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SEZIONE 2 
Titolo  DIALOGO SEMISERIO SUL DESTINO DEL MONDO   

 

 

               

              

             

         


   sito dello scrittore luigi torino   

premessa

        Durante la scorsa estate, andando con la motonave da Minori a Positano insieme alla mia famiglia e ad alcuni amici, pur ammirando entusiasti le bellezze naturali della Costiera amalfitana, non potemmo fare a meno di constatare come il mare, un tempo di colore verde e così limpido da lasciare intravedere i fondali anche a grande distanza dalla costa, fosse oramai diventato cieco e di colore incerto.

Il nostro discorso, come era inevitabile, cadde quindi sul grave problema dell'inquinamento ambientale e sui provvedimenti necessari per porvi rimedio

«Se ogni singolo Comune - disse ad un certo punto uno degli amici - provvedesse a smaltire tutti i rifiuti prodotti dai cittadini e dalle industrie presenti sul suo territorio, il problema troverebbe soluzione in pochissimo tempo».

La sua visione mi parve riduttiva, presentando, a mio avviso, la questione dell'inquinamento un carattere molto più ampio e tale da investire tutte le nazioni della Terra.

E' nato così lo spunto per questo «Dialogo semiserio», che mi auguro possa dare un piccolo contributo a chiarire quanto in profondità nell'animo umano penetrino le radici dei principali problemi ecologici del nostro pianeta e come sia difficile risolverli senza cambiamenti nei gusti e nella condotta degli uomini.  

Marzo 1990

 

    

 

LUOGO DELL'AZIONE

 

il professore esce di casa, in compagnia del suo cane, un pastore tedesco. Percorrendo un breve tratto di strada, è solito recarsi in un terreno di proprietà, fermandosi spesso a dialogare con il contadino, Carminuccio.

Nella sua breve passeggiata, il professore passa lungo la scarpata che, a ridosso della strada, si distende per tutta la lunghezza del terreno coltivato dal contadino. Alcuni cespugli di rose vi sono sparsi qua e là, piuttosto malconci, con i rami spezzati e qualche raro  

 

Salendo per un viottolo tortuoso, che si inerpica su per la scarpata, il professore perviene ad una piccola aia, di forma quadrata. delimitata da un muretto in tufo basso e spesso. in modo da consentire di sedersi comodamente. lì muretto presenta un'apertura in corri­spondenza di uno stradone che viene dal terreno e, nel lato opposto, un' altra apertura per accedere ad una piccola baracca con il tetto in lamiera, usata dal contadino per custodire i suoi attrezzi.

In un angolo dell'aia vi sono due grossi bidoni, adoperati dal contadino per diluire i pesticidi che usa nelle sue coltivazioni. Nell'angolo opposto vi è un vaso molto grande, con una pianta di rose selvatiche, i cui rami robusti sorreggono boccioli belli e rigogliosi.

Il professore, come è suo solito, si siede sul muretto liberando il cane, che subito corre via; dopo poco, apparendo da dietro le piante di pomodoro. alte perché  tenute su con fili di ferro sottesi, a varie altezze, tra grosse mazze conficcate nel terreno, arriva il contadino. Di altezza al di sotto della media, ma non basso, robusto, ma non grasso, è avvolto in una larga e strana tuta che lo ricopre interamente, comprese le mani, mentre la testa è avvolta in una specie di maschera da saldatore, a forma di cilindro sfaccettato, con un vetro all'altezza degli occhi.

Dietro la schiena, a mo' di zaino, porta una pompa manuale, che usa per spargere i pesticidi, e di cui si libera, appena giunge nell'aia, abbassandosi fino a poggiare la pompa sul muretto e lasciando scivolare dalle spalle le fibbie che la sorreggono.

Poi, sollevando con tutte e due le mani la maschera dalla testa, saluta.

 

ATTO I

 

Contadino

«Buon giorno, professò!».

Professore

(Ironico) «Buon giorno Carminù! Ma come vi siete conciato?!... Mi sembrate un astronauta pronto a scendere sulla luna!».

