LA
                           RIVOLUZIONE IN CATANIA
                                NEL 1647-48
                        NARRATA DA UN'ANTICA CRONACA
                                 ILLUSTRATA
                             DAL SAC. G. LONGO
                                     *
                                  CATANIA
                          REALE TIPOGRAFIA PANSINI
                               ______________

                                    1896
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   Note su quest'edizione digitale (versione 0.99 beta, 28-6-2002: tutto
   riletto e corretto tranne per le note)

   Che sia benedetta la scrupolosa anima del Sac. G. Longo! Un secolo fa
   si e` dato tanta cura a portare alla luce cio` che egli chiamava "i suoi
   sbadigli storici" che oggi la citta` di Catania di trova arricchita di
   molte notizie sulla propria storia, che altrimenti, se non perse del
   tutto, sicuramente non sarebbero conosciute.

   Qui ripeto il suo lavoro conservando e pubblicando un manoscritto in
   cui vengono descritti da un testimone oculare ben informato e schietto
   gli sanguinosi tumulti rivoluzionari catanesi del 1648.

   I numeri fra parentesi nel testo rimandono alle note del Sac. Longo,
   le quali si trovano alla fine di quest'archivio. Non le riproduco
   tutte; ommetto quelle in cui il Sac. Longo da` rilievo alla differenza
   fra questa versione dei fatti e quella di un certo Rizzari, e quelle
   in cui riassume il contenuto del manoscritto.

   Mi rimane solo di ricordare che il mio segno [sic] nel testo sta a
   significare che la parola o frase precedente, sebbene pare strana, era
   proprio cosi` nel testo originale, e di notare l'uso archaico nella
   grammatica e nell'ortografia, in particolare, l'uso della forma "furo"
   per l'odierno "furono", eccetera.

                              Martin Guy, Catania e Raddusa, maggio 2002.
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                           Tabella dei contenuti
     * CAP. I.: IL 27 MAGGIO
       In questo giorno cominciano i moti rivoltosi della plebe e in fine
       dello stesso giorno, per l'intromessa opera del Principe di
       Biscari, cessano per poco.
     * CAP. II.: DAL 28 MAGGIO ALL'8 GIUGNO
       La plebe monta sempre piu` in ira contro la nobilta` e, pazza della
       vittoria riportata, ne abusa; cio` che indispettisce molto la gente
       onorata.
     * CAP. III.: DALL'8 AL 25 GIUGNO
       La plebe esasperata perche` andava dicendosi che i nobili avevano
       scritto contro di essa al Vicere`, si muove a nuovo e piu` feroce
       tumulto, s'impadronisce della Citta e la governa.
     * CAP. IV.: IL 28 GIUGNO
       La nobilta` inanimata da molti uomini dabbene si muove contro la
       plebe e ne fa scempio abusando alla sua volta della vittoria.
     * CAP. V.: DAL 29 GIUGNO ALL'8 OTTOBRE 1647
       La plebe non si da` per vinta, contende ancora ai nobili il governo
       della citta', molti congiurati ne meditano la rovina, un forte
       temporale impedisce l'esecuzione dell'orribile congiura.
     * CAP. VI.: DAL 9 OTTOBRE A TUTTO GENNAIO DEL 1648.
       La nobilta` sopraffa` la plebe, questa aspetta l'occasione di
       vendicarsene.
     * CAP. VII.: DAL 10 FEBBRAIO AL 23 MARZO 1648.
       Si presenta l'occasione di una nuova rivolta della plebe; Girolamo
       Cutugno la capitaneggia; i nobili presi da timore abbandonano la
       Citta`.
     * CAP. VIII.: DAL 25 MARZO A TUTTO GIUGNO
       Il Vicere` scrive lettere favorevoli alla plebe la quale,
       acconsentendo, accoglie un Governatore straordinario che rimette
       nella Citta` la perduta quiete.
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                             AI NOBILI CATANESI
                         DEGNI NIPOTI DI QUEGLI AVI
                           CHE EBBERO GRAN PARTE
                            NEI FATTI MEMORANDI
                        ACCENNATI IN QUESTA CRONACA
                          CHE MOLTO CONTRIBUIRONO
                           AL RITORNO DELL'ORDINE
                             QUESTO MIO LAVORO
                                  O. D. C.
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                                  CAP. I.
                                IL 27 MAGGIO

   In questo giorno cominciano i moti rivoltosi della plebe e in fine
   dello stesso giorno, per l'intromessa opera del Principe di Biscari,
   cessano per poco.

