Novissima Guida pel Viaggiatore in Sicilia: Catania

Estratto dalla "Novissima Guida pel Viaggiatore in Sicilia" compilata da Salvatore Lanza di Trabia, Stab. Tip. di Francesco Lao, Palermo, 1884, una rielaborazione della sua precedente opera "Guida del Viaggiatore in Sicilia" del 1859.


CATANIA (1)

Alberghi: Grande Albergo di Catania, piazza Cappellini; Albergo Centrale, via santa Maria al Rosario, 9; Commercio via Gestai [oggi via Cestai -NdR] 1. -- Trattorie: Aurora, via Garibaldi 6; Genovese, via Vasta 10; Siani, piazza s. Placido, 6; e ve ne sono molte altre.
   Catania, che conta 100108 abitanti ha molte istituzioni di credito, un gran commercio prodotto dalle abbondantissime derrate del suo feracissimo suolo, e dalla manifattura dei tessuti della seta, nella quale industria occupa da tempi lontanissimi un posto onorevole. É capoluogo di prefettura ed ha una provincia divisa in quattro circondarii, che complessivamente contano 450 460 abitanti in 64 comuni. Sono capoluoghi dei circondarii Catania, Caltagirone, Nicosia ed Aci-Reale.
   Catania è sede di una Corte di appello, di un Tribunale civile e correzionale, ed ha le molte istituzioni, che fan parte del sistema vigente, che dà tante attribuzioni ai capoluoghi di provincia. -- Passiamo a farne la descrizione.
   Per la magnificenza dei suoi fabbricati, per la spaziosità delle sue piazze e per la larghezza delle sue bellissime vie è la prima delle città dell'isola. Però, Catania pagò a caro prezzo la sua bellezza, poichè la deve alla rovinosa caduta di quella, che la precedette, la quale cadde per intero nel tremuoto del 1693. Importante nella moderna Sicilia, ebbe grandissima celebrità anche negli antichi secoli, e nei tempi della vetusta civiltà. Fu edificata dai Sicani, e da costoro abbandonata per l'orrore dei fuochi dell'Etna; fu tenuta dai Siculi, e finalmente occupata dai Nassii, 730 anni avanti Gesù Cristo. Se in quei giorni non ebbero qui luogo degli avvenimenti clamorosi e grandi fatti di guerra, furono però, bellissimi fenomeni di civile sapienza. Caronda, nato in questa città, filosofo sommo e legislatore dei suoi concittadini e delle città della Magna Grecia e Stesicoro nato in Imera, ma qui tramutato, e rimasto in questa città per la più parte della sua vita, e qui morto, e qui onorato di un sepolcro, e di cui è vivo il nome nella via e nella piazza, che così si appellano, sono nomi che ricordano la sapienza di grandi uomini. Nel medio-evo, e massime nell'epoca degli Aragonesi, furono molti gli avvenimenti e le vicende di cui Catania fu teatro, ma quasi sempre chiamata ad essere la sede del sapere, sotto i Castigliani, e proprio sotto Alfonso il Magnanimo nel 1444 vi si fondò l'Università degli studii, che per più secoli fu la sola che esistesse in Sicilia. -- Surta dalle rovine del tremuoto del 1693, offresi magnifica in tutti i suoi punti, anzi nonostante tanta rovina, offre degli avanzi così importanti di antichità greche da doversi assolutamente visitare. Per procedere ordinatamente incominceremo dalla Cattedrale, che ha innanzi una magnifica piazza. Nel centro di essa è un bel fonte, sormontato da un elefante di un sol pezzo di lava, tranne i piedi. Su di esso posa un antico obelisco di granito rosso, che si crede egizio, che è scompartito in varie zone istoriate colle solite figure caratteristiche, sulla interpretazione delle quali sudarono cotanto gli archeologi, col non poterne avere in fine che pochissima o nissuna conoscenza. Vuolsi da alcuni che questo obelisco fosse servito di meta al Circo, e l'esistenza di esso in Catania deve esser di antichissima data. All'incontro sospettasi da taluno che fosse stato trasportato dall'Egitto al tempo delle crociate. Fu così poco apprezzato nei secoli andati, che sino al 1620, serví di architrave al portone del vescovado. Dopo di essere giaciuto a terra, per mezzo secolo, fu nel 1677 eretto innanzi al palazzo senatorio. Il tremuoto del 1693, quasi non pago di tante rovine, abbattè anche l'obelisco, che venne collocato in questo fonte nel 1736. -- Anche intorno al sottoposto elefante si è detto tanto, e si è preteso dargli moltissima antichità. Certo è che ignorasi come e quando Catania avesse concepito sì grande affezione per questo animale. Il certo è che in varie monete, sotto il regno di Federico III vi si osserva; e Catania ne assunse l'immagine come suo stemma.
