Argentina:
tra disintegrazione
|
Tabella
1 (7)
La nuova struttura dei redditi dopo la
svalutazione* |
||||||
|
Buenos
Aires capitale |
Sobborghi |
Area
circorndariale di Buenos
Aires |
|||
Tipologie
di reddito in dollari Usa |
Dec.
2001 |
Mar.
2002 |
Dec.
2001 |
Mar.
2002 |
Dec.
2001 |
Mar.
2002 |
Reddito
medio generale |
909 |
364 |
506 |
202 |
626 |
251 |
Lavoratori
autonomi |
881 |
353 |
392 |
157 |
522 |
209 |
Impiegati
di banca |
1081 |
432 |
735 |
294 |
848 |
339 |
Lavoratori
sommersi |
643 |
257 |
334 |
134 |
395 |
158 |
Impiegati
pubblici |
1144 |
458 |
624 |
250 |
810 |
324 |
Impiegati
privati |
904 |
362 |
550 |
220 |
648 |
259 |
Pensionati |
437 |
175 |
320 |
128 |
361 |
144 |
*Arrotondata
al valore attuale del dollaro |
Il
declino del reddito tra le differenti categorie occupazionali indica
l’assoluto e relativo declino della classe media, un chiaro processo
di proletarizzazione: gli impiegati di banca della capitale hanno
vista calare il loro reddito quasi del 60%, dai 1081 dollari ai 432
dollari mensili, mentre gli impiegati statali hanno subito un calo da
1144 a 458 dollari mensili (8). Il reddito attuale, in data aprile
2002, della ex classe media non è sufficiente a far fronte alle
necessità basilari di affitto, alimentazione, trasporti, scuola e
spese per la salute, da cui la necessità di un impiego multiplo -- il
che è quasi impossibile -- per tutti i membri del gruppo familiare.
La mobilità verso il basso della classe media è chiara se compariamo
il loro reddito attuale con quello dei lavoratori impiegati prima
della svalutazione, il reddito della classe media dopo la svalutazione
era solo del 75% del precedente salario della classe lavoratrice.
Se
prendiamo la cifra di 400 dollari Usa come linea di demarcazione per
la soglia di povertà e la cifra di 250 dollari per quella di
indigenza troviamo che ogni categoria occupazionale della classe
operaia nei sobborghi di Buenos Aires è al di sotto della soglia di
povertà e molte categorie sono “indigenti”. Nella capitale, il
60% dei gruppi occupazionali sono al di sotto della soglia di povertà
(autonomi, settore informale, lavoratori del settore privato).
I
pensionati che dipendono principalmente dalle loro pensioni sono
indigenti in tutti i settori geografici, così come tutti i lavoratori
disoccupati (25-30% della forza lavoro) che vivono nei sobborghi e
nella zona circondariale di Buenos Aires. Anche partendo dal
presupposto che alcuni disoccupati lavorano nel sommerso, quasi tutti
sono al di sotto della soglia di indigenza. La massiccia crescita
nazionale di disoccupati, dal 40 al 60% nei sobborghi operai, e anche
di più in alcune delle ex città industriali dell’interno, la
mobilità verso il basso e l’impoverimento della classe media e
lavoratrice (il precipitoso declino del reddito e degli standard di
vita) ricordano i peggiori anni della depressione statunitense degli
anni Trenta e della Germania di Weimar negli anni Venti.
L’impoverimento
della classe media e lavoratrice è accompagnato e interrelato alla
concentrazione di ricchezza nelle mani della classe dominante, della
classe media superiore e dei capitalisti esteri e banchieri. Nel 1974,
il 10% più ricco riceveva il 28% del reddito nazionale, nel 1992 un
po’ oltre il 34% e nel 2001 oltre il 37%, mentre il 10% più povero
riceveva il 2,2% sia nel 1974 che nel 1992 e l’1,3% nel 2001 (prima
della svalutazione e del brusco incremento della disoccupazione) (9).
Nel 1974 il 10% più ricco riceveva 12 volte il reddito del 10% più
povero. Se consideriamo la grossolana e diffusa di pratica di
dichiarare un reddito più basso da parte dei ricchi, gli uffici
statistici del governo stimano che le diseguaglianze attuali siano
ancora più grandi; secondo la loro stima il 10% più ricco guadagna
40 volte di più del 10% più povero.
Complessivamente,
le classi superiori -- le élite dominanti più la classe media
superiore -- ricevono il 53% del reddito dichiarato, e probabilmente
il rapporto reale è vicino al 60-65% prima della svalutazione.
Considerato il fatto che le classi superiori hanno potuto ritirare i
loro fondi (30-40 miliardi di dollari) dalle banche, spedire i soldi
al di fuori della nazione ed evitare la confisca (dicembre 2001), la
percentuale di ricchezza nelle mani delle classi superiori è
probabilmente vicina all’80%. L’impatto del neo-liberismo ha avuto
un profondo effetto strutturale dualistico sulla classe media e
lavoratrice rispetto all’arricchita classe superiore. Nei primi anni
Novanta, l’iniqua crescita del reddito nazionale basato
sull’entrate a larga scala dovute a fondi speculativi, prestiti
esteri e privatizzazioni di imprese pubbliche ha elevato
artificialmente e temporaneamente il reddito medio. Tuttavia, quando
questa iniezione a breve termine di capitale è finita, redditi e
impieghi sono precipitati dell’80% della retribuzione forza lavoro
autonoma, mentre la mobilità del capitale, l’elevata liquidità e
l’origine non salariale del reddito dei più benestanti hanno
protetto la loro ricchezza, portando ad un’enorme crescita delle
diseguaglianze.
Mentre
impoverimento e diseguaglianze di reddito sono cresciute con la
recessione/depressione cominciata nel 1998, la precipitosa caduta dei
redditi e degli standard di vita della classe media (40% della
popolazione della capitale) ha avuto luogo con l’inizio della
depressione del 2001-02, seguita dalla confisca/congelamento dei conti
bancari nel dicembre 2001, e la successiva svalutazione e inflazione.
Seconda la stima degli esperti finanziari all’inizio del 2001 gli
argentini avevano 86,5 miliardi dollari depositati, per la maggior
parte in dollari, nelle banche estere. Durante il 2001, e specialmente
a partire dal periodo di aprile-novembre, le classi superiori hanno
ritirato e spedito fuori dalla nazione 40 miliardi di dollari. A
dicembre il governo ha congelato i conti, e successivamente li ha
convertiti in pesos (nel 1 giugno 2002 il cambio era di 3.3-3.5 pesos
per dollaro). In effetti, i conti sono stati ridotti da 45 mrd $ a
circa 13 mrd e continuano ad abbassarsi perché non esiste
indicizzazione. Il tentativo del regime di convertire il rimanente in
buoni del tesoro ammortizzabili in dieci al 2% di interesse avrebbe
svalutato i risparmi ulteriormente, dato il 30% di inflazione durante
il primo quarto del 2002. Questo tentativo di frodare i rimanenti
risparmi fu impedito dalle dimostrazioni di massa da parte della
classe media impoverita (i cacerolazos che minacciarono il congresso e
presero d'assalto le banche).
La
disintegrazione sociale e la polarizzazione sociale ha le sue radici
nel crollo dell’economia argentina e nella profonda e cronica
depressione industriale. Durante i primi tre mesi del 2002 l’attività
industriale è calata di oltre il 18% (12). La regressione industriale
si è accellerata dall’aprile 2001 al marzo 2002: dal –2%
dell’aprile 2001 al –4% del luglio 2002, dal –10% del settembre
2001 al –12 di novembre al –18% del marzo 2002 (13). La produzione
di automobili nel marzo del 2002 è crollata del 55% rispetto allo
stesso periodo dell’anno precedente, mentre tessili e manifattura
sono crollati del 48% rispetto al precedente anno. Nel 2001,
l'industria è calata del 10% (14). Il numero di chiusura di fabbriche
si è accellerato durante il periodo 1999-2002, raggiungendo livelli
senza precedenti nell’ultimo trimestre del 2001 e nella prima metà
del 2002. Agli inizi del 2002 circa tre quarti degli industriali
predicevano che la crisi potrebbe peggiorare. Il livello della capacità
industriale inutilizzata era a più del 50% nella maggior parte dei
settori dell’economia, incluso il settore metallurgico, tessile e
automobilistico.
Il
sistema finanziario è prossimo alla bancarotta, in parte a causa del
trasferimento finanziario su larga scala verso le case madri da parte
di filiali di proprietà straniera. Il debito estero è cresciuto dai
58,7 del 1990 ai 139,9 mrd $ nel 1998, mentre la fuga di capitali e il
pagamento degli interessi è aumentato nello stesso periodo di 115
e 81,7 mrd $ (16). In altre parole, il prestito estero ha
finanziato largamente la fuga di capitali e parte del pagamento
dell’esuberante debito, lasciando un deficit netto nel flusso di
capitali. Ciò ha eroso la capacità dell’economia di sostenere la
crescita e successivamente ha condotto a recessione e ulteriori tagli
del bilancio, i quali a loro volto hanno convertito la recessione in
depressione, e parziale insolvenza del debito. Il massiccio ritiro di
fondo da parte delle élites nazionali ed estere -- aiutato e
appoggiato dalle banche estere -- ha condotto alla confisca dei
risparmi di milioni di argentini e al collasso virtuale del sistema
finanziario. Durante il 1999-2001 i prestiti da parte del FMI
servivano solamente a ripagare le banche private, e le IFI, mentre
esasperavano il problema del debito, peggioravano la recessione e
abbassavano il livello di vita. Durante l’agosto 2001, al fine di
ottenere prestiti a breve termine l’Argentina pagava il 16% su buoni
del tesoro statunitense. Quando alla fine c’è stato il crollo, né
le IFI né la Banca Mondiale né i G-7 sono stati disponibili a dare
nuovi prestiti, a meno che il governo centrale non abolisse la Ley de
Subversión Económica (Legge contro la sovversione economica, una
legge designata a perseguire le pratiche bancarie illecite), abolisse
le monete provinciali che mantenevano a galla le economie locali e
licenziasse molte centinaia di migliaia di impiegati nel settore
pubblico, della salute e dell’educazione.
La
principale preoccupazione delle IFI riguardo all’abrogazione delle
Ley de Subversión Económica era dovuta al fatto che essa era uno
strumento per perseguire le banche dei G-7 che erano implicate nei
trasferimenti illegali di oltre 50 mrd $ negli anni 2001-02. (Nel
giugno 2002, sotto la pressione del FMI la legge è stata abrogata).
Mentre il FMI accusava i “risparmiatori” argentini per la crisi
finanziaria, esistono dati sostanziali che le banche private,
possedute principalmente dagli stranieri, avevano già effettuato un
massiccio trasferimento di fondi fuori dal paese e non erano
disponibili a ricapitalizzare le banche (18). Il FMI e la Banca
Mondiale hanno fatto pressione sul governo argentino perché si
facesse carico delle obbligazioni delle banche private ed emettesse
buoni del tesoro vincolati a dieci anni al posto del diretto pagamento
dei detentori dei conti privati. In assenza di fondi e con
l’indisponibilità delle case madri a ricapitalizzare le succursali
argentine, le banche private nazionali ed estere dichiararono di
essere sulla soglia della bancarotta nel momento in cui i titolari
legittimi tentarono di ritirare i loro risparmi. L’unica misura per
prevenire il collasso fu il congelamento dei fondi.
Riassumendo,
l’esperimento neo-liberista non solo ha impoverito l’80 della
popolazione argentina, spingendo oltre un quarto nella o vicino alla
bancarotta e ha derubato la classe media dei suoi risparmi, ma ha
eroso le fondamenta stessa dell’economia capitalista. A parte la
crescita di enormi diseguaglianze, l’economia neo-liberista ha
portato al saccheggio dell’economia, con il trasferimento tra il
legale e l’illegale di decine di miliardi di dollari fuori dal
circuito economico nazionale a favore degli investimenti oltremare
(beni immobili e buoni del tesoro). Per quei capitalisti con capitale
fisso e capitale circolante ridotto le politiche neo-liberiste hanno
avuto conseguenze disastrose, a causa dei tassi di interesse
esorbitanti, della competizione sleale dovuta alle mancanza di
restrizione sulle importazioni di beni più a buon mercato e dal
collasso dell’economia nazionale a causa degli alti tassi di
disoccupazione e della discesa a picco degli standard di vita della
classe media. Il neo-liberismo è come la “scrofa che mangia i
propri figli”.
La
causa immediata del crollo dell’Argentina è stato il ruolo delle
banche di proprietà straniera e le IFI guidate dal FMI che hanno
svuotato il sistema finanziario. Le cause più a lungo termine
risiedono nei cambi strutturali regressivi
(privatizzazione/SAP/apertura dei mercati [SAP = politiche di
aggiustamento strutturale?]) e la quasi criminale “deregulation”
dell’economia la quale ha condotto non solo al crollo della
produzione nazionale, ma al complessivo saccheggio dell’economia e
più tardi a quello di milioni di risparmi privati.
Gli
esperti economici e altri apologeti dell’élite finanziaria
sostengono che la crisi bancaria è stata causata dai risparmiatori
che hanno ritirato i loro depositi e li hanno mantenuti fuori dal
sistema bancario (19). Ma se è vero che i prelievi da parte dei
risparmiatori sono stati una delle cause della crisi, essi non ne sono
stati la causa principale o determinante.
Durante il periodo che ha portato alla crisi (Feb.
