ADOLFO TANQUEREY
Compendio di Teologia Ascetica e Mistica

PARTE PRIMA
I principii

CAPITOLO III.
Perfezione della vita cristiana.

Capoversi:


ART. II. LA VERA NOZIONE DELLA PERFEZIONE 306-1.

306.   Stato della questione. Per ben risolvere questo problema, cominciamo con determinar lo stato della questione:

1° Nell'ordine naturale un essere è perfetto (perfectum) quando è finito e compito, e quindi quando consegue il suo fine: "Unumquodque dicitur esse perfectum in quantum attingit proprium finem, qui est ultima rei perfectio306-2. Questa è la perfezione assoluta; ve n'è però un'altra, relativa e progressiva, che consiste nell'avvicinarsi a questo fine, sviluppando tutte le proprie facoltà e praticando tutti i propri doveri secondo le prescrizioni della legge naturale manifestata dalla retta regione.

307.   2° Il fine dell'uomo, anche nell'ordine naturale, è Dio. 1) Creati da Lui, siamo necessariamente creati per Lui, poichè è chiaro ch non può Dio trovare un fine più perfetto di Sè, essendo la pienezza dell'Essere; e d'altra parte creare per un fine imperfetto sarebbe indegno di Lui. 2) Di più, essendo Dio la perfezione infinita e quindi la fonte di ogni perfezione, l'uomo è tanto più perfetto quanto più s'avvicina a Lui e ne partecipa le divine perfezioni; ecco perchè il cuore umano non trova nelle creature nulla che possa soddisfarne le legittime aspirazioni: "Ultimus hominis finis est bonum increatum, scilicet Deus, qui solus sua infinita bonitate potest voluntatem hominis perfecte implere307-1. A Dio quindi convien rivolgere tutte le nostre azioni; conoscerlo, amarlo, servirlo, e così glorificarlo, tal è il fine della vita e la fonte d'ogni perfezione.

308.   3° Il che è anche più vero nell'ordine soprannaturale. Gratuitamente elevati da Dio ad uno stato che supera le nostre esigenze e le nostre possibilità, chiamati a contemplarlo un giorno con la visione beatifica e possedendolo già con la grazia, dotati di un intiero organismo soprannaturale per unirci a Lui con la pratica delle virtù cristiane, è chiaro che non possiamo perfezionarci se non avvicinandoci continuamente a Lui. E non potendo far questo senza unirci a Gesù, che è la via necessaria per andare al Padre, la nostra perfezione consisterà nel vivere per Dio in unione con Gesù Cristo: "Vivere summe Dei in Christo Jesu308-1. Il che facciamo praticando le virtù cristiane, teologali e morali, che tutte hanno per fine di unirci in modo più o meno diretto a Dio, facendoci imitare N. S. Gesù Cristo.

309.   4° Sorge quindi la questione di sapere se, tra queste virtù, non ve ne sia una che compendi e contenga tutte le altre, e costituisca, a così dire, l'essenza della perfezione. S. Tommaso, sintetizzando la dottrina della S. Scrittura e dei Padri, risponde affermattivamente e c'insegna che la perfezione consiste essenzialmente nell'amor di Dio e del prossimo amato per Dio: "Per se quidem et essentialiter consistit perfectio christianæ vitæ in caritate, principaliter quidem secundum dilectionem Dei, secundario autem secundum dilectionem proximi309-1. Ma, poichè nella vita presente l'amor di Dio non può praticarsi senza rinunziare all'amore disordinato di se stessi, ossia alla triplice concupiscenza, in pratica all'amore bisogna aggiungere il sacrificio. Questo verremo esponendo col dimostrare:

§ I. L'essenza della perfezione consiste nella carità.

310.   Spieghiamo anzitutto il senso della tesi. L'amore di Dio e del prossimo, di cui trattiamo, è soprannaturale nel suo oggetto come nel suo motivo e nel suo Principio. Il Dio che noi amiamo è il Dio manifestatoci perchè la fede ce lo mostra infinitamente buono e infinitamente amabile; l'amiamo con la volontà perfezionata dalla virtù della carità e aiutata dalla grazia attuale. Non è dunque un amore di sensibilità; è vero che, essendo l'uomo composto d'anima e di corpo, spesso si mescola ai nostri più nobili affetti un elemento sensibile; ma un tal sentimento manca talora intieramente, e in ogni caso è del tutto accessorio. L'essenza stessa dell'amore è la dedizione, è la volontà ferma di darsi e, occorrendo, d'immolarsi intieramente per Dio e per la sua gloria, di preferire il suo beneplacito al nostro e a quello delle creature.