Contadino

(Sorride, manda uno sbuffo col naso, si dondola sulle gambe, muovendo anche le spalle) «E' per via degli insetti che infestano le piante, se mi sono combinato in questo modo. Questi maledetti sono diventati così resistenti che bisogna usare veleni sempre più potenti per farli morire. Sembrano vac­cinati, all'anima loro! E quando spargo questa me­dicina sulle piante (e indica i due bidoni), se non mi combino in questo modo, rischio di spedire me all'altro mondo, anziché questi maledetti parassiti».

Professore

«Scherzavo, Carminù. Lo sappiamo bene anche noi che abitiamo in città della pericolosità di questi veleni. Stiamo sempre a raccomandare ai figli di lavar bene la frutta, prima di mangiarla».

Contadino

«Non era così ai tempi di mio padre. La Natura prov­vedeva da sola ad ogni cosa, e se proprio c'era bisogno dell'aiuto dell'uomo, bastava un po' di verderame, e tutto si rimetteva a posto. Oggi invece, per vedere un buon raccolto, un povero contadino non solo deve sudare le proverbiali sette camicie, lavorando dall'alba al tramonto, esposto alle intem­perie benefiche e malefiche, ma deve anche provve­dere a trattare tutte le colture con potenti concimi e pesticidi, se vuole ottenere qualche risultato».

Professore

«A sentir voi, Carminù, pochi mestieri sono così faticosi e difficili come quello di coltivare la terra. Da come parlate, per fare il contadino, non solo bisogna possedere spirito di sacrificio, ma bisogna avere anche ùna preparazione pari a quella di un dottore in chimica!».

Contadino

«Esatto, professò. Oggi, le piante hanno più malattie degli uomini e devono essere curate con la stessa pazienza e competenza. La campagna somiglia sempre più ad un ospedale e se il contadino non fa pure il medico e il farmacista, non se ne compra proprio niente». (Mentre parla versa in un bidone il contenuto di alcuni pacchi di pesticidi e mescola il tutto con un palo che regge con le due mani).

Professore

«E così la nostra sopravvivenza dipende da queste fragili creature dell'agricoltura industriale! Ma Carminù avete riflettuto sui danni che tutti questi medicinali provocano alla salute umana?»

Contadino

«Come no, professò! Ma scienziati, medici, onore­voli e autorità hanno un'opinione contraria, altri­menti non li lascerebbero in commercio».

 

(Entra in scena lo studente, giungendo alle spalle del contadino)

Studente

«E' perché sono complici del capitale farmaceutico, servi dei fabbricanti dei veleni! ci fanno bere acqua all'atrazina e vino al metanolo, mangiare carne agli estrogeni e pesce al mercurio, formaggio al polifo­sfato e pane al glutammato, frutta agli ormoni e caffè verniciato. e condire tutto con olio eterificato! »

Contadino

«E' arrivato pure lo studente! Con tutti questi paro­ioni tu mi confondi le idee! »

Studente

«Buon giorno, professore. Non è forse vero quello che ho detto?»

Professore

«Certamente! Mangiamo sterco e ci lamentiamo se vi troviamo un capello dentro! »

Studente

«Hai notato, zio Carminù, che quella attuale è l'epo­ca in cui si sono sviluppate le più gravi malattie che affliggono l'umanità?»

Contadino

«Questa è una santissima verità. I nostri padri igno­ravano tutte queste moderne malattie».

Studente

«E i nostri padri vissero felici e furono un popolo civile!»

Contadino

«Possiamo allora concludere che la civiltà può fare a meno di tutti questi veleni».

Professore

«Sicuramente, a condizione però che si riesca ad attuare uno sviluppo pianificato di tutta la comunità planetaria».

Contadino

«Professò, scusate l'ignoranza, ma che significa co­munità planetaria e sviluppo pianificato? Non sa­ranno pure queste delle nuove malattie?»