2001-Nov. 2001), i beni finanziari (prestiti e altri crediti) del
sistema finanziario sono calati di 44,8 mrd $, di cui 37,3 miliardi
provenivano dal settore privato (83,4%, dei quali 26,5 mrd $ (59,1%)
provenivano dalle dieci banche più grandi (20). In altre parole, nei
mesi che hanno portato alla crisi, le dieci maggiori banche
hanno spostato circa 27 mrd $ fuori dal sistema finanziario
argentino. Ciò risulta evidente se analizziamo gli attivi e i passivi
delle banche. “Altri crediti da intermediari finanziari” nel
capitolo degli attivi e “Altre obbligazioni da intermediari
finanziari” nel capitolo dei passivi (21). L’esistenza di queste
categorie rivela il fatto che il sistema finanziario argentino operava
su due livelli, un sistema formale di depositi e crediti e un
“settore informale” dove operavano dei mega acconti in gran parte
deputati al riciclaggio dei fondi e alla messa in opera di tutte le
attività speculative nel settore finanziario. La “altre”
categorie nel febbraio 2001 ammontavano a 56,9 mrd $ in attivi e 60
mrd $in obbligazioni (22). Da novembre, il totale degli “altri”
scese a 25 mrd $ di attivi e 35 mrd $ in obbligazioni. Un’analisi più
dettagliata rivela che del calo di 25 mrd $ in attivi, oltre il 74% ha
avuto luogo tra le dieci banche più grandi (23). I prestiti del FMI
servivano a coprire il crescente drenaggio di risorse fuori dal
sistema finanziario da parte delle élites finanziarie, mentre
venivano imposti tagli ancora più duri negli investimenti e nella
spesa pubblica. Il triplice fenomeno di crisi economica in via di
peggioramento, fuga dei capitali e crescente indebitamento fu causato
dalla alleanza delle IFI, i grandi finanzieri sia locali che stranieri
e le banche di proprietà straniera. I piccoli e medi risparmiatori
argentini sono stati le vittime di una frode finanziaria coperta e non
gli artefici, come pretendono gli esperti economici. Il loro disperato
e tardivo sforzo sforzo di ritirare i risparmi fu una reazione alla
frode finanziaria messa in atto dalle élites finanziarie. La maggior
parte dei piccoli e medi risparmiatori, comunque, non ci riuscì. La
passività delle banche dopo la fuga di grossi capitali e la
prosciugazione di dei crediti esteri sorpassava ampiamente il montante
dei loro attivi; con la crisi economica, molti dei loro crediti
arretrati erano insolventi e non c’era modo per convincere le sedi
centrali a iniettare nuovi capitali per coprire le richieste dei
risparmiatori. Il governo intervenì a “salvare le banche”
congelando effettivamente tutti i depositi e vietando ai risparmiatori
di recuperare qualsiasi deposito. Il carattere grossolanamente di
classe del piano di salvataggio finanziario fece infuriare le classi
medie e basse espropriate. La successiva svalutazione del peso li
derubò di due terzi del valore nominale dei loro risparmi congelati e
abbassò le loro entrate, mentre la classe media superiore e la classe
dominante che avevano portato fuori dal sistema finanziario i loro
soldi si vedevano abbassato il costo di vita, produzione e consumo di
un relativo 65%.
Il
collasso finanziario e la depressione economica sono radicate nelle
politiche economiche neo-liberiste e nel contesto in cui sono state
inserite. Ancora più importante è la natura e la struttura delle
classi dominanti che hanno imposto il modello neo-liberista che ha
distrutto l’economia argentina. A differenza della maggior parte
dell’America Latina, l’Argentina, durante la meta degli anni
Settanta, era una nazione altamente industrializzata con una delle più
alte percentuali di forza lavorativa impiegata nel settore
manufatturiero nel mondo. Ancora durante gli anni Ottanta,
l’Argentina era ancora la nazione più industrializzata della
regione, con una forza lavoro altamente qualificata relativamente
meglio pagata rispetto al resto dell’America Latina e un sistema di
protezione sociale per i lavoratori sindacalizzati paragonabile a
quello europeo, inoltre esisteva in Argentina un consistente mercato
interno. L’Argentina possedeva uno dei suoli più ricchi, con la
maggiore area coltivabile nel mondo, e un settore di esportazione
agricola molto competitivo, così come abbondanti fonti di risorse
energetiche (petrolio, gas naturale, energia idraulica). In una
parola, l’Argentina possedeva un allettante mercato per gli
esportatori, remunerative risorse per gli investitori e consistenti
depositori bancari per le banche estere. La rapida ed estesa
liberalizzazione dell’economia ha avuto un disastroso effetto in
questa nazione fortemente industrializzata. L’industria argentina è
stata messa sotto pressione da parte delle importazioni più a buon
mercato provenienti dalle aree a basso salario (Asia), e dalla
produzione euro-americana a larga scala, elevata tecnologia e
fortemente sovvenzionata. L’argomentazione liberista secondo cui la
“competizione” avrebbe reso le imprese argentine “più
efficienti” era falsa: poche imprese argentine avevano la scala e i
finanziamenti per competere con il top delle multinazionali americane
ed europee e anche l’operaio argentino con la paga più bassa non
poteva competere con un operaio cinese che guadagna un dollaro al
giorno. Il rapido abbassamento delle barriere ha precluso anche
qualsiasi preparazione per la competizione, inoltre la mancanza di
reciprocità nell’abbassamento delle sovvenzioni e delle barriere
negli U.s.a. e nell’Europa hanno impedito alle compagnie argentine
competitive di conquistare i mercati esteri.
L’esperienza
storica e contemporanea delle politiche di liberalizzazione degli
Stati Uniti e delle nazioni dell’Unione Europea è stata un graduale
processo di liberalizzazione selettiva, in contrasto con
l’esperienza argentina. La libera converibilità in Europa non ha
avuto luogo fino a quando le economie non sono state in grado di
sostenere l’espansione (cosa che per alcune ancora non era stata
raggiunta negli anni Sessanta). Barriere doganali, incluse quote,
tariffe e restrizioni non tradizionali (barriere sanitarie, regole
commerciali e anti-dumping [vendita sottocosto]) sono ancora
largamente e frequentemente usate per proteggere i settori non
competitivi. Ampie sovvenzioni di stato e deficit fiscali sono usati
per promuovere le esportazioni e per stimolare la crescita domestica.
In
Argentina le barriere sono state distrutte. Il peso è stato vincolato
al dollaro limitando qualsiasi politica monetaria espansiva per
stimolare l’economia. I sussidi sono stati tagliati e il pagamento
del debito ha avuto priorità rispetto agli investimenti produttivi. I
prestiti sono stati assicurati attraverso strategie di privatizzazione
riguardanti remunerativi settori dell’economia, erodendo le entrate
pubbliche, accrescendo i costi di produzione e quindi indebolendo la
competitività. La privatizzazione ha portato a forti tagli nei
trasporti che collegavano le diverse economie provinciali, indebolendo
le loro transazioni commerciali e industriali. Mentre in economie di
esportazione di minerali e materie prime come il Cile, la
liberalizzazione ha aperto l’economia agli investimenti esteri in
determinati settori di esportazione, nella molto più sviluppata e
diversificata economia argentina, l’industria è stata pregiudicata.
Il flusso di importazioni e il declino delle industrie nazionali ha
portato a bancarotte e disoccupazione, la conversione delle
manifatture in attività commerciali e di importazione e, nelle
provincie, l’inflazione del settore pubblico come ultima risorsa
dell’impiego. Forti somme di investimento si sono spostate dalla
rischiosa attività produttiva agli strumenti finanziari di elevato
rendimento.
Il
regime di Menem dava l’apparenza di un regime “affluente” basato
su elevati prestiti e sulla manna proveniente dalla svendita della
proprietà pubblica. Gran parte dell’afflusso di capitale ha
accresciuto il consumo della classe superiore e facilitato la
corruzione in blocco dell’intera classe politica e del suo
entourages di ufficiali pubblici, giudici, funzionari, polizia e
ufficiali militari (25). I banchieri esteri erano disponibili a
prestare grazie ai tassi di interessi superiori dai 10 ai 20 punti ai
tassi americani ed europei, e grazie alla facile liquidità dovuta
alla libera convertibilità e alla dollarizzazione di fatto
dell’economia che assicurava la stabilità monetaria. Così, ogni
passo del processo di liberalizzazione indeboliva i fondamentali
dell’economia: l’arretramento economico nazionale, gli
imprenditori che fuggivano verso l’apparentemente lucrativa attività
finanziaria-speculativa, il debito alle stelle, la concessione di
credito in cambio di privatizzazioni raggiunsero il loro punto limite
e si accellerò la fuga di capitali, mentre le classi superiori
sentivano che l’intero edificio liberista sarebbe potuto crollare,
nel momento in cui non ci sarebbe stato né un sistema produttivo né
risorse monetarie per ricostruirlo.
Cruciale
per il collasso della bolla economica è stato il comportamento
dell’alta borghesia argentina (26). Fermamente installata nel regime
Menem, essa è stata la beneficiaria iniziale del processo di
privatizzazione e dei prestiti esteri (27). Essa è stata anche il
gruppo che dettava la politica economica. Il punto di riferimento del
regime Menem per sviluppare il programma liberista è stato
principalmente la classe dominante argentina che aveva investimenti
all’estero, strettamente collegata alle banche estere attraverso
investimenti congiunti in banche privatizzate e attraverso prestiti
esteri che richiedevano un peso facilmente convertibile in dollari. La
liberalizzazione a oltranza ha permesso a questa borghesia argentina
“transnazionale” di comprare le banche e le imprese pubbliche a
basso prezzo e venderle al capitale estero (28). La deregolamentazione
delle banche ha permesso il massiccio trasferimento di fondi fuori
dalla nazione e il riciclaggio dei fondi neri. Importazioni
economiche, prestiti facili e rapida fuoriuscita dei fondi è stata la
definizione di liberalizzazione dell’élite argentina.
Per
ovvie ragioni i paesi del G-7 e
le IFI erano grandemente entusiaste: essi ottenevano il controllo
sopra le banche e i depositi, le remunerative telecomunicazioni, le
linee aeree, il petrolio e altre imprese pubbliche con elevati
profitti. Essi incoraggiavano il regime ad andare avanti a piena
velocità con noncurante abbandono.
Nel
momento in cui l’economia nazionale, particolarmente nelle
provincie, crollava, i governi provinciali si indebitavano
pesantemente, in parte per finanziare la corrotta macchina politica
che sosteneva il governo nazionale e in parte per evitare rivolte
popolari nelle province. A differenza di Corea del Sud, Cina e
Giappone, la corruzione su larga scala non ungeva le ruote della
produzione nazionale: le bustarelle finivano nelle mani che svendevano
le imprese pubbliche redditizie agli investitori stranieri che
smantellavano le attività e riducevano in favore di un’attività
speculativa su larga scala. C’era un rapporto inverso: come la
corruzione cresceva così l’industria declinava, l’entrata delle
tasse diventava trascurabile e la competizione un vuoto slogan.
La
proprietà straniera che i sostenitori del liberismo descrivevano come
una forza dinamica che avrebbe sostenuto la crescita risultò essere
diversamente. L’esperienza argentina descrive un circolo vizioso: un
incremento iniziale degli investimenti esteri che incoraggiò il
regime Menem ad una esorbitante (o delirante) deregolamentazione e
privatizzazione che condusse ad un afflusso su larga scala di capitale
-- di portafoglio e diretti -- fu seguito da un netto declino nel
momento in cui i settori redditizi furono accaparrati, dal
licenziamento dei lavoratori, dalla contrazione dei mercati locali e
dal deflusso su larga scala di capitali. Il risultato fu un effimero
scatto di crescita, seguito da declino e crollo. La sequenza era del
tutto prevedibile dato che gli investitori esteri inizialmente presero
vantaggio della vendita a prezzo di saldo con profitti quasi del tutto
garantiti (in mercati monopolistici) ed esorbitanti tassi di interesse
e poi silenziosamente ma prontamente ritirarono i loro fondi quando
l’economia rimase con pochi attivi e un futuro altamente incerto. Le
IFI guidarono e seguirono al tempo stesso la parabola, condizionando i
prestiti pubblici a una maggiore privatizzazione durante il periodo
iniziale a favore degli investitori esteri e poi, quando l’economia
andò giù, e gli svantaggi e il malcontento sociale cresceva, esse
imposero condizioni ancora più dure per fornire ulteriori
finanziamenti.
Lo
stesso processo di negoziazione fra le IFI e il regime cambiò durante
il tempo. All’inizio, quando molte risorse, mercati e opportunità
erano disponibili per gli investitori esteri, le IFI diedero al regime
un assegno in bianco, prestando miliardi di dollari e dando via libera
ai banchieri privati e agli investitori esteri per sfruttare, con
straordinari profitti, i “mercati emergenti” . Il risultato fu un
accapparramento delle banche più lucrative, delle telecomunicazioni e
delle società petrolifere da parte delle banche spagnole, e delle
multinazionali e investitori statunitensi. Nel frattempo, gli
investitori stranieri si spostavano nel settore agroalimentare, nel
commercio al dettaglio, nei beni immobiliari e hotels, in associazione
con un piccolo nucleo dell’élite economica argentina e settori
della cleptocratica classe politica, guidata dalla estesa famiglia
Menem e il suo entourage politico.
Il
principale effetto negativo fu il taglio dell’occupazione al fine di
preparare le imprese pubbliche per la privatizzazione. Lo stato
licenziò centinaia di migliaia di lavoratori nel settore della
telefonia, delle ferrovie e degli acquedotti, assumendosi il costo
economico e prendendosi la responsabilità di reprimere le conseguenti
proteste. Molte città delle interno, come la città petrolifera di
Neuquen furono trasformate da città prosperose in città fantasma,
con il 30-40% di disoccupati. Le promesse di “impieghi
alternativi” non furono mai mantenute, dal momento che i funzionari
ufficiali o locali collegati al governo centrale o apertamente
rubarono i fondi o li usarono per finanziare le loro macchine
politiche, attraverso l’espansione di improduttivi lavori
“amministrativi”.
Il
secondo risultato negativo fu la riduzione di servizi e trasporti,
isolando così la regione dai fornitori e dai mercati regionali,
nazionali e anche internazionali. Il bilancio delle imprese
privatizzate era basato sui profitti delle imprese, non sui guadagni e
rendite delle molteplici industrie e attività che dipendevano dalla
rete energetica, dalle telecomunicazioni e dai trasporti. Così,
mentre il bilancio delle imprese estere risultava in nero, il
risultato delle economie periferiche appariva in rosso e
crescentemente dipendente dalle sovvenzioni del governo centrale.
Inoltre, il costo pubblico per il mantenimento delle infrastrutture
che sostenevano le imprese privatizzate cresceva, mentre le entrate
dello stato calavano diminuivano, grazie all’esenzione fiscale e
ai sussidi su larga scala. Il risultato finale fu
l’incremento della spesa pubblica, l’intervento per promuovere le
privatizzazioni -- mentre le entrate calavano –, la necessità di
maggiori tagli alla spesa pubblica e crescenti prestiti esteri ad un
tasso di interesse sempre più elevato, finché il debito estero
raddoppiò e il pagamento degli interessi aumentò di 2,5 volte tra il
1992 e il 1998. La privatizzazione ha privato l’industria a degli
input a basso costo, accresciuto i costi di trasporto e sopravvalutato
il peso, determinando così il prezzo dei prodotti argentini con un
alto valore aggiunto troppo alto sia per il mercato internazionale che
nazionale. La liberalizzazione, piuttosto che accrescere la
competitività dell’industria argentina, l’ha portata sulla strada
della bancarotta e della decapitalizzazione della ricerca di base e
dello sviluppo. Il sostegno all’industria e all’innovazione ha
subito un taglio drastico dal momento in cui i fondi pubblici per
l’università e la ricerca sono diminuiti e i fondi privati si sono
diretti in misura sempre maggiore verso l’inflazionato e ad alto
guadagno settore privato.