311.   Conviene dire altrettanto, salve le proporzioni, dell'amor del prossimo. In lui amiamo Dio, un'immagine, un riflesso delle sue divine perfezioni; il motivo quindi che ce lo fa amare è la bontà divina in quanto è manifestata, espressa, irradiata nel prossimo; o, in parole più intelligibili, noi vediamo e amiamo nei nostri fratelli un'anima abitata dallo Spirito Santo, ornata di Gesù Cristo; e amandola, ne vogliamo il bene soprannaturale, lo spirituale perfezionamento, la salute eterna.

Non vi sono quindi due virtù di carità, l'una verso Dio e l'altra verso il prossimo; ve n'è una sola che abbraccia insieme Dio amato per se stesso e il prossimo amato per Dio.

Con queste nozioni ci sarà facile intendere come la perfezione consiste proprio nella virtù della carità.

Le prove della tesi.

312.   1° Interroghiamo la S. Scrittura. A) Nel Vecchio come nel Nuovo Testamento, ciò che domina e compendia tutta la Legge è il gran precetto della carità, carità verso Dio e carità verso il prossimo. Quindi, quando un dottore della legge domanda a Nostro Signore che cosa bisogna fare per acquistare la vita eterna, il divin Maestro gli risponde soltanto: Che cosa dice la legge? E il dottore pronto gli cita il testo del Deuteronomio: "Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze, con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso: Diliges Dominum Deum tuum ex toto corde tuo et ex tota anima tua et ex omnibus viribus tuis et ex omni mente tua, et proximum tuum sicut teipsum. E Nostro Signore l'approva dicendogli: "Hoc fac et vives312-1. Aggiunge altrove che questo doppio precetto dell'amor di Dio e dell'amor del prossimo costituisce la legge e i Profeti 312-2. Ed è ciò che sotto altra forma dichiara S. Paolo, quando, dopo aver rammentati i principali precetti del Decalogo, aggiunge che la pienezza della legge è l'amore: "Plenitudo legis dilectio312-3. Così l'amor di Dio e del prossimo è nello stesso tempo la sintesi e la pienezza della Legge. Ora la perfezione cristiana non può essere che l'adempimento perfetto ed intero della Legge; perchè la Legge è ciò che Dio vuole, e che cosa v'è di più perfetto della santa volontà di Dio?

313.   B) Vi è un'altra prova tratta dalla dottrina di S. Paolo sulla carità nel cap. XIII° della Iª Lettera ai Corinti; con lirico linguaggio Paolo vi descrive l'eccellenza della carità, la sua superiorità sui carismi o sulle grazie gratisdate, sulle altre virtù teologali, la fede e la speranza; e mostra ch'essa compendia e contiene in modo eminente tutte le virtù, che è anzi il complesso di queste virtù: "caritas patiens est, benigna est; caritas non æmulatur, non agit perperam, non inflatur, non est ambitiosa, non quærit quæ sua sunt, non irritatur, non cogitat malum..."; e in ultimo aggiunge che i carismi passeranno, che la fede e la speranza spariranno, ma che la carità è eterna. Non è questo un insegnare che non solo la carità è la regina e l'anima delle virtù, ma che è pur così eccellente da bastare a rendere un uomo perfetto, comunicandogli tutte le virtù?

314.   C) S. Giovanni, l'apostolo del divino amore, ce ne dà la fondamentale ragione. Dio, egli dice, è carità, "Deus caritas est"; è questa, a così dire, la sua nota caratteristica. Se dunque vogliamo somigliar a lui ed essere perfetti come il Padre celeste, bisogna che noi amiamo lui come egli ha amato noi "quoniam prior ipse dilexit nos314-1; e non potendo amar lui senza amar pure il prossimo, dobbiamo amare questo caro prossimo fino a sacrificarci per lui, "et nos debemus pro fratribus animas ponere": "Carissimi, amiamoci l'un l'altro, perchè l'amore viene da Dio, e chi ama è nato da Dio e conosce Dio. Chi non ama, non ha conosciuto Dio, perchè Dio è amore... Or questo amore sta in ciò che non fummo noi ad amar Dio, ma egli il primo amò noi e mandò il suo Figliuolo vittima di propiziazione per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amati in tal guisa, dobbiamo noi pure amarci l'un l'altro... Dio è amore e chi sta nell'amore sta in Dio e Dio in lui" 314-2. Si può dire in modo più chiaro che tutta la perfezione consiste nell'amor di Dio e del prossimo per Dio?

