Trasformazioni urbanistiche e peggioramento delle condizioni igieniche:

Malattie reali e presunte (“Tarantolismo”)

In poco meno di  un secolo la popolazione di Gallipoli raddoppia passando da 6.000 a 12.000 abitanti circa(1). In relazione alla densità della struttura edilizia tale congiuntura assume connotati di straordinarietà per diversi fattori.

E’ noto come il sito della città antica per gli evidenti condizionamenti topografici(2) ma pure giuridici(3), non poteva contemplare nessuna ipotesi, anche remota, di ampliamento.

Ribaltando così una delle caratteristiche strutturali della città medievale nella quale l’edilizia si squalificava progressivamente procedendo verso la periferia.

Questo fenomeno, ossia l’assorbimento ad una produzione edilizia prestigiosa, si rafforza nelle ricostruzioni se-settecentesche degli insediamentireligiosi più antichi (riformati, domenicani).

Già la cartografia cinquecentesca, come a maggior motivo quella successiva, mostra una città ad alta densità edilizia il cui sito è interamente occupato da una fitta maglia di costruito, quasi senza soluzione di continuità, avendo saturato ogni vuoto.

E’ la sola città i cui palazzi raramente sono provvisti di giardini . Anche se gran parte degli insediamenti confraternali postridentini (le confraternite della Purità e delle Anime per es.) saturano spazi giardinati e (4), collocandosi  ai bordi del centro abitato, proprio sul suo circuito perimetrale, di fronte alle mura, pur di avere lo spazio necessario sul quale fare prospettare le facciate delle chiese.

Abbiamo già dimostrato che la ricostruzione della chiesa del Crocefisso e quella della Chiesa del Rosario erodono ancora di più il tessuto residenziale che sembra assottigliarsi sempre di più quando in città si insediano le teresiane (quasi di fronte alla Cattedrale, alla fine del XVII secolo), e si innalza quasi contemporaneamente il vasto Seminario e il Conservatorio dell’Addolorata, poi di S.Luigi; fondazioni realizzate tutte su un tessuto residenziale altamente stratificato.

L’insieme di questi fattori provoca, insieme ad una favorevole congiuntura economica che tra alti e bassi data dalla seconda metà del XVII secolo, una radicale trasformazione dell’immagine della città che ormai può crescere solo in altezza e attraverso  una parcellizzazione sempre più fitta delle singole unità edilizie.

E’ all’interno di questo lungo e inesorabile fenomeno che devono essere inserite le due “operazioni immobiliari” del ricco Capitolo locale che a metà del XVIII secolo immette sul mercato degli affitti, dopo averli ristrutturati, due “comprensori di case dirute”, entrambi sviluppati su due livelli.

Conseguenza diretta di questo progressivo affollamento demografico ed edilizio è il peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie della città.

Fra i primi ad accorgersi di questo è, nel 1789, il De Salis Marschlins che così testualmente annota: “Gallipoli è un piccolo paese di 7.000 abitanti, con strade sporche e strette(5).

E non era certo una forzatura se nella sua Relazione del 1791 il Galanti scrive: “la città di Gallipoli è piccola e niente pulita, gli abitanti vivono stivati su di uno scoglio di tufo e sono in gran parte travagliati dalla scabbia”.

Quando nel 1764 il vescovo Ignazio Savastano cercò di impedire il proseguimento della sopraelevazione del palazzo dei fratelli Doxi-Stracca che fronteggiava sull’attuale Via Micetti, quello vescovile, era motivato dalla necessità di “un respiro più libero d’aria”, per se stesso e per “i suoi successori”; all’opposto i Doxi reclamavano la necessità di quei lavori  “per essere la città molto angusta” e per essere diventata comunissima la pratica di sopraelevare gli edifici non solo al primo ma  anche al secondo piano(6).

Nella sttaistica del 1811 la scabbia è ormai ritenuta “endemica e frequente a Gallipoli”, attribuendola proprio “alle strutture delle case poco ventilate ed alla sporchezza delle medesime”(7).

E’ un quadro allarmante che è destinato a peggiorare se è vero, come è vero, quanto scrive il Riccio: “le donne del popolo basso abitar sogliono in camere a piano terreno, e talor più profonde, ed in vichi stretti, e più abitati da simili a loro. Caggionan così lordura in siffatte strade, e ne avvengon oppilazioni, ostruzioni ed infezioni di visceri, di nervi, capogiri ed umor malinconico. Credendo pertanto esser morse dalla tarantola ballano due o tre giorni(8).

Gallipoli è probabilmente l’unica realtà dove il controverso fenomeno del tarantolismo - qui documentato dal XVI secolo - assume, diversamente da altrove, e necessariamente, una connotazione “urbana”.

E’ documentato infatti nella citata statistica che un abuso “nocevole alla salute degli abitanti,,, e la poca cura di tenersi le case nette dalla tela di ragno in cui si annidano tarantole rabbiose”; questo a giudizio di un “dotto fisico(9).

L’esaltazione dei valori municipalisti provoca nelle Memorie Istoriche del Ravenna una sorta di rimozione per questi aspetti negativi della realtà gallipolina e gli impedisce di trarre le dovute conclusioni da questa sua elementare osservazione: “gli edifici... sono alti e quasi tutti in duplicati e triplicati apoparetamenti compensandosi così l’angustia del circuito e la necessità delle abitazioni(10).

Ben diversa è invece la posizione di Giuseppe Castiglione che il 1853 pubblica la lunga voce Gallipoli su Il Regno delle Due Sicilie descritto e illustrato diretto dal Cirelli(11), che così quasi esordisce: “E’... da rimpiangersi la mancanza di nettezza in una città che per topografiche condizioni esser dovrebbe modello di pulitezza. Mentre il mare è sempre pronto ad assorbire le immondezze, queste veggonsi agglomerate sulle strade e sulle mura di cinta...(12).