L’unilaterale
abbassamento da parte del governo Menem delle tariffe doganali ha
indebolito le imprese locali senza ricompensare i produttori
efficienti, dal momento che il regime mancò di assicurarsi con
accordi reciproci con gli Stati Uniti e l’Unione Europea che anche
questi paesi abbassassero le loro barriere commerciali. Il risultato
finale fu che l’Argentina seguì due serie distinte di regole: essa
seguiva i rigidi precetti del liberismo in relazione alla propria
economia, mentre accettava le flessibili regole
“liberiste/protezioniste” dei suoi maggiori partners commerciali.
La
continuazione e l’approfondimento delle politiche di
liberalizzazione attraverso gli anni Novanta -- quando la bomba ad
orologeria era sul punto di esplodere -- si è basata sulla struttura
del potere statale. Il regime Menem era un regime fortemente
autoritario che bypassava il Parlamento o corrempeva i legislatori,
centralizzava il potere nelle mani di funzionari non eletti,
organizzava e generalmene finanziava la potente macchina del
partito-stato che inibiva o isolava l’opposizione, fino al collasso
dei ultimi anni Novanta. Inoltre, le azioni criminose selettive
organizzate dai servizi segreti, mettevano a tacere attraverso
minaccie e occasionali assassini selettivi le voci critiche
provenienti dai media.
La
“centralizzazione” del potere esecutivo e legislativo nelle mani
del presidente e i metodi dittatoriali usati da Menem per legiferare
(la maggior parte delle industrie e delle banche è stata privatizzata
attraverso decreti presidenziali) ha facilitato una rapida ed estesa
liberalizzazione. La concentrazione e centralizzazione del capitale
argentino è stata sia la causa che la conseguenza della
liberalizzazione e crescevano in tandem con la centralizzazione del
potere esecutivo. Il punto di riferimento politico e la prospettiva
strategica del regime Menem erano profondamente influenzati dai
potentati economici che sono emersi durante e dopo la dittatura (29).
Mentre la composizione interna dei potentati variava, esternamemte la
politica è stata costantemente liberista e diretta ad allargare e
approfondire i legami con le reti finanziarie statunitensi ed europee.
Per il presidente Menem e il suo zar economico Cavallo, questi
potentati economici e i loro partner e circuiti internazionali erano
una realtà economica: il proposito dello stato era di andare incontro
ai loro interessi, consolidarne la struttura ed espanderne le
opportunità. La neo-liberalizzazione ha significato l’elaborazione
di politiche che facilitassero l’acquisto a buon mercato da parte
dei potentati economici delle imprese pubbliche, la facilitazione del
trasferimento di capitali all’estero, il facile accesso ai prestiti
esteri e la socializzazione da parte dello stato delle perdite dei
privati.
Sotto
Menem, lo stato è stato coinvolto nella costituzione e consolidamento
degli imperi economici privati, piuttosto che finanziare gli
investimenti produttivi innalzando le piccole e medie imprese. La sua
liberalizzazione del commercio ha permesso ai potentati economici di
concentrare le proprie attività in finanza, beni immobili e commercio
piuttosto che negli investimenti e nel miglioramento della produttività
nella manifattura. Il neo-liberismo ha significato la specializzazione
del regime nella svendita delle risorse pubbliche e non l’incremento
della produzione o della produttività. I potentati economici
argentini a loro volta compravano le imprese pubbliche non al fine di
convertirle in unità efficienti e produttive, ma per rivenderle con
profitto al capitale estero (39). Il largo afflusso di capitale
europeo e statunitense ha cambiato la configurazione dello stato
argentino: da uno stato liberista ad uno stato neo-coloniale, in cui
lo stato, mancando di entrate interne, dipendeva in misura crescente
dai prestiti esteri e dalle entrate provenienti dalle esportazioni
delle imprese di proprietà straniera.
La
transizione da un’economia mista a una liberista e quindi ad
un’economia liberista neo-coloniale ha accompagnato l’ascesa e la
caduta del “parabola viziosa” dell’economia argentina. Una
sequenza che può essere descritta come una tragedia greca dove
l’arroganza dei protagonisti liberisti prefigurava il crollo finale
di un rapporto profondamente incrinato. Tuttavia, l’analogia
funziona fino ad un certo punto perché i protagonisti -- i Menem, i
banchieri, le IFI -- non hanno sofferto la caduta finale, ma le figure
tragiche sono state la nazione argentina e l’80% della sua
popolazione.
Mentre
l’economia argentina passava dalla recessione alla depressione su
ampia scala, mentre la produzione calava del –6% nell’ultimo
quarto del 2001 e del 15% nel primo quarto del 2002 e mentre il
sistema finanziario si avviava verso il crollo e diventava evidente
che l’Argentina sarebbe diventata insolvente per quanto riguardava
la maggior parte del suo debito estero, le IFI, le banche estere e le
nazioni del G-7 rifiutavano di concedere nuovi prestiti se non a
condizioni ancora più onerose (31). Nel dicembre 2000, le banche
concessero un prestito di 40 mrd $ sotto la supervisione del FMI e
nell’agosto 2001 il FMI concesse al traballante regime De la Rua un
credito di emergenza di 8 mrd $, di cui 5 mrd $ andarono alla Banca
Centrale argentina e quindi fuori dalla nazione nella misura in cui la
classe media superiore spostava miliardi tra gennaio e novembre. Molti
milioni furono destinati alla ricostituzione del debito, pagando in
effetti gli obbligazionisti nazionali ed esteri. In effetti, il
prestito del FMI all’Argentina aumentò il suo debito da 130 mrd $ a
quasi 140 mrd $ nel 2001 senza affrontare i fondamentali problemi
strutturali, mettendo così in moto il collasso finale del dicembre
2001.
La
ragione per cui il prestito non “salvò” l’economia argentina fu
perché esso non era destinato a questo scopo, ma semplicemente a
fornire fondi da riciclare attraverso l’economia per “salvare”
la classe superiore e i grandi obbligazionisti. I grandi prestatori
riconobbero il pericolo della situazione: i tassi di interesse
distribuiti tra i titoli di stato del governo argentino e i buoni del
tesoro statunitense salirono al 16,7% nel tardo agosto 2001. A partire
da novembre, gli speculatori non stavano più comprando titoli di
stato argentini a nessun prezzo, così inevitabilmente il governo
diventò insolvente.
Nel
momento in cui l’economia argentina crollò, i suoi prestatori
esteri e le filiali bancarie fecero pressione sul regime per congelare
i depositi, minacciando il collasso del sistema finanziario e di
ritirarsi dall’Argentina. Il governo accondiscese. Svalutò la
moneta, riducendo le obbligazioni delle banche rispetto ai suoi
depositari in dollari. Le banche e i loro governi delegarono il FMI a
giocare il ruolo principale per recuperare i prestiti, anche se
l’economia soffriva per mancanza di nuovi fondi e investimenti
privati e statali.
Mancando
di qualsiasi risorsa pubblica remunerativa, impresa o banca che
generasse entrate o guadagni, grazie alle precedenti privatizzazioni
effettuate dal cosiddetto “genio economico” del miracolo
argentino, Domingo Cavallo, non venne nessuna corda di salvataggio da
parte degli amici di Wall Street. Ciò su cui Cavallo erroneamente
faceva affidamento era il suo genio personale, mentre la fiducia
presso i banchieri mondiali si trasformò in un miraggio. Le banche
non erano interessate a mantenere a galla un’economia che avevano
comprato, saccheggiato ed erano adesso in procinto di scaricare, dal
momento che si stavano spostando verso lidi più lucrativi. La formula
segreta di Cavallo è familiare a ogni frodatore finanziario:
sostituire titoli di stato con alti tassi di interesse in scadenza con
titoli di stato con interesse ancora più alto, un processo
insostenibile che era destinato a crollare, e di fatti alla fine crollò.
La
risposta del FMI al crollo fu la missione in Argentina dell’aprile
2002. Guidata da Anoop Singh, la missione intervenne, ebbe dei
colloqui e dettò pubblicamente la politica per ogni aspetto della
politica economica e sociale argentina (32). Nel mezzo della
recessione, richiese all’Argentina di tagliare le spese, eliminare
le monete e i debiti provinciali, facilitare le acquisizioni dei
creditori, liquidare le imprese debitrici e abolire la legislazione
bancaria che sanzionava le banche estere implicate in movimenti
illegali di valuta. In altre parole, Singh richiedeva una politica
statale di austerità adeguata ad assicurare il surplus governativo
per ripagare le banche estere, mentre forniva agevolazioni per
ulteriori trasferimenti all’estero di capitali e più facili
accaparramenti delle imprese indebitate (33).
In
termini economico-politici, ciò si chiama scarnificare la carcassa.
Con l’Argentina in una depressione di profonda estensione,
l’ultima cosa di cui si sentiva il bisogno era la riduzione del
bilancio e della spesa pubblica, specialmente con 6 lavoratori su
dieci disoccupati nei sobborghi poveri e 3 su 10 nazionalmente.
Ma
Horst Kohler, il presidente del FMI, pensava che l’Argentina avrebbe
dovuta essere spremuta ulteriormente: “L’Argentina”, ha
dichiarato nell’aprile 2002, “deve prendere un’amara medicina
per uscire fuori dalla crisi” (34). L'“amara medicina” erano
maggiori tagli alla spesa pubblica, l'eliminazione ulteriori di
servizi pubblici e maggiore disoccupazione. Come ammetteva lo stesso
Kohler, almeno 450.000 impiegati pubblici avrebbero dovuto essere
licienziati, quando vi era già un 30% di disoccupati (35). Questo
avrebbe accresciuto il numero dei disoccupati tra il 35 e il 40%, una
situazione catastrofica. Egli quindi procedeva ad accusare la vittima:
“Il problema di cui l’Argentina sta soffrendo è di origine
interna” (36). Come se dieci anni di prestiti condizionati da parte
del FMI, missioni estere, programmi di aggiustamento strutturale e
ideologia liberista non avessero giocato nessun ruolo nel causare la
crisi.
T
Il
Segretario del Tesoro statunitense dopo aver preso posizione dalla
parte della “stretta finale” sostenuta dal FMI, appoggiava il
salvataggio da parte del FMI dei banchieri e l’accaparramento dei
rimanenti settori dell’economia. Ma richiedeva, nel tipico
linguaggio eufemistico, una “soluzione politica” (37). Egli
richiedeva un forte regime autoritario capace di far ingoiare il
licenziamento di massa, il taglio delle spese agli argentini
impoveriti. O’Neill si interrogava sulla “capacità di
leadership” del governo Duhalde (32). Secondo un’intervista,
avrebbe detto che il problema dell’Argentina si riduceva a una
singola questione: se il governo argentino sarebbe stato capace di
fare quello che doveva fare, cioè mettere in pratica le politiche del
FMI (39). Ciò che O’Neill e altri nelle IFI e nei G-7 volevano dire
con “volontà politica” era precisamente di ignorare gli interessi
e la sopravvivenza di 33 milioni di argentini, passare sopra a
parlamentari, governatori e sindaci e costringerli ad accettare
ulteriori bancarotte e disoccupazione e spingere oltre il 53% al di
sotto della soglia di povertà per soddisfare banchieri e investitori.
L’Unione
Europea ha impiegato una linea egualmente dura. Secondo l’allora
ministro economico francese Laurent Fabius, “la risposta che ci ha
dato il governo argentino [in relazione alle prescrizioni di austerità
del FMI] non è soddisfacente” (40). Forse la più oscena
osservazione è venuta da Anne Krueger, seconda al comando del FMI,
una persona designata dagli Stati Uniti ed ex professoressa
all’Università di Stanford. In un intervista al Financial Times
ha dichiarato che “le autorità argentine non sono sufficientemente
realistiche come dovrebbero essere” (41). Il realismo, secondo
Krueger, significa, nel mezzo di una depressione, tagli alla spesa
pubblica, abbassamento degli standard di vita e incremento della
disoccupazione. Il “realismo” fa riferimento al mondo della
capitale finanziaria e ai suoi voraci appetiti diretti a spremere
ulteriori pagamenti degli interessi dai settori, attività e casse
pubbliche in bancarotta e per ritirare impunemente ancora maggiori
fondi dall’Argentina.
Lo
staff dell’ambasciata statunitense in Argentina si è spinto ancora
più avanti. L’addetto alle questioni politiche Michael Matera ha
sostenuto che la crisi argentina è stata dovuta non solo ai suoi
leader politici, ma all’intero popolo argentino. “Il punto di
vista degli economisti internazionali è incompatibile con la mentalità
nazionale degli argentini. Gli argentini hanno un’incapacità
collettiva a cambiare; sono immaturi e paranoici” (42).
Ci
sono alcune prove che una ragione aggiuntiva per la linea dura seguita
dall’Europa e dagli Stati Uniti è stata la unilaterale
dichiarazione argentina di insolvenza su 140 mrd $ di debito. Secondo
un deputato argentino, un funzionario del FMI gli disse, “Ciò che
non potremo mai dimenticare sono i membri del vostro Congresso
festeggiare e applaudire dopo che Adolfo Rodriguez Saa (l’ex
presidente per una settimana) effettuò la dichiarazione di
insolvenza” (43). Da questa prospettiva la linea dura è un
avvertimento alle altre nazioni latine delle dure conseguenze della
dichiarazione di insolvenza.
Il
regime Duhalde aveva legato strutturalmente l'Argentina al capitale
finanziario transnazionale, il settore dell'agro-export poteva trovare
una soluzione soltanto attraverso un accordo con il FMI che avrebbe
allentato i cordoni della borsa dei prestatori privati, e condotto ad
una rinegoziazione dei debiti pendenti. L'indisponibilità del regime
Duhalde a sviluppare un piano alternativo, come chiedevano alcuni
economisti argentini dissidenti, è basata su un legame a lungo
termine e a larga scala tra il regime e le classi dominanti. Dato il
totale discredito delle classi dominanti, la loro disastrosa politica
per l'80% della popolazione argentina, la disintegrazione della
nazione, e un'attiva opposizione di massa, la loro autorità politica
è virtualmente nulla e la loro capacità di prendere decisioni
strettamente circoscritta.
Il
retroterra storico della sequenza effettuata dai G-7 e dalle politiche
delle IFI (finanziamento-saccheggio-abbandono) e il suo spostamento
verso la linea dura è basata su due considerazioni. Durante i
precedenti 14 anni il capitale europeo e statunitense ha ottenuto
qualsiasi cosa volesse dai regimi Menem e De la Rua. Successivametne,
il facile e remunerativo "raccolto" del passato non era più
possibile, soltanto uno sfruttamento intensivo piuttosto che estensivo
poteva fornire guadagni a questo punto della storia.