315.   2° Interroghiamo la ragione illuminata dalla fede: se consideriamo sia la natura della perfezione sia la natura della carità, arriviamo alla stessa conclusione.

A) Abbiamo detto che la perfezione d'un essere consiste nel conseguire il proprio fine o nell'avvicinarsegli quanto più è possibile (n. 306). Ora il fine dell'uomo nell'ordine soprannaturale è Dio eternamente posseduto con la visione intuitiva e con l'amore beatifico; sulla terra ci avviciniamo a questo fine vivendo già in unione intima con la SS. Trinità che vive in noi e con Gesù mediatore necessario per andare al Padre. Quanto più dunque siamo uniti a Dio, ultimo nostro fine e fonte della nostra vita, tanto più siamo perfetti.

316.   Or qual è tra le virtù cristiane la più unificante, quella che unisce l'anima nostra intieramente a Dio, se non la divina carità? Le altre virtù ci preparano a questa unione, o anche a lei ci iniziano, ma non possono compierla. Le virtù morali, prudenza, fortezza, temperanza, giustizia, etc., non ci uniscono direttamente a Dio, ma servono solo a sopprimere o diminuire gli ostacoli che ce ne allontanano e ad avvicinarci a Dio conformandoci all'ordine; così la temperanza, combattendo lo smoderato uso del piacere, attenua uno dei più violenti ostacoli all'amor di Dio; l'umiltà, allontanando l'orgoglio e l'amor proprio, ci predispone alla pratica della divina carità. Inoltre queste virtù, facendoci praticare l'ordine ossia la giusta misura, sottomettono la nostra volontà a quella di Dio e ci avvicinano a lui. Le virtù teologali poi distinte dalla carità, ci uniscono certamente a Dio, ma in modo incompleto. La fede ci unisce a Dio, infallibile verità, e ci fa vedere le cose alla luce di Dio; ma è compatibile col peccato mortale che ci separa da Dio. La speranza ci eleva a Dio, in quanto è cosa buona per noi, e ci fa desiderare i beni del cielo, ma può sussistere con colpe gravi che ci allontanano dal nostro fine.

317.   La sola carità ci unisce intieramente a Dio. Suppone la fede e la speranza ma le oltrepassa: prende tutta quanta l'anima, intelligenza, cuore, volontà, attività, e la dà a Dio senza riserva. Esclude il peccato mortale, che è il nemico di Dio, e ci fa godere della divina amicizia: "Si quis diligit me, et Pater meus diliget eum317-1. Ora l'amicizia è unione, è fusione di due anime in una sola: cor unum et anima una... unum velle, unum nolle; completa unione di tutte le nostre facoltà: unione della mente, che fa che il nostro pensiero si modelli su quello di Dio; unione della volontà, che ci fa abbracciare la volontà di Dio come fosse nostra; unione del cuore, che ci stimola a darci a Dio come Egli si dà a noi, dilectus meus mihi et ego illi: unione delle forze attive, onde Dio mette a servizio della nostra debolezza la divina sua potenza per aiutarci a eseguire i nostri buoni disegni. La carità ci unisce dunque a Dio, nostro fine, a Dio infinitamente perfetto, e costituisce quindi l'elemento essenziale della nostra perfezione.

318.   B) Studiando la natura della carità, arriviamo alla stessa conclusione: come infatti dimostra S. Francesco di Sales, la carità racchiude tutte le virtù e dà loro anzi una speciale perfezione 318-1.

a) Racchiude tutte le virtù. La perfezione consiste, com'è chiaro, nell'acquisto delle virtù: chi le possiede tutte, in un grado non solo iniziale ma elevato, è certamente perfetto. Ora chi possiede la carità possiede tutte le virtù e le possiede nella loro perfezione: possiede la fede, senza cui non si può conoscere ed amare l'infinita amabilità di Dio; e la speranza, che, ispirandoci la fiducia, ci conduce all'amore; e tutte le virtù morali, per esempio, la prudenza, senza cui la carità non potrebbe nè conservarsi nè crescere; la fortezza, che ci fa trionfare degli ostacoli che si oppongono alla pratica della carità; la temperanza, che doma la sensualità, implacabile nemica dell'amor di Dio.

