più nota Callipolis descriptio,
dal Galateo composta tra il 1513 e il 1514, ma pubblicata postuma il
1558.
M. Cazzato - E. Pindinelli
1)
E. PINDINELLI, M. CAZZATO,
Civitas confraternalis. Le confraternite a Gallipoli in età barocca,
Galatina 1997.
2) E purtroppo, come è noto, di questa lunga storia
oggi avanza pochissimo del periodo precedente il XVI secolo; per il
periodo medievale è fondamentale A. JACOBS, Gallipoli bizantina,
in Paesi e figure del vecchio Salento, III, a cura di A. De Bernart,
Galatina 1989, pp.281-312, dove tra l’altro è ribadito come l’assedio
angioino del 1269 se non distrusse la città, la prostrò talmente che
i suoi vescovi vi ritornarono dopo un secolo; cfr., inoltre, A. ACCONCIA
LONGO, L’assedio e la distruzione di Gallipoli (1268-69),
in “Archivio storico italiano”, 1988, pp.3-22.
3) Nonostante la bibliografia, anche recente, non
si può segnalare un lavoro soddisfacente sulla cattedrale; cfr., comunque,
la sintetica ma buona scheda di A.CASSIANO, in Santa Croce
e le stelle del barocco, Roma 1990, pp.28-31 e M. CAZZATO,
Note documentarie sull’architettura di Gallipoli tra ‘500 e ‘600,
in “Nuovi Orientamenti”, 1983 n. , pp.79-80
4)
Gli studiosi più accorti del fenomeno architettonico
salentino, tra XVI e XVIII secolo, hanno individuato due “maniere” ben
distinte, la maniera leccese e la maniera neretina; perciò
in un’ottica metodologica che cerca di collegare storia e geografia,
si dovrebbe parlare anche di maniera gallipolina, individuando
il distretto territoriale nel quale siffatta maniera si esplica; cfr.
M. CAZZATO, Rapporti tra centro e periferia: il caso di Nardò-Galatone-Seclì,
Nardò 1988.