La
precedente storia che vedeva il FMI dettare le priorità e il governo
argentino accondiscendere aveva condizionato i leader ad assumere un
attitudine di obbedienza piuttosto che di negaziazione e reciprocità.
I prestatori esteri erano sempre stati consapevoli del carattere
venale della classe dominante e della classe politica argentine, ma
essi erano disponibili a prestare fondi, anche se poi venivano rubati,
finché essi potevano in cambio saccheggiare l'economia. Adesso però
che il saccheggio era completato, la scelta era tra i guadagni delle
banche e la cattiva amministrazione dei fondi per sostenere le
corrotte macchine elettorali provinciali. I prestatori chiedevano che
la classe politica tagliasse i fondi ai boss provinciali e al loro
inflazionato settore pubblico per venire incontro agli obblighi
contratti all'estero. Se questo significava dar forza all'opposizione
e indebolire il supporto politico, allora i banchieri insistevano che
si dovesse prendere con ogni mezzo poteri straordinari, dimostare
"volontà politica", trasformare il regime in dittatura
autoritaria. In che modo leadership avrebbe governato -- anche con
poteri dittatoriali -- dato il possibile impoverimento di tre quarti
della popolazione era un problema che né Krueger, O'Neill, Kohler o
Wolfenson si ponevano.
Nondimeno,
le IFI e i G-7 sapevano che strutturalmente Duhalde non aveva
alternative, eccetto che il rifinanziamento da parte di un gruppo di
banchieri guidati dal FMI. Essi sapevano che egli era ostaggio a vita
del capitale straniero e dei suoi partner nazionali e quindi facile
preda su cui fare pressione. La loro percezione della vulnerabilità
del regime incoraggiava l'approccio della "linea dura".
Il
terzo fattore che ha condizionato la risposta della linea dura da
parte del FMI e dei G-7 è stata la crescente radicalizzazione della
popolazione argentina, le proteste di massa quasi quotidiane, le
dimostrazioni e le sollevazioni popolari. Il "fattore
rischio" in Argentina è estremamente alto agli occhi dei
banchieri che investono. La paura è che Duhalde cada o sia
rovesciato, e che potrebbe succedere un regime populista che rinneghi
ogni accordo. Paradossalmente, andare incontro alle richieste del FMI
e dei G-7 potrebbe innescare sollevazioni ancora maggiori. Più in
alto i G-7 e il FMI alzano il limite da raggiungere per assicurarsi i
fondi, più forte è la caduta del regime che tenta di raggiungerlo.
Nella strategia economica della linea dura è sottintesa,
specialmentre tra l'élites politiche ed economiche di Washington e
Madrid, l'idea che l'esercito dovrebbe intervenire per rovesciare un
regimo popolare avverso. Tuttavia, un colpo di stato militare nel
presente contesto avrebbe luogo nel vuoto politico assoluto, privo di
qualsiasi sostegno politico o sociale.
Lo
stile e la sostanza delle relazioni dell’Argentina con i G-7 parlano
un nuovo imperialismo (44): il saccheggio dell’economia, la crescita
di profonde diseguaglianze, la stagnazione economica seguita da una
profonda e durevole depressione e l’impoverimento di massa della
popolazione come conseguenza della più grande concentrazione di
ricchezze nel XX e XXI secolo della storia argentina. Il nuovo
imperialismo funziona direttamente attraverso un sistema interstatuale
e istituzioni finanziarie ausiliarie come il FMI per dettare le
politiche. La missione di aprile del FMI, con il suo pronunciamento
pubblico su ogni aspetto dell’economia argentina, le palesi
imposizioni dell’ambasciata statunitense e i ministri economici dei
G-7 riecheggiano fortemente delle passate relazioni coloniali. La
cieca sottomissione del regime argentino, la sua disponibilità ad
attuare politiche che deteriorano profondamente il livello di vita per
venir incontro alle richieste imperiali, parla forte e chiaro di un
tipo di impero neo-coloniale. Il Nuovo Colonialismo, tuttavia, imposto
a una nazione in precendenza industrializzata con alti livelli di
vita, relativamente al Terzo Mondo, ha provocato non solo maggiori
diseguaglianze economiche, ma anche un’estrema polarizzazione
politica e sociale, che va interamente contro le potenze
imperial-coloniali e all’intera classe politica argentina.
In
un viaggio nella provincia tucumana durante l’aprile 2002, visitammo
le città immiserite e gli slums, parlando con la multitudine di
poveri e indigenti: essi ci dissero che tra il tra il 2001 e il 2002,
in un solo anno, il numero di bambini che soffrono di malnutrizione
sono cresciuti di sei volte. La combinazione di licenziamenti,
inflazione e tagli ai viveri hanno trasformato i poveri i indigenti,
incapaci di far fronte ai bisogni basilari di alimentazione.
Una
settimana più tardi, mentre stavamo parlando con un delegato del
sindacato degli impiegati di banca, fummo informati che le banche
stavano progettando un licenziamento di massa. Un mese più tardi (19
maggio 2002), un quotidiano vicino all’élite finanziaria, La
Nacion, pubblicava un rapporto secondo cui le banche stavano
progettando di licenziare due terzi dei loro impiegati, 80.000 di
120.000 e di ridurre la paga per i rimanenti (45).
Al
principio di luglio le strade erano piene di dimostranti, il crimine
prosperava, i professori universitari di ruolo guadagnavano 200 $ al
mese, le autostrade erano bloccate, i cacerolazos dei pensionati
impoveriti richiedevano la rimozione non solo del regime, ma
dell’intera classe politica.
La
polarizzazione politica in via di approfondimento in Argentina ha
assunto una varietà di forme sociale e politiche: una sollevazione
popolare ha rovesciato il regime De la Rua il 19 e 20 dicembre 2001;
la ribellione permanente nelle province; la mobilitazione costante dei
disoccupati (piqueteros) e le assemble di quartiere dell’impoverita
classe media e lavoratrice (caceroleros).
Il
19 e 20 dicembre 2001, centinaia di migliaia di argentini scesero in
piazza per protestare contro la dichiarazione del governo dello stato
di emergenza del governo che proibiva le dimostrazioni pubbliche, la
confisca di 40 mrd $ di dollari di risparmi, l’aggravarsi della
recessione e il 23% di tasso di disoccupazione (46). La rivolta che
alla fine spinse il presidente De la Rua a dimettersi e a uscire dal
palazzo presidenziale con l’elicottero fu il culmine di una serie di
blocchi stradali di massa da parte dei piqueteros disoccupati,
cacerolazos e assemblee di quartiere, mobilitazione provinciale,
assalti ai governatori, sindaci e funzionari del governo. Mentre
ognuna di queste particolari azioni di massa aveva la sua specifica
base sociale, azione diretta o forma e lista di priorità, tutte
concordavano nel respingere il pagamento del debito estero, il
programma di austerità del FMI e la confisca dei risparmi.
Il
movimento di massa dei lavoratori disoccupati, che ho analizzato
altrove più in dettaglio (47), è stato il detonatore della rivolta
del 19-20 dicembre, anche se i disoccupati organizzati non sono stati
una forza decisiva nei giorni dell’estromissione del Presidente. Il
movimento dei lavoratori disoccupati (MTD) si è diffuso
geograficamente attraverso l’Argentina ed ha intensificato le sue
lotte durante i trascorsi sei anni nella misura in cui la recessione
si è trasformata in depressione e milioni di lavoratori delle
fabbriche sindacalizzati sono stati licenziati diventando disoccupati
“a lungo termine”. I MTD sono organizzati territorialmente: per
quartiere, comuni e più recentemente a livello di vari comuni, e in
alcuni casi in organizzazioni nazionali in competizione fra di loro.
La loro principale tattica è di bloccare le maggiori autostrade,
ostacolare il trasporto di alimenti, servizi e manufatti tra
industrie, banche e altri settori. Le loro richieste invariabilmente
includono lavori finanziati dallo stato e alimenti. Essi sono
solitamente autonomi dai principali sindacati e partiti politici,
sebbene ci siano delle importanti eccezioni. I MTD solitamente si
riuniscono in assemblee di quartiere per decidere sulla tattica per
portare avanti delle lotte efficaci per il lavoro. Nel principio del
2002 circa 200.000 lavoratori disoccupati si sono organizzati, sebbene
siano molti di più i lavoratori e i sottoccupati che partecipano ai
blocchi stradali e alle dimostrazioni. Il MTD riceve supporto dai
sindacalisti di base, dai sindacalisti regionali, particolarmente dai
sindacati dei lavoratori del settore pubblico (ATE), dalle
confederazioni dissidenti (CTA) e dai partiti marxisti. Il MTD è
stato chiaramente la punta di lancia nell’organizzare
l’opposizione al regime neo-liberista in assenza di una reale
opposizione da parte dei partiti politici e dei sindacati ufficiali.
Blocchi
stradali ogni mese (1997- 2001)(48)
1997........
11
1998........
4
1999........
21
2000........
42
2001*......
64
*Gen.-mag.
2001.
Dal
giugno 2001 al giugno 2002, il numero di blocchi stradali è cresciuto
ulteriormente, mescolandosi e combinandosi con altre forme di lotta
incluse le dimostrazioni di massa dei cacerolazos (le dimostrazioni
della classe media attuate con la percussione delle pentole),
sollevazioni urbane di massa (puebladas), assalti nei supermercati in
cerca di cibo e la rivolta a livello nazionale del 19-20 dicembre
(specialmente il giorno 20).
Molte
questioni teoriche emergono dall’analisi del MTD. In primo luogo, è
falsa l’idea che i disoccupati, al di fuori delle fabbriche, non
possono essere organizzati perché sono troppo dispersi, frammentati e
socialmente ininfluenti. I MTD hanno dimostrato che la loro comune
situazione sociale, la leadership dal basso basata su ex lavoratori
sindacalizzati che opera attraverso assemblee popolari con strutture
orizzontali può organizzarsi con successo nel mezzo di una
depressione, a dispetto dell’ostilità e dell’indifferenza delle
intera dirigenza delle organizzazioni sindacali e dei partiti
politici. Il punto focale della azione sociale collettiva si è
spostata dalla fabbrica alla strada, specialmente quando la
disoccupazione nei quartieri operai ha raggiunto il 40-60%, la
sottoccupazione il 20-30% e la fame colpisce un terzo dei bambini
della classe operaia in età scolare.
La
massa degli attivisti si è in larga parte “femminilizzata”, dal
momento che le donne sono nella maggior parte dei casi le capofamiglia
e sono alla testa nell’organizzare le barricate e il sistema di
supporto logistico (le mense popolari sulla strada). Le donne della
classe lavoratrice hanno apportato al MTD l’esperienza di due
decenni di organizzazione di vicinato, prima attraverso lo schema di
riforma dei quartiere dei vari regimi e durante i trascorsi sette anni
attraverso gli autonomi e militanti MTD. I blocchi stradali si sono
evoluti da azioni sporadiche e quasi spontanee ad attività
sistematiche e organizzate coordinate da migliaia di disoccupati. Ci
sono stati 51 blocchi stradali nel 1998, 252 nel 1999, 514 nel 2000 e
quasi un migliaio nel 2001 (50). Nel 2002 i blocchi stradali sono
stati spesso congiunti con rivolte generalizzate, particolarmente
nelle province dell’interno, ma anche nell’area circondariale di
Buenos Aires. Nel gennaio 2002, ad es., i blocchi stradali hanno
accompagnato la mobilitazione popolare a Cordoba, Santa Fe, Chaco,
Misiones, Santiago del Estero, Salta and Formosa (51). Le lotte
congiunte sia la lotta degli MTD che la protesta di altri settori,
come gli impiegati pubblici che chiedono le page arretrate, le
abitazioni per i senza casa, la fine della confisca dei risparmi, e la
distribuzione di cibo. In alcuni casi sono stati saccheggiati i
supermarket e costruzioni municipali, mentre
sono state occupate le residenze dei governatori e le sedi delle
assemblee legislative provinciali.
Il
saccheggio dei negozi al dettaglio può essere differenziato a seconda
degli organizzatori e degli obiettivi. 1) Quelli organizzati dai boss
sotto la tutela dei peronisti (Justicialista), particolarmente prima
della data del 19-20 dicembre 2001, per destabilizzare la presidenza
di De la Rua, leader del Partito Radicale (Partido Radical). 2) Quelli
“spontanei” organizzati dagli indigenti e dai poveri affamati. 3)
Quelli organizzati o minacciati dal MTD al fine di fare pressione per
negoziare con i supermercati in modo da assicurarsi donazioni
volontarie.
Il
grado di organizzazione e il lavoro dei MTD varia molto attraverso il
paese. Il MTD di Matanza con 25.000 affiliati, guidato da D’Elia,
organizzato per quartieri nella municipalità di Matanza, una città
con oltre un milione di residenti. In Mosconi, Cutral-Co e Tartagal,
ex città petrolifere, il MTD è guidato e organizzato da lavoratori
petroliferi ex sindacalizzati e ben pagati. In Mosconi un
impressionante serie di laboratori su piccola scala e microimprese si
sono costituite al posto delle grandi imprese statali “crea
lavoro”, incluse panetterie, lavorazione del metallo, costruzioni e
altri generi di attività lavorative.
E’
chiaro che I “piqueteros” non sono tutti quello che appaiono
essere, lavoratori disoccupati che si battono per la giustizia
sociale. Particolarmente il partito peronista, adesso al potere, ha
usato i sussidi per i disoccupati per provare a dividere i MTD,
distribuendo le domande di impiego attraverso i propri boss locali e
organizzando bande di teppisti per attaccare e intimidire le assemblee
nei quartieri popolari, sebbene essi raramente provano a minacciare i
MTD.
In
alcune municipalità, i MTD sono gradualmente cresciuti, ma hanno
avuto dei problemi ad organizzare la produzione su piccola scala (53).
Alcuni progetti come forni locali, costruzioni edilizie, lavorazione
del metallo e negozi di vestiario hanno avuto successo, ma non sono
andati bene gli orti a causa delle frequenti inondazioni e della
mancanza di esperienza agricola. Gli MTD devono anche far fronte al
problema di mantenere la disciplina sul lavoro, specialmente tra
alcuni settori dei giovani disoccupati che si sono battuti sulle
barricate, ma non hanno mai fatto esperienza di orari e della
puntualità nell’adempiere agli obblighi di lavoro (causa di
dissensi e di conflitti all’interno dei collettivi) (54).