      A 27 Maggio, lunedi`, ad hore 16 e mezza 1647 si trovarono nelli
   publici luoghi della citta` di Catania molta quantita` di cartelli
   dicendo di questa maniera: all'armi, all'armi ed altri: al sangue, al
   sangue contro la nobilta` di detta citta` di Catania, cennando tutto al
   mal governo (1). Alcuni sacerdoti dabbene, veduto questo, subito
   ragunatisi andaro dove era la Citta` (2) pregandola che per l'amor
   di Dio dasse rimedio a queste indemoniate genti, che li levasse le
   gabelle accio` fossero dappoi dell'errore avvisate. Li detti giurati
   non vollero levare le gabelle conforme quelli sacerdoti li
   consigliavano, ma vollero prima donarne parte a S. E. (3) per
   sapere che cosa si doveva fare che la citta` di Catania si dubitava non
   facesse conforme si stava facendo nella citta` di Palermo con l'armi in
   mano e mandaro a S. E. tutti li cartelli quali si trovaro come sopra.
   Mentre che si stava in questo, che non ancora la Citta` aveva spedito
   il correro, ecco che si vidde tutta la Citta` con le armi in mano, di
   ogni conditione, tutti gridando: serra, serra, al sangue, al sangue,
   al foco. Tale spavento, posso ben dire, di non havere veduto mai i
   nostri antenati: chi piange padre, chi marito e figli, chi per le
   chiese e chi per confessione, pallidi tutti quasi ombre di morte.
   Mentre si stava in questa pallidezza ecco calare dalla Civita Don
   Bernardo Paterno`, nipote di Raddusa (4), con l'armi in mano,
   seguito da mille marinai benissimo armati con suoi moschetti e forniti
   di monitione. Essendo nella piazza con molti gridi e strepiti, ecco
   che calano il Corso da mille homini molto bene armati gridando ognuno:
   al sangue, al sangue. Nella stessa piazza ecco dalla Triscini (5)
   calare da due mila homini molto bene armati. In questo cala ancora
   tutta la mastranza e altre genti da due mila homini di fatto armati
   con spade, scopette, pugnali, soffioni et altre armi. Dire non si puo`
   con penna il caso orrendo; solo io che fui a vista posso appena col
   mio pensiero raffigurarmi di nuovo quel tempo, accio` preghi Iddio che
   non piu` possa tornare tale tempo e tale hira; tutto intanto per li
   nostri peccati! (6)
      Mentre si stava in questo non si sapeva che fare: chi dicea una
   cosa, chi un'altra, chi voleva distruggere case e chi abrugiare; tutti
   poi in una voce risolvettero che si abrugiassero tutti li nobli, e
   cosi` gridarono: alle frasche, alle frasche; et ecco che in un punto si
   vide la piazza piena di frasche e legna.
      Mentre si stava carreggiando frasche furo scarcerati tutti li
   carcerati e si voleva ancora scarcerare quelli dello Castello (7),
   ma il Castellano non volle darli e stava in sua guardia con il ponte
   tirato.
      D. Cesare Tornabene, Capitano della Citta` (8), visto allora il
   gran pericolo, ordino` al Castellano che escarcerasse tutti li
   carcerati e cio` per evitare maggior danno. Cosi` tutti li carcerati
   essendo fuori, rivati nella piazza incominciarono ad abrugiare e
   ardere. Alcuni spiriti maligni dettero ad abrugiare le carte dello
   patricio e quello dello capitano; e cio` fu di gran rovina per questa
   povera citta` poiche` si abrugio` tutto l'archivio, cosi` criminale, come
   quello civile, di anni 50 addietro; cio` e` stato e sara` di molto danno
