ADOLFO TANQUEREY
Compendio di Teologia Ascetica e Mistica

PRIMA PARTE
I Principii

CAPITOLO V.
Dei mezzi generali di perfezione.

Capoversi:


CAPITOLO V.
Dei mezzi generali di perfezione.

407.   Acquistata la profonda convinzione che dobbiamo tendere alla perfezione, non ci resta che cercare e mettere in pratica i mezzi capaci di farci conseguire un tale scopo. Si tratta qui dei mezzi generali, comuni a tutte le anime che vogliono progredire, riserbando alla seconda parte l'esposizione dei mezzi speciali che convengono ai vari gradi della vita spirituale.

Questi mezzi sono interni od esterni: i primi sono disposizioni o atti dell'anima stesa che a grado a grado la innalzano a Dio; i secondi, oltre questi atti, abbracciano pure esterni soccorsi che aiutano l'anima in questa ascensione. Sarà bene farne un'esposizione sommaria.

408.   I. Tra i mezzi interni quattro meritano speciale attenzione: 1° il desiderio della perfezione, che è il primo passo in avanti e ci dà lo slancio necessario per trionfar degli ostacoli.

2° La conoscenza di Dio e di sè stesso: trattandosi di unir l'anima a Dio, quanto meglio si conosceranno questi due termini tanto più facile riuscirà l'accostarli insieme: noverim te, Domine, ut amen te, noverim me ut despiciam me!

3° La conformità alla divina volontà, che, assoggettando la nostra volontà a quella di Dio, è il più autentico segno di amore e il mezzo più efficace di unirci alla fonte di ogni perfezione: unum velle, unum nolle.

4° La preghiera, considerata nel suo più largo senso, come adorazione e domanda, mentale o vocale, privata o pubblica, ascensio mentis in Deum: per suo mezzo uniamo a Dio tutte le interne nostre facoltà, memoria, fantasia, intelligenza, volontà, e perfino i nostri atti esterni in quanto sono l'espressione del nostro spirito di preghiera.

II. Anche i mezzi esterni possono ridursi a quattro principali:

La direzione: Dio infatti come istituì un'autorità visibile per governare esternamente la Chiesa, così volle che le anime siano nel foro [sic] interno dirette da una guida spirituale, sperimentata, che possa far loro evitare gli scogli, stimolarne e dirigerne gli sforzi.

Un regolamento di vita, che, approvato dal direttore, ne continua l'azione nelle anime.

Le conferenze, esortazioni o letture spirituali, che, bene scelte, ci fanno conoscere la dottrina e gli esempi dei santi e ci traggono ad imitarli.

La santificazione delle relazioni sociali di parentela, di amicizia, o di affari, che ci da modo di dirigere a Dio non solo i nostri esercizi di pietà, ma anche tutte le nostre azioni e principalmente i doveri del nostro stato.

ART. I. DEI MEZZI INTERNI DI PERFEZIONE.

§ I. Il desiderio della perfezione 409-1.

409.   Il primo passo verso la perfezione è quello di sinceramente, ardentemente e costantemente desiderarla. A ben persuadercene, studiamone:

I. Natura di questo desiderio.

410.   1° Il desiderio in generale è un movimento dell'anima verso un bene assente; differisce quindi dalla gioia, che è la soddisfazione di possedere un bene presente. Ve n'è di due specie: il desiderio sensibile, che è uno slancio appassionato verso un bene sensibile assente: il desiderio razionale, che è un atto della volontà che si volge con ardore verso un bene spirituale. -- Questo desiderio reagisce talora sulla sensibilità e s'informa quindi di sentimento. Nell'ordine soprannaturale i nostri buoni desideri subiscono l'influsso della divina grazia, come più sopra abbiamo detto.

411.   2° Il desiderio della perfezione si può quindi definire: un atto della volontà che, sotto l'influsso della grazia, aspira continuamente al progresso spirituale. Quest'atto è talora accompagnato da emozioni, da pii sentimenti che intensificano il desiderio 411-1; ma tale elemento non è necessario.

412.   3° Questo desiderio nasce dalla concorde azione della grazia e della volontà. Dio ci ama da tutta l'eternità e brama quindi di unirsi a noi: "Et in caritate perpetua dilexi te; ideo attraxi te, miserans 412-1." Con instancabile amore ci cerca, ci insegue, come se non potesse essere felice senza di noi. D'altra parte, quando l'anima nostra, illuminata dalla fede, si ripiega su sè stessa, sente un vuoto immenso che nulla può colmare: nulla tranne l'infinito, tranne Dio: "Fecisti nos ad te, Deus, et inquietum est cor nostrum donec requiescat in te412-2. Sospira quindi a Dio, all'amor divino, alla perfezione, come il cervo sitibondo sospira la fonte d'acqua viva: "Quemadmodum desiderat cervus ad fontes aquarum, ita desiderat anima mea post te... Sitivit in te anima mea412-3... E poichè sulla terra questo desiderio non è mai intieramente appagato, restandoci sempre da progredire verso l'unione divina, ne segue che, se non vi mettiamo ostacoli, andrà continuamente crescendo.

413.   4° Sventuratamente molti ostacoli tendono a soffocarlo o almeno a diminuirlo: è la triplice concupiscenza, già da noi descritta (al n. 193), è l'orrore delle difficoltà da vincere e degli sforzi da rinnovare per corrispondere alla grazia e progredire. È quindi necessario convincersi bene della sua necessità e prendere i mezzi per ravvivarlo.

II. Sua necessità ed efficacia.

414.   1° Necessità. Il desiderio è il primo passo verso la perfezione, la condizione sine qua non per arrivarci. Arduo è il cammino della perfezione, e suppone sforzi energici e costanti poichè, come dicemmo, non si può progredire nell'amor di Dio senza sacrifici, senza lottare contro la triplice concupiscenza e contro la legge del minimo sforzo. Ora uno non si avvia per cammino difficile e ripido se non ha ardente desiderio di giungere alla meta; e, avviatosi, presto l'abbandonerebbe se non fosse sorretto nello sforzo dallo slancio dell'anima verso la perfezione.

A) Tutto quindi nella Sacra Scrittura tende a eccitare in noi questo desiderio. Nel Vangelo come nelle Epistole è una continua esortazione alla perfezione. Come già dimostrammo parlando dell'obbligo di tendere alla perfezione, i testi che provano questa necessità hanno per iscopo di stimolare in noi il desiderio del progresso. Se ci si dà come ideale l'imitazione delle divine perfezioni e come modello lo stesso Gesù, se ce se ne narrano le virtù e siamo sollecitati ad imitarlo, non è forse per eccitare in noi il desiderio della perfezione?

415.   B) La Sacra Liturgia non procede altrimenti. Richiamando nel corso dell'anno le varie fasi della vita di Nostro Signore, ci fa esprimere i più ardenti desiderii: per la venuta del regno di Gesù nelle anime nel tempo d'Avvento; pel suo accrescimenti nei nostri cuori da Natale all'Epifania; per gli esercizi di penitenza, come preparazione alle grazie della Risurrezione, dalla Settuagesima a Pasqua; per l'intima unione con Dio nel tempo pasquale; per i doni dello Spirito Santo a partire dalla Pentecoste. Cosicchè, durante tutto l'anno liturgico, non fa che stimolare in noi il desiderio di progresso spirituale ora sotto una forma ora sotto un'altra.

416.   C) L'esperienza che si acquista leggendo le vite dei Santi o dirigendo le anime, ci mostra che, senza il desiderio della perfezione frequentemente rinnovato, le anime non progrediscono nelle vie spirituali. È ciò che dice S. Teresa: 416-1 "È cosa di grande importanza che non rimpicciniamo i nostri desideri. Crediamo fermamente che, con l'aiuto divino e per via di sforzi, potremo col tempo acquistare anche noi ciò che tanti santi, aiutati da Dio, riuscirono ad ottenere. Se non avessero messi adagio adagio in pratica, non sarebbero mai saliti così in alto... Oh! quanto importa nella vita spirituale di animarsi a grandi cose!" La Santa stessa ne è notevole esempio: finchè non si risolvette a spezzare tutti i legami che ne ritardavano lo slancio verso la vetta della perfezione, si trascinò penosamente nelle mediocrità; ma dal dì che risolvette di darsi intieramente a Dio, fece mirabili progressi.

417.   La pratica della direzione conferma l'insegnamento dei santi. Quando si incontrano anime generose che hanno umile e perseverante desiderio di progredire nelle vie spirituali, gustano e praticano i mezzi di perfezione che loro si suggeriscono. Se invece nullo o debole è questo desiderio, presto si vede che anche le più premurose esortazioni fanno poco effetto; l'alimento dell'anima, come quello del corpo, non reca profitto se non a coloro che ne hanno fame e sete: Dio ricolma dei suoi beni quelli che se ne mostrano affamati, ma non li distribuisce che parcamente a coloro che non se ne curano: "Esurientes implevit bonis et divites dimisit inanes417-1.

Il che risulta pure dall'efficacia di questo desiderio.