I
MTD sono delle forze sociali potenti, sebbene si stanno dividendo in
misura crescente in organizzazioni politico-sociali in conflitto tra
di loro. Il MTD di Matanza, guidato da D’Elia e quelli influenzati
dal CCC (coordinatori basati sulla classe) collaborano e trattano con
il regime Duhalde. Tatticamente essi hanno nettamente attenuato
l’impatto dei blocchi stradali in favore di “strade
alternative”,alla ricerca di ciò che chiamano un’“alleanza
poli-classe”. Questo tipo di MTD collaborano strettamente con la
confederazione del lavoro dissidente CTA,subordinando lo scontro alla
trattativa. Entrambe le organizzazioni non parteciparono alla
sollevazione di massa del dicembre 19 e D’Elia si oppose alla
partecipazione alle mobilitazioni del giorno 20. Questi MTD sono
chiaramente riformisti.
I
MTD radicali sono dispersi lungo il paese e nell’area circondariale
di Buenos Aires. Essi includono Anibal Veron, Mosconi, Almirante
Brown, Teresa Rodriguez, Solano e molti altri, compresi affiliati
regionale del CCC che hanno mantenuto uno stile militante e di
confronto dell’azione sociale: blocco totale delle autostrade e
autonomia da tutte le organizzazioni sindacali.
Tuttavia,
i MTD radicali sono essi stessi divisi internamente sulla linea
politica, con il Polo operaio trozkista (“Polo Obrero”), il
comunista “Terra e Liberazione” (Tierra y Liberacion) e altre
organizzazioni in competizione tra loro per l’egemonia (55). Il
risultato è che i MTD radicali, nel migliore dei casi hanno solo
alleanze tattiche, mentre spesso sono in conflitto, anche fino al
punto di trattare separatamente con il regime.
Nonostante
la formidabile crescita e potere degli MTD, essi non hanno realizzato
il loro pieno potenziale. Hanno avuto successo nell’assicurare
assistenza temporanea per la sopravvivenza, ma non sono ancora stati
capaci di trasformarsi in una forza per la trasformazione del sistema.
Ciò è dovuto in parte alle barriere imposte dai sindacati
collaborazionisti tra lavoratori occupati e disoccupati e in parte
alla competizione e al conflito tra gli MTD. I MTD non hanno
riconosciuto e accettato una leadership nazionale capace di
organizzare un piano nazionale di lotta che possa
saldarsi con le assemblee popolari, le rivolte popolari e i
sindacati dissidenti, in particolare quelli del settore pubblico.
Quando una sollevazione popolare di massa ha avuto luogo nella
capitale, i MTD non ne sono stati alla testa e non ne sono stati i
principali attori, sebbene i precedenti anni di crescenti azioni
dirette avevano creato il clima favorevole.
Le
bandiere rosse e gli striscioni, normalmente onnipresenti, della
sinistra marxista, dei sindacati dissidenti e dei piqueteros erano
quasi completamente assenti quando decine di migliaia di argentini
marciarono verso Plaza de Mayo di fronte al palazzo presidenziale, la
Casa Rosada, nell’afoso pomeriggio estivo del 19 dicembre [siamo
sull’emisfero opposto del pianeta]. Questo fu l’inizio di una
sollevazione durata due giorni che mise fine al disprezzato regime De
la Rua e del suo zar economico Cavallo e che costò la vita a un
numero di manifestanti tra i 30 e 40, oltre a centinaia di feriti e
arresti.
Il
popolo riempiva Plaza de Mayo, comprese le Madri di Plaza de Mayo (un
gruppo per i diritti umani), vi erano giovani, pensionati, attivisti
progressiste che protestavano contro lo stato d’assedio dichiarato
dal regime e ancora più significativamente le decine migliaia di
declassati e impoveriti sbatittori di pentole della classe media. Al
centro della protesta vi era il “corralito”, il decreto del regime
che confiscava o congelava i risparmi di milioni di argentini,
maggiormente dellla classe media. Lo stato d’assesio (estado de
sitio) fu la goccia che fece traboccare il vaso. Una cosa era
confiscare i risparmi di una vita, un’altra dire alle vittime di
starsene a casa e tenere le bocche chiuse.
Ciò
che cominciò come una serie di caceroleadas nei quartieri prestò
prese le principali strade e si sviluppò rapidamente in una rumorosa
ma pacifica protesta di massa. La classe media vedeva la scritta sulle
mura delle banche: "non si accede al conto bancario senza
versamenti". Molti erano senza lavoro o sul punto di perderlo,
impossibilitati a pagare i mutui per la casa, ticket per la salute e
tasse scolastiche, spinti quindi in basso verso la classe operaia e
oltre, verso la povertà. Per molti questa era l’iniziazione alla
lotta politica di massa sulla strada. Essi avevano creduto
ferventemente alle promesse di Menem di raggiungere il primo mondo;
avevano speso e preso in prestito, visitato le scintillanti boutique
sulle nuove strade chic, erano infastiditi o ignoravano i blocchi
stradali dei disoccupati. Soltanto gli impiegati pubblici, i colletti
bianchi, che dovevano far fronte ai licenziamenti per esubero di
personale e, nelle provincie, i lunghi ritardi nei pagamenti
esprimevano qualche solidarietà con il nascente movimento di massa.
Allora ebbe iniziò la recessione nel 1999 e si approfondì nel 2000,
la disoccupazione cominciò a colpire gli affari della classe media e
la clientela degli psicologi. I servizi caddero a pezzi.
A
partire dal 2001, la recessione si stava trasformando in depressione,
il finanziamento straniero stava finendo, con l’insolvenza
all’orizzonte settori della classe superiore e media superiore
cominciavano a ritirirare i fondi, seguite in ritardo dalla classe
media e media inferiore. Durante la fine di novembre, quando
l’economia era al collasso, la classe media corse a ritirare i
propri fondi, ma si ritrovò la porta sbattuta in faccia, precisamente
nel momento in cui entrambi i maggiori partiti, la Corte Suprema e il
regime li stavano bloccando. Spinta a far conto soltanto su se stessa,
essa si riunì aggressivamente di fronte alle banche, a quelle estere
in particolare, Bank of Boston, Citibank, Galicia, Scotia, provando a
forzarne l’entrata, protestando rabbiosamente contro la frode e
manifestando il proprio risveglio politico. Per oltre due decenni le
banche avevano saccheggiato la nazione, le sue risorse, le casse
pubbliche, attraverso i guadagni derivanti dagli esorbitanti interessi
che avevano riempito le loro cassaforti, mentre la classe media
appoggiava il regime bipartisan (Radicali/Peronisti) che soprintendeva
al saccheggio. Alla fine fu il turno dei risparmi della classe media.
Dal conformismo compiacente alle sonore manifestazioni in strada, la
classe media voleva l’accesso ai suoi soldi. Le banche e il regime
diventarono il bersaglio della sua collera (56).
I
vicini vi andavano per discutere della propria situazione, per
esprimere la propria rabbia e solidarietà. Dalle riunioni informali
del vicinato, essi cominciavano ad estendere i propri orizzonti alle
strade oltre il quartiere, alle strade principali, dove erano stati
testimoni delle manifestazioni dei poveri, dei piqueteros. Scesero in
piazza e alcuni espresse la propria rabbia contro i bancomat, alcune
finestre delle banche andarono in frantumi. Le strade si stavano
riempendo, il fracasso delle pentole diventava più forte, e altri
cacerolas venivano giù in strada dai balconi dei propri appartamenti.
Convergettero il 19 dicembre di fronte alla Casa Rosada, ignorati dal
Presidente, confrontandosi con i blocchi della polizia, dando vita ad
una manifestazione illegale. Le cifre delle persone presenti variano
da 100.000 a 200.000, ma il significato era che la classe media era di
fronte al palazzo per richiedere le dimissioni del Presidente. In
realtà, richiedendo le dimissioni o la rimozione dell’intera classe
politica (que se vayan todos). La polizia attaccò con manganelli,
lacrimogeni e proiettili veri. Molti manifestani furono uccisi,
centinaia feriti, una pacifica manifestazione di protesta si trasformò
in una battaglia campale, mentre i manifestanti più anziani fuggivano
i giovani contrattaccavano. Operai sulle moto che facevano da
messaggeri riferivano le informazioni e facevano da supporto
logistico. Il centro di Buenos Aires era pieno di gas lacrimogeni, un
sanguinoso campo di battaglia che ricordava l’Intifada palestinese,
con gomme bruciate, giovani che lanciavano pietre e poliziotti dal
grilletto facile.
[Non]
minimamente organizzati e del tutto spontanei, i giorni e le settimane
di rabbia che seguirono la confisca delle banche, l’indifferenza
alle ragioni della gente, il grottesco salario e i superstipendi dei
deputati (12.000 $ statunitensi al mese più bustarelle e pagamenti
sottobanco), erano delle intollerabili provocazioni che provocarono la
rottura con il conformismo e la compiacenaz di una vita e soprattutto
la fiducia nel sistema elettorale e la democrazia rappresentativa.
Nei
quartieri, le assemblee piene riempivano i parchi del vicinato. Qui la
sfiducia pubblica diventava evidente: le assemblee respingevano
leader, programmi prestabiliti, etichette di partito (anche della
sinistra), ogni cosa doveva essere discussa e votata, ma
frequentemente poco poi veniva messo in pratica.
L’assenza
della sinistra durante i primi giorni della rivolta (dicembre 19) può
essere attribuita a molti fattori, sia ideologici che organizzativi
(58). La maggioranza della sinistra utilizzava una rigida analisi di
classe da cui deduceva il comportamento politico. Essa era
generalmente “lavorista” (ciò che non proviene dalle fabbriche è
sospetto). Questa rigidità aveva la seguente logica: operai di
fabbrica-sindacalizzazione-partito rivoluzionario-sciopero
generale-rivoluzione. Nel frattempo, i lavoratori sindacalizzati
diventavano una minoranza, la maggior parte dei lavoratori erano
disoccupati o sottoccupati e molti erano organizzati dai MTD. In
ritardo la sinistra si volse a organizzare, mobilitare e frammentare i
MTD.
Allo
stesso modo, la sinistra si era lasciata sfuggira la dinamica della
mobilità di classe: il rapido movimento in basso della classe media,
il suo impoverimento e proletarizzazione. Avendo perso tutti i
risparmi, la classe media non aveva niente da perdere, era
profondamente alienata da tutti i suoi punti d’appoggio
tradizionalmente conservatori. Essa era aperta ad uno stile di
politica di piazza radicalmente democratico e a forme di democrazia
diretta basata sulle assemblee.
La
sinistra partecipò alla rivolta soltanto il secondo giorno, il 20
dicembre, e anche allora soltanto gli attivisti e i militanti in
quanto i leader rimasero nei loro quartieri generali a dedicarsi alla
strategia. Il 20 dicembre, importanti settori dei sindacati dei
lavoratori pubblici, piqueteros, attivisti marxisti e decine di
migliaia di persone indipendenti della classe media radicalizzata si
riversarono nelle strade. Migliaia di giovani, dagli studenti della
classe medio-bassa ai giovani piqueteros disoccupati raggiunsero la
manifestazione e l’eventuale scontro con la polizia di fronte al
palazzo presidenziale di Buenos Aires e nelle altri maggiori città.
La dimostrazione della classe media in via di declassazione fu il
detonatore dell’assalto di massa e continuato al potere. Quattro
governi andarono e venirono in rapida successione nel giro di 14
giorni.
La
rivolta ebbe successo riguardo a molti punti importanti. Il regime di
Saa dichiarò che l’Argentina non avrebbe fatto fede ai suoi
obblighi. Il popolo riuscì ad imporre le dimissioni di quattro
presidenti. La rivoltà delegittimò la classe politica e il sistema
giudiziario, mettendone il luce la venalità e il carattere
antipopolare e antinazionale.
La
rivolta di massa del 19-20 è stata storicamente unica per molte
ragioni: è stata la prima volta che in Argentina una rivolta popolare
ha rovesciato un capo in bancarotta, eletto o dittatoriale che sia.
E’ stata la prima volta nella storia che la maggioranza degli
argentini ha combattuto e respinto un’intera classe politica. La
rivolta e la comunanza di interessi che ne è seguita ha portato alla
creazione di nuove e creative forme di rappresentanza popolare diretta
nella forma delle assemblee di quartiere, e nuove tattiche di lotta,
le manifestazioni di caceroladas capaci di bloccare le decisioni
statali che avevano un effetto negativo sul popolo
(come il tentativo del regime di Duhalde di convertire i
risparmi confiscati in obbligazioni ammortizzabili in dieci anni).
Accodandosi
al seguito del Presidente Duhalde, composto da una cricca di boss di
partito peronisti e seguendo qualche promessa demagogica, i due
sindacati ufficiali, CGT e CGT-Moyano hanno appoggiato il suo regime.
La vasta maggioranza del popolo si era opposta fin dall’inizio e in
misura crescente con il passare del tempo. In sei mesi di vita, il
sostegno al regime si era ridotto al 10% e si trovava a far fronte a
una nuova ondata di blocchi stradali e scioperi generali.
Le
assemblee popolari si affidavano in misura crescente al lavoro delle
commissioni per promuovere dei cambiamenti politici, quando i gruppi
marxisti cominciarono ad arrivare, dibattere, argomentare riguardo
alle tattiche, programmi e altre chiacchiere di partito che
allontavano molti e reclutavano pochi (59). Ci fu un temporaneo
arretramento rispetto al punto culminante raggiunto nel dicembre 2001.
Il
movimento cacerolero ha dimostrato la sua capacità di veto rispetto
alle nomine e decreti presidenziali. Tuttavia, la mancanza di una
focalizzazione su chiari obiettivi politici e la sua struttura
organizzativa diffusa hanno indebolito la sua capacità di consolidare
un potente movimento nazionale. La lotta intestina delle fazioni della
sinistra ha minato la capacità di attrazione delle assemblee verso
molti partecipanti. Nonostante le emergenti debolezze, l’esperienza
politica raggiunta e la sensazione di avere potere ha incoraggiato una
crescente corrente radicale di opinione tra la classe media
impoverita. Sondaggi dell’opinione pubblica sui candidati
presidenziali alla fine del maggio 2002 favorivano un marxista,
Zamora, in vantaggio rispetto ai candidati dei maggiori partiti.