   alla Citta` per tale abrugiamento di archivio. Vedendo tanta
   perditione, subito il sig. D. Francesco Amico (9), Vicario
   Generale in sedia vacante, si piglio` il SS. Sacramento et usci` fuori
   nella pubblica piazza, dove era quasi tutto il popolo con l'armi in
   mano facendo stragi e rovina. Tutto che con la vista del Gran Nostro
   Iddio si balcasse un poco l'empia rabbia di alcune genti, tuttavia non
   fu bastante per tale moltitudine di genti le quali non si lasciavano
   affatto correggere. Come anco uscirono li padri di Gesu` della
   Collegiata con il SS. Crocifisso, accompagnato da tutti quelli padri
   che si mortificavano gridando: misericordia e andavono per le strade:
   parte battendosi con capi di corda e parte con catene; ma essi non
   furono bastanti a corregere la moltitudine. Usci` financo la Custodia
   della Collegiata accompagnata da molta gente gridando tutti:
   misericordia, e nemmeno cio` fu bastante. Usci` finalmente il SS.mo che
   allora era esposto nella parrocchia di S. Filippo, come e` hordinario,
   accompagnato da molti cavalieri, genti ordinarie e donne scapillate,
   tutti gridando: misericordia. Tutti andarono verso la publica piazza
   che allora era piena di fuoco e vampe, che salivano e passavano la
   Loggia (10). Mentre che quella gente si stava in questo fracasso
   et erano giunti tutti questi che innanti ho detto, per sommo miracolo
   di Dio, incomincio` l'ira a balcare, che altrimenti sari`a finita male;
   se non fosse stato per l'aiuto del Sommo Iddio gia` questa Citta` fora
   stata distrutta e facta come dette male genti havevano divisato di
   fare, poiche` havriano abrugiata tutta la Loggia (11) con tutto
   l'archivio come avevano abrugiato tutte le leggi della Citta`, buffetti
   ed altri arnesi. Veduto questo, parte del popolo honorato fecero
   subito cavalcare il signore D. Agatino Paterno` Principe di Biscari, il
   quale calando con due suoi carissimi fratelli nella pubblica piazza
   (dove si stava con tanta afflitione e con tante mila persone, tutte
   armate, et il signor Vicario Generale in quel mezzo con il
   SS. Sagramento in mano) incomincio` a gridare resicando sua vita e
   tutto confidato in Dio: Viva il Re di Spagna.
      Tutta quella genta, vedendo il Principe, lo seguirono, et
   incominciarono a gridare: Viva il Re di Spagna et fora gabelle. Con
   questo mezzo termine si quetarono tutti et incominciarono a domandare
   di levare le gabelle, e fecero due Giurati popolari; questa zuffa duro`
   sino ad hore 20 in cui si fecero li detti giurati. Il primo fu Filippo
   Mancarella et il secondo Giuseppe Incontro e delli sei giurati, che
   erano nobili, ne foro levati due e foro il Sig. D. Ercole Gravina et
   il Sig. D. Francesco Ramondetta (barone del Pardo). Si dese poi
   possesso alli due Giurati cittadini con molto honore et pompa, tutta
   la gente li accompagno` in forma di giurato, con li tamburi a cavallo e
   le trombe a cavallo, e con li altri giurati nobili alla spada, e tutto
   il popolo appresso con l'armi in mano gridando: Viva il Re di Spagna e
   fora gabelle. Tutto questo giorno si passo` in questo come ho detto, e
   fu la prima giornata.
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                                  CAP. II.
                         DAL 28 MAGGIO ALL'8 GIUGNO