418.   2° Efficacia del desiderio della perfezione. Questo desiderio è una vera forza ce ci fa avanzare verso una vita migliore.

a) La psicologia infatti dimostra che l'idea, quando è profonda, tende a provocar l'atto che le corrisponde. Ciò che è anche più vero quando il pensiero è accompagnato dal desiderio: perchè il desiderio è già un atto della volontà che mette in moto le nostre facoltà esecutive. Desiderare quindi la perfezione è già un tendervi; e il tendervi è un principio di attuazione. I ldesiderare d'amar Dio è già un amarlo, perchè Dio vede il fondo del cuore e ci tien conto di tutte le buone intenzioni. Di quì quel profondo detto di Pascal: "Tu non mi cercheresti, se non m'avessi già trovato". Ora il desiderare è un cercare e chi cerca trova: "Omnis enim qui quærit, invenit418-1.

419.   b) Inoltre, nell'ordine soprannaturale il desiderio è una preghiera, un'ascensione dell'anima verso Dio, una specie di comunione spirituale con Lui, che inalza l'anima a Dio e l'attira a noi. Ora Dio si compiace d'esaudire le nostre preghiere, massimamente quando hanno per fine la nostra santificazione che è il desiderio più ardente del suo cuore: "hæc est enim voluntas Dei, sanctificatio vestra419-1. È questa la ragione per cui Dio nel Vecchio Testamento ci sollecita a cercare, a inseguire la sapienza, cioè la virtù, fa le più belle promesse a quelli che ne ascoltano la voce e generosamente la concede a quelli che la desiderano: "propter hoc optavi, et datus est mihi sensus; et invocavi, et venit in me spiritus sapientiæ419-2. E nel Vangelo, Nostro Signore c'invita a saziare in Lui la nostra sete spirituale: "Si quis sitit, veniat ad me et bibat419-3. Quanto dunque sono più ardenti i nostri desideri tanto maggiori grazie riceviamo, perchè inesauribile è la sorgente dell'acqua viva.

420.   c) Finalmente il desiderio, dilatando l'anima, la rende più atta alle divine comunicazioni. Da parte di Dio c'è tale pienezza di bontà e di grazie, che la misura che ci viene concessa è largamente proporzionata alla nostra capacità a ricevere. Quanto più dunque con sinceri e ardenti desideri dilatiamo l'anima, tanto più ella è atta a ricevere della divina pienezza: "Os meum aperui et attraxi spiritum... Dilata os tuum et implebo illud...420-1.

III. Qualità che deve avere il desiderio della perfezione.

Per produrre questi lieti effetti, il desiderio della perfezione dev'essere soprannaturale, predominante, progressivo e pratico.

421.   1° Dev'essere soprannaturale tanto nel suo motivo quanto nel suo principio:

a) Nel suo motivo, vale a dire che deve fondarsi sulle ragioni forniteci dalla fede da noi già sopra esposte: la natura e l'eccellenza della vita cristiana e della perfezione, la gloria di Dio, l'edificazione del prossimo, il bene dell'anima ecc.

b) Nel suo principio, nel senso che deve compirsi sotto l'azione della grazia, la quale sola può darci la luce a intendere e gustare questi motivi, e la forza necessaria per operare secondo le nostre convinzioni. E poichè la grazia s'ottiene con la preghiera, è necessario chiedere con insistenza a Dio che accresca in noi questo desiderio di perfezione.

422.   2° Dev'essere predominante, o, in altri termini, più intenso di ogni altro desiderio. Essendo infatti la perfezione cristiana il tesoro nascosto e la perla preziosa che bisogna comperare ad ogni costo, e a ogni grado di perfezione cristiana corrispondendo un grado di gloria, di visione beatifica e d'amore, bisogna desiderarla e ricercarla più d'ogni altra cosa: "Quærite ergo primum regnum Dei et justitiam ejus422-1.

423.   3° Costante e progressivo: essendo la perfesione lavoro di lunga lena che richiede perseveranza e progresso, bisogna costantemente rinnovare il desiderio di far meglio. È questa la ragione per cui Nostro Signore ci dice di non guardare indietro a vedere il cammino già fatto e fermarci con compiacenza sugli sforzi già compiuti: "Nemo mittens manum suam ad aratrum et respiciens retro, aptus est regno Dei423-1. Bisogna invece, come dise S. Paolo, guardare innanzi per vedere il cammino che ci resta da percorrere e tendere le forze come il corridore che tende le braccia in avanti per meglio toccar le meta: "quæ quidem retro sunt obliviscens, ad ea quæ sunt priora extendens meipsum, ad destinatum prosequor bravium supernæ vocationis423-2. Più tardi S. Agostino insisterà molto su questa stessa verità: perchè, dice, l'arrestarsi è un indietreggiare; l'indugiarsi a contemplare il cammino persorso è un perdere l'ardore. Morar sempre a far meglio, andar sempre avanti, tal è il motto della perfezione: "Noli in via remanere, noli deviare... Semper adde, semper ambula, semper profice423-3.

È dunque necessario contemplare non il bene che si è fatto ma quello che resta da fare; considerare non quelli che fanno meno bene di noi ma quelli che fanno meglio, i fervorosi, i santi, e sopratutto il Santo per eccellenza, Gesù stesso, che è il vero nostro modello. Allora quanto più uno va innanzi, tanto più si sente lontano dalla meta, appunto perchè vede meglio quanto alta sia cotesta meta 423-4.

Non ci dev'essere però nulla nei nostri desideri di troppo affacendato e di febbrile e sopratutto nulla di presuntuoso; gli sforzi violenti non durano, e i presuntuosi presto s'avviliscono alle rime disfatte. Ciò che ci fa progredire è un desiderio calmo, riflessivo, fondato su forti convinzioni, appoggiato sull'onnipotenza della grazia e rinnovato di frequente.

424.   4° Allora riesce pratico ed efficace, perchè non prende di mira un ideale imposibile ad attuarsi ma i mezzi che sono a nostra portata. Vi sono anime che hanno un ideale magnifico ma puramente speculativo, che aspirano ad alta santità ma che trascurano i mezzi per arrivarvi. Vi è in ciò un doppio pericolo: uno si può credere già perfetto perchè va sognando di perfezione e così inorgoglire; oppure può arrestarsi e cedere. Bisogna invece ricordare l'adago: "chi vuole il fine vuole anche i mezzi" e pensare che la fedeltà nelle piccole cose assicura la fedeltà nelle grandi; onde si deve immediatamente applicare il desiderio della perfezione all'azione presente per minima che sia, perchè "Qui fidelis est in minimo et in majori fidelis est424-1. Desiderare la perfezione e rimetterne lo sforzo al domani, volersi santificare nelle grandi occasioni e trascurare le piccole, è una doppia illusione che indica mancanza di sincerità o almeno ignoranza della psicologia. L'alto ideale è certamente necessario ma è pur necessaria l'attuazione immediata e progressiva.

IV. Mezzi per eccitare questo desiderio della perfezione.

425.   1° Essendo il desiderio della perfezione fondato sopra convinzioni soprannaturali, si può ascquistare ed accrescere specialmente con la meditazione e la preghiera. Bisogna quindi innanzi tutto riflettere sulle grandi verità che abbiamo esposto nei capitoli precedenti, sulla natura e sull'eccellenza di questa vita comunicataci da Dio stesso, sulla bellezza e sule ricchezze di un'anima che coltiva questa vita, sulle delizie che Dio le riserva in cielo; meditare le vite dei santi che tanto più progredirono quanto più ardente e costante ebbero il desiderio d'avvicinarsi ogni giorno alla perfezione. E per rendere più proficua questa meditazione, bisogna aggiungervi la preghiera, che, attirando la grazia, fa penetrare queste convinzioni nel più intimo dell'anima.

426.   2° Vi sono però circostanze più favorevoli, in cui l'azione della grazia si fa più vivamente sentire. Un accorto diretore spirituale saprà approfittarne per eccitare nei penitenti desideri di perfezione..

a) Così fin dal primo destarsi della ragione, Dio sollecita il fanciullo a darsi a lui; quanto è importante che genitori e confessori se ne giovino per stimolare e dirigere lo slancio di questi giovani cuori! Lo stesso è a dirsi del momento della prima comunione privata o solenne; del momento in cui si inizia la vocazione o si fa la scelta dello stato di vita; quando si entra in collegio o in Seminario o nel noviziati; oppure quando si riceve il sacramento del matrimonio. In tutte queste circostanze Dio concede grazie speciali e molto importa il corrispondervi generosamente.