Studente

«No, non sono nuove malattie, zio Carminù. Il professore vuoi solo dire che se non si mettono d'accordo tutte le nazioni del mondo, sia quelle ricche che quelle povere, su quanti figli si devono fare, su quante automobili devono circolare, per quanto tempo in una giornata si deve tenere accesa la luce e la televisione, non c'è nessuna possibilità di vivere bene su questa Terra! »

 

 

(Mentre lo studente parla, entra in scena la moglie del contadino, Genoveffa, che va raccogliendo broccoli, mostrando, al tempo stesso, di essere interessata al dialogo)  

 

Moglie

«Mamma mia e come sei pessimista, giovanò! che sfizio ci sta a vivere così? Buon giorno professò, ma questo che dice? Io ero venuta a raccogliere due broccoli per mezzogiorno, ma a sentir voi mi èpassato l'appetito! Fa che dobbiamo marcare l'orologio ogni volta che facciamo l'amore coi nostri mariti?»

 Professore

«Purtroppo la questione sta proprio in questi termi­ni».

Moglie

«Dobbiamo marcare l'orologio?»

Professore

«Dare ordine al fare dell'uomo è oramai una neces­sità, Genové. Il notevole e disordinato sviluppo in­dustriale degli ultimi anni ha stravolto non solo l'a­gricoltura, ma anche tutti gli aspetti della vita degli uomini sulla Terra, mettendo in discussione la so­pravvivenza stessa della razza umana su questo pianeta».

Moglie

«E  non si può fermare questo sviluppo e tornare a vivere come si viveva cent'anni fa?»

Professore

«E' difficile tornare a vivere come si viveva una volta, perché la Tecnica, da cui dipende lo sviluppo industriale, ha esteso il proprio dominio sull'intera Natura, e il soddisfacimento dei nostri bisogni, anche i più elementari, dipende ormai dal modo in cui la Tecnica ha organizzato la nostra esistenza sulla Terra».

Moglie

«Ma che cos'è questa Tecnica?»

Studente

«Nel mondo moderno la Tecnica è il nuovo Dio!»

Moglie

«Adesso ti metti pure a bestemmiare?»

Studente

«Oggi non c'è più posto per Dio: "Dio è morto", ha gridato Zarathustra! »

Moglie

«Chi ha detto che Dio è morto?»

Studente

«Nietsche così fece parlare Zarathustra».

Moglie

«Mamma mia, che brutti nomi! Professò, questi devono essere sicuramente dei diavoli!?». (E s ifa il segno della croce).

Professore

«Genovè, questi non sono diavoli, e dire che Dio èmorto, non è una bestemmia. Nelle società avanzate, l'uomo, per ottenere la salvezza, non si rivolge più a Dio ma alla Tecnica».

Moglie

«Dio ci perdoni! A voi che avete studiato, la Tecnica appare come il nuovo Salvatore, è più potente di Dio!»

Studente

«Tutto ormai dipende dalla Tecnica!»

Professore

«La Tecnica, che all'inizio è sorta come l'applica­zione sempre più estesa e coerente della scienza moderna all'industria, a poco a poco ha dato vita ad un Apparato planetario scientifico-tecnologico che tende a scavalcare i confini degli Stati e delle ideo­logie e a dominare tutto il mondo».

Studente

«Nell'età della Tecnica, l'uomo non esiste se non come funzionario di questo Apparato!»

Professore

«Ormai hanno un carallere tecnologico non solo le attività dcl mondo industriale, ma anche i sistemi che nelle società avanzate rendono possibili quelle forme di attività: il sistema giuridico, finanziario, economico, burocratico, militare, scolastico e sani­tario tendono in modo sempre più deciso ad organiz­zarsi secondo le procedure tipiche dell' applicazione della scienza moderna all'industria».

Moglie

«Ma chi inventò questa scienza moderna?»

Professore

«La scienza moderna nasce da una forma di sapienza ancora più antica che prende il nome di filosofia, e che sta alla radice della civiltà occidentale».

Moglie

«Pure qua c'entra la filosofia! Io lo sapevo che era una cosa malamente!»

Professore

«La volontà di dominio della Tecnica è iniziata con il sorgere della speculazione filosofica che, a sua volta, prende l'avvio dalla domesticazione dei ce­reali».

Moglie

«Da che cosa?»

Studente

«Dal-la do-me-sti-ca-zio-ne de-i ce-re-a-li».