   In questa piazza del Duomo convergono le principali vie della città. La più larga, in punta alla quale torreggia l'Etna, chiamasi Stesicoro-Etnèa; l'altra che viene tagliata dalla piazza, è il corso V. E. e la terza che va a terminare alla porta del fortino, è la via Garibaldi, una volta Ferdinandèa. -- Pria di entrare nella Cattedrale faremo osservare al viaggiatore che le sei colonne di granito, che adornano il prospetto, appartennero, come si vuole, alla scena dell'antico teatro di Catania, al quale appresso faremo la nostra visita.
   Entriamo nel tempio. É vastissimo; eretto dalla pietà dei Normanni. Fu quasi per intero rovinato dai due tremuoti del 1169 e del 1693. Quindi dell'antico null'altro rimane che gli absidi, le mura esterne e le cappelle del Santissimo Crocifisso e della Immacolata. La prima porta laterale è fregiata di basso-rilievi e di arabeschi, che forse furono lavorati dal Gagini, e quivi dopo la sua morte situati. -- Entrando per la medesima porta, a sinistra vedesi un bellissimo quadro di Filippo Paladini, che esprime il martirio di santa Agata. La sacra famiglia con s. Giovanni è di Abbadessa, catanese, quadro che campò dallo esterminio del 1693. Il s. Francesco di Paola è di Giuseppe Guarnaccia, e fu inviato da Roma, ove l'artista catanese passò gran parte della sua vita. Il s. Carlo è del Veneziani. Nella sagrestia è un gran quadro a fresco dipinto dal Mignemi, che rappresenta Catania nella celebre eruzione del 1669. La lava che sgorga dal fianco dell'Etna, e proprio dai Monti Rossi, che allora si formarono, che scorre per le campagne, e poi invade Catania, e va al mare, e forma un promontorio, vi è rappresentata in modo da darne una idea. È un bel monumento artistico di quel fenomeno, e dei disastri che l'accompagnarono. Il lavacro di questa sagrestia si vuole del Gagini, o di altro abile artista, che seppe imitarne lo stile. La porta della cappella del Crocifisso è opera del Mazzola, scolare del Gagini. Gli affreschi della volta e delle mura del coro sono di Corradino Romano eseguiti nel 1628. Il coro viene decorato dai sepolcri di sovrani e di principi e principesse reali. A dritta vi è quello di Federico II Aragonese (1337), di suo figlio Giovanni di Randazzo, del re Ludovico (1355), della regina Maria moglie di Martino I, e di suo figlio Federico morto in piccola età. A sinistra, osservasi il monumento della regina Costanza (1363) moglie di Federico III. La cappella di s. Agata nell'abside a diritta, conserva un mezzo busto della santa di argento dorato e smaltato, adorno di molte gioie, doni di sovrani e di altri devoti. Vuolsi che Riccardo Cuor di Leone abbia fatti dono alla santa della corona che le cinge il capo. È noto come questo principe fu a Catania transitando per la Palestina. Entro questo busto è la testa della santa. Una cassa foderata di argento, e molto lavorata a rilievo, contiene insigni reliquie di lei.
   Nella medesima cappella notevole è il monumento di D. Ferdinando De Acugna, nel quale vedesi la statua di lui di mezzana grandezza sculta nella prima metà del secolo XVI.
   Nella grande nave sono notevoli due monumenti; quello di Monsignor Deodato Arcivescovo di Catania, perchè il busto marmoreo del presule è poggiante su di una base di basalto vulcanico; e l'altro dove furono deposte le ceneri di Vincenzo Bellini, sculto in questi ultimi tempi dal Tassara fiorentino, e nel quale il genio della melodia, per le forme e la compostezza della persona sembra ben collocato in un luogo sacro.