Tra le malattie dominanti legate a questa deplorevole situazione igienica c’è la scrofola originata “dalla mancanza di aria ossigenata... nell’abuso della voluttà e della miseria”. La scabbia, altra malattia endemica, costituiva per i gallipolini “un vero flagello”, anche se l’abitudine “de’ bagni marini” aveva ridotto i suoi terribili effetti(13).

Due funeste epidemie di tifo petecchiale, una del 1804 e l’altra del 1848, contribuirono non poco a quel fenomeno di regresso demografico che caratterizza la prima metà del XIX secolo rispetto agli ultimi decenni del secolo precedente (14).

Ma per quanto alla scienza medica del tempo rimanevano ignote “le cause di tale funestissima malattia”, benchè “a tutta oltranza combattuta dai chiari professori dell’arte salutare Emanuele Garzya  e Rocco Mazzarella”, al Castiglione pare che una di queste vada individuata nelle condizioni abitative del popolo; “la città”, scrive, “limitata da mura brevissime non può dare ampia abitazione a tutti i cittadini: le ultime classi, quindi, son dannate a starsene raggomitolate in anguste e luride stamberghe prive d’aria e di luce, umide da parere una gora, insozzate ed affumicate da rassomigliar le capanne di lapponi e degli esquimesi. Veggonsi de’ bugigattoli che hanno appena 16 a 20 palmi di estenzione, contenere una famiglia di 10 o 12 individui, ammonticchiati confusamente sulla sudicia cuccia che prende il nome di letto. Individui di, diversa età e di diverso sesso, tutti chiusi nell’angusto carcere, tutti sdraiati sul medesimo strame, privi d’aria respirabile, e talvolta privi di pane. Qual meraviglia se in tali deplorabili condizioni la sanità soffre detrimento gravissimo? Migliorare quindi le abitazioni del povero sarebbe un potente mezzo igienico(15).

E’ evidente che al Castiglione non era sconosciuto il dibattito europeo che proprio in quei decenni cercava di dare una risposta ai problemi delle trasformazioni urbanistiche provocati dalla rivoluzione industriale(16).

In Castiglione, tuttavia, la ricerca di soluzioni ha un’origine spiccatamente moralistica; la sua formazione letteraria gli impedì di individuare soluzioni tecniche praticabili, nè si accorse che a questo scopo poteva dare, come sarà, un serio contributo la costruzioone del sospirato Borgo che pur tra mille difficoltà burocratiche e politiche muoveva già i primi passi (17).

Solo quando il Borgo sarà una realtà, la tarantola, a Gallipoli, cesserà di mordere.(18)

1) S. BARBAGALLO, Un mercato subalterno. Economia e società a Gallipoli nel ‘700, Galatina 1998, p.19: Opera utilissima specialmente nell’elaborazione dei dati offerti dal Catasto onciario, ma carente nell’interpretazione dei fenomeni economici; probabilmente, per alcuni versi, il “mercato” di Gallipoli è subalterno; ma quale altro “mercato”, a livello periferico, mostra la vivacità di quello gallipolino?

2) A. DE FERRARIS(Galateo), nella Callipolis Descriptio che è del 1513, ma pubblicata nel 1558, Gallipoli appare, com’era, una vera e propria isola (“non peninsulam sed vere insulam”) a forma di padella (“in formam sartaginis”), concetto che sarà ripreso da gran parte degli scrittori successivi.

3) Su tali condizionamenti cfr. F. D’ELIA, Le servitù militari su la città di Gallipoli, Gallipoli 1912; inoltre C.M.SALADINI, Gallipoli in “Storia dell’arte italiana. Inchiesta sui centri minori”, Vol.VIII, Torino 1980, da pag. 358.

4) E. PINDINELLI, M.CAZZATO, Civitas confraternalis etc., Galatina 1997.

5) Cfr. il suo Nel Regno di Napoli. Viaggi attraverso varie provincie nel 1789, nell’ed. di Galatina del 1979, pag.105.

6) ASL, 40/27 atto del 21.4.1764.

7) Cfr. la “Statistica” del Regno di Napoli nel 1811 a cura di D. DE MARCO, t.II, Roma 1988; p.188.

8) Passo della terza sezione della più volte ristampata Descrizione istorica della città di Gallipoli, di L.Riccio.

9) Cfr. Statistica cit., p.187.

10) Cfr. Memorie Istoriche etc., p.39; a tal proposito il Ravenna scrive (nota 7, p.39) che “per l’angusto circuito della città, incapace a contenere comodamente la sua popolazione si richiese e si ottenne il permesso sovrano di costruire un Borgo sul prossimo continente”; il progetto fu eseguito dall’ingegnere idraulico Vincenzo Ferrarese “nostro concittadino”.

11) Ristampata nel 1984 nel primo numerto dei Quaderni di “Nuovi Orientamenti” (di Gallipoli).

12) G.CASTIGLIONE, Gallipoli, cit. alla nota precedente, p.7.

13) Ibidem, pp. 7-8.

14) Ibidem, pagina 8; Un mercato subalterno, cit. p.19.

15) Gallipoli. cit., pp.8-9.

16) Su questa problematica è ancora utile L.BENEVOLO, Le origini dell’urbanistica moderna, Bari 1968.

17) Su quest’argoimento cfr., ora, il documentato saggio di A.PERRELLA, Gallipoli, vicende urbanistiche del “Nuovo Borgo”, pres. di E. Pindinelli, Aradeo, 1993.

18) Non così, invece, nei centri dell’hinterland di Gallipoli, cfr. E. DE MARTINO, La terra del rimorso, Milano 1966, per quelli di Taviano, Matino, Tuglie, e Alezio.