Moglie

«E che roba è? Roba che si mangia?».

Studente

«Hai detto bene, zia Genovè, è proprio roba che si mangia. Col nome di domesticazione dei cereali si indica quella grande rivoluzione agricola che si ha all'inizio dei tempi storici, quando l'uomo attua la scelta del grano come elemento principale perla sua alimentazione»

Moglie

«Ho capito! I nostri padri addomesticarono il grano proprio come addomesticarono gli animali selvati­ci».

Studente

«Esattamente, zia Genovè. E per coltivare grano, frumento e miglio l'uomo ebbe sempre più bisogno dei terreni pianeggianti. Così i pascoli vennero tra­sformati in campi coltivati e mentre prima l'uomo viveva con poca fatica, cacciando e raccogliendo quello che la Natura offriva spontaneamente, adesso deve con sudore seminare, mietere e dispiegare al sole il raccolto».

Moglie

«Lo dice a noi, Carminù, che è una vita che facciamo questo! Ma ancora non ho capito che c'entra la filosofia con il grano!»

Professore

«La filosofia greca ha inizio con il passaggio dal mito al logos, cioè ha inizio quando gli uomini inco­minciarono a dare una spiegazione logica della realtà. Ora devi sapere che la parola logica deriva dal verbo greco leghein che indica l'azione del contadi­no di raccogliere e stendere al sole il grano: come il contadino di-spiega il raccolto al sole così la logica spiega le cose che accadono nel mondo».

Moglie

«Oh Gesù! E chi poteva sapere che quando racco-glievo il grano avevo a che fare con il logos, con la logica e con la filosofia!?»

Professore.

«La volontà di dominio della civiltà tecno-scientifi­ca-industriale del mondo occidentale prende l'avvio proprio con la trasformazione dell'uomo da preda­tore selvaggio, cacciatore e raccoglitore di frutti, in sedentario contadino coltivatore di grani».

Moglie

«Vuoi vedere, Caiminù, che la colpa di tutti questi guai che stanno succedendo sulla Terra è di noi contadini?»

Studente

«E' proprio così».

Moglie

«Ma tu che dici!? Ti senti bene?»

Studente

«I popoli orientali, i cinesi, che posero a base della loro alimentazione il riso anziché il grano, hanno un maggior rispetto per la natura, ragionano in un altro modo».

Moglie

«Oh anima bella di mammà  ! E che ragioniamo con lo stomaco?»

Studente

«Esatto, zia Genovè, la cultura é coltura !»

Professore.

«Congiuntamente alla coltivazione dei cereali, l'uo­mo inizia a praticare l'allevamento del bestiame e così, avendo a disposizione tutto ciò che gli occorre per vivere, pane, latte, carne, uova, pelli per coprirsi , pone fine alla sua vita da nomade».

Moglie

«E questo non fu una buona cosa? A quei tempi, a noi donne toccava spostarci continuamente anche quando eravamo incinte ed avevamo un pancione così!»

Contadino

«E dagli con la pancia! Ma che figura ci facciamo con il professore?»

Studente

«Fino a pochi anni fa, si riteneva che il sorgere delle città fosse stata una buona cosa, adesso, invece, si è capito che incominciò allora l'azione di dominio dell'uomo sulla Natura che sta trasformando la Terra in un mondo artificiale e contaminato».

Moglie

«Lo sapevo! La co1pa è mia se il mare è inclinato e ci stanno i battelli dentro? Mia, che son vent'anni che non mi faccio un bagno a' mare! »

Studente

«Eh! Il mare è inclinato e portati il cric, zia Genovè! »

Professore.

«Poi arrivò Platone, che non si fermò alla logica, ma fece un passo in più: arrivò alla metafisica, e peggio­rò ancor più le cose per la Natura».

Moglie

«Buonanotte! Mo' me ne vado io! E che è 'sta metafisica?»

Professore.

«Mentre la logica, dando una spiegazione incontro­vertibile della realtà, giunge al concetto di Univer­sale, Platone, con la metafisica, va al di là della Terra e del Cielo, fuori dell'Universo».