   Uscendo dalla porta maggiore, a sinistra, per una scala di 21 gradini, scendesi alla Antiche Terme. Si rifletta che il livello dell'antico suolo era al di sotto dell'attuale; e può dirsi che oltre alla presente Catania, ne esista un'altra al di sotto. In fatti, bisogna sempre scendere per visitare gl'interessanti monumenti, che esistono, e che additano a quale grado di civiltà, magnificenza e raffinamento d'arte sia arrivata questa città.
   Devesi al principe di Biscari, benemerito archeologo di Catania nel passato secolo, la scoverta della maggior parte di questi monumenti. -- Visitiamo le terme. A piè di scala, è un corridoio di 16 metri e ½, largo 2 m. e 26 cent. alto 6 e 13 cent. A man sinistra metteva alle stufe una porta, ora chiusa dalle fondamenta della cattedrale. In fondo ad esso corridoio è una porta ad arco, che dà ingresso ad una stanza lunga 2 metri e 30 centimetri, e larga 2 metri e ½. In fondo è un portico con altre stanze, simili alle già descritte, ed un acquidotto del quale se ne vedono 11 metri e 60 centimetri e che è largo 90 centimetri, profondo un metro e 30. Vi scorrono ora tacite e limpide le acque dell'Amenano, al quale fu dato corso per evitarne l'impaludazione, che produceva una malsania, che venne in questo modo corretta.
   È notevole una stanza adorna di bellissimi lavori plastici di viti con grappoli di uva, fronde intrecciate, ed altri ornati, dei quali si ammirano gli avanzi.
   Usciti di nuovo alla luce nella piazza della Cattedrale, incamminiamoci per la strada Stesicorea. Offresi a sinistra, il Palazzo di Città, bello ed imponente fabbricato. Si apre poi una piazza, che chiamasi della Università degli Studii, per essere innanzi a quell'edifizio, che è a sinistra, e che bisogna visitare. Fu essa fondata dal re Alfonso il Magnanimo nel 1444. Entrando, trovansi a destra le spaziose scale, che conducono al primo piano, in un corridoio, che mena alle stanze ove i professori dettano le lezioni, ed alla grande aula, nelle pareti della quale si osservano i ritratti dei più celebri professori che da quattro secoli e mezzo vi han reso celebre il proprio nome. Questa Università ha non poche cattedre divise in più facoltà, ma particolarmente vi si coltivano le scienze fisiche e le matematiche pure e miste. Merita di essere visitata la Biblioteca, nella quale sono alcuni volumi stampanti nel secolo XV; l'Orto secco, autografo di Francesco Cupani, celebre botanico del secolo XVII; ed un codice in pergamena con caratteri semigotici col titolo Consuetudines Civitatis Cathaniae. Questa biblioteca contiene quaranta mila volumi, compresi gli undicimila conservati nelle due stanze della Ventimiliana, dove sono i libri lasciati dal benemerito Monsignore Salvatore Ventimiglia Vescovo di Catania, e da altri che vi aggiunsero opere pregiatissime. Francesco Strane, bibliotecario di essa, ne fece, già sono cinquanta anni, il catalogo ragionato.
   Nel secondo piano di questo grandioso edifizio, è la tanto rinomata Accademia Gioenia fondata nel 1824 da varii dotti e zelanti catanesi, e dal commendatore fra Cesare Borgia, il quale ne fu eletto presidente. Una città così prossima al più grande vulcano d'Europa ha un vasto campo da studiare sotto il rapporto della storia naturale; e quest'Accademia è esclusivamente destinata ad un tale studio. Nè poteva dedicarsi al nome di altro più benemerito, perchè il cav. Gioeni, al nome di cui è consecrata, fu un minuzioso indagatore ed un diligente raccoglitore dell'immenso numero di prodotti esibiti dai tre regni della natura. Una numerosa serie di stanze offre molti e spesso prezioso e rari oggetti di storia naturale, tra i quali è l'intera collezione del soprannominato cav. Gioeni, che l'università acquistò dagli eredi di lui, scientificamente distribuita secondo la direzione del chiarissimo ed illustre professore Carlo Gemmellaro, trapassato venti anni or sono, dopo di essere stato per lunghi anni il decoro di questo Atenèo. -- Questa immensa raccolta va formata da quel che segue: Da una collezione delle produzioni litografiche vesuviane, levigate e grezze, ascendenti oltre a mille saggi; da 199 saggi di minerali delle isole Eolie; da una collezione di rocce etnee e dei vulcani estinti di val di Noto; da una collezione mineralogica generale della Sicilia, escluse le sostanze vulcaniche; da 158 varietà di marmi grezzi e levigati dell'isola; da una collezione esotica di 1366 saggi di mineralogia; da 150 saggi di diaspri e di agate di Sicilia, di rocce primitive, legni petrificati, fossili organici, e molte conchiglie, tra le quali una bella raccolta di microscopiche. Vi si osservano anche pesci diseccati, nidi di uccelli con uova, 440 saggi di ambre tra grezze e levigate, pregevolissime per la varietà dei colori. In fine vi sono 112 saggi di ambre insettifere. Raccomandiamo al viaggiatore la visita di questa celebre collezione dell'università.
