GILLES... L'AVIATORE

 

Io corro per vincere, per ottenere il massimo dalla macchina e non per restare in pista, andare piano  e giungere ottavo Non ho paura di morire. Ho   semmai paura di rimanere ferito, paralizzato…

La morte di un idolo di Formula 1 suona sempre ingiusta e terribile. Ogni volta si dice, non ci sarà più nessuno come lui. Ogni volta è vero. Con Gilles se n'è andato il senso antico delle corse. L'irruenza, la passione anche narcisistica per il "numero", per la vittoria. Il senso esasperato della sfida, del rischio. Un certo modo pulito e ingenuo di affrontare l'agonismo e le sue conseguenze. Non si poteva non essere con lui, dalla sua parte. Non era lui che esagerava con le sue imprese memorabili. Erano gli altri che non avevano lo stesso coraggio e lo stesso talento. Ed è triste che oggi che suo figlio Jacques corre in Formula 1, e raccoglie quei successi che a lui furono negati da una vettura poco competitiva, ci sia qualcuno che cerchi di sminuire le sue qualità e le sue imprese per spiegare il talento di Jacques, che è un'altra cosa, figlio di un altro tempo e di un'altra scuola. Subito dopo il titolo di Jacques è stato scritto che Gilles non avrebbe mai vinto il Campionato del Mondo perché pensava troppo alla singola gara e poco all'intera stagione. Era troppo narcisista e preso dalla sfida con se stesso. Non aveva insomma la mentalità di un Campione del Mondo. Il senso di vuoto e di incompiuto lasciato da Gilles è in una frase pronunciata da lui stesso dopo Monza '79. "Quest'anno ho aiutato Jody, l'anno prossimo tocca a me". Nel 1980 la Ferrari costruì la vettura meno competitiva della sua storia e quando, nel 1982, tornò ad essere vincente, Gilles trovò la morte. Tutto il resto è inutile e non rende giustizia alla storia di Gilles e al futuro di Jacques.

La leggenda vuole che Enzo Ferrari, indispettito dall'abbandono di Niki Lauda, e per dimostrare che chiunque poteva essere grande guidando una sua vettura, chiamasse a sostituirlo uno sconosciuto. La scelta cadde su un giovane canadese campione di motoslitte, appena intravisto in Europa e in Formula 1, con un solo Gran Premio alle spalle. Può suonare strano ricordarlo oggi, sapendo che Gilles Villeneuve avrebbe poi guidato la Ferrari meno competitiva della storia, regalandole imprese e vittorie insperate, dovute, lo sapevamo tutti, più al suo talento e alla sua grinta che al valore della vettura. Racconta ancora la leggenda che Villeneuve rispondesse personalmente alla telefonata che lo convocava a Maranello e che le sue prime prove sulla pista di Fiorano fossero caratterizzate da numerosi testacoda e dalla prevedibile difficoltà di controllo del potente motore di Formula 1. "Qui da noi avrà tempo di farsi" commentò lo stesso Ferrari assistendo alle prove.

Gli esordi di Villeneuve sulla Ferrari furono disastrosi. L'irruenza, l'audacia, l'inesperienza e una certa ingenuità lo resero protagonista di numerosissimi incidenti spettacolari e di feroci polemiche con i colleghi più blasonati. In Giappone un suo volo sul pubblico causò la morte di alcuni spettatori. Era "l'aviatore", "lo sfascia macchine". Si dice che a metà del 1978 si moltiplicarono le pressioni su Enzo Ferrari perché lo sostituisse con un pilota più esperto e in grado di portare a casa un piazzamento. Ma Ferrari fu irremovibile. Aveva al suo fianco anche i tecnici e i meccanici, che, lavorando quotidianamente accanto al canadese, iniziavano ad apprezzarne le doti. Villeneuve, da parte sua, stava iniziando a conquistare i tifosi, che dietro il volto e i modi di ragazzo intravedevano la grinta, il coraggio e il desiderio di raggiungere il limite dei grandi campioni. Erano i primi segnali della Villeneuvemania, o della febbre-Villeneuve o di comunque si voglia chiamare quella sorta di amore collettivo che di lì a poco avrebbe incatenato i ferraristi alle imprese del giovane canadese. "Dategli tempo e salirà sul podio" disse una volta il direttore tecnico della squadra Mauro Forghieri. Gilles avrebbe fatto molto di più. In quello stesso 1978.