   La plebe esasperata perche` andava dicendosi che i nobili avevano
   scritto contro di essa al Vicere`, si muove a nuovo e piu` feroce
   tumulto, s'impadronisce della Citta e la governa.

      Il giorno seguente che fu il 28 di Maggio, il martedi`, si andava
   dicendo che li nobili volevano fare tradimento alli popoli e che
   havevano scritto a S. E. contro detti popoli. Per questo il popolo
   adirato incomincio` piu` furioso del giorno passato, e cosi` si vidde di
   nuovo la plebe contro la nobilta`; volevano tagliar questa tutta a
   pezzi e con le donne e coi figli; cosi` si vidde sin dalla mattina una
   serra serra e ognuno alle armi. Questo giorno fu piu` di terrore del
   giorno passato, che se non fosse stato per gli uomini honorati, tutti
   li nobili si avriano tagliati a pezzi. Pero` non si potte reparare in
   tutto, in quanto che si porto` frasca alla casa di D. Francesco
   D'Alessandro et di D. Pompeo La Torre e vi danno fuoco, e a colpi di
   moschettate misero tutto il palazzo in gran pericolo. Allora molta
   gente vedendo questa rovina, fecero uscire il SS. Sacramento della
   Matrice Ecclesia e portatolo al detto loco si balco` per poco l'ira di
   quelle genti alla vista del Grande Iddio. Pero` non tanto si potte
   riparare, per quanto che tutte le finestre et invetrate le fecero
   andare per l'aira [sic] a colpi di pietre e di moschetti, e questo fu
   la mattina. Essendo doppo mangiare, 28 Maggio, di nuovo la plebe
   incomincio` contra la stessa nobilta` a volerla tagliare a pezzi,
   inventando la gente che li nobili havessero gia` scritto a S. E. contro
   di essa. Fu gran caso in questo giorno che li popoli serraro tutta la
   nobilta` nel Seminario, e poi fecero lettere a S. E. e di poi fecero
   uscire li nobili ad uno ad uno e li fecero sottoscrivere quelle
   lettere, con farli dire che quella mozione le havevano fatta li nobili
   e che li giurati cittadini li avevano fatto detti nobili ed altri e
   mille capitoli; tutto consistendo di essere stati li nobili la causa
   di quella ribellione. Quelli cavalieri, che non erano subito a
   sottoscrivere, li minacciavano con il pugnale nel petto e subito
   mandavano le frasche, di cui era piena la piazza, alle case di essi
   cavalieri per darle fuoco. Quelle abrugiate furono molte, ma le prime
   foro le Torri, le seconde foro le case di Michele Asmundo, terzo la
   casa di D. Bernardo De Felice Bevecito ed altre; ma perche` si stavano
   genti honorate, le quale vedevano cosa che li popoli seguivano a fare,
   subito corrono con il SS. Sacramento sopra il loco a cosi` non li
   lasciaro fare piu` danno. Il mercoledi`, che fu il 29, si getto` banno
   che diceva: tutti fora cappa sotto pena della vita et ognuno andare
   con spata e pugnale e qualsivoglia altra sorte di arme che avesse
   voluto portare. Si fecero in quel giorno le forche nella Fera (17)
   e si tenne Consiglio di quello si doveva fare. Il Giovedi` (30 Maggio)
   si fecero li Capitani delli quartieri con sette alfieri e foro tutti
   nobili e foro questi:--della Santissima Trinita` il Capitano fu
   D. Giuseppe Rizzari e l'alfere D. Pietro Moncada--di Sancta Agatha la
   Vetera D. Gasparo Rizzari e l'alfere D. Vincenzo Gravina--della Civita
   D. Bernardo Paterno` e Raddusa e l'alfere...--della Porta di Mezzo
   (20) D. Giacomo Platania e l'alfere D. Ignazio Asmundo--del
   Castello D. Franco Scarfellito e l'alfere D. Francesco Paterno`--di
   S. Margherita...... (mancano nel manoscritto i nomi degli altri
   Capitani ed alfieri).
      Il Venerdi`, 31 Maggio, Sabato, 1 Giugno e la Domenica seguente si
   fece la raccolta della somma di trentamila scudi per comprare tanto
   frumento per servitio della Citta` e per altri bisogni; quali denari li
   dettero D. Vico Ansalone, Michele Asmundo, D. Francesco Paterno` alla
   Fera, e D. Giovanni Todisco.
      Si mandaro a Sua Eccellenza li innanzi detti Capitoli ben fatti e
   sottoscritti da tutta la Nobilta`, quali detti Capitoli li porto`
   D. Lorenzo Promintorio et il padre Priore di S. Teresa.
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                                 CAP. III.
                            DALL'8 AL 25 GIUGNO

