La sorpresi nel salotto, seduta sul divano, lo sguardo fisso, ma profondo, sulla ampia vetrata che dava sulla spiaggia. Il sole ormai arrossava l'acqua di un inquieto riverbero, e l'aria era frizzante. Scolpiva quell'aria - fresca dopo l'afa della giornata estiva - sbalzava ogni momento, ogni gesto come in un altorilievo della memoria. Cosi' ora sorprendo la sequenza dei miei gesti e dei sui, delle sue parole come fissata su un nastro. Il suo volto era bello. Attraverso lei, mi accorsi, respirava il mare, la spiaggia rossa. La calma sostanziale delle cose.
Aveva un libro posato in grembo. Non mi parlo' subito, ma attese. Anch'io, attesi. Poi volto' il viso lentamente. Volevo uscire dalla stanza, tutto era quieto, armonico, non volevo portare il mio disordine, desideravo allontanare la mia irruente impazienza. L'insoddisfazione di me per me stesso strideva con l'armonia del resto.
Rispettare l'ordine naturale delle cose, limpido e profondo. Parlo' e le sue parole vibravano per la quieta aria estiva, e la piana femminea sua voce arrampicava senza sforzo apparente per il pulviscolo sbalzato a vivo tratto in una stria dalla finestra - avvampata di sole - al divano ove tante volte avevamo parlato, parlato e sorriso.
- Sai, leggevo una poesia...
- Si'? Quale.
-Una poesia. Una.
Si alzo' e lentamente si porto' alla finestra. Riprese a parlare osservando la scia vermiglia che brillava sul mare.
- Sai, e' tutto questo cosi'... vero.... piu' vero ma sempre sempre nascosto. Anche quando fa male, mi fa male. e' sempre meglio che nascosto. Amore mio!
Mi guardo' teneramente, e rimasi commosso. Tutto accadeva ed era bello. Bello come accadeva.
- Di'. Dimmi.
- Non voglio morire.... Cioe' essere morta. Voglio morire, ma quando muoio. Non essere morta mentre vivo. Capisci, tutto manca di... una parola vera, come un quadro senza colore. No, non manca, - continuo' stringendo gli occhi verso il mare - lo facciamo mancare.
Levo' lo sguardo verso il cielo vermiglio e un'espressione di bellezza fiera si dipinse sul suo volto. Rimasi un poco ad osservare la sua sagoma stagliata contro l'ampia vetrata irradiata dal sole. Era deliziosa. Pensai che mai in nessun modo avrei potuto comprenderla appieno. Ma era questo il fascino, mi dissi. Non risposi, per il momento. Ne' mi parve che lei attendesse una risposta, ed era meglio cosi'. Io ero appagato da quanto vedevo, e da come mi sentivo, non desideravo dire altro. Riprese il suo libro, di nuovo lo guardo assorto. Attesi un momento, il quadro aveva ripreso la sua compostezza. L'ampia vetrata che dava sulla spiaggia era parzialmente aperta. Filtrava una brezzolina sottile e fresca. Uscii lentamente sulla spiaggia. Camminavo con calma, ascoltando il rumore stesso dei miei passi, insieme all'eco dei rumori lontani che riverberavano per l'intera estensione della spiaggia. Essa formava un ampio semicerchio, che sembrava stringere il mare in un limpido amoroso abbraccio. La bellezza del mare di sera colmava il cuore di calma e di una punta acuta di felicita', cosi' spesso trattenuta.
Camminando piano giunsi al bagniasciuga. Li' vi scorsi Lavinia, la bimba dei nostri vicini, che giocava assorta con la sabbia. Avra' avuto sei anni, di certo aveva dei limpidi occhi azzurri, uno sguardo vivo e frizzante. Stava facendo un castello, proseguiva con calma e attenzione, senza fretta.
Rimasi per un attimo affascinato dalla calma della piccola bimba. Lei
registro' la mia presenza, si fermo' un attimo, poi si rimise al lavoro.
Alla fine mi chiese:
- Ti piace allora?
-E' molto bello - dissi osservandola.
- Beh, si, e' bello. - Indugio' un attimo, pensando. - Pero' poteva venire meglio. Guarda! Poteva
venire cosi' e cosi' - E muoveva rapidamente le piccole mani, descrivendo una struttura che era
nel suo pensiero - Pero' era difficile, in realta' volevo fare cosi'... Pero' anche cosi' va bene.
Era contenta del suo lavoro, mi guardava come per rendermi partecipe di quel piccolo spettacolo, il suo piccolo lavoro di fronte al mondo. Parlando con lei mi sentivo sereno e i miei sensi si acuivano piano piano: posavo i pensieri che frullavano nella testa pian pianino tutti al loro posto, sentivo il mondo esterno chiamarmi come per un timido invito: la risacca del mare, la fresca brezzolina ora quasi pungente. Un invito tiepido a dire "Si!"a tutto, ma timido e rispettoso della mia volonta'. Per Lavinia era tutto quasi spontaneo, per me si trattava di riaprirsi, di sentire col cuore.
Nel frattempo Lavinia, seguendo qualche suo pensiero segreto, aveva deciso alcune modifiche, e le stava ponendo accuratamente in opera. Certo, domani il vento e il mare avrebbero portato via il castello, lei pure avrebbe fatto altri giochi, ma qualcosa rimaneva. Qualcosa sempre rimane, pensai. I bimbi gia' lo sanno, qualcosa sempre rimane.
Una voce da una casa, una finestra da cui veniva una luce gialla calda, chiamo': "Lavinia, rientra. E' tardi, prendi freddo". Dalla voce riconobbi la mamma di Lavinia, una bella signora dal volto curioso e aperto.
"Ciao! Corro!"mi disse, lasciando il suo castello e rientrando nella casa.
Oramai il mare era rosso vermiglio, era quasi sera. Tornai sui miei passi, la porta di casa era semiaperta e percepii chiaramente gli odori della cena. Lei stava preparando, mi aspettava.
Rientrando chiusi la porta. Tra poco, di fuori, sarebbe esploso, silenzioso, un cielo di stelle terse, specchiato su un piccolo castello di sabbia costruito da una piccola bimba.
Marco Castellani, 1998