427.   b) Vi è pure il tempo degli Esercizi spirituali. Il raccoglimento prolungato che li accompagna, le istruzioni che vi si ascoltano, le letture che vi si fanno accompagnate da esami di coscienza e da preghiere, e principalmente le grazie più abbondanti che vi si ricevono, contribuiscono a rinsaldare le nostre convinzioni, ci fanno conoscere meglio lo stato della nostra coscienza e più cordialmente detestare i nostri peccati e le loro cause, suggeriscono più pratiche e più generose risoluzioni, e ci danno nuovo slancio verso la perfezione. A questo modo, l'uso, da alcuni anni, degli esercizi spirituali chiuse 427-1 è riuscito a formare, così nel clero come fra i secolari, una schiera di uomini scelti, che altra ambizione non hanno se non quella di progredire nella vita spirituale. Anche i direttori dei Seminarii sanno quali mirabili effetti producono nei giovani chierici i ritiri spirituali che si fanno al principio di ogni anno e al tempo delle sacre ordinazioni; è quello il momento in cui si formano o si rinnovano o s'intensificano i generosi desideri di vita migliore. È quindi cosa importante l'approfittare di queste occasioni per rispondere alla chiamata di Dio e cominciare o perfezionare la riforma di se stesso.

428.   c) Le prove provvidenziali, fisiche o morali, come le malattie, i lutti di famiglia, le angustie dell'animo, i rovesci di fortuna, sono spesso accompagnate da grazie interne che ci stimolano a vita più perfetta. Ci distaccano da tutto ciò che non è Dio, purificano l'anima col dolore, ci fanno desiderare il cielo e la perfezione che ne è la via, a patto però che l'anima si giovi di queste prove per volgersi a Dio.

429.   d) Vi sono poi dei momenti in cui lo Spirito Santo produce nelle anime movimenti interiori che le inclinano verso una vita più perfetta: le illumina sulla vanità delle cose umane, sulla felicità di darsi più intieramente a Dio e le stimola a fare sforzi più energici. È chiaro che si deve approfittare di queste grazie interiori per accelerare il passo nella via della perfezione.

430.   3° Vi sono finalmente delle Pratiche di pietà che tendono di lor natura a stimolare il nostro desiderio di erfezione; e sono:

a) L'esame particolare, che ci obbliga ogni giorno a interiormente concentrarci su un punto speciale, non solo per rilevare le nostre mancanze o i nostri progressi ma anche e principalmente per rinnovare la voontà di progredire nella pratica di questa o di quella virtù (n. 468).

b) La confessione ben fatta, con lo scopo di corregerci di questo o quel difetto (n. 262).

c) Il ritiro mensile o i ritiri annuali, che vangono periodicamente a ritemprarci nel desiderio di far meglio.

CONCLUSIONE.

431.   Coll'uso di questi vari mezzi, serbiamo la volontà costantemente o almeno abitualmente rivolta al progresso spirituale, Così, sorretti dalla grazia di Dio, trionfiamo più facilmente degli ostacoli; avremo certamente talora qualche debolezza, ma, stimolati dal desiderio di progredire, riprenderemo animosamente la marcia in avanti, e le parciali sconfitte, esercitandoci nell'umiltà, non serviranno che a meglio avvicinarci a Dio.


468.   b) L'esame particolare, a giudizio di S. Ignazio, è ancora più importante dell'esame generale e persino della meditazione, perchè ci dà modo di affrontare corpo a corpo i nostri difetti, gli uni dopo gli altri, facendoceli così vincere più facilmente. D'altra parte, esaminandoci a fondo sopra una virtù importante, non acquistiamo questa soltanto ma anche tutte le altre che le si connettono: così chi progredisce nell'ubbidienza fa nello stesso tempo atto d'umiltà, di mortificazione e di spirito di fede; parimenti, acquistando l'umiltà, uno si perfeziona nello stesso tempo nell'ubbidienza, nell'amor di Dio e nella carità, essendo la superbia l'ostacolo principale alla pratica di queste virtù. Bisogna però seguire certe regole così per la scelta del soggetto come pel modo di farlo.

469.   Scelta del soggetto. 1) Conviene d'ordinario mirare al difetto dominante sforzandosi di praticare la virtù contraria; perchè questo difetto è il grande ostacolo, il generale in capo dell'esercito nemico: vinto lui, tutto l'esercito è sbaragliato.

2) Scelto il soggetto, si mira dapprima alle manifestazioni esterne di questo difetto, a fine di sopprimere ciò che dà ombra o scandalo al prossimo; così, per la carità, si comincerà a diminuire e a sopprimere le parole o gli atti contrarii a questa virtù.

3) Ma di qui bisogna risalire, senza tardare troppo, alla interna causa delle colpe, per esempio, ai sentimenti d'invidia, al desiderio di far bella figura nelle conversazioni, ecc., che ne possono essere la sorgente.

4) Nè convien fermarsi solo alla parte negativa delle virtù, ossia alla lotta contro i difetti, ma coltivar pure diligentemente la opposta virtù; perchè non si riesce a sopprimere bene se non ciò che viene sostituito.

5) Finalmente, per far più sicuro progresso, si divida attentamente la materia dell'esame secondo i gradi delle virtù, per modo che non si abbracci subito tutta l'ampiezza d'una virtù ma solo alcuni atti che meglio corrispondono ai bisogni particolari. Così, per l'umiltà, si praticherà prima quello che si potrebbe chiamare il nascondimento o l'oblio di sè, parlando poco, dando agli altri, con prudenti interrogazioni, occasione di parlare, amando l'oscurità, la vita nascosta, ecc. 469-1

470.   Modo di farlo. Abbraccia, secondo S. Ignazio, tre tempi e due esami di coscienza ogni giorno.

1) "Il primo tempo è il mattino. Appena uno si alza, deve proporre di attentamente guardarsi dal peccato o difetto particolare di cui si vuol correggere". È cosa breve: bastano due o tre minuti nel vestirsi.

2) "Il secondo tempo è il dopo pranzo; il terzo dopo la cena. S cuorei comincerà col domandare a Dio ciò che si desidera, cioè la grazia di ricordarsi quante volte si è caduti in quel peccato o difetto particolare, e quella di correggersene per l'avvenire; poi si farà il primo esame, chiedendo a sè stesso conto esatto di quel punto speciale su cui si era presa la risoluzione di correggersi e di migliorarsi. Si farà quindi passare ogni ora della mattinata che si potrà pure dividere in certi spazii di tempo secondo l'ordine delle azioni, cominciando dal momento della levata fino a quello dell'esame presente; poi si segneranno sulla prima linea della lettera J (dello specchietto dove si notano le colpe) tanti punti quante furono le cadute in quel peccato o difetto particolare. Infine si prenderà di nuovo la risoluzione di emendarsi dal primo al secondo esame". Il tempo ordinariamente dedicato dalle anime fervorose a questo esame è d'un quarto d'ora.

471.   L'esame si fa nel modo già spiegato per l'esame generale, con questo di più che si scrivono le mancanze per ricordarsene più facilmente e fare poi i confronti di cui parla S. Ignazio nelle note seguenti: "Indicando la prima linea della lettera J il primo esame e la seconda il secondo, si osserverà alla sera, confrontando la prima con la seconda linea, se vi è stata emenda dal primo al secondo esame. -- Confrontare poi il secondo giorno col primo, cioè i due esami del giorno presente coi due esami del giorno precedente, e vedere se da un giorno all'altro vi è stato miglioramento. Confrontare pure una settimana con l'altra e vedere se, nella settimana testè trascorsa, il progresso fu più notevole che nella settimana precedente". Il vantaggio di questi confronti sta nello stimolare il nostro ardore: confrontando le perdite e i guadagni, si è eccitati a raddoppiare gli sforzi per aumentar questi e diminuir quelle.

A conseguire il medesimo effetto, S. Ignazio consiglia, ogni volta che si cade in colpa che riguarda l'esame particolare, di portar la mano al petto eccitandosi internamente a contrizione. È chiaro infatti che questa vigilanza in riparare immediatamente le minime colpe non può che accelerare la riforma della vita.

472.   Se questo metodo pare a prima vista alquanto complesso, in pratica lo è poi meno; e chi non vi potesse dedicare tempo così notevole, può condensare l'essenziale di questi atti in minor tempo, per esempio in dieci minuti la sera. Se poi si prevedesse che la sera non si potrà fare, vi si impieghi una parte della visita al SS. Sacramento.

473.   C) Disposizioni che devono accompagnare quest'esame. Perchè l'esame di coscienza, generale o particolare, possa unirci più strettamente a Dio, dev'essere accompagnato da sentimenti o disposizioni che ne sono, a così dire, l'anima. Eccone le principali: riconoscenza, contrizione, proponimento, preghiera.

a) Prima di tutto un sentimento di viva riconoscenza verso Dio, che nel corso dell'intiera giornata ci avvolse nella paterna sua provvidenza, ci protesse contro le tentazioni e preservò da molti peccati; perchè, senza l'aiuto della sua grazia, saremmo caduti in numerose colpe. Non potremmo quindi ringraziarlo mai troppo; ma lo faremo in modo pratico usando meglio dei divini suoi doni.