Anzi, aggiunge S. Francesco di Sales, "il grande Apostolo non dice solo che la carità ci dà la pazienza, la benignità, la costanza, la semplicità, ma dice ch'essa stessa è paziente, benigna, costante" 318-2, perchè contiene la perfezione di tutte le virtù.

319.   b) Anzi dà loro una perfezione e un valore speciale, perchè è, secondo l'espressione di S. Tommaso 319-1, la forma di tutte le virtù. "Tutte le virtù separate dalla carità sono molto imperfette, perchè non possono senza di lei giungere al loro fine che è di rendere l'uomo felice... Non dico che senza la carità non possano nascere e anche progredire; ma che abbiano tal perfezione da meritare il titolo di virtù fatte, formate e compite, questo dipende dalla carità, che dà loro la forza di volare a Dio, e raccogliere dalla sua misericordia il miele del vero merito e della santificazione dei cuori in cui si trovano. La carità è tra le virtù come il sole tra le stelle: distribuisce a tutte la loro luce e la loro bellezza. La fede, la speranza, il timor di Dio e la penitenza, vengono ordinariamente nell'anima prima di lei a prepararle la dimora; e giunta che è, la ubbidiscono e la servono come tutte le altre virtù, ed ella le anima, le adorna e le avviva con la sua presenza" 319-2. In altri termini, la carità, orientando direttamente l'anima nostra verso Dio, perfezione somma ed ultimo fine, dà pure a tutte le altre virtù che vengono a porsi sotto il suo impero, lo stesso orientamento e quindi lo stesso valore. Così un atto d'obbedienza e di umiltà, oltre al proprio valore, riceve dalla carità un valore assai più grande quando è fatto per piacere a Dio, perchè allora diventa un atto di amore, cioè un atto della più perfetta tra le virtù. Aggiungiamo che quest'atto diventa più facile e più attraente: obbedire e umiliarsi costano molto alla orgogliosa nostra natura, ma il pensiero che, praticando questo atti, si ama Dio e se ne procura la gloria, li rende singolarmente facili.

Così dunque la carità è non solo la sintesi ma l'anima di tutte le virtù, e ci unisce a Dio in modo più perfetto e più diretto delle altre; è quindi lei quella che costituisce l'essenza stessa della perfezione.

CONCLUSIONE.

320.   Poichè l'essenza della perfezione consiste nell'amor di Dio, ne viene che l'accorciatoia per arrivarvi è d'amar molto, d'amare con generosità ed intensità, e principalmente di amare con amor pure e disinteressato. Ora noi amiamo Dio non solo quando recitiamo un atto di carità ma anche quando facciamo la sua volontà o quando compiamo un dovere sia pur minimo per piacergli. Ognuna quindi delle nostre azioni, per quanto volgare ella sia in se stessa, può essere trasformata in un atto di amore e farci avanzare verso la perfezione. Il progresso sarà tanto più reale e più rapido, quanto più intenso e più generoso sarà quest'amore e quindi quanto più il nostro sforzo sarà energica e costante; perchè ciò che conta agli occhi di Dio è la volontà, è lo sforzo, indipendentemente da ogni emozione sensibile.

E poichè l'amore soprannaturale del prossimo è anch'esso un atto d'amor di Dio, tutti i servizi che rendiamo ai nostri fratelli, vedendo in loro un riflesso delle divine perfezioni, o, ciò che torna lo stesso, vedendo in loro Gesù Cristo, diventano tutti atti d'amore che ci fanno avanzare verso la santità. Amare dunque Dio e il prossimo per Dio, ecco il segreto della perfezione, purchè su questa terra vi si aggiunga il sacrificio.

§ II. La carità sulla terra suppone il sacrificio.

321.   In paradiso ameremo senza bisogno di immolarci, ma sulla terra la cosa corre altrimenti. Nello stato attuale di natura decaduta ci è impossibile di amare Dio con amore vero ed effettivo senza sacrificarci per Lui.

