C’era una volta, in un paese dell’agro nocerino, un ciabattino
il quale, oltre ad essere molto apprezzato nel proprio mestiere, godeva
fama di essere uomo saggio e bravo poeta per la sua prontezza nel dare
buoni consigli esprimendosi in motti vivaci e spiritosi.
A quei tempi le acque della Solofrana erano fresche e limpide e il
paese aveva ancora il nome antico di
l i C a s a l i. La
denominazione stava ad indicare che non proprio di un paese si trattava,
ma piuttosto di diversi casolari tenuti insieme più dalle rivalità delle
genti che dalla volontà di fare vita in comune. Queste rivalità erano
tramandate da padre in figlio nelle serate piovose
d’inverno quando, al fuoco del camino, i padri raccontavano,
esagerandole un po', le battaglie ingaggiate in gioventù, armati di
bastoni e pietre, contro i giovani degli altri casolari.
A riprova di queste divisioni, nel paese, insieme ad una grande
chiesa, vi erano anche tante piccole cappelle. La chiesa grande,
intitolata a S. M a r i a d e
l l e G r a z i e, era
situata in un luogo isolato, a valle, nei campi, come se di proposito
fosse stata costruita in un posto equidistante dai diversi caseggiati, ed
in essa gli abitanti del paese si dedicavano con grande devozione al culto
di S. Anna. Seguivano, poi, le varie cappelle, vere e proprie chiesette,
una per ogni gruppo di case: in esse gli abitanti veneravano il loro
peculiare Santo protettore, dal quale, molto spesso, prendeva anche nome
il caseggiato.
Così, proprio alla sommità di una strada dritta e in leggera
salita, vi era, posta in modo da formare tutt’uno con le case che
salivano da via Casacaliendo, la Cappella di
S. R o c c o, santo
che dava anche il nome alla strada che rappresentava il cuore del paese.
La Cappella di S. P a s q u a l e , poi, era una vera e propria
chiesetta, e dal santo che in essa si venerava, prendeva anche nome il
caseggiato più a valle, situato al punto d’incontro di ben quattro
comuni: Nocera Inferiore, Nocera Superiore, Castel S. Giorgio e
Roccapiemonte. Questo casolare era il più isolato di tutti
l i C a s a l i, tanto che spesso anche il parroco di Santa Maria
delle Grazie si dimenticava che gli abitanti facevano parte della sua
congregazione.
S a n t ’ E l i a , invece, aveva per dimora una piccola edicola,
incastonata come una gemma nell’angolo di un antico e ben fatto
edificio, e dava il nome ad un caseggiato posto su di una sommità alle
spalle di via Casacaliendo.
Altri caseggiati, poi, prendevano il nome da particolari condizioni
dei luoghi. D i e t r o a l T r i v i o era
detto così perché era situato, dopo una lunga curva, proprio
all’incrocio di tre vie e segnava il confine esterno del paese verso
Roccapiemonte.
G i ù i n b o t t e g a indicava
il luogo dove l’unico bottegaio del paese, in un piccolo locale, vendeva
le poche mercanzie che le genti del posto richiedevano, abituate
com’erano a vivere soprattutto dei prodotti ottenuti dalla loro terra o
dagli animali allevati nelle proprie stalle e pollai.
V i a C a s a c
a l i e n d o, già ricordata, era detta così perché le case ai suoi
fianchi prendevano a calare, dolcemente, dalla cappella di S.Rocco fino a
valle, dove incontravano l’antico corso della Solofrana.**
L’ultimo caseggiato, quello situato più in alto, era detto di P i z z a c u t o perché
le poche e modestissime case che lo componevano erano poste proprio sul
pizzo di una collina, acuminata come la punta dell’arco gotico, dando
l’impressione, in chi guardava dalla valle, di voler scivolare giù per
la china.
La natura sembrava essere di casa in questa località, ed era
amabile in ogni atteggiamento. Al caseggiato si accedeva attraverso uno
stretto sentiero, tortuoso e in leggera salita, che d’estate era
protetto dall’ombra dei castagni chiazzata da fluttuanti macchie di
sole, mentre d’inverno, venendo giù di mattina avvolti in un silenzio
ovattato, si sentiva la terra gelata scricchiolare sotto i piedi.
In primavera, invece, quando la natura è una deliziosa giovanetta,
era bello passeggiare per il sentiero che portava su, mentre gli alberi
incominciavano a rivestirsi delle prime foglioline, fresche e verdi,
simili a giovani vite che si affacciano timidamente nel mondo
vorticoso, e la brezza portava per l’aria il canto degli uccelli in amore. D’autunno, poi, a Pizzacuto, la pioggia e la
brina non davano alcun fastidio perché, quali industriose ancelle della
natura, sembrava che stessero solo svolgendo i loro doveri verso la
campagna.
Alcuni dicono che il nostro ciabattino sia sempre vissuto a
Pizzacuto, altri invece giurano che proprio in autunno un giovane biondo
arrivò, verso sera, al casolare. In quel bagliore sanguigno che spesso
accompagna i tramonti nelle nostre zone, il giovane, salendo per il
sentiero, era seguito ad ogni passo dal crepitio delle foglie, che
formavano come un manto dorato sotto i suoi piedi.
Quando giunse all’altezza delle prime case, poiché ben
difficilmente accadeva che qualche forestiero capitasse in quel luogo,
quelli che lo videro arrivare lasciarono le loro occupazioni e gli
andarono incontro. Uno di essi, un contadino, gli chiese:
-- Chi sei? Cosa cerchi in un posto dove non capita mai un
viandante per caso?
-- Cerco lavoro --
rispose il giovane.
