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Commento di Luca Martini
Siamo nel 1972, quando Ian Carr incide questo splendido disco a proprio nome, ma con il supporto che suo storico gruppo Nucleus. Lo scozzese naturalizzato inglese Carr ci offre qui un vero gioiello: ascoltando il lavoro ci si rende conto dell’influenza che il gruppo possa avere avuto per coloro che all’epoca hanno affrontato il discorso del jazz-rock. Il futuro biografo di Davis e di Jarrett riprende qui il discorso già affrontato nei dischi precedenti, presentandoci brani fiume di esaltante bellezza ("Belladonna"), grandi brani blues-jazz ("Summer Rain"), atmosfere misteriose (l’inizio di "Belladonna" e di "Remadione", l’intero brano "Suspension") e spunti Davisiani (si ascolti la ritmica di "May Day" come riprende quella di "In a silent way"). Splendido il brano che chiude il disco, ovvero "Hector’s house".
Un bellissimo lavoro, da riscoprire, tenuto conto che oggi sia i Nucleus che il loro leader sono semisconosciuti.
Recentemente il lavoro è stato ristampato insieme al precedente disco "Solar plexus".
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