È ciò che risulta da quanto abbiamo detto più sopra, ai n. 74-75, sulle tendenze della natura corrotta che restano nell'uomo rigenerato. Noi non possiamo amar Dio senza combattere e mortificare queste tendenze; è lotta che comincia col primo svegliarsi della ragione e termina solo con l'ultimo respiro. Vi sono, è vero, momenti di sosta, in cui la lotta è meno viva; ma anche allora non possiamo disarmare senza esporci ai contrattacchi del nemico. È un fatto provato dalla testimonianza della Sacra Scrittura.

La Sacra Scrittura ci dichiara apertemente la necessità assoluta del sacrificio o dell'abnegazione per amar Dio e il prossimo.

322.   A) A tutti i suoi discepoli rivolge Nostro Signore questo invito: "Chi vuol seguir me, rinneghi sè stesso, prenda la sua croce e mi segua: "Si quis vult post me venire, abnegat semetipsum, tollat crucem suam et sequetur me 322-1". Per seguire Gesù ed amarlo, è condizione essenziale il rinunziare a sè stesso, cioè alle cattive tendenze della natura, all'egoismo, all'orgoglio, all'ambizione, alla sensualità, alla lussuria, all'amore disordinato delle comodità e delle ricchezze; è il portare la propria croce, accettare i patimenti, le privazioni, le umiliazioni, i rovesci di fortuna, le fatiche, le malattie, in una parola tutte quelle croci provvidenziali che Dio ci manda per provarci, per rassodarci nella virtù e facilitarci l'espiazione delle colpe. Allora, e allora soltanto, si può essere suoi discepoli e camminare per le vie dell'amore e della perfezione.

Gesù conferma questa lezione col suo esempio. Egli che era venuto dal cielo espressamente per mostrarci il cammino della perfezione, non tenne altra via che quella della croce: Tota vita Christi crux fuit et martyrium. Dal presepio al Calvario è una lunga serie di privazioni, d'umiliazioni, di pene, di fatiche apostoliche, coronate dalle angoscie e dalle torture della dolorosa sua passione. È il commento più eloquente del "Si quis vult venire post me"; se ci fosse stata altra via più sicura, ei ce l'avrebbe mostrata, ma sapendo che non c'era, tenne quella per trarci a seguirlo: "Quando sarò elevato da terra, attirerò a me tutti gli uomini: "Et ego, si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad me ipsum 322-2". Così l'intesero gli Apostoli che ci ripetono, con S. Pietro, che se Cristo patì per noi, lo fece per trarci alla sua sequela: "Christus passus est pro nobis, vobis relinquens exemplum ut sequamini vestigia ejus 322-3".

323.   B) Tal è pur l'insegnamento di S. Paolo: per lui la perfezione cristiana consiste nello spogliarsi dell'uomo vecchio e rivestirsi del nuovo, "exspoliantes vos veterem hominem cum actibus suis et induentes novum 323-1". Or l'uomo vecchio è il complesso delle cattive tendenze ereditate da Adamo, è la triplice concupiscenza che bisogna combattere e infrenare con la pratica della mortificazione. Dice quindi nettamente che coloro che vogliono essere discepoli di Cristo devono crocifiggere i loro vizi e i loro cattivi desideri: "Qui sunt Christi, carnem suam crucifixerunt cum vitiis et concupiscentiis 323-2". È condizione essenziale, tanto ch'egli stesso si sente obbligato a castigare il suo corpo e a reprimere la concupiscenza per non rischiare di essere riprovato: "Castigo corpus meum et in servitutem redigo, ne forte, cum aliis prædicaverim, ipse reprobus efficiar323-3.

324.   C) S. Giovanni, l'apostolo dell'amore, non è meno chiaro e netto: insegna che, per amar Dio, bisogna osservare i comandamento e combattere la triplice concupiscenza che regna da padrona nel mondo; e aggiunge che se si ama il mondo e ciò che è nel mondo, cioè la triplice concupiscenza, non si può possedere l'amor di Dio: "Si quis diligit mundum, non est caritas Patris in eo324-1. Ora per odiare il mondo e le sue seduzioni, è chiaro che bisogna praticare lo spirito di sacrificio, privandosi dei piaceri cattivi e pericolosi.