Il
17 aprile, i lavoratori dei cantieri navali di Ensenada (provincia di
Buenos Aires) presero d’assalto la casa del governatore richiedendo
le loro paghe arretrate dai precedenti mesi. A essi si unirono dagli
impiegati pubblici e gli insegnanti con i loro sindacati
(rispettivamente ATE e SUTEBA) (60). Nello stesso giorno a Cordoba
migliaia di insegnanti in sciopero marciavano verso il governo
provinciale, mentre migliaia di sindacalisti e piqueteros dimostravano
in sostegno dei disoccupati che stavano occupando gli uffici del
lavoro richiedendo lavori pubblici (61). Nella provincia di Chubat
migliaia di disoccupati e sindacalisti dimostravano in tutte le
maggiori città per il lavoro e contro i tagli al bilancio, mentre in
Catamarca i lavoratori municipali erano al secondo giorno di uno
sciopero che coinvolgeva tutta la provincia per richiedere i pagamenti
arretrati di marzo (62). In San Juan, gli impiegati pubblici presero
d’assalto il governo provinciale, scontrandosi con la polizia, per
richiedere i loro salari. Il 18 aprile, impiegati pubblici e
disoccupati nella provincia di Chubut e Jujuy si confrontarono con la
polizia quando questa gli sbarrò il passo verso il governo
provinciale (63). I dimostranti comprendevano lavoratori di banca,
insegnanti, impiegati pubblici che richiedevano il pagamento delle
paghe arretrate e disoccupati che chiedevano lavoro. A Jujuy, oltre ad
attaccare e distruggere parzialmente il governo provinciale,
saccheggiarono un supermercato, attaccarono i quartieri generali dei
partiti dominanti e le case di due politici favoreli al regime (64).
La
“provincia era in fiamme” e il governo si stava armando. Il
Segretario alla Sicurezza aveva chiesto alla polizia di stato (la
Gendarmeria) di crare un programma di addestramento provinciale per la
polizia per reprimere i conflitti sociali e sollecitava il supporto
“tecnico” internazionale (incluse armi e addestratori).
La
ribellione nella provincia è profondamente radicata nelle politiche
liberiste del trascorso quarto di secolo, che hanno deindustrializzato
le economie provinciali. Oggi ci sono poche industrie di scatolame
nella terza città argentina, Rosario. Dove i padri erano impiegati
come tagliatori di carne, i figli sono disoccupati. La loro unica
esperienza nel tagliare la carne è stata durante un raid su un camion
rovesciato che trasportava il bestiame al mercato, l’unica carne
nella loro diete per mesi se non per anni (66). La
deindustrializzazione è il risultato delle privitazzazioni,
dell’abbassamento delle barriere commerciali e dell’ingresso
massiccio di importazioni economiche, così come delle barriere
commerciali verso la carne di manzo e i prodotti agricoli in Europa e
negli Stati Uniti. L’aumento dei costi di trasporto e dell’energia
e l’assenza da parte del regime di investimenti per ammodernare le
industrie e per la promozione di nuove imprese ha contribuito al
declino dell’industria.
I
licenziamenti di massa e gli alti tassi di disoccupazione che
colpiscono Buenos Aires a partire dalla fine degli anni Novanta fino
al presente erano cominciati un decennio prima a Rosario, Tucuman e
altre città dell’interno. Il libero mercato aveva indebolito i
produttori nazionali nelle province, mentre i beneficiari a breve
termine si godevano i prodotti più a buon mercato importati. Le
industrie tessile, alimentare e dei beni di consumo erano in declino,
danneggiate dai produttori europei e statunitensi sovvenzionati e
protetti. Inoltre, le poche zone (petrolio, miniere, agricoltura) che
esportavano nella provincia erano ad alta intensità di capitale e
assorbivano pochi lavoratori. La privatizzazione aveva spazzato via
decine di migliaia di impieghi, in particolare nell’industria
petrolifera, dal momento che i nuovi proprietari stranieri chiudevano
le attività nelle province, trasformando le poche enclaves in
province come Neuquen in centri di disoccupazione e di instabilità
sociale. La promessa del regime di creare lavori alternativi per i
lavoratori licenziati dall’imprese private non si è mai
materializzata.
Il
reddito individuale calava, mentre le bancarotte delle ditte si
moltiplicavano. Il commercio inter-provinciale calava a causa dei
tagli alle spese per i trasporti da parte delle linee aeree e ferrovie
privatizzate, mentre salivano i costi per i trasporti stradali a causa
dell’aumento dei pedaggi effettuati dai possessori privati.
Le
entrate dei governi provinciali calavano precipitosamente, mentre i
loro costi fissi crescevano a causa della crisi. Per colmare il
deficit crescente ed evitare la crisi sociale, i governi provinciali
si rivolgevano ai fondi federali o stampavano moneta locale. Il
settore pubblico provinciale si espandeva in servizi non produttivi,
mentre il settore produttivo declinava. Il settore pubblico diventava
la prima e ultima istanza dell’impiego. I partiti politici dominanti
e i boss provinciali sottraevano decine di milioni di pesos dai
governi locali e federali, travasando i guadagni dalle imprese
provinciali per finanziare su vasta scale le macchine elettorali dei
partiti, mantenendosi al potere fornendo il lavoro ad alcuni, mentre
portavano all’esaurimento l’economia e impoverivano i molti
esclusi dal saccheggio dello stato.
Le
più importanti IFI non si lamentavano quando i corrotti boss politici
provinciali appoggiavano il presidente Menem e il suo programma
liberista, mentre applicavano e mettevano in pratica il processo di
privatizzazione nelle proprie province. Le elargizioni del governo
federale, che rafforzavano le diseguaglianze sociali e regionali,
erano una forma di rimedio al rischio di rivolta. Quando la ribellione
popolare si è intensificata, i corrotti governatori e legislatori
provinciali avrebbero voluto assicurarsi un prestito o un pacchetto di
aiuti dal governo federale per pagare i salari o creare posti di
lavoro fittizio.
Quando
la recessione e poi la depressione colpì la nazione, in particolare
Buenos Aires e il governo federale, i fondi alle province diminuirono.
I governatori locali stamparono la propria moneta pagabile e
riconosciuta soltanto all’interno della propria giurisdizione,
limitando così le transazioni interregionali, i trasporti, la mobilità
e i viaggi. Con la fine dei beni pubblici da privatizzare al fine di
assicurarsi nuovi finanziamenti dalle IFI, il governo federale fu
forzato ad accettare drastici tagli agli aiuti ai governi provinciali.
Con la dichiarazione di insolvenza, le IFI chiedevano che il governo
federale imponesse delle ferme restrizioni fiscali ai governi
provinciali sull’orlo della bancarotta e l’eliminazione delle
monete locali, provocando così licenziamenti di massa, bancarotte e
un’enorme crescita della povertà.
La
provincia si ribellò. Come osservava il Financial Times,
“con il livello di povertà che cresce quotidianamente e i governi
provinciali a corto di quattrini, incapaci di pagare i lavoratori e di
offrire delle elemosine ai poveri, c’è timore di una nuova ondata
di violenze" (67). Una settimana più tardi vi fu un imponente
sciopero generale di 24 ore. Il conflitto politico di classe si è
intensificato durante il 2002. Il risultato finale della logica della
privatizzazione e della liberalizzazione dei mercati è stata un
ribellione politica generalizzata che si è diffusa da provincia a
provincia arrivando fino al centro di Buenos Aires e alle sedi del
potere politico e finanziario.
La
rivolta provinciale era molto simile alla sollevazione popolare della
capitale, in quanto incorporava un’ampia varietà di strati sociali
nella stessa mobilitazione di massa: impiegati pubblici, insegnanti
scolastici, lavoratori disoccupati, lavoratori industriali senza paga.
La netta linea divisoria tra sindacati burocratizzati e assemblee
popolari e MTD (lavoratori disoccupati) presente nella capitale è
sfumata nella provincia. Qui
spesso, il sindacato dell’ATE e quello degli insegnanti si impegnano
in azioni comuni con i lavoratori disoccupati appoggiando la richiesta
del pagamento dei mesi arretrati per gli occupati e di lavori
finanziati dallo stato per i disoccupati. Molte famiglie sono composte
sia da impiegati pubblici che da disoccupati. La lotta di classe è
principalmente contro lo stato, lo stato neo-liberista, sebbene le
proposte alternative sono nebulose. Molte rivolte sono terminate
quando è ritornata la assistenza statale, con il pagamento dei salari
arretrati in un caso, creando qualche posto di lavoro in un altro.
Durante il 2002, tuttavia, l’abilità dello “stato
assistenziale” di porre temporaneamente fine alle ribellioni è
stata estremamente limitata, esattamente nella misura in cui i redditi
calavano e la disoccupazione raggiungeva il 30-40% nelle città e il
60-70% nelle zone rurali.
Il
risultato furono le "puebladas": la ribellione di intere
città, l’occupazione di edifici pubblici, il blocco delle
autostrade e la presa in ostaggio dei deputati. Il ciclo di azioni
radicali seguito dall’elezione di politici conservatori sta
cambiando. Il periodo di mobilitazione popolare si sta estendendo e il
livello di azione si sta intensificando, mentre i politici elettorali,
senza più clientela, sono totalmente screditati. L’azione
collettiva in piazza è più rappresentativa degli interessi e delle
atteggiamenti del popolo che le sedute di governatori e deputati. Le
puebladas hanno creato una sorta di “potere duale” a breve
termine, il quale, tuttavia, non ha trovato il modo di
istituzionalizzarsi.
La
crisi in via di approfondimento ha omogeneizzato vasti settori della
popolazione: i professionisti hanno visto i loro redditi calare di due
terzi, gli impiegati pubblici non sono stati pagati per mesi (a salari
ridotti del 70%), e i loro risparmi sono stati confiscati. Le
puebledas sono una chiara espressione della crescente omogeneizzazione
delle classi sociali, della loro comune situazione sociale. Le azioni
congiunte e la solidarietà tra occupati, professionisti e disoccupati
incarna questo declino nelle distinzioni socio-economiche.
Se
le rivolte sociali provinciali sono più frequenti, intense e
inclusive, esse non sono coordinate, anche quando occorrono nello
stesso momento, e non hanno una leadership inter-provinciale accettata
e un programma economico alternativo. La tattica è “offensiva”;
le richieste sono “difensive”. Soltanto in poche occasioni la
classe lavoratrice ha preso l’iniziativa per creare dei modelli
alternativi di proprietà.
Il
potente movimento piquetero dei disoccupati, le diffuse assemblee
basate sul vicinato, la rivolta del 19-20 dicembre 2001 e lo sciopero
generale del 29 maggio 2002 indicano un’opposizione di massa alla
politiche e ai leader del regime neo-liberista. Ciò che è ugualmente
importante, queste azioni collettive richiedono dei profondi
cambiamenti delle politiche nazionali ed estere, dei rapporti con le
banche estere, le IFI, Washington e G-7. Non c’è stata una chiara
definizione delle alternative politico-economiche radicali a livello
nazionale, tuttavia, a livello locale due esempi indicano
un’alternativa rivoluzionaria, una trasformazione dei rapporti di
proprietà e dei rapporti sociali: l’occupazione e la gestione dei
lavoratori di molti stabilimenti. Le più note hanno avuto luogo a
Neuquen alla fabbrica di ceramiche Zanon, un’altra a Buenos Aires
alla fabbrica di vestiario Brukmann. In entrambi i casi la gestione da
parte dei lavoratori delle fabbriche indica un’alternativa alla
chiusura degli stabilimenti, ai lavori pubblici fittizi e alle mense
di carità.
Durante
la prima metà del 2002, la chiusura degli stabilimenti si è
moltiplicata e si è accellerato il licenziamento dei lavoratori: a
gennaio 1000 lavoratori ogni giorno; in Febbraio 2000, a marzo oltre
65.000 erano sulla strada (68). Molte fabbriche minacciate dalla
chiusura erano occupate dai lavoratori per prevenire ulteriori
licenziamenti e la svendita del macchinario. I proprietari, aiutati
dai burocrati sindacali collaborazionisti, procedevano a ottenere dal
tribunali gli ordini di sgombero, mentre la polizia veniva inviata a
sloggiare i lavoratori. L’occupazione seguiva una specifica sequenza
(69). Primo, i lavoratori nelle fabbriche votavano per rimpiazzare i
delegati di fabbrica appartenenti alle burocrazie sindacali, con
militanti rappresentanti combattive eletti e che rispondevano quindi
alle assemblee di fabbrica. Successivamente procedevano a destituire
attraverso elezioni i collaboratori dei padroni nei sindacati locali.
Con i nuovi leader e le decisioni prese dalle assemblee di fabbrica, i
lavoratori votavano per l’opposizione alla chiusura delle fabbriche,
occupando e facendo funzionare essi stessi la fabbrica. Le fabbriche
gestite dagli operai e i nuovi sindacati ottenevano il sostegno dalle
assemblee popolari nella città, dagli attivisti dei sindacati locali,
dagli studenti universitari e, soprattutto, degli MTD. Di fronte alla
minaccia di sgombero, le assemblee dei lavoratori richiesero l’aiuto
dei loro alleati nelle organizzazioni di quartiere e negli MTD per
affrontare la polizia. Trovandosi di fronte a una resistenza di massa
da parte di un ampio dispiegamento di organizzazioni determinate, la
polizia si ritirò.
Le
fabbriche gestite dai lavoratori si erano assicurate l’appoggio
tecnico da parte delle università e del personale amministrativo
della fabbrica. Ma la principale innovazione organizzativa è stata
l’istituzione di commissioni che si occupassero delle forniture e
delle vendite, della salute e della solidarietà e altre aree man mano
che emergevano i problemi. Nella fabbrica di ceramiche Zanon, gli ex
proprietari facevano pressione sui fornitori per tagliare la vendita
degli inputs, riducendo così la produzione dall’80% al 25% della
capacità tra febbraio e marzo 2002 (70). Allora la commissione dei
lavoratori si è mossa per ristabilire la rete dei fornitori.