   Dalla piazza degli Studii per la via Stesicoro-Etnèa, si va alla piazza Stesicoro, in fondo alla quale è a sinistra la chiesa del santo Carcere, cui dà il nome la tradizione, che qui sia stata carcerata sant'Agata. A preferenza invitiamo l'attenzione del viaggiatore alla porta d'ingresso, pregevole opera del secolo XI, nella quale campeggia lo stile gotico, il greco ed il normanno. Nell'interno si osserva la stanza, che servì di carcere a sant'Agata dopo il suo martirio, [sic!] e nella quale terminò la sua vita. Si vuole che tale stanza facesse parte dell'anfiteatro. Si osserva la cassa nella quale furono trasportate le reliquie della santa a Catania da Costantinopoli, dove le avea trasferito Maniace ai tempi dell'imperatore Giustiniano. -- All'altare maggiore si vede una tavola raffigurante sant'Agata condotta al martirio, di bellissimo effetto, con questa iscrizione: Bernardinus Niger Graecus faciebat 1388.
   Nella medesima piazza Stesicoro, è il monumento di Vincenzo Bellini, pregevolissimo lavoro dell'illustre scultore Giulio Monteverde. La statua centrale rappresenta il celebre compositore, nato in Catania nel 1801, e morto a Parigi nel 1835. Le quattro statue sottostanti rappresentano quattro dei principali drammi da lui musicati: la Norma, la Sonnambula, il Pirata ed i Puritani. Fu qui collocato nel 1882.
   Procedendo; si ha sulla sinistra la villa Bellini, giardino amenissimo. In un viale a lastrico trovansi i busti marmorei di dotti e celebri catanesi, così degli antichi come dei tempi moderni. Negli ultimi anni questa villa è stata allargata, ed offre una piazza in cui il pubblico trova come spassarsi, passeggiandovi anche in carrozza ed a cavallo, mentre le più squisite melodie fan ricordare che si è nella patria del Bellini. Nella medesima via Stesicoro-Etnea, non lungi dalla villa Bellini, è il nuovo Orto Botanico fondato non è guari sotto la sapiente direzione dell'illustre padre D. Francesco Tornabene, sin dai primi anni giovanili professore di botanica nella università di Catania.
   Ritornando al centro della città si potrà visitare l'anfiteatro. Il livello del suolo pel quale vi si entra conduce in un sotterraneo, che era la loggia esteriore, che per lungo tratto cammina sotto terra. Si è dunque molto al di sopra dell'antico suolo. La parte che se ne può osservare consiste in tre archi, che sostenevano l'ordine superiore, alcuni massi di pietre riquadrate con buchi, ove fissavansi le aste, che sostenevano il velario, il corridore inferiore con varie stanze, alcuni pilastri, un passaggio scoverto, che gira intorno all'edifizio; avanzi di sedili di pietra calcarea, avanzi di un acquidotto, che si dirigeva verso l'arena. Dalla curva visibile e scoverta di questa parte del monumento ben si può calcolarne la grandezza della elittica, e si può ben conoscere la sua magnificenza, che è la più bella testimonianza dell'antica catanese grandezza, e che nel rimanente è sepolto sotto il vico della Neve, lo spedale S. Marco, la piazza Stesicoro, la chiesa della Calcarella, la strada del santo Carcere e la strada del Penninello. Quanto dunque si osserva non è che un piccolo avanzo dell'anfiteatro catanese del quale il grande asse esterno misurava metri 125, l'interno 51. La circonferenza esterna 809, l'interna 139. Vi erano 56 archi, 32 sedili a tre ordini, due numeri di precisione. Era alto metri 31, e vi entravano 15 mila 591 spettatori. -- Questo monumento, eretto dai Romani, o meglio da una colonia composta da emigrati romani, che lontani da Roma non vollero rinunziare alle abituali scene alle quali volentieri solevano assistere, fu abbandonato quando quella razza d'inumani spettacoli andò in disuso, e mano mano fu distrutto dalla mano dell'uomo. Totila re dei Goti permise che se ne cavassero i materiali per cingere di mura la città. Il conte Ruggiero normanno fece uso delle magnificenze dell'anfiteatro onde adornare la cattedrale da lui fondata. Nel secolo XVI il senato di Catania concedeva le rovine