325.   2° Ed è del resto necessaria conseguenza dello stato di natura decaduta qual l'abbiamo descritto al n. 74, e della triplice concupiscenza che dobbiamo combattere, n. 193 ss. È impossibile infatti amar Dio e il prossimo senza sacrificar generosamente ciò che si oppone a questo amore. Ora, come abbiamo dimostrato, la triplice concupiscenza s'oppone all'amor di Dio e del prossimo; bisogna quindi combatterla senza tregua e pietà, se vogliamo progredire nella carità.

326.   Rechiamo qualche esempio. I nostri sensi esterni corrono avidamente verso tutto ciò che li solletica e mettono in pericolo la fragile nostra virtù. Che fare per resistervi? Ce lo dice Nostro Signore coll'energico suo linguaggio: "Se il tuo occhio destro è per te occasione di caduta, cavalo e gettalo via da te: è meglio per te che perisca uno dei tuoi membri, anzichè tutto il tuo corpo venga gettato nell'inferno" 326-1. Il che significa che bisogna saper staccare con la mortificazione gli occhi, le orecchie, tutti i sensi da ciò che è occasione di peccato; altrimenti non c'è nè salvezza nè perfezione.

Lo stesso si dica dei nostri sensi interni, specialmente della fantasia e della memoria; chi non sa a quali pericoli ci esponiamo se non ne reprimiamo sul nascere i traviamenti?

Le stesse nostre facoltà superiori, l'intelligenza e la volontà, sono soggette a molte deviazioni, alla curiosità, all'indipendenza, all'orgoglio; quanti sforzi non sono necessari, quante lotte sempre rinascenti per tenerle sotto il giogo della fede e dell'umile sottomissione alla volontà di Dio e dei suoi rappresentanti!

Dobbiamo dunque confessare che, se vogliamo amar Dio ed il prossimo per Dio, bisogna saper mortificare l'egoismo, la sensualità, l'orgoglio, l'amore disordinato delle richezze, onde il sacrifizio diventa necessario come condizione essenziale dell'amor di Dio sulla terra.

È questo in sostanza il pensiero di S. Agostino quando dice: "Due amori hanno fatto due città: l'amor di sè spinto fino al disprezzo di Dio ha fatto la città terrestre; l'amor di Dio spinto fino al disprezzo di sè ha fatto la città celeste" 326-2. Non si può, in altre parole, amar veramente Dio che disprezzando se stesso, cioè disprezzando e combattendo le cattive tendenze. In quanto a ciò che vi è di buono in noi, bisogna esserne grati al primo suo autore e coltivarlo con sforzi incessanti.

327.   La conclusione che logicamente ne viene è che, se per essere perfetti bisogna moltiplicare gli atti d'amore, non è meno necessario moltiplicare gli atti di sacrificio, poichè sulla terra non si può amare che immolandosi. Del resto si può dire che tutte le nostre opere buone sono insieme atti d'amore e atti di sacrificio: atti di sacrificio in quanto ci distaccano dalle creature e da noi stessi, atti di amore in quanto ci uniscono a Dio. Resta quindi da vedere in che modo si possano conciliare insieme questi due elementi.


§ V. Dei diversi gradi di perfezione.

La perfezione ha su questa terra i suoi gradi e i suoi limiti; onde due questioni:

I. Dei diversi gradi di perfezione.

340.   I gradi per cui uno si eleva alla perfezione sono numerosi; e non è qui il caso di enumerarli tutti ma solo di notare le principali tappe. Ora, secondo la dottrina comune, esposta da S. Tommaso, si distinguono tre tappe principali, o, come generalmente si dice, tre vie, quella degli incipienti, quella dei proficienti, quella dei perfetti, secondo lo scopo principale a cui si mira.

341.   a) Nel primo stadio, la principale cura degli incipienti è di non perdere la carità che possiedono: lottano quindi per evitare il peccato, sopratutto il peccato mortale, e per trionfare delle male cupidigie, delle passioni e di tutto ciò che potrebbe far loro perdere l'amor di Dio 341-1. Questa è la via purgativa, il cui scopo è di mondar l'anima dalle sue colpe.