-- Cosa sai fare?
-- Conosco bene il
mestiere di calzolaio, ma sono pronto a fare anche il lavoro dei campi e
ad accudire gli animali, se la necessità lo richiede.
Venne assunto subito, anche perchè il contadino aveva una giovane
figlia in età da marito ed in quel posto non era facile per una ragazza
incontrare pretendenti.
Così il giovane si stabilì a Pizzacuto e dopo non molto tempo
sposò proprio la figlia del contadino che l’aveva ospitato. Badava ai
campi e agli animali, ma mise su anche una modesta bottega di
calzolaio, facendosi apprezzare per le sue capacità.
Ben presto, però, oltre alla sua abilità di calzolaio, dimostrò
di possedere anche un’altra qualità: quella di dare con prontezza
risposte argute ed appropriate a chi si rivolgeva a lui per consiglio.
La sua fama si diffuse per tutto il circondato ed anche oltre,
attirando verso Pizzacuto un gran numero di persone. Erano in molti quelli
che, con il pretesto di farsi riparare un paio di scarpe, andavano a
chiedere consigli al calzolaio, che venne così ribattezzato, il poeta di
Pizzacuto.
Veniva gente da tutti i paesi dei dintorni, e qualcuno anche da
molto lontano, con le richieste più disparate.
Un giorno si presentò davanti al poeta una coppia di sposi: lui,
di nome Camillo, molto magro; lei bella, ma molto grassa. L’uomo, dopo
avergli affidato due paia di scarpe da risuolare, lo pregò di indicargli
un rimedio contro l’appetito della moglie che, a suo dire, non smetteva
mai di mangiare.
Il poeta rispose:
--- Magro e smilzo il
buon Camillo
rassomiglia ad uno spillo;
ha una moglie grande e grossa
perché mangia a più non posso.
La moglie un giorno scoppierà
e Camillo un’altra donna sposerà.
Si dice che da quel giorno la donna abbia smesso di mangiare a
crepapelle ed in poco tempo sia ritornata più bella di prima.
Un’altra volta, mentre stava lavorando seduto al suo deschetto di
forma circolare, il cui piano aveva per bordo un anello in ferro di quelli
usati per tenere insieme le doghe delle botti, il poeta si vide comparire
davanti un padre disperato che si tirava dietro il proprio figlio.
L’uomo, un contadino benestante, proprietario di diverse moggia di
terreno, fertili e ben coltivate, con un grande casolare al centro, si
lamentò con il poeta calzolaio perché suo figlio, l’unico maschio
della famiglia, per vivere in città, voleva abbandonare la vita dei campi
ed andare a fare il militare di carriera.
Il poeta, dopo aver ascoltato attentamente il contadino, si alzò
dal banco, uscì dalla baracca dove svolgeva la sua attività e, seguito
da padre e dal figlio, si portò sul ciglio della collina. Poi, indicando
al giovane i faggi ed i castagni che ricoprivano i fianchi della montagna
fino a valle, disse :
-- Vedi questi alberi, sono nati in maniera spontanea, crescono e
danno frutti senza alcuna cura, il solo guardarli infonde un senso di
libertà. In città, i viali alberati prendono forma tagliando ed
acconciando gli alberi come vecchie crinoline. Io sto al mio agio solo
nella natura libera. Tu sei nato libero, perché vuoi diventare schiavo
vendendo la tua libertà per mezzo ducato al giorno?
Le parole del calzolaio colsero nel segno e il ragazzo abbandonò
il suo progetto rendendo felice il padre.
La maggior parte delle persone che si recavano presso il
poeta-calzolaio per richiedere i suoi servigi era gente semplice e di
modesta condizione sociale, ma un giorno, incuriosito dalla fama, un
giovane cavaliere, figlio di un signorotto del posto, volle conoscere il
poeta.
Così, in un caldo pomeriggio di agosto, per soddisfare la sua
curiosità, questo giovanotto, in compagnia di un allegra brigata di amici
ed amiche, decise di recarsi a Pizzacuto. Poiché non pioveva da molto
tempo, i giovani trovarono il sentiero che conduceva su
alquanto polveroso nei tratti non selciati e più volte lungo il
tragitto si rammaricarono di aver intrapreso quella scampagnata.
Giunti alla sommità, chiese ad un contadino, che ricurvo stava
liberando dalle erbacce le colture del proprio orticello, dove abitava il
“famoso poeta”. Il contadino indicò loro una baracca non lontana.
Il giovane, insieme ai suoi amici, si portò all’ingresso della
capanna. Avendo trovato il
poeta che al suo banco, con grembiule ed abiti dimessi, stava ribattendo
una grossa suola, esclamò:
--- Tu sì
’o poete
’e Pizzauto,
cu cchisti
panne vaje
vestuto?
--- Ma tu che cavolo
vaje truvanno?
Sì venuto pe’ parlà cu mme o cu
’e panne?
rispose risentito il poeta, e cacciò via in malo
modo il giovane signore con tutti i suoi amici.
Si dice che da quel giorno nessuno osò più recarsi a Pizzacuto
con intenzioni moleste, e così il poeta visse felice e contento per
lunghi anni insieme alla moglie ed ai figli.
*Di questa località, dialettalmente chiamata
Pizzauto, abbiamo accettato la denominazione delle carte catastali; su
vecchie mappe la località prende il nome di Pizzogotico.
**Secondo un’altra interpretazione, forse più
attendibile, la denominazione Casacaliendo trae origine dalla corruzione
del nome di un’antica casata di Nocera, la famiglia
Calenda, che era proprietaria
dell’intera zona
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