dell'anfiteatro per farsene abitazioni. In seguito ne furono abbattuti gli avanzi, spianato il suolo, e colmato di terra per dar comodo alle truppe di potervi fare le rassegne e gli esercizii militari. Così venne distrutto l'ordine superiore, e seppellita profondamente l'arena. Per il tremuoto del 1693 vi si ammassarono altre rovine, e l'anfiteatro sparì interamente. L'illustre e benemerito principe di Biscari, addolorato nel sentire alcuni stranieri, che negavano a Catania questo edifizio rammentato dagli antichi scrittori, impiegò non indifferenti somme del suo denaro per restituirlo alla patri. In due anni ne portò al giorno un intero corridoio di quelli, che sostenevano i sedili, e quattro grandi archi della galleria esterna. -- Il viaggiatore potrà condursi a visitare la bella e grandiosa chiesa di s. Nicolò l'Arena, a cui è contiguo il monastero dove sino al 1866 furono i Padri Benedettini Cassinesi. Così la chiesa che il monastero sono una riedificazione, perchè gli edifizii, che dianzi vi erano, furono rovinati dal tremuoto del 1693. Il prospetto della chiesa è incompiuto. Quasi ogni altare ha un bel quadro; e tutti sono di scuola romana. Quello di s. Gregorio Magno è del Camuccini, il martirio di s. Placido e santa Flavia del cavaliere Campolo, e due quadri di s. Benedetto del Cavallucci. Il coro scolpito a mezzo rilievo rappresentante fatti biblici, fu lavorato con gusto da Niccolò Bagnasco palermitano. Il magnifico altare è di agate, e tutto ornato di fregi di bronzo dorato. In fondo alla chiesa, nel coro, è il famoso armonico organo, opera del calabrese Donato Del Piano. Costò al modesto artista dodici anni di lavoro ed ai monaci dieci mila once (127000 lire) di spesa. Vi sono 72 registri, cinque ordini di tastiere e 2916 canne. Fu fatto nella seconda metà del secolo XVIII. Il buono fabbricante volle che il suo cadavere fosse seppellito sotto questo suo capolavoro. -- La meridiana che si osserva in questa chiesa è opera dei signori barone di Waltershausen e Peters, così conosciuti pei profondi lavori fàtti sull'Etna. -- Nella sagrestia un quadro del Novelli esprime Tobia liberato dall'angelo; e la istituzione delle varie congregazioni benedettine è opera di Mariano Rossi detto lo Sciacchitano. Vi si conservano dei pregevoli arredi sacri, e molte reliquie, tra le quali una dei chiodi di Nostro Signore. -- Il grande edifizio unito alla chiesa, da monastero fu tramutato in luogo di pubblico insegnamento, e vi sono il Liceo, l'Istituto tecnico ed il nautico, il Ginnaseo, e molte altre scuole. -- Le suddivisioni fatte nel locale ne hanno ecclissato la grandiosità dell'euritmia interna. -- Nella biblioteca, che è di 20000 volumi, sono degni di essere osservati alcuni diplomi, vari codici, alcuni pregevoli manoscritti, una Bibbia sacra con miniature in oro, un ufficio della Madonna, una regola benedettina in dialetto siciliano, un codice antichissimo in pergamena, un codice della Divina Commedia ed altri volumi. Il degno bibliotecario che la regola ha in quest'ultimi tempi illustrato molti diplomi, codici e libri di prima stampa. Vi si osservano anche delle stampe del secolo XV. Nell'Archivio si conservano 3000 pergamene. Il Museo che occupa non poche spaziose stanze, offre un pregevolissimo quadro di Antonello ivi gelosamente depositato; tramutato da altro posto da dove forse avrebbe potuto sparire. -- Al locale descritto è vicino l'antico Odèo. Si sa come questi edifizii servivano per le pruove della musica, ed erano contigui al teatro, come si osserva in questo di Catania, dove una bella scala dava il passaggio dall'uno all'altro di questi edifizii. L'Odèo è molto ben conservato. Ha due ordini di sedili, un solo ingresso, ed una orchestra. É circondato da 17 stanze a volta inclinata, delle quali ne rimangono 11, trasformate in abituri di poveri. Secondo il duca di Carcaci questo Odèo era capace di 1312 persone. La semicirconferenza interna di questo edifizio misurava 22 metri e 6, l'esterna metri 67 e 7.