Moglie

«Ho capito! Questo Platone è andato sulla Luna prima degli americani».

Professore.

«Ancora oltre la Luna, Genovè ! Per Platone al di là del Cielo, fuori dell'Universo, c'è un Mondo dove stanno le Idee di tutte le cose».

Studente

«In parole povere, Platone dice che quando vediamo un albero, ci viene da dire "Ecco un albero", perché facciamo questo tipo di ragionamento: "Questa cosa che sto vedendo ha le stesse caratteristiche di altre cose che ho visto precedentemente e che ho chiama­to alberi, quindi deve essere un albero"».

Moglie

«Mamma mia bella! Mo' mi scordo pure come mi chiamo! »

Studente

«Tutti gli alberi che esistono sulla terra tendono, cioè, a somigliare ad un Albero Ideale. Per Platone questa Idea di albero non è un processo mentale, insomma un qualcosa che si forma nel nostro cervel­lo, ma è un'entità esterna che vive nel Mondo delle Idee, nell'Iperuranio».

Moglie

«Dove sta la bomba atomica?»

Studente

«E che c'entra la bomba atomica, adesso?»

Moglie

«E tu hai detto il mondo dell'uranio! E per fare la bomba atomica la televisione dice che ci vuole l'uranio ricco».

Studente

«Eh, l'uranio ricco e l'uranio povero! I-pe-ru-ra-ni­o. Sta ad indicare un mondo situato al di là del cielo. Secondo Platone l'albero che vediamo sulla terra non è che la brutta copia dell'idea di albero che sta in quel mondo. Perciò noi possiamo abbattere e distruggere quanti alberi vogliamo, perché tanto l'Idea di albero, che è immutabile ed eterna, non corre alcun pericolo, non rischia di diventare un mobile o legna da ardere o carta per i nostri giorna­li».

Moglie

«Allora pure a Natale,quando mi.mangio il pollo, mi mangio solo la brutta copia?»

Professore.

«Così dice Platone».

Moglie

«E' solo la brutta copia ed è cosi buono! Figurati se mi mangiassi l'Idea del pollo, sai che sapore!»

Contadino

«Sei sempre la solita ignorante! Non vuoi capire mai niente!»

Moglie

«Mo' me ne vado io! Qua la cera si consuma e la processione non cammina! Se stai a sentire il profes­sore e lo studente, mo' lo mettiamo il tegame sul fuoco a mezzogiorno, C-arminù!» (Esce)

Contadino

«Genové, finalmente togli il disturbo!»

Studente

«Professò, avete affermato poco fà che per vivere bene sulla terra occorre una pianificazione di tutta la comunità planetaria: se è questo l'unico rimedio, che cosa impedisce che venga attuato?»

Professore.

«L'antitesi più forte allo sviluppo pianificato del mondo è costituita dalla natura poetica dell' uomo».

Contadino

«A me pare che se ci stanno uomini che non fanno alcun male, questi sono i poeti. Se ne stanno sempre con la testa fra le nuvole a scrivere poesie».

Professore.

«La natura poetica dell'uomo non si rivela tanto nelle poesie, che cantano di questo e di quello, quanto nella capacità di creare, inventare pensieri. Questa natura pensante, creativa, rende l'uomo un perenne viaggiatore che abita il divenire dell'espe­rienza, un poeta che sta sempre alla ricerca di cose nuove».

Contadino

«Allora sono poeta pure io?».

Professore.

«Se decidi di variare le colture che solitamente praticavano in queste zone i tuoi familiari, allora sei poeta pure tu».

Contadino

«Se la prossima volta invece di piantare gli alberi di cachi, tiro su una piantagione di quei frutti che ven­gono dalla Nuova Zelanda, i kiwi, divento poeta pur'io?»

Studente

«In certo qual senso, ~».

Contadino

«Questa la devo raccontare al circolo stasera! »

Professore.

«A differenza di tutti gli esseri che popolano la Terra l'uonio pensa, e ogni pensiero gli racconta la sua totale estraneità alla Terra: si chiede ragione del suo "star qui" piuttosto che "là", del suo "vivere ora" piuttosto che "allora"».