474.   b) Questo sentimento produrrà in noi una sincera contrizione, tanto più profonda in quanto che, avendo ricevuto tanti benefici, ne abbiamo abusato per offendere Padre così buono e così misericordioso. Ne nascerà una schietta umiltà, che ci persuaderà, per propria esperienza, della nostra indegnità; onde accetteremo volentieri la confusione che proviamo alla vista delle nostre mancanze ripetute continuamente, lieti di potere con ciò proclamare l'infinità misericordiosa d'un Padre sempre inchinevole al perdono, e godendo che la nostra miseria faccia risaltare l'infinita perfezione di Dio. Queste disposizioni non saranno passeggiere ma durevoli, alimentate dallo spirito di penitenza che spesso ci metterà le nostre colpe dinanzi agli occhi: "Peccatum meum contra me est semper!"

475.   c) Di quì sorgerà la ferma volontà d'espiare e di emendarci: di espiare con opere di penitenza, badando ad imporcene qualcuna per le nostre mancanze, a fine di attutire l'amore al piacere, fonte dei nostri peccati; di emendarci, specificando i mezzi da usare per diminuire il numero delle colpe. Questa volontà rimuoverà sollecitamente la presunzione, che, inducendoci a far troppo assegnamento sulla nostra buona volontà e sulla nostra energia, ci priverebbe di molte grazie e ci esporrebbe a nuove imprudenze e a nuove cadute. Ma si appoggerà invece fiduciosamente sull'onnipotente e infinita bontà di Dio, sempre pronto a venirci in aiuto, quando abbiamo coscienza della nostra incapacità.

476.   d) Ad implorare questo divino aiuto, termineremo con una preghiera tanto più umile e premurosa quanto più diffidenti di noi ci rese la vista dei nostri peccati. Persuasi di essere incapaci di schivare il peccato e tanto più di inalzarci a Dio con la pratica delle virtù, supplicheremo Dio dal fondo della nostra miseria, appoggiandoci sui meriti infiniti di Gesù, di venire a noi, di trarci dal pantano in cui affondiamo, di staccarci dal peccato e dalle sue cause, e di inalzarci a lui.

Per queste disposizioni, meglio ancora che per la minuziosa ricerca delle colpe, si viene l'anima, sotto l'azione della grazia, a poco a poco trasformando.


487.   b) È dunque un dovere per noi di sottometterci a Dio in tutti gli avvenimenti lieti o tristi che siano, nelle pubbliche calamità o nelle private sventure, nelle intemperie delle stagioni, nella povertà e nei patimenti, nel lutto che ci colpisce come nel gaudio, nell'ineguale ripartizione dei doni naturali o soprannaturali, nella povertà come nella ricchezza, nei rovesci come nei buoni successi, nelle aridità come nelle consolazioni, nella malattia come nella sanità, nella morte e nei dolori ed incertezze che l'accompagnano. Come diceva il Santo Giobbe: 487-1 "Se riceviamo il bene dalla mano di Dio, perchè non dovremo riceverne anche il male? Si bona suscepimus de manu Dei, mala quare non suscipiamus?" S. Francesco di Sales, commentando queste parole, ne ammira la bellezza: 487-2 "O Dio, quale parole di grandissimo amore! Pensa, Teotimo, che dalla mano di Dio Giobbe ricevette i beni, dichiarando con ciò che non aveva tanto stimato i beni perchè beni quanto perchè provenivano dalla mano del Signore. Stando così le cose, ne conchiude che bisogna amorosamente sopportare le avversità perchè procedono dalla stessa mano del Signore, che è egualmente amabile quando distribuisce afflizioni come quando largisce consolazioni". Le afflizioni infatti ci porgono occasione di meglio attestare il nostro amore a Dio; l'amarlo quando ci ricolma di beni è cosa facile, ma spetta solo all'amore perfetto il ricevere i mali dalla sua mano, non essendo essi amabili se non per riguardo di chi li dà.


491.   B) È pure una fonte di meriti per sè e per gli altri. I patimenti, pazientemente sopportati per Dio e in unione con Gesù Cristo, meritano un peso eterno di gloria, come S. Paolo continuamente ripeteva ai primi cristiani: "Stimo non adeguati i patimenti del momento presente rispetto alla ventura gloria da rivelarsi in noi. Perchè il momentaneo, leggiero fardello della tribolazione nostra, oltre ogni misura sublimissimo eterno peso, di gloria prepara a noi: Existimo enim quod non sunt condignæ passiones hujus temporis ad futuram gloriam quæ revelabitur in nobis... 491-1 Momentaneum et leve tribulationis nostræ... æternum gloriæ pondus operatur in nobis491-2. E per le anime generose aggiunge che, soffrendo con Gesù, ne compiono la passione e contribuiscono con lui al bene della Chiesa: "Adimpleo ea quæ desunt passionum Christi in carne mea pro corpore ejus quod est Ecclesia491-3. Il che infatti risulta dalla dottrina della nostra incorporazione a Cristo, n. 142 e ss. Questi pensieri non tolgono certamente il dolore ma ne attenuano in modo singolare l'asprezza, facendocene toccar con mano la fecondità.

Tutto dunque c'invita a conformare la nostra volontà a quella di Dio, anche in mezzo alle tribolazioni; vediamone ora i gradi.


510.   B) Se poi ci facciamo a considerare le forme o le varietà della preghiera, possiamo distinguere la preghiera mentale e la preghiera vocale, la preghiera privata e la preghiera pubblica.

a) Quanto al modo di espressione, la preghiera è mentale o vocale, secondo che si compie nell'interno dell'anima oppure s'esprime al di fuori.

1) La preghiera mentale è quindi una specie di interna conversazione con Dio che non si manifesta al di fuori: "Orabo spiritu, orabo et mente" 510-1. Ogni atto interno che abbia per fine di unirci a Dio colla conoscenza e coll'amore, come sarebbe il raccoglimento, la considerazione, il ragionamento, l'esame, lo sguardo affettuoso, la contemplazione, lo slancio del cuore verso Dio, può dirsi preghiera mentale. Tutti questi atti infatti ci inalzano a Dio, compresevi quelle riflessioni sopra noi stessi che mirano a rendere l'anima nostra meno indegna di Colui che l'abita. Servono tutti ad accrescere le nostre convinzioni e a farci praticar le virtù; sono come un tirocinio di quella vita celeste che altro non è se non affettuosa ed eterna visione di Dio. Cotesta preghiera è pure alimento e anima della preghiera vocale 510-2.

511.   2) Questa si esprime con parole e con gesti. Se ne fa spesso menzione nella Sacra Scrittura che c'invita a usare la voce, la bocca, le labbra per proclamare le lodi di Dio: "Voce meâ ad Dominum clamavi... Domine, labia mea aperies et os meus annuntiabit laudem tuam511-1. Ma perchè esprimere a questo modo i nostri sentimenti dacchè Dio ce li legge nel più profondo del cuore? Per offrire a Dio non solo l'ossequio dell'anima ma anche quello del corpo, e specialmente di quel verbo da lui largitoci per esprimere il nostro pensiero. Tal è in sostanza l'insegnamento di S. Paolo, quando, dopo aver detto che Gesù morì per noi fuori di Gerusalemme, c'invita ad uscire da noi stessi e ad unirci al nostro Mediatore di religione per offrire a Dio un'ostia di lode, l'ossequio delle nostre labbra: "Per mezzo di lui offriamo dunque a Dio un sacrifizio di lode, vale a dire il frutto di labbra che ne celebrino il nome: Per ipsum ergo offeramus hostiam laudis semper Deo, idest fructum labiorum confitentium nomini ejus511-2. Ed è pure per stimolar la devozione col suono stesso della voce: "Ut homo seipsum excitet verbis ad devote orandum511-3; la psicologia infatti dimostra che il gesto intensifica l'interno sentimento. È finalmente per l'edificazione del prossimo, perchè il vedere o l'udire altri pregar con fervore accresce la devozione.

512.   b) La preghiera vocale poi è privata o pubblica secondo che si fa in nome d'un individuo o d'una società. Abbiamo provato altrove che la società, come tale, deve a Dio sociali ossequi, perchè è anch'essa obbligata a riconoscerlo come Sovrano Padrone e benefattore. Ecco perchè S. Paolo esortava i primi cristiani a unirsi insieme per glorificar Dio con Gesù Cristo non solo con un sol cuore, ma anche con una voce sola: "Ut unanimes uno ore honorificetis Deum et patrem Domini nostri Jesu Christi512-1. Già Nostro Signore aveva invitato i discepoli a unirsi insieme per pregare, promettendo di venire in mezzo a loro per appoggiarne le suppliche: "Ubi enim sunt duo vel tres congregati in nomine meo, ibi sum in medio eorum512-2. Se ciò è vero d'una riunione di due o tre persone, quanto più quando molti si radunano insieme per rendere ufficialmente gloria a Dio? Dice S. Tommaso che l'efficacia della preghiera è allora irresistibile: "Impossibile est preces multorum non exaudiri, si ex multis orationibus fiat quasi una512-3. Come infatti un padre, che pur resisterebbe alle preghiere d'uno dei figli, s'intenerisce quando li vede tutti uniti nella stessa domanda, così il Padre Celeste non sa resistere alla dolce violenza che gli vien fatta dalla preghiera d'un gran numero dei suoi figli.