   Dall'Odèo si va facilmente alla via del Teatro Greco e può visitarsi quest'altro monumento dei giorni della civiltà greca. Una magnifica scala, metà scoverta, e l'altra no, che è a volta, formata da grossi mattoni a più ordini, conduce al teatro. Tuttora si osservano avanzi di tre ordini di corridoi, i quali conducevano all'orchestra ed al primo ed al secondo precinto della volta, che sosteneva il colonnato del terrazzo; varie nicchie, una vasca impellicciata di marmo nel suolo, nella quale vasca scorrevano acque correnti e piovane, che servivano a lavare il teatro; un sotterraneo acquidotto fabbricato di pietre calcaree, del quale non si sa l'uso; una stanza curule destinata al personaggio, che presedeva allo spettacolo; pezzi di pavimento dell'orchestra, formati di marmo bianco con rosso antico, sotto i quali sono dei piccoli condotti di acqua, che prendono varie direzioni. Il rimanente di questo edifizio è in parte distrutto ed in parte sepolto sotto la strada. -- Da questo luogo si può andare alla chiesa del Collegio, nella quale all'altare maggiore si osserva una statua di s. Ignazio di Lojola, colle quattro parti del mondo, opera insigne del passato secolo. Nella chiesa del Monastero di s. Benedetto si osservano dei buoni quadri moderni, fra i quali uno del valente Michele Rapisardi. -- É vicina la chiesa dell'Immacolata, dove si può ammirare una copia dello Spasimo di Sicilia, nella quale si legge il nome di Giacomo Vigna e l'anno 1541. Si vuole che il Vigna sia stato scolare di Raffaele di Urbino. -- È vicina la Piazza di s. Filippo [oggi Piazza Mazzini -NdR], che è adorna di portici, le di cui colonne che la circondano, furono cavate dal posto del convento di sant'Agostino. Vi rimasero giacenti nel chiostro sino al 1693, e fu dopo la catastrofe del tremuoto di quell'anno che nella riedificazione della rovinata città, furono qui collocate. -- Qui presso vedesi una lapide la quale fa conoscere che in quella casa addì 3 novembre 1801, nacque Vincenzo Bellini. -- Dalla piazza di s. Filippo si va al Castello Ursino. Dicesi che fu edificato da Federico II Svevo nel 1232 onde tenere la città in freno poichè una volta da questo punto veniva dominata. La celebre eruzione del 1669 cambiò assolutamente il livello di questa parte della città. Il fuoco uscito dal posto in cui sono i Monti Rossi, che formaronsi allora e ne furono il cratere, devastando campagne, distruggendo paesi, e da per tutto spargendo desolazione e lutto, venne in città, ed oltre all'avere bruciato varii quartieri, coprì i bastioni di s. Giorgio e di santa Croce sotto questo castello, ne riempì i fossati, e circondò le due grandi torri di mezzogiorno. Così la faccia del luogo fu cambiata, ed ora il castello serve di quartiere, ed esiste come monumento, che ricorda i tempi delle guerre aragonesi, quando fu spesso residenza di sovrani, e testimone di fatti importanti della storia siciliana.
   Il castello era prima alla spiaggia del mare, ma le lave che lo circuirono, nel rispettarlo, trascorsero sulle acque e formarono la nuova spiaggia, lì dove, quasi stanche del tanto distrurre campagne e case, e di spaventare la misera umanità, che ne era spettatrice, si fermarono in quel modo che tuttora può osservarsi.