I
lavoratori della Zanon non vedono l’occupazione di singole fabbriche
come una soluzione, data la crisi generale, e l’alto livello di
disoccupazione. Essi sono per un’offensiva generalizzata da parte
dei lavoratori volta all'occupazione delle fabbriche e per richiedere
la proprietà pubblica sotto il controllo dei lavoratori -- in una
parola, il socialismo. L’esperienza di Brukmann e Zanon ha ricevuto
l’attenzione nazionale ed è diventata un punto di riferimento per
altri lavoratori che si trovano ad affrontare la chiusura degli
stabilimenti. Ma il primo passo verso qualsiasi trasformazione sociale
risiede nel nominare rappresentanti e leader sindacali basati che
rispondono alle assemblee di fabbrica. In tutte le lotte per prevenire
la chiusura degli stabilimenti i sindacati nazionali e i loro
rappresentanti locali sono stati i maggiori ostacoli. L’esempio di
Zanon e Brukmann indica che l’espulsione dell’attuale élite di
burocrati è il primo passo per riuscire nel confronto con i
proprietari delle fabbriche e lo stato. L’occupazione delle
fabbriche è vista dalla nuova leadership democratica come il primo
passo verso una trasformazione nazionale; allo stesso modo
l’appoggio alle richieste degli MTD: per un “impiego effettivo”
a salari sindacali, in lavori produttivi socialmente utili
(costruzione di scuole, ospedali, abitazioni a basso costo, articoli
di consumo di massa). Le fabbriche gestite dai lavoratori sono basate
su un’organizzazione di classe sul posto di lavoro dei e per i
lavoratori; il successo della loro prospettiva di classe è in netto
contrasto con l’approccio collaborazionista dei burocrati nazionali
che hanno mancato di lottare contro i licenziamenti di massa e che
hanno accordi espliciti o impliciti nella speranza di assicurasi posti
di lavoro fittizi per i disoccupati o semplicemente per proteggere i
propri salari e prerogative.
Se
l’estensione del movimento per l’occupazione e gestione delle
fabbriche è limitata e inferiore numericametne rispetto ad altre
forme di mobilitazione di massa, esso è certamente la forma di lotta
che in modo più significativo indica una sistema sociale fortemente
alternativo, e un’alternativa democratica al sistema elettorale
elitario che portato l’Argentina sulla strada della disgregazione.
Alla
luce del completo e totale fallimento del modello neo-liberista
argentino, sono emersi molti modelli alternativi di sviluppo. Uno di
questi, il Plan Foenix (PF), proposto da oltre 100 economisti e
scienziati politici, è quello che è circolato maggiormente e ha
avuto più influenza nei circoli intellettuali (71). L'altro, che
possiamo chiamare Plan Prometeus, si è articolato all'interno delle
emergenti organizzazioni democratiche rivoluzionarie.
Il
PF è allo stesso tempo una diagnosi critica delle politiche
neo-liberiste e una prescrizione per il cambiamento e lo sviluppo. La
diagnosi critica copre un ampio spettro di questioni
politiche-economiche, dalla politica fiscale, alla spesa pubblica,
ALCA [o FTAA,
Area per il Libero Commercio fra le Americhe] e MERCOSUR [alleanza
commerciale tra Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay, con Cile e
Bolivia quali membri associati] fino alle privatizzazioni e alla
politica tecnologica (72). Mentre molti analisti sono critici delle
politiche neo-liberiste, alcuni lo sono maggiormente di altri.
Azpiazu
e Basualdo, ad es., sono più critici delle strutture del potere
economico rispetto a Katz e Stumpo, i quali sono liberisti abbastanza
ortodossi (73). Il pregio principale del PF si trova nella sua critica
della totale deregolamentazione dell'economia, dell'indiscriminata
apertura al mercato mondiale, della unilaterale e radicale riduzione
delle barriere doganali (senza reciprocità), della perdita del
controllo sulla politica monetaria attraverso la dollarizzazione di
fatto, dello smantellamento dello stato quale strumento di politica
economica, della grande concentrazione di potere economico e della
mancanza di trasparenza nella privatizzazione delle imprese pubbliche.
Il PF rifiuta l'argomento degli ideologi della globalizzazione,
secondo cui lo stato-nazione non è più uno strumento utile per la
definizione delle politiche, è infatti parte di un nuovo progetto
finalizzato alla rivitalizzazione del ruolo dello stato per il
perseguimento di una politica industriale che abbia come priorità lo
sviluppo del mercato interno e della competitività internazionale
(74).
Nel
campo delle riforme, il PF si concentra sulla riduzione del pagamento
del debito attraverso moratorie o riduzione dei pagamenti (il
documento è contradditorio). In ogni caso le sue proposte moderate
sono state superate dagli eventi successivi, poiché tre mesi dopo che
il PF è stato pubblico il governo è diventato insolvente. Il PF
sostiene l'incremento delle tasse per i ricchi, per i gruppi
finanziari e altri settori "non produttivi", e
l'eliminazione delle sovvenzini alle classi privilegiate. Le entrate
così ottenute dovrebbero essere canalizzate verso investimenti che
creino lavoro in aree socialmente utili (scuole, abitazioni per le
fasce a basso reddito, asili infantili), così come programmi per la
formazione lavorativa. La premessa di base del PF è che la coalizione
di partiti politici, settori produttivi privati, e la società civile
dovrebbero essere la base politica per un nuovo regime di
regolamentazione (75). Lo stato dovrebbe indirizzare il capitale
finanziario verso il capitalismo produttivo, spingere il capitale
straniero a reinvestire i profitti nell'economia nazionale, e il
capitale produttivo a investire in attività sociali utili. Il PF
cerca di escogitare una politica che "riorienti il capitale"
verso il mercato interno, la (re)industrializzazione e la lavorazione
delle materie prime per generare maggiore valore aggiunto al fine
dell'esportazione nei mercati internazionali. La priorità del PF
vorrebbe essere lo sviluppo di un piano nazionale di sviluppo per
riattivare l'economia, fissare delle piorità sociali, proteggere in
modo selettivo i produttori locali, cercare delle risorse per il
finanziamento nazionale e in seguito negoziare con le IFI, incluso il
FMI (76). Il punto centrale dovrebbe essere sulla trasformazione
interna e il ruolo dello stato nazionale, non gli accordi esterni con
le IFI.
Il
PF propone di "riprogrammare il pagamento del debito" per
assicurarsi un "periodo di tregua" attraverso la trattativa
con le IFI e assicurarsi i crediti dagli G-7 per sviluppare lo stato
sociale, basate sull'economia privata regolata dallo stato. Citando
gli esempi dell'Europa occidentale negli anni Sessanta e i primi anni
Settanta, il PF ritiene che stato sociale e capitalismo siano
compatibili. La coalizione sociale che dovrebbe attuare queste
politiche assomiglia agli stessi componenti dell'alleanza
"nazional-popolare" degli anni Quaranta e Cinquanta.
Il
PF unisce una critica informata di molti settori dell'economia ad una
concezione del tutto superata delle realtà economiche e
socio-politiche, in particolare per quanto riguarda il comportamento,
gli interessi e gli orientamenti delle classi sociali, dei partiti
politici, delle banche estere e delle IFI.
Come
ha osservato Alfredo Garcia, fra coloro che hanno contribuito al PP,
"nel contesto politico ogni proposta economica ha validità
soltanto se c'è una forza politica capace di esserne portatrice"
(78).
Il
PF è un piano essenzialmente neo-strutturalista che accetta il
processo di privatizzazione, la distribuzione della proprietà e le
attuali relazioni sociali di produzione (79). Gli attuali proprietari
di banche, fabbriche, telecomunicazioni, beni immobili, terre e
minerali non sono messi in discussione. La riforma basilare è quella
di introdurre lo stato per quanto riguarda la regolamentazione del
loro comportamento, ridurre gli eccessi del mercato, aumentare le
tasse e convircere i suddetti ad aumentare il loro contributo agli
investimenti industriali, al consumo domestico e al benessere sociale.
Ci
sono molti questioni connesse alle politiche di regolamentazione. Le
classi dominanti capitalistiche e finanziarie hanno evitato e
resistito a qualsiasi tentativo di "riorientarle" perché
esse sono legate ai circuiti internazionali. I tentativi precedenti di
regolamentazione hanno portato a massicce fughe di capitali -- come è
accaduto precisamente quando il PF è stato pubblicato -- sebbene i
due eventi non sono direttamente connessi. La regolamentazione presume
che vi sia un'economia vitale, il che l'Argentina non è in questo
momento. Il PF è stato pubblicato nel mezzo della recessione, quando
l'economia stava regredendo al tasso del –15% all'anno e i redditi
calavano di oltre il 60%, proporre di "regolare" in un
contesto di crescente numero di bancarotte non ha senso. La questione
dell'intervento statale implica un massiccio intervento statale nel
settore pubblico, il quale può avvenire soltanto attraverso la
ri-socializzazione e nazionalizzazione dei settori strategici
dell'economia.
Lo
stato sociale e gli investimenti pubblici non possono essere
finanziati attraverso tasse aggiuntive, quando gli investitori hanno
inviato i loro guadagni all'estero ed entrate e profitti sono in calo.
Quando il regime di Duhalde tentò di "trattenere" i
profitti del settore dell'esportazione agricola, quest'ultimo organizzò
il boicottaggio della produzione, causando il ripensamento del regime.
Le
proposte messe in campo dal PF sottovalutano del tutto la portata e la
profondità della crisi argentina: la disintegrazione dell'economia e
della società. Proporre dei palliativi politici, nel momento in cui
l'intero sistema produttivo, finanziario e di distribuzione è allo
sfascio risulta totalmente inadeguato a rimettere in moto l'economia.
Il
presupposto del PF che le IFI e le banche private coopereranno alla
riduzione dei profitti (attraverso la tassazione) e a diminuire
l'invio di fondi alle loro case madri, sfida la realtà pratica.
Le banche private hanno ritirato grandi quantità di guadagni e
di depositi dei risparmiatori e si sono opposte al rifinanziamento
delle loro succursali durante gli anni 2000-2002, comportamento
difficilmente compatible con il pagamento di tasse più alte e con il
reinvestimento dei fondi in Argentina o l'espansione dello stato
sociale. Su quest'ultimo punto, le banche estere hanno proposto la
ristrutturazione, inclusa la proposta di accollare allo stato i loro
passivi, licenziando fino a 2/3 della loro forza lavoro, riducendo il
numero delle succursali e, in alcuni casi, chiudendo e ritirandosi dal
paese, come nel caso della Scotia Bank e di molte altre.
Il
rifiuto delle IFI di finanziare o estendere il credito all'Argentina,
difficilmente può essere considerato un segno che esse vorrebbero
"negoziare nuovi crediti e rifinanziamenti" a un regime che
aggiunge delle tasse alle transazioni delle banche estere, limita la
rimessa dei profitti e "orienta" le banche a prestare ai
settori produttivi argentini, che producono per il mercato interno,
come vorrebbe il PP.
Il
PF sottovaluta il legame tra le IFI e il capitale estero nel contesto
degli anni Novanta. La sua estrapolazione dello stato sociale europeo
degli anni Sessanta, quando il movimento operaio era forte, il
comunismo era un'alternativa e il capitalismo era in espansione,
mentre il capitale finanziario era subordinato al capitale produttivo,
rappresenta una grossolana incomprensione dell'attuale contesto
globale e nazionale. Il capitale è collegato ai mercati
internazionali e profondamente ostile ad ogni tipo di stato sociale,
dappertutto. Le burocrazie sindacali hanno scarsa influenza e non
esistono più partiti nazional-popolari.
L'estrapolazione
del PF non riesce a rendere conto che oggi, il capitalismo
statunitense ed europeo non può essere "regolato": esso
disinveste, si sposta e oppone resistenza; esso destabilizza per
evitare la regolazione, lo stato sociale e la tassazione progressiva. La
vera questione oggi è di nazionalizzare il capitale al fine di
regolarlo, cioè cambiare il carattere dei rapporti di proprietà al
fine di riallocare gli investimenti, investendo nell'economia locale e
finanziando lo stato sociale e le infrastrutture.
Tuttavia,
il difetto più grande del PF è la sua totale dipendenza dallo stato
per stimolare, sostenere e incoraggiare gli "attori
privati": sovvenzionando il settore privato (per creare
occupazione), regolando il comportamento delle aziende privatizzate,
per correggere i carichi eccessivi e i malservizi, ecc. La critica
dell'ALCA corre lungo le stesse linee: l'ALCA è criticato a causa
delle barriere doganali e delle sovvenzioni statunitensi, piuttosto
che per le diseguaglianze strutturali tra le gigantesche
multinazionali del Nord America e il settore industriale argentino. Le
critiche del PF, anche se accettate dagli Stati Uniti (cosa
estremamente improbabile visto che l'amministrazione Bush ha aumentato
le sovvenzioni all'agricoltura), potrebbe incrementare alcune
esportazioni agricole, ma continuerebbe a pregiudicare l'industria
locale. Ugualmente problematico è il tipo di stato che propone il PF.
Il problema non è solo l'incompetenza, il nepotismo e la corruzione,
sicuramente dei problemi reali come giustamente osserva Oszlak (80),
ma la composizione politica dello stato, oltre all'intera classe
politica.
In
seguito al crollo dell'economia argentina, l'intera classe politica è
stata discreditata, inclusi tutti i partiti che il PF propone come
componenti dalla sua "nuova coalizione sociale".
Il PF propone una "coalizione di forze produttive"
che manca di realismo: i padroni stanno licenziando i lavoratori,
riducendo le ore, abbassando le paghe, assumendo lavoratori
temporanei, chiudendo le fabbriche e spostandole in nuove aree (dentro
e fuori la nazione), trasferendo i capitali ad altri settori o fuori
dalla nazione. I lavoratori stanno occupando le fabbriche; i
disoccupati stanno bloccando le autostrade e occupando gli edifici
comunali, arrivando anche alla sollevazione per rovesciare il
Presidente. Questa realtà rende invidiabile la proposta della
"coalizione sociale": il livello del conflitto sociale, la
feroce competizione in merito alle scarse risorse ha rotto tutti i
legami tra capitale e lavoro. I "produttori nazionali" non
hanno mostrato nessuna inclinazione verso i programmi di welfare,
eccetto per quanto riguarda la propria sopravvivenza e possibilità di
fuga.
La
base "poli-classe" per un'economia del welfare mista non si
è materializzata durante
i trascorsi 20 anni. Al contrario, ogni coalizione elettorale
vittoriosa (Alfonsin, Menem, l'"Alianza") durante i due
decenni precedenti si è basata su una coalizione nazional-popolare,
ma quando è arrivata al potere ha attuato delle rigide politiche
neo-liberiste, seguendo la direzione indicata dai preminenti gruppi
imprenditoriali e finanziari.
Le
dimensioni piccole e medie dei produttori dell'entroterra e di Buenos
Aires può giocare un ruolo, ma certamente non in termini di
esportazione, finanziamento e larga scala, o creazione di lavoro a
lungo termine nel contesto presente (81). L'alto tasso di bancarotte
è precisamente di questo settore, inoltre essi stanno pagando i
salari più bassi e provvedono al minimo di copertura sociale per i
lavoratori. Le piccole e
medie imprese difficilmente sono un modello dal punto di vista dei
lavoratori.
Il
pericolo del PF è la mancata comprensione o anche la menzione del
problema del confronto con l'imperialismo statunitense (82). La
dichiarazione di insolvenza è oggi una realtà: il Tesoro
statunitense e i G-7 hanno emesso un ultimatum: saldare, tagliare le
spese, licenziare i lavoratori, e porre fine al debito provinciale o
ad altri impedimento al credito e al finanziamento. Non c'è nessuna
strategia o comprensione nel documento del PF di come essere
all'altezza di un confronto politico globale.