513.   Preme dunque assai che i cristiani si radunino spesso per adorare e pregare in comune; per questo la Chiesa li convoca, nei giorni di domenica e di festa, al santo sacrifizio della messa che è la preghiera pubblica per eccellenza, e agli uffici religiosi.

514.   Ma non potendoli convocare tutti i giorni e pur meritando Dio di essere quotidianamente glorificato, ella incarica i sacerdoti e i religiosi di soddisfare più volte al giorno questo dovere della pubblica preghiera. Ed essi lo fanno con l'ufficio divino, che recitano non in nome proprio ma a nome di tutta la Chiesa e per tutti gli uomini. Conviene quindi assai che si uniscano allora in modo più particolare al Gran Religioso di Dio, al Verbo Incarnato, per glorificar Dio con lui e per lui, per ipsum et cum ipso et in ipso, e per chiedere nello stesso tempo tutte le grazie che abbisognano al popolo cristiano.

IL PATER NOSTER.

515.   Fra le preghiere che recitiamo in pubblico o in privato non ve n'è alcuna più bella di quella insegnataci da Nostro Signore medesimo, il Pater. A) Vi troviamo prima di tutto in insinuante esordio, che ci mette alla presenza di Dio e stimola la nostra confidenza: Pater noster, qui es in cælis. Il primo passo da fare quando si prega è d'accostarsi a Dio; ora la parola Pater ci mette subito alla presenza di Colui che è Padre per eccellenza, Padre del Verbo per generazione e Padre nostro per adozione; è dunque il Dio della Trinità che ci si mostra, circondandoci di quel medesimo amore di cui circonda suo Figlio; e poichè questo Padre è nei cieli, vale a dire è onnipotente e fonte di tutte le grazie, ci sentiamo tratti ad invocarlo con intiera filiale confidenza, essendo della famiglia di Dio e tutti fratelli, perchè tutti figli di Dio: Pater noster.

516.   B) Viene poi l'oggetto della preghiera; chiediamo tutto ciò che possiamo desiderare: a) prima di tutto il fine principale, la gloria di Dio: "Sia santificato il tuo nome", cioè sia riconosciuto e proclamato santo; b) poi il fine secondario, l'aumento del regno di Dio in noi che prepara il nostro ingresso nel regno dei cieli, "venga il tuo regno"; c) il mezzo essenziale per ottenere questo doppio fine, che è la conformità alla divina volontà: "sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra". Vengono appresso i mezzi secondari, che formano la seconda parte del Pater: d) il mezzo positivo, il pane quotidiano, pane del corpo e pane dell'anima, perchè l'uno e l'altro ci sono necessarii per sussistere e progredire, "dacci oggi il nostro pane quotidiano"; e) infine i mezzi negativi, che abbracciano: 1) la remissione del peccato, il solo vero male, peccato che vien perdonato a noi in quella misura con cui noi perdoniamo altrui: "rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori"; 2) l'allontanamento delle prove e delle tentazioni che potrebbero farci soccombere: "non c'indurre in tentazione"; 3) e da ultimo l'allontanamento dei mali fisici, delle miserie della vita, in quanto sono ostacolo alla nostra santificazione: "ma liberaci dal male. Così sia".

Preghiera sublime, perchè tutto vi si riferisce alla gloria di Dio; e nello stesso tempo semplice e alla portata di tutti, perchè, pur glorificando Dio, chiediamo tutto ciò che vi è di più utile per noi. Ecco perchè i Padri e i Santi presero diletto a commentarla 516-1, e il Catechismo del Concilio di Trento ne dà lunga e molto soda spiegazione.


III. Come trasformare le nostre azioni in preghiera.

522.   Essendo la preghiera così efficace mezzo di perfezione, dobbiamo pregare spesso e con insistenza, come dice Nostro Signore: "Oportet semper orare et non deficere522-1; la qual cosa viene confermata da S. Paolo col consiglio e coll'esempio: "Sine intermissione orate... Memoriam vestri facientes in orationibus nostris sine intermissione522-2. Ma come mai si può continuamente pregare e attendere nello stesso tempo ai doveri del proprio stato? Non è cosa impossibile? Vedremo che non c'è difficoltà quando si sappia ben ordinare la vita. Per riuscirvi bisogna:

523.   1° Gli esercizi di pietà. Ad alimentare la vita di preghiera bisogna innanzitutto fare alcuni esercizi spirituali il cui numero e la cui lunghezza variano secondo i doveri del proprio stato. Qui parleremo dgli esercizi che convengono ai sacerdoti e ai religiosi, lasciando ai direttori la cura d'adattare questo programma ai semplici fedeli.

Tre categorie d'esercizi formano l'anima sacerdotali alla preghiera: la meditazione del mattino, con la santa messa, ci propone l'ideale a cui mirare e ci aiuta a conseguirlo; l'ufficio divino, le pie letture e le divozioni essenziali conservano l'anima nell'abitudine della preghiera; gli esami della sera ci faranno rilevare e riparare i nostri difetti.

524.   A) Gli esercizi del mattino sono qualchecosa [sic] di sacro di cui non si può far senza quando si è sacerdoti o religiosi, senza rinunziare al pensiero della propria perfezione. a) Prima di tutto la meditazione, affettuosa conversazione con Dio per richiamare l'ideale che dobbiamo tenere continuamente dinanzi agli occhi e a cui dobbiamo vigorosamente tendere. Ideale che è quello stesso tracciatoci dal divino Maestro: "Estote ergo vos perfecti sicut et Pater vester cælestis perfectus est524-1. Dobbiamo quindi metterci alla presenza di Dio, fonte e modello di ogni perfezione, e per venire più al pratico, alla presenza di N. S. Gesù Cristo, che attuò sulla terra questa ideale perfezione e ci meritò la grazia d'imitare le sue virtù. Presentatigli i nostri ossequi, lo attiriamo in noi, entrando nei suoi pensieri con profonde convinzioni sulla virtù speciale che vogliamo praticare e con ardenti preghiere che ci ottengono la grazia di praticar cotesta virtù; e umilmente ma vigorosamente cooperiamo a questa grazia prendendo una generosa risoluzione sulla detta virtù che ci studieremo di mettere in pratica nel corso della giornata 524-2. b) La santa messa ci conferma in questa disposizione mettendoci avanti agli occhi, nelle mani, a nostra disposizione, la vittima santa che dobbiamo imitare; e la comunione ce ne fa passar nell'anima i pensieri, i sentimenti, le interne disposizioni, le grazie, il divino spirito che resterà in noi per tutto il giorno. Siamo così pronti per l'azione, quell'azione che, avviata dal suo influsso, non sarà che una continua preghiera.

525.   B) Ma perchè ciò avvenga, occorrono ogni tanto esercizi che rinnovino e stimolino l'unione con Dio. a) Sarà prima di tutto la recita del divino ufficio, che S. Benedetto ottimamente chiama opus divinum, in cui, in unione col grande Religioso del Padre, glorificheremo Dio e gli chiederemo grazie per noi e per tutta la Chiesa; quindi la s. messa, il più importante atto di tutta la giornata. b) Verranno poi le pie letture, letture della S. Scrittura, letture di opere e di vite di Santi, che ci porranno di nuovo in intima relazione con Dio e coi suoi Santi. c) E finalmente le divozioni essenziali che devono alimentar la nostra pietà, vale a dire la visita al SS. Sacramento, che non è in sostanza che un secreto colloquio con Gesù; e la recita del rosario, che ci fa conversare con Maria e riandarne in cuore i misteri e le virtù.

526.   C) Giunta la sera, l'esame generale e particolare, che sarà come una specie di umile e sincera confessione al Sommo Sacerdote, ci mostrerà in che modo abbiamo nella giornata messo in pratica l'ideale concepito al mattino. Vi sarà sempre, purtroppo, una certa diversità tra le nostre risoluzioni e la loro attuazione; ma senza disanimarci, ci rimetteremo coraggiosamente all'opera; e poi in santa confidenza ed abbandono prenderemo un poco di riposo per lavorar meglio il domani.

La confessione settimanale o al più tardi quindicinale, e il ritiro mensile, facendoci dare uno sguardo complessivo a più ampia parte della vita, perfezioneranno questo esame di noi stessi e ci porgeranno occasione di spirituale rinnovamento.

527.   2° Tal è il complesso di esercizi spirituali che non ci lasceranno perdere di vista per notevole tempo la presenza di Dio. Ma che si dovrà fare per colmare il vuoto tra questi vari esercizi e trasformare in preghiera tutte le nostre azioni? S. Agostino e S. Tommaso ci insegnano come scioglere la questione. Il primo 527-1 ci dice di far della vita, delle azioni, dei negozi, dei pasti, dello stesso sonno, un inno di lode alla gloria di Dio: "Vitâ sic canta ut nunquam sileas... si ergo laudas, non tantum linguâ canta, sed etiam assumpto bonorum operum psalterio; laudas cum agis negotium, laudas cum cibum et potum capis, laudas cum in lecto requiescis, laudas cum dormis; et quando non laudas?" Il secondo poi compendia così il pensiero del primo: "Tamdiu homo orat, quamdiu totam vitam suam in Deum ordinat527-2.