   Dalla piazza del castello Ursino, retrocedendo un poco sopra i proprii passi, e poi piegando verso diritta, si va al convento dell'Indirizzo, dentro del quale osservasi una bellissima stanza ottagona coperta di maestrevole cupola, formata di pietre riquadrate, tutte di uguale altezza, in modo da sembrare composta da tante zone regolari. Questo edifizio è certamente un Laconico, lo che, come dice il Biscari, non si potea con certezza affermare nell'anno 1779, restando allora la maggior parte sepolta, ed occupati i posti adiacenti da varii oratorii per uso di alcune congragazioni di devote persone. Sloggiate queste per volontà sovrana, e sgombrata la terra, oramai quel luogo offre dei particolari di grande soddisfazione pei visitatori. Vi si vede il luogo della fornace, il passaggio per andarvi, e parte anche del sotterraneo, che riceveva il calore del fuoco. Si osserva anche il modo come il calore comunicavasi. Passando gradatamente sotto il pavimento delle stanze laterali, vi si ravvisa come un luogo comodo, ed il posto della sedia stercoraria e l'orinatorio. -- Da questo punto può il viaggiatore recarsi al porto, di modernissima costruzione, e che ha già dato a Catania immensi vantaggi. -- Da qui si può andare al Museo del principe di Biscari, Ignazio Paternò Castello principe di questo titolo, cultore esimio delle patrie cose, che ne fu il fondatore, e lo aprì nel 1758. Gli oggetti, che vi si osservano furono nella maggior parte rinvenuti dal dotto principe nelle sue ricerche archeologiche in più luoghi della Sicilia. Nei due cortili del museo appositamente fabbricato, si osservano dei sarcofagi e delle figure a mezzo rilievo, delle statue, e fra tutti gli oggetti primeggia la statua del fondatore.
   Il lastrico di questi cortili è formato da pezzi di pietra calcare, che formavano il pavimento dell'antico foro. Quanto si osserva nelle sette stanze, che formano il museo Biscari e nelle altre più piccole, può dirsi un avanzo di quanto vi fu collocato dal fondatore. Vi sono oggetti antichi, così greci che romani, e non ne mancano dei bassi tempi, in fatto particolarmente di armature. Presso la famiglia del fondatore esiste una raccolta di monete.
   Non mancherebbe qualche altro avanzo di anticaglie; ma essi richiedono che colla immaginazione su supplisca al molto che vi manca, desumendolo dalle poche vestigia che rimangono.
   Non sarà spiacevole il dire alcun che degli acquidotti, dei quali i piccolissimi avanzi pare che esistano perchè non se ne perda assolutamente la memoria. Avevano incominciamento il Licodia, dove se ne osserva il principio, che chiamano oggi la botte dell'acqua, e per venti e più chilometri portavano l'acqua a Catania, racchiusa talora in sotterranei condotti; e talora sopra lunghe arcate. Non lungi dalla città, in un luogo dietro il monastero dei Benedettini se ne osservano due pezzi, uno di quattro archi, e l'altro di due, avanzo miserabile di quel monumento, che venne rovinato o dalla eruzione dell'Etna del 1669, o dalla mano dell'uomo, quando si edificarono le mura della città, sotto la vicereggenza di Los Velas (1641-1647) come narrano Carrera ed altri scrittori di memorie patrie.
   Uscendo di città per la via Garibaldi si va al Cimitero, che già da qualche anno si costruisce, e che ha un disegno grandioso. Vi sono delle sculture decorative, tra le quali dodici busti in alto rilievo rappresentanti i dodici apostoli. Vi sono anche dei monumenti, che ricordano i nomi ed i fatti di coloro, i di cui cadaveri vi hanno avuto sepoltura.

Nota

(1) A chi voglia avere nelle mani delle indicazioni particolareggiate su questa importante città, proponiamo: 1. Descrizione di Catania e delle cose notevoli nei dintorni di essa. Fu pubblicata senza nome dall'illustre Francesco Paternò-Castello duca di Carcaci, che ne fece due edizioni. -- 2. Guida Letteraria, Scientifica, Amministrativa e Commerciale di Catania. Catania 1881. -- 3. Catania, Guida tascabile per il viaggiatore. Catania 1882.

Bibliografia su Catania

Guida letteraria, Scientifica, Artistica di Catania. Catania 1884.

Prof. Orazio Silvestri, Un viaggio all'Etna. Roma Torino Firenze, Ermanno Loescher, 1879. Tale prezioso volume dall'illustre autore dedicato agli aplinisti italiani, offre una succinta istoria scientifica del più famoso fra i vulcani, e ne espone le vicende e i fatti più notevoli in modo da destare il più grande interesse ed il desiderio di visitarlo.


Quest'edizione digitale preparata da Martin Guy <martinwguy@yahoo.it>
Prima edizione digitale: 30 aprile 2002.