Dimentichi dell'aggressione economica (e militare) statunitense
ed europea, gli autori si comportano come se la questione fosse di
fare delle riforme a livello nazionale e di negoziare a livello
internazionale. Ma sono proprio le riforme a livello nazionale (anche
i cambiamenti graduali) che non sono accettabili per gli Stati Uniti e
l'Europa, per paura che abbiano l'effetto di diffondere il contagio
alle nazioni vicine.
Il
documento del PF è estraneo al potente movimento sociale e alle
rivolte politiche che si sono avute.
Non sono menzionate neanche di sfuggita. I disoccupati
organizzati, le assemblee popolari, il movimento per l'occupazione
delle fabbriche, le rivolte provinciali, tutto ciò ha direttamente a
che fare con la questione dello stato sociale è ignorato dal PP.
Invece, il PF guarda alle screditate burocrazie sindacali delle
confederazioni, ai partiti politici e leader che sono stati la causa
principale del disastro per dare vita ad una nuova coalizione
nazional-popolare con il capitale estero e il credito da parte delle
IFI.
Seguire
la logica politica e sociale del PF significherebbe che ogni eventuale
regime subirebbe la pressione dei propri attori economici privati
finalizzata a evitare gli oneri del welfare, e la regolazione
nazionale, per assicurare un minimo di cooperazione per la produzione.
L'egemonia interna indurrebbe gli "attori privati" al
ripensamento e i programmi per il welfare sarebbero subordinati alla
massimizzazione dei profitti a breve termine.
D'altro
canto, se le "forze sociali" della coalizione guadagnassero
ascendenza, gli "attori economici privati" si
coalizzerebbero con il capitale straniero e i G-7 per destabilizzare
il regime e provocare un'intensificazione dei conflitti sociali, il
che condurrebbe ad un'instabilità politica favorevole alla destra.
Data
la non-attuabilità del programma di riforme e regolazione del PF in
Argentina e nel contesto globale odierno, la scelta è quella del
rovesciamento della fallimentare politica neo-liberista o di
cambiamenti rivoluzionari che incorporino le riforme per il welfare
del PF in una più realistica struttura economica socializzata e
appoggiata dai suoi principali beneficiari.
Prima
di tutto c’è la necessità di una nuova coalizione sociale per
l’80% di argentini che soffrono di un severo declino degli standard
di vita, incluso il 55% al di sotto della linea di povertà.
Lavoratori occupati e disoccupati da soli ammontano a circa il 50% e
la classe media impoverita include un altro 20-30%. Questa è una
coalizione con una larga base, la quale non è legata alle banche
estere, di cui sono nemici giurati per aver avuto i risparmi
confiscati. Ciò offre allo stato socialista la base sociale per
ri-nazionalizzare le banche e il sistema finanziario e fornisce la
base politica per resistere alle pressioni dei banchieri dei G-7. La
nazionalizzazione del commercio estero potrebbe dare allo stato il
meccanismo per riorientare il meccanismo per riorientare lo scambio
con l’estero per finanziare gli investimenti pubblici e
l’industrializzazione nazionale. La ri-nazionalizzazione del
petrolio potrebbe fornire entrate e reddito per stimolare le attività
lavorative, infrastrutture e progetti sociali che creino occupazione.
La tassazione progressiva e la raccolta delle tasse possono essere
rafforzate dalla minaccia di espropriare la proprietà degli evasori
fiscali.
La
riforma dello stato proposta dal documento del PP dovrebbe essere
articolata con la nuova forma di rappresentanza popolare e
l’incorporazione dei nuovi movimenti sociali (piqueteros) nei
governi locali e municipali. Le assemblee popolari dovrebbero
esercitare il diretto controllo delle allocazioni di bilancio e delle
spese, una forma avanzata di bilancio partecipativo. La proprietà di
settori strategici dell’economia è essenziale per sostenere le
politiche redistributive, come attestano i decenni recenti. Con la
privatizzazione le diseguaglianze si sono approfondite, il potere
riguardo alle decisioni di macro-economia è stato monopolizzato da
potenti gruppi economici.
La
crisi economica ha ridotto il reddito pro-capite di circa due terzi.
Date le scarse risorse e la base produttiva in disintegrazione,
soltanto il controllo pubblico sotto la direzione dei lavoratori può
espandere la base materiale e generare maggiore eguaglianza. Una
maggiore eguaglianza dipende dal controllo sociale delle entrate da
distribuire. La proprietà sociale è al centro del Plan Prometheus.
Esso combina le tasse e le spese del PF, ma all’interno di un
settore di proprietà sociale molto più esteso, controllato
democraticamente dai produttori diretti e amministrazione pubblica
meritocratica. E’ un piano “prometeico” perché implica la
ricostruzione totale dell’economia disintegrata e del tessuto
sociale in frantumi di fronte ai potenti avversari europei e
statunitensi. Tuttavia, avere il controllo sopra i settori economici
basilari significa il ritorno del reinvestimento e del guadagno in
Argentina. La dichiarazione di insolvenza del debito significa il
risparmio di oltre il 50% delle entrate dovute alle esportazioni. La
diversificazione della produzione e la riattivazione dell’economia
significano che un uso ottimale può essere fatto della esistente
capacità inutilizzata (oltre il 50% del totale). MERCOSUR, Cina, le
nazioni arabe, settori dell’Unione Europea e la Russia offrono un
mercato alternativo ad ogni boicottaggio organizzato dalle IFI.
L’investimento pubblico in innovazione, tecnologia, ricerca e
sviluppo può incorporare l’altamente specializzata, ma attualmente
sottoutilizzata, forza lavoro argentina. Gli investimenti pubblici in
infrastrutture posso impiegare i disoccupati e facilitare il commercio
interprovinciale e inter-MERCOSUR.
Il
Plan Prometheus incorpora la critica del Plan Phoenix e va oltre la
modifica del comportamento degli attori privati fino a trasformarne la
posizione strutturale. Il Plan Prometheus incorpora alcune riforme
specifiche del welfare del PF, ma le colloca in una più realistica
struttura politica-economica della proprietà che evita le limitazioni
e le minacce di non cooperazione da parte della proprietà privata
straniera. Il Plan Prometheus rimpiazza la coalizione
nazional-popolare proposta dal PP, con una più realistica coalizione
popolare radicata negli interessi dei movimenti sociali esistenti.
Notes
1-
Rapporto annuale della Banca Mondiale (citazioni).
2-
Jose Luis Romero e Luis Alberto Romero, Buenos Aires: Historia de
Cuatro Siglos (Buenos Aires: Altamira 2000) esp Jorge Schvarzer
"La Implantacion Industrial", pp. 209-226.
3-
United Nations Economic Commission for Latin America 1992 and 2000. Clarin,
June 10, 20002. Il
governo argentino ha formalmente riconosciuto che il 51,4% della
popolazione, 18,2 milioni sono al di sotto della linea della
4-
Citato in La Nacion, March 17, 2002, p. 3.
5-
Calculato dalla tabella La Nacion Ibid.
6-
La Nacion Ibid.
7-
La Nacion Ibid.
8-
Ibid.
9-
Clarin, 31 marzo 2002, p. 10.
10-
Clarin Ibid.
11-
Vedi Clarin, 20
aprile 2002, p. 7, Javier Llorens and Marion Cafiero, Por que se
Quiere Derogar La Ley de Subversion Economica (Mimeo 2002).
12-
Clarin, 18 aprile 2002, p. 11.
13-
Ibid.
14-
Ibid.
15-
Ibid.
16-
Eduardo Basualdo e Claudio Lozano, "Entre la dolarizacion y la
devaluacion: La crises de la convertibilidad en la Argentina", Realidad
Economica, No. 73, 2000, pp. 60-66.
17-
Financial Times, 23 agosto 2001, p. 12.
18-
Vedi Llorens e Cafiero, op. cit.
19-
Ibid.
20-
Ibid.
21-
Ibid.
22-
Ibid.
23-
Ibid.
24-
Eduardo Basualdo, Concentracion
y centralizacion del Capital en la Argentina
durante la decada del noventa
(Buenos Aires: Universidad de Quilmes, 2001).
25-
Vedi Horacio Verbitsky sulla profondità e l’ampiezza della
corruzione. Sul forte incremento della corruzione delle classi
superiori vedi, "El Excedente economico en la Republic
Argentina", Realidad
Economico, No. 181, pp. 75-90 especially page 86.
26-
Daniel Azpiaza e Martin Schorr "Desnaturalizacion de la
regulacion publica y ganancias extraordinarias", Realidad
Economica, No. 184, pp. 73-95.
27-
Basualdo, op cit.
28-
See Basualdo and Azpiazu, El
proceso de privatizacion en Argentina, (Buenos Aires Pagina 12,
April 2002).
29-
Daniel Azipiazu et al, Privatizaciones
en la Argentina, Penegociacion permanente, consolidacion de
privilegios ganancias extraordinarias y captur institucional
(Buenos Aires FLACSO December 2001).
30-
Ibid.
31-
Financial Times, 14 maggio 2002, p. 5.
32-
Pagina 12, 14 aprile 2002, p. 6-7.
33-
Ibid.
34-
Clarin, 18 aprile 2002, p. 8.
35-
Ibid.
36-
Ibid.
37-
Clarin, 21 aprile 2002, p. 6.
38-
Ibid.
39-
Pagina 12, 21 aprile 2002, p. 2.
40-
Ibid.
41-
Ibid.
42-
Pagina 12, 21 aprile 2002, p. 3.
43-
Ibid.
44-
Vedi James Petras e Henry Veltmeyer, Globalization
Unmasked: Imperialism in the 21st Century (Zed: London, Fernwood,
Halifax, NS 2001), in particolare il capitolo 4.
45-
Intervista a Mario Xiques, impiegato di banca, delegato sindacale, 10
maggio 2002.
46-
El Pikete, anno 2, No. 6 (pubblicato da MTD Solano), Intervista con
SIMECA (messaggeri motociclisti 20 aprile 2002); Eduardo Lucita
"La rebelión popular en Argentina", 25 December 2001
(email). Argentina: La nueva
rebelión Porteña (December 28, 2001) Resumen 12/29/01. Intervista
a Mario Xiques 10 aprile 2002, Buenos Aires.
47-
James Petras "Community Organizing: Unemployed Workers' Movement
in Argentina", Social
Policy, Spring 2002, Vol. 32, No. 3, pp. 10-15, Luis Oviedo, Una
historia del movimiento piquetero (Edicion Rumbos Buenos Aires,
2001).
48-
Clarin, 24 giugno 2001, pp. 6-7. Per una buona cronologia vedi anche
Luis Oviedo "Piqueteros", op
cit.
49-
Ibid, 24 giugno 2001, p. 6-7.
50-
Ibid, 24 giugno 2001, p. 6-7.
51-
Quebracho, anno 5, No. 31, p. 4.
52-
El Pikete, anno 2, No. 6, p. 2.
53-
Intervista a Solano con Padre Alberto, 21 aprile 2002.
54-
Ibid, vedi anche Brecha, 12
aprile 2002, p. IX.
55-
Pagina 12, 16 gennaio 2002.
56-
Per una retrospettiva delle recenti protesti sociali prima dalla
rivolta del 19-20 dicembre, vedi Observatorio
Social de America Latina, Sept. 2001. Per un resoconto dettagliato
delle assemblee di quartiere vedi Argentina
Arde, dal Feb. 2002 in avanti; Asamblea
Popular Parque Lezama, 1 gennaio 2002 fino al no. 11.
57-
Intervista con i partecipanti a Parque Centenario nell’aprile 2002.
Vedi anche Argentina Arde,
anno 1, No. 3, 15 febbraio 2002.
58-
Intervista a Hebe Bonafini 11 aprile 2002, Motoqueristas, 19
aprile 2002.
59-
Argentina Arde, Feb. 2002, Mar. 2002, Apr. 2002.
60-
Clarin, 18 aprile 2002, p. 18.
61-
Clarin, Ibid.
62-
Clarin, April 19, 2002, p. 22.
63-
Ibid.
64-
Ibid.
65-
Ibid.
66-
Clarin, March 29, 2002, p. 34.
67-
Financial Times, May 22, 2002, p. 6.
68-
"Declaración del Encuentro del 13 de Abril Frente a Brukman
Confecciones" volantino pubblicato dai lavoratori di Brukman e
Zanon 13 aprile 2002.
69-
Ibid.
70-
"Zanon: Una fabrica tomada donde sus trabajadores estan
produciendo algo mas que ceramica" intervista di Juan Carlos Cena
a 3 leaders of Zanon (Raul Godoy, Carlos Acuna, Alejandro Lopez) da
essere pubblica in Maza,
No. 3, Luglio-Agosto 2002.
71-
Il Plan Foenix è stato pubblicato nella sua interezza in Enoikos,
No. 19, Novembre 2001, è stato scritto nel settembre 2001.
72-
I saggi avevano ognuno un singolo autore e riflettevano le varie
specializzazioni di ogni economista.
73-
Vedi Daniel Azpiazu e Eduardo Basualdo, "Concentracion economico
y regulacion de los servicios publicos", pp. 180-193; Jorge Katz
e Giovanni Stumpo, "Produccion tecnologico y competitividad
internacional", pp. 150-163.
74-
Vedi "Hacia el Plan Fenix, Diagnoslico y propriestas Documento
Final", pp. 19-29 in Enoikos,
op. cit.
75-
Op. cit., p. 29.
76-
Op. cit., p. 24.
77-
Ruben Berenblum, "La refundacion nacional. Hacia
una nueva coalicion social" op.
cit. pp. 144-148.
78-
Alfredo Garcia "Politica monetaria y crediticia", op.
cit. pp. 102-109.
79-
Citazioni dalla scuola neo-strutturalista.
80-
Oscar Oszlak, "Estado y sociedad: nuevas fronteras y reglas de
juego", op. cit., pp.
164-179.
81-
Vedi Jorge Shvarzer, "Politica production para un sociedad
equitativa y dinamica", op. cit., pp. 56-65.
82- L’intervento degli Stati Uniti e del FMI sono stati flagranti prima e dopo che il Plan Foenix, ma nessun autore ha discusso adeguatamente il problema fosse pubblicato. Sul ruolo dell’intervento statunitense e per una critica degli intellettuali latino-americani riguardo a questo problema, vedi James Petras, Globaloney (Editorial Antidoto: Buenos Aires 2000).
-----
(trad. Gennaro Scala)