La carità è quella che dirige tutta la nostra vita a Dio. Il mezzo pratico per far così tutte le azioni è di offrirle, prima di cominciarle, alla SS. Trinità, in unione con Gesù che vive in noi e secondo le sue intenzioni (n. 248).

528.   Quanto importi il far le nostre azioni in unione con Gesù è assai bene spiegato dall'Olier, che prima mostra in che modo Gesù è in noi per santificarci 528-1: "Non solo abita in noi come Verbo con la sua immensità... ma abita pure in noi come Cristo, con la sua grazia, per renderci partecipi della sua unzione e della divina sua vita... Gesù Cristo è in noi per santificarci, santificar noi e le opere nostre, per riempire di sè tutte le nostre facoltà: vuol essere la luce della nostra mente, l'amore e il fervore del nostro cuore, la forza e la virtù di tutte le nostre facoltà, affinchè in lui possiamo conoscere, amare e adempire i voleri di Dio suo Padre, sia per lavorare a suo onore, sia per soffrire e tollerare ogni cosa a sua gloria". Spiega quindi come le azioni che facciamo da noi e per noi siano difettose 528-2: "Le nostre intenzioni e i nostri pensieri tendono al peccato per la corruzione della nostra natura; e se noi ci lasciamo andare ad operar da noi stessi e a seguir le nostre inclinazioni, opereremo in peccato". Onde la conclusione è che bisogna rinunziare alle proprie intenzioni per unirsi a quelle di Gesù. "Vedete quindi quanta cura si deve avere, al principio delle azioni, di rinunziare a tutti i sentimenti, a tutti i desideri, a tutti i pensieri propri, a tutte le proprie volontà, per entrare, secondo S. Paolo, nei sentimenti e nelle intenzioni di Gesù Cristo: "hoc enim sentite in vobis quod et in Christo Jesu528-3.

Quando le azioni sono lunghe, è utile rinnovar questa offerta con un affettuoso sguardo al crocifisso, e, meglio ancora, a Gesù che vive in noi; e lasciare che l'anima si sfoghi in frequenti giaculatorie che ci inalzeranno il cuore a Dio.

Così anche le più comuni nostre azioni saranno preghiera e ascensione dell'anima a Dio, e noi attueremo il desiderio di Gesù: "oportet semper orare et non deficere528-4.

529.   Ecco dunque i quattro mezzi interni di perfezione, che tendono tutti a glorificar Dio e insieme a perfezionarci l'anima. Il desiderio della perfezione è infatti un primo slancio verso Dio, un primo passo verso la santità; la conoscenza di Dio, è Dio che viene attirato in noi e che ci aiuta a darci a lui per via di amore; la conoscenza di noi stessi ci mostra meglio il bisogno che abbiamo di Dio e stimola il desiderio di riceverlo per colmare il vuoto che è in noi; la conformità alla divina volontà ci trasforma in lui; la preghiera ci innalza a lui e trae nello stesso tempo in noi le sue perfezioni, facendovici partecipare per renderci più simili a lui; tutto quindi ci porta a Dio perchè tutto viene da lui.

Vedremo ora come i mezzi esterni tendano al medesimo fine.


546.   c) Specialmente nella direzione delle donne occorre riserbo e fermezza. Il P. Desurmont, uomo di grande esperienza, scrive a questo proposito 546-1: "Nessuna prola affettuosa, nessuna espressione di tenerezza, nessun secreto colloquio che non sia indispensabile; nulla di troppo espressivo nè nello sguardo nè nel gesto, neppur l'ombra di familiarità; in fatto di conversazioni il puro necessario; in fatto di relazioni diverse da relazioni di coscienza, solo quelle che hanno seria utilità; nessuna direzione fuori del confessionale e nessun commercio epistolare per quanto è possibile". Quindi, pur mostrando la premura che si porta alla loro anima, bisogna nascondere quella che si porta alla loro persona: "non devono neppur sospettare che si pensa a loro o che si ha premura di loro, perchè sono cosiffatte che, se si accorgono che ci sia stima particolare o affezione, cadono quasi irresistibilmente nel naturale o per vanità o per affetto". E aggiunge: "Generalmente è bene che ignorino quasi di esser dirette. La donna ha il difetto della sua buona qualità: è istintivamente pia ma è anche istintivamente orgogliosa della sua pietà. L'addobbo dell'anima la impressiona come quello del corpo. L'accorgersi che si vuole arnarla di virtù, è ordinariamente un pericolo per lei". Si dirigono quindi senza dirlo; e si danno loro consigli di perfezione come se si trattasse di cose comuni alle anime.
548.   C) Ma gli occorre sopratutto prudenza e sagacia per dirigere le anime non secondo le proprie idee ma secondo i movimenti della grazia, il temperamento e il carattere dei penitenti, e le soprannaturali loro inclinazioni 548-1.

a) Il P. Libermann faceva giustamente osservare che il direttore non è che uno strumento a servizio dello Spirito Santo 548-2; deve quindi prima di tutto studiarsi di conoscere, con prudenti interrogazioni, l'azione di questo divino Spirito in un'anima; "Considero, scriveva, come punto capitale in fatto di direzione, il discernere in ogni anima le disposizioni che vi si trovano: ciò che lo stato interiore di quest'anima può portare; il lasciar operare la grazia con grande libertà; il distinguere le false ispirazioni dalle vere e impedire alle anime di deviare o di eccedere nelle loro inclinazioni". In un'altra lettera aggiunge: "Il direttore, visto che abbia e accertato che Dio opera in un'anima, non deve far altro che guidare quest'anima in guisa che essa segua la grazia e sia fedele. Mai deve ispirarle i propri gusti e le proprie inclinazioni, nè guidarla secondo il suo modo di fare o il suo modo di vedere. Il direttore che si regolasse così, stornerebbe spesso le anime dalla condotta di Dio e contrarierebbe spesso la grazia di Dio in loro".

Aggiungeva però che questo si applica alle anime che corrono difilate alla perfezione. Per le tiepide e rilassate sta al direttore a studiarsi con esortazioni, consigli, riprensioni, con tutte le industrie dello zelo, di strapparle al loro letargo spirituale.


582.   b) Ecco perchè è necessario leggere lentamente, "fermandovi, dice S. G. Endes 582-1, a considerare, ruminare, pesare, gustare le verità che maggiormente vi commuovono, per imprimervele bene nella mente e trarne atti ed affetti". La lettura o l'esortazione diventa allora una meditazione: infatti uno si investe a poco a poco dei pensieri e dei sentimenti che si leggono o si ascoltano, si desidera di metterli in pratica, e se ne chiede internamente la grazia.

III. Santificazione delle relazioni d'amicizia 595-1.

L'amicizia può essere mezzo di santificazione o serio ostacolo alla perfezione, secondo che è soprannaturale o naturale e sensibile. Parleremo dunque:

1° DELLE VERE AMICIZIE.

Ne diremo la natura e i vantaggi.

595.   ANatura. -- a) Essendo l'amicizia una mutua comunicazione tra due persone, si specifica innanzi tutto secondo la varietà delle comunicazioni e la qualità dei beni che si comunicano. Il che viene molto bene spiegato da S. Francesco di Sales 595-2: "Quanto più squisite saranno le virtù in cui comunicate, tanto più perfetta sarà l'amicizia. Se comunicate in scienze, l'amicizia è certamente assai lodevole; più lodevole ancora se comunicate in virtù, nella prudenza, nella moderazione, nella fortezza, nella giustizia. Se poi la vostra mutua comunicazione riguarda la carità, la devozione, la perfezione cristiana, oh Dio! quanto preziosa sarà l'amicizia! Sarà eccellente perchè viene da Dio, eccellente perchè tende a Dio, eccellente perchè ne è vincolo Dio, eccellente perchè durerà eternamente in Dio! Oh! che buona cosa è amare sulla terra come si ama in cielo e imparare ad averci in questo mondo quella reciproca tenerezza che ci avremo eternamente nell'altro!"

La vera amicizia è dunque in generale un'intima corrispondenza tra due anime per farsi scambievolmente del bene. Può restare semplicemente onesta, se i beni che si comunicano sono di ordine naturale. Ma l'amicizia soprannaturale è di ordine assai superiore. È un'intima corrispondenza tra due anime che si amano in Dio e per Dio, a fine di scambievolmente aiutarsi a perfezionar la vita divina che possedono. Fine ultimo ne è la gloria di Dio, fine immediato il progresso spirituale, e Gesù il vincolo di unione tra i due amici. Tal è il pensiero del Beato Etelredo: "Ecce ego et tu et spero quod tertius inter nos Christus sit"; che il Lacordaire traduce così: "Non posso più amar persona senza che l'anima prenda posto dietro il cuore e che Gesù Cristo venga a fare il terzo in mezzo a noi" 595-3.

