PROTOCOL #80 - Blind Messiah

Il dolore gli lacerava il cervello.

Da diversi istanti si trovava a terra, brancolante, tentando di riprendere il controllo della realtà. Ma i suoi sensi erano alterati, confusi, quasi resi sterili.

Riusciva solo ad udire i suoni metallici delle guarnizioni dell’anticamera rompersi, cadere in pezzi ed indistintamente i passi del suo nemico, i suoi sussurri carichi d’odio sulla pelle sporca e sanguinante.

D’un tratto un colpo.

Neo si ritrovò di nuovo faccia a terra, le vene delle tempie pulsanti e gli occhi indolenziti.

Bane era là da qualche parte, pronto a sferrare un ulteriore attacco, questa volta letale e lui lo sapeva. Doveva fare qualcosa prima che fosse stato troppo tardi, prima che, una volta messo fuori combattimento, anche Trinity si fosse trovata nuovamente faccia a faccia con il pericolo mortale.

Ma qualcosa sotto le sue doloranti pupille si stava facendo largo inesorabilmente, con un calore ed una luce quasi... confortanti. Gli pareva di riuscire a distinguere qualcosa tra le ombre della nave, tra le ombre della sua nuova condizione di cecità.

Poi, d’un tratto, l’inferno.

Il suo avversario gli era di nuovo di fronte, stavolta più deciso che mai, stavolta... con aspetto del tutto familiare.

- Io ti posso vedere...- fece per cominciare, ma fu inutile portare a termine la frase. Le sue pupille, divenute tutt’un tratto vedenti, seppure ancora cieche alla realtà, riuscirono a distinguere lingue di fiamma che avvolgevano l’intero corpo dell’avversario, tanto da conferirgli le sembianze del suo nemico numero uno. Smith.

Non pensò.

Essendo stato privato della vista, le percezioni ottiche si erano ovviamente annullate, mentre quelle mentali si erano amplificate ad un punto tale che gli era ora possibile vedere, guardare, scrutare sino a riconoscere la vera essenza del rivale.

La sorpresa fu inaudita. La rabbia efferata che aveva dinnanzi a sé apparteneva davvero a colui che s’era già illuso d’aver eliminato, ma che era tornato più carico d’odio che mai, più furioso e determinato ad una resa dei conti letale.

Infuocato come inferno. Smith.

La spranga che quest’ultimo aveva perso nel precedente scontro finì inesorabilmente tra le mani dell’Eletto, che la brandì senza rancore, menando fendenti decisi e devastanti. Nel suo cuore colmo d’agitazione non c’era spazio per esitare: doveva colpire e in fretta, altrimenti sarebbe finita ogni cosa, ogni sforzo ed ogni speranza di raggiungere la luce della Città delle Macchine e salvare Zion sarebbero stati vani.

L’avversario tentò di farsi scudo con le braccia, ma ormai incredulo e lacerato dalla rabbia, non riuscì ad evitare l’ultimo, mortale colpo.

Il corpo di Bane si accasciò al suolo, il volto tumefatto e sanguinante, non prima di aver sibilato tra le labbra l’ultima, insidiosa minaccia. La battaglia era stata vinta dal nemico, ma la guerra era ancora aperta e di certo lui non si sarebbe lasciato sopraffare. Non di nuovo.

Nel momento in cui Neo, stremato, riuscì a liberare la sua compagna, Smith spalancava gli occhi nel mondo artefatto di cui ormai era completo padrone.

Con un ringhio furioso creò una violenta onda d’urto, travolgente a tal punto da proiettare in aria l’intera struttura portante del colonnato marmoreo; sotto gli occhi freddi e distanti di Lucyfer il tempio si sgretolava. La polvere sollevata dalla incredibile potenza del contraccolpo avvolgeva le decine di cloni che attorniavano l’originale ex Agente, in piedi proprio al centro della costruzione ormai distrutta, mentre gli ultimi frammenti di marmo bianco cadevano come chicchi di grandine ai suoi piedi.

- Maledizione.- fece a denti stretti, serrando i pugni.

La bionda non si mosse, rimase con le braccia incrociate al petto a fissare le circonvoluzioni di pulviscolo e schegge che piovevano silenziose sul corpo dell’uomo, creando la singolare illusione che fosse avvolto in una candida aura immacolata.

Trascorsero interminabili attimi in cui i frammenti si diradarono e Smith allentò la tensione nei pugni serrati.

- Il burattino è stato fatto a pezzi.- sussurrò con rabbia, rimanendo voltato di spalle. Lucyfer colse l’allusione a Bane e si avvicinò.

- E’ importante che il burattinaio non abbia danneggiato i suoi fili.- rispose, ancor più ermetica e fredda.

Lui si voltò, incontrando gli zaffiri pallidi incastonati nel viso della donna. Era rimasta in attesa di conoscere l’esito della missione nel mondo reale sino a quell’istante, ogni momento aveva avvertito la sua presenza nella sua testa, come se avesse stabilito un legame mentale da tenere vivo con la sola concentrazione delle forze. Non si era mai distratta. E Smith lo sapeva bene, anche se nel momento culminante dello scontro gli era parso di non riconoscere più alcun suono ed odore famigliare, di essere perso in una lurida e meschina realtà.

- I fili sono pronti per una nuova rappresentazione.- la sua voce parve così bassa e vicina che fu quasi palpabile - Questa volta, però, si terrà nel mio teatro.-

Lei gli scostò la polvere da una spalla, con fare noncurante, quasi non avesse udito le sue parole. Ma Smith le afferrò la mano, prendendo a fissarla con veemenza dritto negli occhi.

- Nel nostro teatro.- ripeté con enfasi.

 

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