Bruno Costa
1945 - 2000
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Nella Valle c’era nato e vissuto, la conosceva nell’angolo più recondito avendo percorso decine di volte i suoi sentieri, visitato le sue ville e le sue chiese. Le osservazioni e le impressioni personali cercava di integrarle con la lettura critica dei testi ove era possibile trovare frammenti della storia locale. Ben presto questo non fu più sufficiente. Gli argomenti trattati si ripetevano e, immancabilmente, risultavano ricavati da quel paio di antichi volumi che, più degli altri, avevano indagato sul territorio. Ma anche in essi trovò delle contraddizioni o, perlomeno, delle risposte mancanti e dei dubbi.
All’inizio fu quasi per gioco. Si risolse di reperire le risposte che cercava proprio nei documenti originali, quelli che secondo lui, data la relativa importanza storica della sua zona, nessuno aveva mai consultato.
L’Archivio di Stato di Firenze fu l’inevitabile meta, la prima fonte di ricerca. Tutto all’inizio sembrò difficile, dal reperimento delle fonti alla loro interpretazione.
Per chi è venuto in contatto con quel tipo di documenti (estimi, catasti, decime, etc.) di carattere essenzialmente fiscale conosce le difficoltà della loro decifrazione, soprattutto per i più antichi, trecenteschi e quattrocenteschi, scritti in un italiano arcaico (se non in latino), con calligrafie desuete e inchiostri in parte dissolti dal tempo, farciti da abbreviazioni incomprensibili e sigle sconosciute.
Dedicò a questo primo approccio ore e ore rubate al tempo libero, con la lente d’ingrandimento costantemente puntata su fogli di carta ingiallita. Quando sopraggiunsero i primi risultati, con gli scritti che cominciavano a divenire finalmente comprensibili, subentrò un’ulteriore momento di sconforto: che senso aveva interpretare i singoli righi, capoversi e paragrafi se non si potevano legare in un contesto più ampio? Di per se stesso conoscere una proprietà di Tizio, i nomi dei confinanti, il prezzo di acquisto da Caio non aveva alcun significato. Per ricostruire un minimo di storia locale era necessario ricucire insieme decine di citazioni che, apparentemente, non avevano niente in comune tra di loro. Questo era un lavoro da storici professionisti, ammesso che ne avessero avuta voglia.
Ma l’autodidatta Bruno aveva un eccezionale vantaggio su tutti coloro che avessero voluto intraprendere un’impresa di questo tipo: conosceva la Valle come le sue tasche e per lui la toponomastica locale aveva maggior significato che per chiunque altro. Se a questo si aggiunge le notevolissime capacità di analisi e sintesi che gli ho sempre invidiato, si capisce come abbia potuto districarsi nei meandri dell’enorme documentazione che ha consultato.
Dai toponimi, dai nomi dei confinanti, dalle date di compra-vendita e da una acuta “lettura fra le righe” è riuscito a ricostruire e scrivere la sua storia della Valle.
Negli anni successivi ampliò e integrò le sue ricerche consultando altre importanti fonti archivistiche, tutte le volte appagato nel rintracciare nuova documentazione di “secondaria importanza” per la storiografia ufficiale.
Ho avuto la fortuna di seguirlo in quest’avventura che mi ha aperto orizzonti vicini ma sconosciuti e, soprattutto, di essere partecipe di una vita vissuta alla perenne ricerca di quelle poche “verità” che ci permettono di comprendere il passato, accettare il presente e ... sperare nel “futuro”.
Vorrei ricordarlo con una frase, ripresa da contesti più alti dei nostri:

aveva un’acutissima capacità di analisi con cui descriveva perfettamente
quello che faceva, che aveva fatto e quello che lo circondava e lo abitava
.
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