Contadino

«A me, quando mi vengono questi pensieri, mi faccio "due bicchieri divino" piuttosto che "uno", e mi vado a coricare».

Professore.

«All'inizio non era così, l'uomo era felice e non si sentiva straniero sulla terra. Tutti, filosofi, religiosi e narratori mitologici fanno incominciare il mondo dal bene: dall'età dell'oro, dalla vita del paradiso, o da una vita ancora più felice in cui l'uomo è il simbolo dell'armonia tra il cielo e la Terra».

Contadino

«Io, cielo e terra non sempre li ho visti in armonia:  certe volte la terra voleva l'acqua ed è arrivato il sole, e viceversa».

Professore.

«L'uomo, a quei tempi non si sentiva apolide, stra­niero sulla terra, ma viveva felice contemplando il mondo come uno spettacolo, ed egli stesso rappre­sentava un piccolo frammento di ciò che gli appariva ordinato e perfetto. Gioiva nel vedere gli animali che andavano peri campi, saltando, mangiando, giocan­do, ed egli stesso conduceva una vita molto simile».

Contadino

«Mi pare di vedere il mio ritratto di quand'ero piccolo! »

Professore.

«Ma ben presto questa felicità svanisce, questa armonia si spezza, e una sorda diffidenza, se non addirittura un'insanabile inimicizia, matura fra l'uo­mo e la Terra».

Contadino

«Vuoi vedere che io sono l'unico uomo che ancora non ha litigato con la terra?» 

Professore.

«Diverse sono le parole che vengono usate per spiegare la causa di questa separazione: le religioni parlano di una colpa originaria, le mitologie di un'infrazione divina, le filosofie di un male radicale».

Contadino

«Tutta la colpa fu del diavolo tentatore. Se si fosse fatto i fatti suoi...».

Professore.

«L'uomo non riconosce più il mondo come un tutto ordinato, percorso da un' armonia invisibile, in cui egli fa da mediatore tra il cielo e la Terra, e si mette alla ricerca di un'armonia visibile. Allora i signifi­cati che non si trovano vengono conferiti, i valori che non nascono dalla visione delle cose sono postu­lati dall'umana valutazione, la volontà sostituisce lo sguardo, e l'uomo, da simbolo che compone Cielo e Terra, inizia a disporre del Cielo e della Terra, plasmandoli e piegandoli all'uso a cui il suo pro-getto li destina».

Contadino

«Della terra io ne ho disposto a piacimento: con la zappa l'ho girata e rigirata mille volte, come volevo io! Il cielo, invece, me ne ha fatto dispetti!»

Professore.

«Iniziando adesso a disporre del cielo e della terra, l'uomo instaura con il mondo un rapporto di tipo narcisistico, perché il mondo non è più l'altra parte, ma è il riflesso della sua immagine, il riscontro della sua prassi. L'uomo occidentale che si avventa sulle cose del mondo somiglia al giovinetto che, volendo afferrare la sua bella immagine che vagava a fior d'acqua, s'immerse nella corrente profonda e di­sparve».

Contadino

«Oggi, chi si specchia in un fiume come quello che attraversa il nostro paese, la Solofrana, non corre questo pericolo: l'acqua è così sporca che non vi si potrà mai specchiare dentro. E se proprio è destino che deve morire, muore per la puzza!»

Professore.