   La plebe monta sempre piu` in ira contro la nobilta` e, pazza della
   vittoria riportata, ne abusa; cio` che indispettisce molto la gente
   onorata.

      Si stette di questa maniera insino alli 8 di Giugno: sempre si
   stava con l'anima sospesa in tutta la Citta`, e con molta guardia sopra
   le mura e anco a cavallo con le scorti e tutti con le armi in mano e
   particolare le maestranza, che non lasciavano mai l'armi. Essendo cosi`
   rivati insino alli 8 di detto mese di Giugno, D. Alessandro Gioeni,
   che era capopopolo, incomincio` ad andare componendo per tutta la Citta`
   con dire che esso mandavano le genti per denari e quei poveri
   cavalieri lo credevano e fece molti componimenti (22). Ma Iddio
   fece scoprire la sua furberia poiche` di quello, che detto Gioeni
   faceva, alcuno non ne sapeva niente, onde le genti, scoverto questo,
   andaro per pigliarlo e strangolarlo. Esso fuggi` e non si pote` trovare
   ne` vivo ne` morto.
      Alli 10 di detto mese di Giugno vi fu anco Mastro Antonio Giusto
   corvisere congiurato che con cinque altri, la notte seguente, si
   lanciaro nella casa di una povera per derubarla e in effetto la
   derubaro e dopo l'ammazzaro. Subito la mattina si provo` il caso e
   pigliaro prima....... (nel manoscritto manca il nome) compagno di
   Giusto il qual era stato alla detta casa e lo pigliaro nella Chiesa.
   La plebe lo porto` alla forca per appiccarlo, ma perche` non era li` chi
   havesse fatto l'ufficio di appiccarlo e nemmeno il sacerdote che
   l'avesse a ricordare (23) e perche` alcuni incominciaro a dire che
   prima di dovessero prendere le informazioni se costava il fatto e che
   doppo l'avessero appiccato, cosi` con questa condiione lo portarono
   carcerato. Pigliaro poi subito il secondo, mastro Antonio Giusto et
   anco lo portaro carcerato con l'altro. Alli 14 di detto mese di Giugno
   di nuovo per alcuni senza mente si disse: serra, serra e questo duro`
   per insino alla sera, e si dette fuoco alla casa del Clerico
   D. Francesco Alfano il quale si diceva essere della fellione della
   nobilta`; si porto` di nuovo frasca alla casa delle Torri ma perche`
   subito li ando` il Santissimo non si lascio` far danno. Alli 15 di detto
   mese si mando` il sergente maggiore, che si chiamava D. Antonio, in
   Palermo a S. E. il Vicere`.
      Alli 16 venne avviso da S. E. che la Citta` havesse a mandare
   persona per essa a Palermo et anco che andasse li` il detto Signor
   Principe di Biscari. Alli 20 di detto mese si parti` in fatto il detto
   Sig. Principe con il Sig. Filippo Mancarella, giurato cittadino, i
   quali si portarono 100 compagni et homini di rispetto in sua
   compagnia. Rivati in Palermo si seppe per la Citta` di Palermo che
   venivano questi mandati dalla Citta` di Catania, ai quali voleva uscire
   all'incontro tutto Palermo; saputo questo S. E. non volle che alcuno
   andasse incontro che si dubitava un nuovo tumulto (26), e cosi`
   quelli di Catania entraro da privati, ma cio` non pertanto non poteron
   ottenere che alquante persone non li andassero incontro.
      Ai 21 di detto mese il popolo di Catania carcero` D. Francesco
   Tornabene nella grada (27) delle Carceri e vi pose un 20 persone
   in guardia; ai 22 il popolo di detta Citta` carcero` nell'istessa grada
   Don Vincenzo Paterno` e Raddusa. La carcerazione di questi due
   cavalieri non parse bona a tutti, ma dispiacque a molti. E perche` si
   vedeva che si facevano le cose senza ragione, ogni persona era mutata,
   e perche` erano molti homini senza ragione, i quali dominavano, a ogni
   poco si stava con molto timore di cuore.
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                                  CAP. IV.
                                IL 28 GIUGNO