596.   b) Perciò quest'amicizia, in cambio di essere appassionata, predominante, esclusiva come l'amicizia sensibile, ha per doti la calma, il riserbo e la mutua confidenza. È affetto calmo e moderato, appunto perchè fondato sull'amor di Dio ne partecipa la virtù; onde è pure affetto costante, che va crescendo, al rovescio dell'amore passionale che tende ad affievolirsi. Ed è accompagnata da savio riserbo: in cambio di cercar familiarità e carezze come l'amicizia sensibile, è piena di rispetto e di riservatezza, perchè non desidera altro che comunicazioni spirituali. Questa riservatezza non impedisce però la confidenza; mutuamente stimandosi e vedendo nella persona amata un riflesso delle divine perfezioni, si prova per lei confidenza grandissima, che è del resto reciproca; il che porta intime comunicazioni, perchè si brama di partecipare alle soprannaturali doti dell'amico. Si comunicano quindi i pensieri, i disegni, i desideri di perfezione. E bramando di scambievolmente perfezionarsi, non si peritano di avvertirsi dei difetti e di aiutarsi a correggerli. La mutua confidenza che regna tra i due amici impedisce all'amicizia di diventare inquieta, affannosa, esclusiva; non si ha per male che l'amico abbia altri amici, anzi se ne gode pel bene suo e per quello del prossimo.

597.   B) È chiaro che tale amicizia presenta grandi vantaggi. a) La S. Scrittura ne fa frequenti elogi: "Un amico fedele è tetto robusto, e chi lo trova ha trovato un tesoro... l'amico fedele è balsamo vitale: Amicus fidelis protectio fortis; qui autem invenit illum invenit thesaurum... Amicus fidelis, medicamentum vitæ et immortalitatis597-1. Nostro Signore ce ne diede l'esempio nell'amicizia che ebbe per Giovanni, il quale era conosciuto per "l'amato da Gesù, quem diligebat Jesus597-2. S. Paolo ha amici a cui porta profondo affetto; soffre della loro assenza e la sua più dolce consolazione è di rivederli; così è inconsolabile perchè non trova Tito al luogo convenuto, "eo quod non invenerim Titum fratrem meum597-3; si rallegra appena lo ritrova: "Consolatus est nos Deus in adventu Titi... magis gavasi sumus super gaudio Titi597-4. Si vede pure quale affetto nutriva per Timoteo e quanto bene gli faceva la sua presenza e che aiuto gli dava a farne anche agli altri; lo chiama quindi suo collaboratore, suo figlio, suo carissimo figlio, suo fratello: "Timotheus adjutor meus... filius meus... Timotheus frater... Timotheo dilecto filio597-5.

Anche l'antichità cristiana ci porge illustri esempi di amicizia: uno dei più celebri è quello di S. Basilio e di S. Gregorio Nazianzeno 597-6.

598.   b) Da questi esempi si deducono tre ragioni a mostrare quanto utile sia l'amicizia cristiana, specialmente per il sacerdote di ministero.

1) Un amico è una tutela rispetto alla virtù, protectio fortis. Noi sentiamo il bisogno d'aprire il cuore a un intimo confidente; il direttore risponde talora a questo bisogno, ma non sempre: la sua amicizia paterna è diversa dall'amicizia fraterna che cerchiamo noi. Abbiamo bisogno d'un nostro pari con cui poter discorrere con tutta libertà. Se non lo troviamo, correremo pericolo di far confidenze biasimevoli a persone che non sempre riusciranno innocue per noi e per loro.

2) È pure un intimo consigliere a cui apriamo volontieri i dubbi e le difficoltà e che ci aiuta a risolverli; è un monitore savio e affettuoso, che, vedendoci all'opera e sapendo ciò che si dice di noi, ci dirà la verità, facendoci così schivar talora molte imprudenze.

3) È finalmente un consolatore, che ascolterà amorevolmente il racconto delle nostre pene, e troverà nel suo cuore le parole necessarie per addolcirle e confortarci.

599.   Si può chiedere se queste amicizie siano da approvarsi nelle comunità, potendosi infatti temere che portino danno all'affetto che deve unire tutti i membri e che generino gelosie. Bisogna certamente badare che tali amicizie non rechino nocumento alla carità comune, e che siano non solo soprannaturali ma tenute entro i giusti limiti fissati dai superiori. Con queste riserve, anche coteste amicizie hanno i loro vantaggi, perchè i religiosi hanno essi pure bisogno d'un consigliere, d'un consolatore e d'un monitore che sia insieme un amico. Tuttavia anche nelle comunità, anzi più che altrove, bisogna premurosamente evitare tutto ciò che può aver colore di falsa amicizia.

2° DELLE FALSE AMICIZIE.

Ne esporremo la natura, i pericoli, i rimedi.

600.   A) La natura. a) Le false amicizie sono quelle che si fondano su doti sensibili o frivole, mirando a godere della presenza e dei vezzi della persona amata. È dunque in fondo mascherato egoismo, perchè si ama uno per il piacere che si prova in sua compagnia. È vero che si è pronti a rendergli servizio ma per il piacere che si prova a maggiormente affezionarselo.

b) S. Francesco di Sales ne distingue tre specie: le amicizie carnali, che cercano i diletti della voluttà; le amicizie sensuali, che si attaccano principalmente alle doti esterne e sensibili, "come il diletto di veder la bellezza, d'udire una voce soave, di toccare e simili" 600-1; le amicizie frivole, fondate su certe vane qualità che le teste piccole chiamano virtù e perfezione, come sarebbe di ballar bene, giocar bene, cantar bene, acconciarsi bene, sorridere con grazia, aver grazioso l'aspetto.

601.   c) Queste specie di amicizie cominciano generalmente all'età della pubertà; nascono dal bisogno istintivo che allora si prova di amare e di essere amati. Sono spesso una specie di deviazione dell'amore sessuale: fuori delle comunità tali amicizie si formano tra i giovani e le giovani, e quando vanno un po' troppo oltre, prendono il nome di innamoramenti 601-1. Nelle comunità chiuse si formano tra persone dello stesso sesso e si chiamano amicizie particolari. Si provano talora anche in età più avanzata; così certi uomini sentono affetto sensibile verso giovani che hanno giovanile e grazioso aspetto, indole aperta e amabili maniere.

602.   d) I segni caratteristici onde si riconoscono le amicizie sensibili, si desumono dall'origine, dallo sviluppo, dagli effetti.

1) Quanto all'origine, cominciano repentinamente e fortemente, perchè provengono da simpatia naturale e istintiva; si fondano su doti esterne e brillanti o che almeno paiono tali; e sono accompagnate da emozioni vive e talora appassionate.

2) Nel loro sviluppo s'alimentano di conversazioni talora di nessuna importanza ma affettuose, talora troppo intime e pericolose; di sguardi frequenti, che, in certe comunità, suppliscono alle conversazioni particolari; di carezze, di strette di mano espressive ecc.

3) Quanto agli effetti, sono premurose, predominanti, esclusive; parebbe che debbano durare eterne; ma basta una separazione a cui seguono altri affetti per troncarle spesso molto bruscamente.

603.   B) I pericoli di queste specie d'amicizie sono evidenti.

a) Sono uno dei più grandi ostacoli al progresso spirituale: Dio, che non vuole saperne di cuori divisi, comincia col fare interni rimprovero, e, se la sua voce non viene ascoltata, si ritira a poco a poco dall'anima, privandola di lumi e di consolazioni interiori. A mano a mano che queste affezioni crescono, si perde il raccoglimento interiore, la pace dell'anima, il gusto degli esercizi spirituali e del lavoro.

b) Onde perdite considerevoli di tempo: il pensiero corre troppo spesso all'amico assente, e impedisce l'applicazione della mente e del cuore alle cose serie e alla pietà.

c) Sottentra il disgusto e lo scoraggiamento; la sensibilità prende il sopravvento sulla volontà che diventa debole e languida.

d) Sorgono allora pericoli per la santa purità. Si vorrebbe bene contenersi nei limiti dell'onestà, ma si pensa che l'amicizia dia certi diritti e si ammettono familiarità sempre più sospette. È pendìo sdrucciolevole, e chi si espone al pericolo finisce col soccombervi.

604.   C) Il rimedio sta nel combattere queste false amicizie fin dal principio, vigorosamente e con mezzi positivi.

a) Fin dal principio, essendo allora più facile perchè il cuore non è ancora profondamente attaccato; con qualche energico sforzo vi si riesce, sopratutto se si ha il coraggio di parlarne al confessore e accusarsi delle minime debolezze. Aspettando, il distacco sarà assai più laborioso 604-1.

b) Ma, per trionfare, occorrono provvedimenti radicali: "Tagliate, troncate, spezzate; non basta scucire in queste folli amicizie, bisogna rompere o troncare" 604-2. Quindi non solo non si deve andare a cercare colui che si ama in questo modo, ma schivar pure di pensare volontariamente a lui; e se talora non si può evitare di trovarsi in sua compagnia, bisogna trattarlo con gentilezza e carità ma senza fargli confidenze o dargli speciali segni d'affetto.

c) A meglio riuscirvi si adoprano mezzi positivi, cercando di occuparsi e di immergersi più attivamente che sia possibile nella pratica dei doveri del proprio stato; e quando ciò non ostante si presenta alla mente il pensiero di colui che si ama, se ne coglie occasione per fare un atto d'amore verso Nostro Signore, dicendo per esempio: "Voi solo, o Gesù, io voglio amare, unus est dilectus meus, unus est sponsus meus in æternum", A questo modo uno si approfitta della stessa tentazione per maggiormente amar colui che solo si merita il nostro cuore.