«Così adesso, ma questo adesso è vecchio come la storia, l'uomo osserva il suo cane che gli saltella intorno e si rende conto che l'animale non sa cosa sia l'ieri, cosa l'oggi, cosa il domani: salta, mangia, riposa, digerisce, torna a saltare, e così dall'alba al tramonto e di giorno in giorno, legato al piuòlo dell 'istante, legato cioè solo per un breve attimo al suo piacere e al suo dolore, e perciò né triste né tediato. Il veder ciò fa male all'uomo, perché, a confronto dell'animale, egli non riesce a dimentica-re ed è continuamente legato al passato: per quanto lontano, per quanto rapidamente egli corra, corre con lui la catena. Guarda con invidia alla felicità del suo cane, giacché questo soltanto egli vuole, vivere come l'animale, né tediato nè fra dolori, e lo vuole però invano, perché non lo vuole come l'animale. La catena della memoria, infatti, consente all'uomo di prendere coscienza della sua contingenza nell'ordi­ne della terra e quindi della inidoneità della terra a costituire un punto di riferimento dei progetti umani. L'uomo così si ritaglia un suo mondo sulla terra, si pone alla ricerca di una felicità che non può escludere l'apertura al senso, essendo questa apertu­ra ciò per cui l'uomo è uomo e non animale: l'animale, senza memoria, non sa di sé e del mondo che lo circonda ed è perciò, privo di qualsiasi orizzonte. Ma l'apertura, dilatandosi, e avanti e indietro, iscri­ve l'uomo tra la nascita e la morte; anche l'animale è iscritto in questi due limiti, ma non ne ha coscienza, quindi non vive la dimensione tragica di essere a un tempo aperto al senso e in vista della morte che è il naufragio di ogni senso».

Contadino

«Pure io mi sono ritagliato il mio mondo, e questi sono i suoi confini: il mio campicello, il circolo per la partita a carte, il tegame e il letto».

Professore.

«Che cos'è, infatti, la tanta deprecata volontà di potenza che sta alla radice della scienza e della tecnica se non il disperato, estremo tentativo di sfuggire all'indifferenza della Terra, di instaurare la Terra come risposta al domandare dell'uomo? E che cosa si cerca in questa risposta se non la conferma di un sotteso finalismo che sottragga la Terra alla sua indifferenza e la possa far apparire come struttura di riferimento per la comprensione di noi Stessi?

Che cosa c'è sotto la provocazione della scienza e della tecnica, a cui ormai sono da ricondurre tutti i segni della Terra, se non quell'insopprimibile bisogno dell'uomo di non sentirsi apolide, senza casa, straniero sulla terra, perché estraneo? E guai a colui che non ha casa!».

Contadino

«Io almeno in questo sono fortunato! Una casa la tengo: ~ piccerella e scassata per il terremoto, ma almeno la sera so dove mi devo ritirare».

Professore.

«Pro-vocata dall'uomo la Terra risponde, ma ri­sponde nei limiti, molto spesso imprevisti, della nostra provocazione; offre di sè il richiesto, tratte­nendo in sè il non richiesto. L'errore consiste nello scambiare il senso pro-mosso dalla nostra azione con il senso della Terra, dimenticando che la Terra ama nascondersi».

Contadino

«Sarà, ma a me la terra non si nasconde mai! Io, quando vado a faticare, la trovo sempre!»

Studente

«L'uomo, oggi, appare profondamente segnato dal grido folle di Zarathustra, "Dio è morto", cioè dalla consapevolezza drammatica della lontananza del Dio dall'esperienza moderna dél mondo. Ma, a mio avviso, occorre ricercare il significato non sempli­cemente negativo, ateista, della morte di Dio, della sua assenza dall'esperienza metafisico -tecnica del nostro tempo, e domandare quale possibilità sia an­cora riservata all'uomo post-metafisico di incontra-re il divino SUl Suo cammino. Tale ricerca deve indirizzarsi verso un radicale oltrepassamento della consistenza metafisico - tecnica, che l'uomo occi­dentale ha dato al proprio essere e sulla quale ha fondato il proprio rapporto con il mondo, rapporto che si è risolto essenzialmente nella volontà di dominare la natura. Occorre, al di là del dominio produttivistico sulla terra, ricercare un' appartenen­za, una fedeltà che è stata impedita fin qui dal bisogno di garanzie compensazioni ultra-terrene. Solo come esistenza finita, terrena, l'uomo può ritrovare l'esperienza del divino, di cui è testimone l'antica sapienza greca, ma da cui il sapere della metafisica lo ha distolto ineluttabilmente. Al di là del Dio metafisico platonico -cristiano, resta da venire l'ultimo Dio per una umanità che sia radicalmente capace della propria finitezza. Ma correlativamente questa umanità futura ha bisogno di ritrovare il divino, o il Segreto della sua assenza, per poter abitare di nuovo la terra».

