Comportamento
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Raccontate
per educazione o per difesa, per apparire attraenti o per non far soffrire
un'altra persona, le bugie fanno parte della vita sociale. Spesso sono
dignitose vie di fuga da situazioni imbarazzanti e spiacevoli. Ma possono
anche rivelarsi un'arma a doppio taglio, soprattutto quando non mentiamo
più agli altri ma a noi stessi, per sfuggire all'ansia e allo stress... Diffidate
di chi afferma di dire sempre la verità. Probabilmente sta mentendo
spudoratamente. Perché delle bugie - utilitaristiche, cortesi o pietose
che siano - non possiamo fare a meno. Le bugie stanno alla base di tutti i
gruppi sociali, tanto che non solo gli uomini ma anche gli animali ne
fanno uso. Le femmine di scimmia, per esempio, approfittano dell'assenza
del loro compagno "ufficiale" per accoppiarsi con un altro
maschio. E i gregari, cioè i membri non dominanti del gruppo, nascondono
le banane al capobranco, per poterle mangiare in pace anziché
consegnargliele. La bugia ha insomma a che fare con la gestione di risorse
scarse, come possono essere il cibo o le femmine. La bugia utilitaristica,
usata spesso sul lavoro per evitare un incarico difficile o noioso
("Direttore, me ne occuperei volentieri io, ma devo aiutare mia zia a
traslocare"). La bugia di autopresentazione, una "piccola"
forzatura della realtà per apparire più interessanti o attraenti
("Ho scalato l'Everest senza ossigeno"). La bugia protettiva,
classica "di coppia", alla quale si ricorre per non far scoprire
un tradimento al partner ("Ieri non mi hai trovato a casa perché ho
dormito da un'amica"). L'omissione, che non è una vera e propria
menzogna, ma una verità taciuta. E poi, la nobilissima bugia a fin di
bene, che ha l'obiettivo di risparmiare un dispiacere a un'altra persona
("Guarda che il tuo ex fidanzato mi ha detto che ti ama ancora")
ed è tipica di chi si attribuisce compiti di controllo e gestione
all'interno di un rapporto. La bugia a fin di bene riflette una visione un
po' onnipotente di sé e una scarsa fiducia nelle capacità altrui di
affrontare la realtà, per quanto spiacevole e dolorosa possa essere. La
bugia non è mai fine a se stessa, ma è un comportamento strategico.
L'adolescente che non racconta ai genitori cosa fa davvero la sera quando
esce con gli amici mette in atto una strategia. Mente per difendere la
lealtà verso il gruppo dei coetanei. Il nodo cruciale, dunque, non è
tanto l'alternativa tra mentire o dire la verità, ma la scelta dei
soggetti da ingannare e di quelli con cui essere sinceri. Dilemma di
difficile soluzione, soprattutto in una società come la nostra dove la
verità e la massima apertura sono considerate valori morali. In Cina
raccontare la verità è considerato un comportamento stupido, perché
significa scoprirsi, un po' come andare in giro nudi. Per gli orientali in
generale, essere aperti e sinceri - anche tra persone con un certo grado
di intimità - può costituire un'infrazione a regole sociali condivise.
Per i musulmani, l'inganno è condannato dal Corano. Basta pensare che nei
Paesi islamici chiedere a un uomo come sta sua moglie è visto come
un'intromissione nella sua vita privata. Non dobbiamo stupirci, visto che
la cultura è un modo di organizzare la realtà che cambia a seconda delle
epoche e dei contesti. E non serve scomodare l'Oriente. Anche senza fare
tanta strada, nella cultura mafiosa - se di cultura si può parlare -
l'omertà è un comportamento legittimo, socialmente approvato e
incoraggiato. Insomma, se non siamo ipocriti, dobbiamo riconoscere che nel
nostro sistema sociale la verità è sì un valore, ma solo a livello
teorico. Un esempio? Tutti coloro che lavorano in un'azienda sanno che,
nei momenti di crisi, bisogna fingere con i clienti e con la concorrenza
che gli affari non sono mai andati così bene. Certo, un conto è la
strategia d'impresa, un altro i rapporti interpersonali - d'amore o di
amicizia - che dovrebbero essere sempre basati sulla massima onestà e
chiarezza. Ma essere leali non significa dire sempre la verità, in ogni
circostanza e a qualsiasi costo. Tenere qualche segreto è una prova di
indipendenza e maturità: sono i bambini che raccontano tutto alla mamma,
gli adulti sanno anche tacere. Una verità sbattuta in faccia in modo
brutale può essere anche un gesto aggressivo, attuato con lo scopo
preciso di ferire. Un coltello per colpire alla schiena, nascosto
dall'alibi della sincerità. In amore, poi, confessare una scappatella
"senza conseguenze" è anche un modo per liberarsi dei sensi di
colpa e scaricarli sul partner. Un elogio della bugia, dunque? Sì, se si
tratta di episodi singoli, parentesi che si aprono e si chiudono
all'interno di un rapporto. Purché non diventino pretesti per costruire
una doppia vita. La bugia, dunque, è un comportamento strategico solo se
isolata. Altrimenti si innesca un circolo perverso dal quale non è più
possibile uscire: menzogne sempre più grandi e gravi, usate per coprire
le precedenti. E dal momento che sostenere queste complicate
"sceneggiature" è stressante (oltre a richiedere una memoria
impeccabile), prima o poi si finisce con l'essere scoperti. A meno che non
si abbia a che fare con persone che "vogliono" credere alle
menzogne. Con loro il gioco funziona a meraviglia. Ma allora si esce
dall'ambito delle bugie raccontate agli altri e si entra nel campo minato
degli inganni che tendiamo a noi stessi. Molti psicoterapeuti riferiscono
come certi pazienti, che da bambini hanno subito maltrattamenti in
famiglia, tendano a descrivere i genitori violenti come persone affettuose
ed espansive. Magari un po' severe, ma sempre preoccupate del benessere
dei figli. Le bugie sono l'equivalente psicologico delle endorfine,
sostanze prodotte dal nostro corpo in situazioni di stress, che agiscono
come anestetici naturali del cervello, danno un senso di euforia e
riducono la percezione del dolore. Questi meccanismi ci proteggono da
informazioni troppo disturbanti e traumatiche, che la nostra mente
cancella o seppellisce nell'inconscio, impedendoci di diventarne
consapevoli. Non si tratta di eventi che fingiamo di ignorare, ma di veri
"buchi" nella coscienza. Questo non funziona solo a livello del
singolo individuo, intere famiglie, gruppi o sistemi sociali mettono in
atto meccanismi di selezione delle informazioni, ignorando quelle
potenzialmente destabilizzanti. L'autoinganno è dunque un baratto con il
quale accettiamo un calo dell'attenzione in cambio del sollievo dall'ansia
e dallo stress. L'antropologo e psicologo statunitense Gregory Bateson
sosteneva che "esiste sempre un valore ottimale oltre il quale ogni
cosa diviene tossica: l'ossigeno, il sonno, la psicoterapia e la
filosofia. Qualsiasi variabile biologica ha bisogno di equilibrio".
In qualche punto tra i due poli di comportamento - vivere una vita di
bugie e dire sempre la pura verità - c'è il sentiero giusto che conduce
al benessere e assicura la sopravvivenza.
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