342.   b) Nel secondo stadio si vuol progredire nella pratica positiva delle virtù, e fortificar la carità. Essendo già purificato, il cuore è più aperto alla luce divina e all'amor di Dio: si ama di seguire Gesù e imitarne le virtù, e poichè, seguendolo, si cammina nella luce, questa via si chiama illuminativa 342-1. L'anima si studia di schivare non solo il peccato mortale, ma anche il veniale.

343.   c) Nel terzo stadio, i perfetti non hanno più che un solo pensiero, star uniti a Dio e deliziarsi in Lui. Costantemente studiandosi di unirsi a Dio, sono nella via unitiva. Il peccato fa loro orrore, perchè temono di dispiacere a Dio e di offenderlo; le virtù li attirano, specialmente le virtù teologali, perchè sono mezzi d'unirsi a Dio. La terra quindi sembra loro un esilio, e, come S. Paolo, desiderano di morire per andarsene con Cristo 343-1.

Sono queste brevi indicazioni soltanto che più tardi ripiglieremo e svolgeremo nella seconda parte di questo Compendio, dove seguiremo un'anima dalla prima tappa, la purificazione dell'anima, all'unione trasformante che la prepara alla visione beatifica.


306-1 S. Thom., IIª IIæ, q. 184, a. 1-3; Opuscul. de perfectione vitæ spiritualis; Alvarez de Paz, op. cit., l. III; Le Gaudier, op. cit., P. 1ª; Schram, Instit. mysticæ, § IX-XX; Ribet, L'Ascétique chrétienne, c. IV-VI; Ighina, Istituzioni di Teol. Ascet. e Mistica, Mondovì, 1889; Garrigou-Lagrange, Perfection chrétienne et contemplation, t. I, p. 151-173.

306-2 Sum. theol., IIª IIæ, q. 184, a. 1.

307-1 S. Thom, Iª IIæ, q. 3, a. 1; Cfr. Tanquerey, Syn. Theol. moralis. Tr. de ultimo fine.

308-1 J.-J. Olier, Pietas Seminarii, n. 1.

309-1 Sum. theol., IIª IIæ, q. 184, a. 3; cfr. De perfectione vitæ spiritualis, c. I, V-VI.

312-1 Luc., X, 25-29; cfr. Deut., VI, 5-7.

312-2 Matth., XXII, 39-40.

312-3 Rom., XIII, 10.

314-1 I Joan., III, 16; IV, 10.

314-2 Iª Lettera di S. Giovanni, IV, 7-16. Questa lettera è da leggersi tutta.

317-1 Joan., XIV, 23.

318-1 Trattato dell'amor di Dio, l. XI, c. 8.

318-2 I Cor., XIII, 4.

319-1 Sum. theol., IIª IIæ, q. 23, a. 8.

319-2 S. Fr. di Sales, l. c., c. 9.

322-1 Matth., XVI, 24; cfr. Luc., IX, 23. -- Si veda il commentario del B. Grignion di Montfort, Lettera circolare agli Amici della Croce, Roma, 1909.

322-2 Joan., XII, 32.

322-3 I Petr., II, 21.

323-1 Col., III, 9.

323-2 Galat., V, 24.

323-3 I Cor., IX, 27.

324-1 I Joan., II, 15.

326-1 Matth., V, 29.

326-2 De civitate Dei, XIV, 28: "Fecerunt itaque civitates duas amores duo: terrenam scilicet amor sui usque ad contemptum Dei, cælestem vero amor Dei usque ad contemptum sui".

341-1 "Nam primo quidem incumbit homini studium principale ad recedendum a peccato et resistendum concupiscentiis ejus, quæ in contrarium caritatis movent: et hoc pertinet ad incipientes, in quibus caritas est nutrienda vel fovenda, ne corrumpatur". (Sum. theol., 2ª 2æ, q. 24, a. 9.)

342-1 "Secundum autem studium succedit ut homo principaliter intendat ad hoc quod in bono proficiat; et hoc studium pertinet ad proficientes, qui ad hoc principaliter intendunt ut in eis caritas per augmentum robiretur". (L. cit.)

343-1 "Tertium autem studium est ut homo ad hoc principaliter intendat ut Deo inhæreat, et eo fruatur: et hoc pertinet ad perfectos, qui cupiunt dissolvi et esse cum Christo". (L. cit.)


Quest'edizione digitale preparata da Martin Guy <martinwguy@yahoo.it>.