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ATTO II

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EPILOGO

La scena rappresenta una camera da letto. Al centro della parete di sinistra una porta dà alle altre stanze, mentre nell'angolo estremo vi è  una toilette con specchio ovale. Addossati alla parete di fronte, di seguito da sinistra verso destra: letto del padre, comodino abat-jour, letto del figlio, comodino con abat-jour, ed al piedi del Letto del figlio, con la spalliera rivolta verso il pubblico, una sedia. In alto, affissi alla parete di fondo, un crocifisso e, leggermente più in basso, un ritratto femminile. Al centro della parete di destra una grossa finestra a due battenti che dà sulla strada.

 

 

   

Padre:      (Andando avanzi e indietro, a passi lunghi, ai piedi del letto) «Oh Dio mio, per quante cose mi sono roso il cuore nella vita! E gioie, poche n'ho gustate, poche davvero. Mentre le cose che mi hanno arreca­to dolore sono tante quanti i granelli di sabbia del deserto libico. Ma da quando la buonanima di mia moglie è passata a miglior vita, pace all'anima sua (si segna guardando il ritratto appeso alla parete), ed è toccato a me solo badare all'educazione di mio figlio, mai tante lacrime versarono i miei occhi e tanti affanni dovette sopportare il mio cuore. E' già da molto tempo passata la mezzanotte, ed ecco là il suo letto ancora intatto, mentre egli o fa chiacchiere a vuoto in piazza o scarrozza su e giù tentando dispe­ratamente di... scassare anche quest'ultima auto­mobile che, me tapino, gli ho comprato (Si sente aprire la porta d'ingresso) Ma eccolo qui, mio figlio (Rivolto al figlio che sta entrando). Signor figlio, ti auguro una buona sera».

                   Figlio:     (Con aria scocciata) «Io, invece, signor padre, una

                                      buona notte».

                   Padre:     «Posso chiederti dove sei stato, per rincasare a

                                   quest'ora  di notte?»

 

                   Figlio:      «E tu dove sei stato per essere ancora sveglio?»

                   Padre:    «Questa domanda non c'entra, ora. 

                                   E poi sono io che faccio le domande».

                   Figlio:                   «Solo tu?»

                   Padre                   «Certo! E ne ho buon diritto, per giunta»                          Figlio:             «Se fai tu le domande le posso fare pure io.

                   Comunque, se  proprio ci tieni a saperlo, 

                   sono stato ad un convegno per la

                   salvaguardia del verde».

Padre:       «Ma a te che ti frega del verde? 

                   C'è tanto verde nei poderi che

                   ancora ci sono rimasti, e non ti degni

                   nemmeno di andare a

                    vederlo da lontano».

Figlio:      (Sarcastico) «Siamo alla trivialità, padre. 

                Tu cambi  stile, avevi cominciato meglio».

 

Padre:        «E  a quest'ora di notte è finito il convegno?»

 

 

Figlio:          «In verità è terminato già da molto tempo. 

                    Ma alla fine abbiamo fatto una sfilata con le

                    auto per il centro fin sotto il Municipio  

                    per sensibilizzare sul problema i consiglieri

                   comunali riuniti in assemblea».

 

Padre:          «La sfilata era più logico farla a piedi, 

                     dal momento che sono   proprio le auto

                      la causa principale della distruzione dei

                      boschi e   delle foreste».

 

Figlio:            «Tu e la tua logica! Non vedi che 

                      diventi noioso?»

 

                          Padre:     (Prendendo un tono commiserevole)

                                          «Non mi parlare in questo

                                            modo, ma se veramente mi vuoi bene, 

                                            figlio, stammi a   sentire».

 

Figlio:    (Ironico) «E in che cosa dovrei starti a sentire?».

 

Padre:   (Risentito) «Non ti permettere di canzonarmi. 

               E' da oltre due   anni che i miei saggi consigli

                cercano di far presa sudi te, ma a   niente sono

                valsi contro la tua insensatezza e contro la cieca

                passione che hai per le auto. 

               Sei tanto incaponito...

 

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