La prima vittoria arrivò nel 1978 in Canada, nella sua Montreal, che impazzì di gioia e di entusiasmo latino. A quella prima vittoria sarebbero seguiti il titolo di vicecampione del mondo conquistato nel 1979 e, soprattutto, quattro anni di imprese memorabili e altri cinque successi. L'indimenticato duello con Renè Arnoux a Digione, nel 1979, ruota contro ruota per un intero giro con il rischio di "decollare" l'uno sull'altro avendo in palio il secondo posto. Il giro su tre ruote a Zandvoort e la foga con cui pretendeva che i meccanici gli cambiassero il pneumatico, mentre loro, attoniti, cercavano di spiegargli che con quel giro, con quel mitico giro, aveva distrutto anche la sospensione e non c'era più niente da fare. Il Gran Premio d'Italia, nel 1979, in una Monza rossa e goiosa in cui lui, beniamino delle folle ferrariste, fu fedele, leale e generoso scudiero di Jody Scheckter lanciato verso il titolo mondiale. La vittoria a Montecarlo, nel 1981, la prima inaspettata vittoria di un motore turbo nel budello del Principato. La vittoria in Spagna, nel 1981. L'ultima, la più bella, la più importante. Conquistata esclusivamente con la sua grinta e la sua determinazione. Con staccate mozzafiato e una guida pulita e perfetta, al volante una monoposto palesemente meno competitiva, riuscì a tenere dietro di sé, per tutto il Gran Premio, le vetture più potenti del Campionato. Il suo mito fu consacrato poco dopo da Enzo Ferrari, che commentò: "Domenica in Spagna Villeneuve mi ha fatto rivivere la leggenda di Tazio Nuvolari". Un paragone, quello col mitico italiano, che è tornato più volte nella breve carriera di Gilles, tanto che per qualche tempo lui girò con una biografia di "Nuvola" per sapere chi fosse.

 

Le imprese incredibili, la grinta spettacolare, l'agonismo, la capacità di non arrendersi mai, il gusto per il rischio e per il sorpasso, che non avevano uguali tra i suoi colleghi, gli conquistarono l'affetto incondizionato dei ferraristi. Nelle tribune apparivano striscioni inneggianti e a volte un po' deliranti. Nel 1981, a Istriana, durante una sfida tra vetture di Formula 1 e jet militari 100 mila persone festeggiarono solo lui, spaventandolo forse per la prima volta. Era l'idolatria, il fanatismo. Oggi non ci sono metri di paragone per capire. Gilles Villeneuve "era" la Ferrari. Forse non c'è mai stata identificazione così completa tra un pilota e la squadra per cui ha corso. Centinaia di Club ferraristi sparsi per il mondo sono oggi intitolati a lui o alla sua Ferrari numero 27. Dopo la sua morte si disse che stesse progettando un team tutto suo e che avrebbe lasciato la Ferrari. Sarebbe stato giusto e comprensibile che cercasse altre strade, altri obiettivi, altre motivazioni, ma per chi l'ha amato è impossibile immaginarlo lontano da Maranello. Le vittorie, le emozioni e la sua morte lo hanno cristallizzato sulla numero 27. Per sempre ferrarista.

Probabilmente il prologo della tragedia di Zolder va cercato nel Gran Premio di S. Marino, in cui Didier Pironi, il nuovo compagno di squadra, non rispettò accordi precedenti e andò a vincere sorpassandolo nelle ultime curve e tradendone la fiducia. C'è una foto del podio di Imola che testimonia la rabbia e il malumore del pilota canadese. Gilles Villeneuve morì l'8 maggio 1982 durante le prove del Gran Premio del Belgio, a Zolder. Forse non potè tollerare che Pironi gli fosse davanti sulla griglia di partenza e uscì dai box deciso a riprendersi la leadership della squadra. La sua Ferrari entrò in collisione con la March di Jochen Mass e il piccolo aviatore volò davvero, andando a sbattere il capo contro l'unico paletto delle recinzioni che ci fosse in quel tratto del circuito. Dopo la sua morte si scatenò la caccia al responsabile. Didier Pironi, reo del tradimento di Imola. La Ferrari, incapace di controllare la feroce rivalità esplosa tra i suoi due piloti. Enzo Ferrari, silenzioso dopo lo scontro di Imola e, si disse, forse stanco delle bizze del pur amatissimo canadese.