3° DELLE AMICIZIE SOPRANNATURALI E NELLO STESSO TEMPO SENSIBILI.

605.   Avviene talvolta che nelle nostre amicizie vi è un misto di naturale e di soprannaturale. Si vuole veramente il bene soprannaturale dell'amico, ma si desidera nello stesso tempo di goderne la presenza, la conversazione, e si soffre troppo della sua assenza. Il che viene molto bene descritto da S. Francesco di Sales 605-1: "Si comincia con l'amor virtuoso, ma, se non si è molto prudenti, vi si mescolerà presto l'amor frivolo, poi l'amor sensuale, poi l'amor carnale; sì, vi è pericolo anche nell'amor spirituale se non si sta ben in guardia, benchè in questo sia più difficile di prendere abbaglio, perchè la sua purezza e il suo candore fanno rilevar meglio le sozzure che Satana ci vuol mescolare; onde, quando vi si mette, lo fa con maggior astuzia, tentando di insinuarvi le impurità quasi insensibilmente".

606.   Qui pure bisogna dunque vigilare sul proprio cuore e prendere mezzi efficaci per non scivolare sul pericoloso pendìo.

a) Se predomina l'elemento soprannaturale, l'amicizia si può conservare e fomentare purificandola. Ma occorre prima di tutto astenersi da ciò che fomenta l'elemento troppo sensibile, conversazioni frequenti e affettuose, familiarità ecc.; bisogna ogni tanto sapersi privare di una visita, che sarebbe del resto legittima, e troncare una conversazione che diventa ormai inutile. A questo modo si acquista una certa padronanza sulla propria sensibilità e se ne schivano i pericolosi traviamenti.

b) Se predomina l'elemento sensibile, bisogna, per alquanto tempo, rinunciare a ogni relazione particolare con quell'amico, fuori degli incontri necessarii; e in tali incontri sopprimere ogni parola affettuosa. Si lascia così raffreddare la sensibilità, aspettando che regni la calma nell'anima per riprendere le relazioni. Le nuove relazioni assumono allora un tutt'altro carattere; che se avvenisse altrimenti, bisognerebbe sopprimerle per sempre.

c) In ogni caso, bisogna giovarsi di queste occasioni per rinvigorir l'amore a Gesù, protestando che non si vuole amare che in lui e per lui, e rileggere spesso i due capitoli VII e VIII del secondo libro dell'Imitazione di Cristo. Così le tentazioni ci si convertono in occasione di vittoria.


409-1 S. Fr. de Sales, Teotimo, l. XII, c. 2-3; Alvarez de Paz, De vitâ spirit., t. I, l. V; Rodriguez, Prat. della Perf., P. I, Tr. I: Della stima della perfezione; Le Gaudier, De perfect. vitæ spiritualis, P. II, sez. 1ª.

411-1 È ciò che nota S. Tommaso nella Iª IIæ, q. 30, a. I, ad 1: "Appetitus sapientiæ vel aliorum spiritualium bonorum, intendum concupiscentia nominatur... propter intensionem appetitûs superioris partis, ex quo fit redundantia in appetitum inferiorem, ut simil etiam ipse inferior appetitus suo modo tendat in siprituale bonum consequens appetitum superiorem... sicut dicitur: Cor meum et anima mea exultaverunt in Deum vivum".

412-1 Jerem., XXX, 3.

412-2 S. Agostino, Le confessioni, l. I, n. 1.

412-3 Ps. XLI, 2, LXII, 2.

416-1 Autobiografia, c. XIII, p. 164.

417-1 Luc., I, 53.

418-1 Matth., VII, 8.

419-1 I Thess., IV, 3.

419-2 Sap., VII, 7; cfr. Prov. I, 20-33.

419-3 Joan., VII, 37. Come nota S. Tommaso (I, q. 12, a. 6), il desiderio rende l'anima più atta e meglio disposta a ricevere l'oggetto desiderato: "desiderium quodammodo facit desiderantem aptum et paratum ad susceptionem desiderati".

420-1 Ps. CXVIII, 131; LXXX, 11.

422-1 Matth., VI, 33.

423-1 Luc., IX, 62.

423-2 Philip., III, 14.

423-3 S. Agostino, Sermo 169, n. 18.

423-4 Questo aveva capito E. Psichari, Les Voix qui crient dans le désert, quando, prima della sua conversione definitiva, nel deserto della Mauritania, diceva del santo quale egli lo concepiva: "Fino alla morte serba l'inquietudine della perfezione, quello scontento di sè che altro non è che il sentimento della sua reale impotenza. A misura ch'ei si affina nella vita morale, vede maggiormente approfondirsi l'abisso che lo separa dal suo Dio. Quanto più si avvicina alla perfezione, tanto più se la vede fuggir dinanzi. Così la sua vita è un perpetuo ribollimento, un moto perpetuo, una gloriosa ascensione e come una scalata al cielo che non lascia respiro".

424-1 Luc., XVI, 10.

427-1 A. Boissel, Retraites fermées, pratique et théorie.

469-1 Gli esami particolari del Tronson suggeriscono per ogni virtù o difetto, particolarità che serviranno a meglio determinare l'oggetto dell'esame.

487-1 Job., II, 10.

487-2 Amor di Dio, l. IX, c. 2.

491-1 Rom., VIII, 18.

491-2 II Cor., IV, 17.

491-3 Colos., I, 24.

510-1 I Cor., XIV, 15.

510-2 Nella seconda parte ritorneremo sull'orazione mentale, indicando qual genere si conviene a ognuna delle tre vie.

511-1 Ps. III, 17; L, 5.

511-2 Hebr., XIII, 15.

511-3 S. Tommaso, In libr. IV Sent., d. XV, q. 4, a. 2, qcl. 5, sol. 1.

512-1 Rom., XV, 6.

512-2 Matth., XVIII, 20.

512-3 Commentar. in Matth., c. XVIII, 20.

516-1 Molti di questi commenti reca l'Hurter: Opuscula Patrum selecta, t. II; Cfr. Sum. Theol., IIª IIæ, q. 83, a. 9; S. Teresa, Cammino della perfezione; P. Monsabré, La Preghiera divina, il Pater.

522-1 Teotimo, l. V, c. 1.

522-2 Luc., XVIII, 1.

524-1 Matth., V, 48.

524-2 Spiegheremo questo punto più tardi quando esporremo il metodo d'orazione.

527-1 In Psalm. CXLVI, n. 2.

527-2 Comment. in Rom., c. 1, lez. 5.

528-1 Catéch. chrétien, P. IIª, lez. 5. -- Cfr. P. Plus, Comment toujours prier, 1926.

528-2 Catéch., lez. VI.

528-3 Philip., II, 5.

528-4 Luc., XVIII, 1.

X L'Ésprit d'un directeur des âmes, p. 60-61; in questo opuscoletto ritorna spesso sullo stesso pensiero.

548-1 Appunto così faceva S. Francesco di Sales, come molto bene dimostra F. Vincent. op. cit., p. 439-481.

548-2 La direction spirituelle, d'aprés les écrits et les exemples du Vén. Libermann, 2e éd., p. 10-22.

582-1 Il regno di Gesù, p. II. § XV.

595-1 S. Fr. di Sales, La Filotea, P. III, c. 17-22 (Salesiana, Torino); Ribet, Ascétique, c. XLIII, p. 437-441; 448-451; Ad. a Denderwindeke, Comp. Theol. acseticæ, 1921, n. 437-439; Rouzic, De l'amitié.

595-2 La Filotea, P. III, c. 19.

595-3 P. Chocarne Vie de Lacordaire, t. II, c. XV.

597-1 Eccl., VI, 14-16.

597-2 Joan., XIII, 23.

597-3 II Cor., II, 13.

597-4 II Cor., VII, 6, 13.

597-5 Rom., XVI, 21; I Cor., I, 1; I Tim., I, 2.

597-6 S. Fr. di Sales, l. cit., c. 19, ne riferisce molti altri.

600-1 Op. cit., c. 17.

601-1 S. Francesco di Sales, l. c., c. 18.

604-1 È ciò che nota Ovidio nel De remediis amoris:

"Principiis obsta, sero medicina paratur
Cum mala per longas invaluere moras".

604-2 Vita devota, c. XXI.

605-1 Vita devota, l. c., C. XX.


Quest'edizione digitale preparata da Martin Guy <martinwguy@yahoo.it>.