   La nobilta` inanimata da molti uomini dabbene si muove contro la plebe
   e ne fa scempio abusando alla sua volta della vittoria.

      Il 28 di detto mese, di Giugno, ad hore 17 sonate, giunse l'avviso
   venuto da Palermo che avea portato D. Lorenzo Promintorio; per detto
   avviso si stava tutta la citta` mostrando con molta malinconia et
   oscurita`. Mentre si stava in questo lutto, che pareva minacciasse
   rovina per tutto il mondo, e ogni cittadino si stava pallido e mesto,
   si vide tutta la Citta` essere circondata dalli padri religiosi, mossi
   di santo zelo al vedere tale giorno. Essi con crocifissi in mano, con
   catene si battevano e gridavano perdono e misericordia a Dio: pareva
   che in quel momento dovesse subissare Catania.
      Et ecco in questo punto, quasi in un niente venire l'ira di Dio la
   quale pareva dicesse: a voi peccatori distruggetevi fra voi; ecco
   imbrunarsi l'aere mesto e pallido, adirarsi tutto il popolo di Catania
   contro l'un l'altro e sentirsi il suono di trombe e di tamburi. In
   questo rivo` il misero e dolente Giacomo Cicala il quale era homo di
   poca coscentia et haveva composto alcuni della Citta` e rivo`, in
   quest'ira, nella piazza in cui era allora il Quartiero del Castello.
   Rivato in quest'ira ecco che a colpi di moschettate et a punte di
   spada, senza che avesse potuto parlare, li levarono la testa dal
   busto. Qui non si puo` con penna narrare quel tanto che in questa
   sfortunata Citta` ebbe potuto succedere, poiche` si vidde tutta la Citta`
   in un fuoco: ogni campana all'armi, le trombe e i tamburi per tutta la
   Citta` e tutti gridando: all'armi, all'armi, guerra, guerra. Si vedeva
   contro il padre il figlio e contro il fratello il suo fratello, e
   delle donne chi piange padre e chi marito e i figli; non si sentiva
   piu` che archibuggiate e non si vedeva che sangue per terra. Li padri
   religiosi con li crocifissi andavano per le strade, confessando ogni
   persona la quale non sapeva se si ritirasse viva. Ecco che della
   Civita calare tutti li marinari armati e contra di cui nemmeno essi
   sapevano, e il quartiere che era a guardia combattere contro di cui
   nemmeno esso il sapeva: il popolo tutto adirato contro di cui nemmeno
   esso sapeva. La nobilta` intanto tutta sotterrata piangeva e lagrimava
   poiche` si immaginava essere contra di essa l'ira dei popoli.
      Mentre si stava in questo che l'un cittadino sparava all'altro e
   quello banniava la testa di quell'altro (30), or pensa in che
   afflizione e pericolo si stava. In questa confusione parte del popolo
   honorato, ispirata da Dio, andarono al Sig. D. Cesare Tornabene,
   Capitano della Citta`, e lo trovarono ammucciato (31) con la figura
   di S. Antonio in mano, pregando al Signore che lo scampasse da tale
   ira. Onde quelli animandolo lo fecero cavalcare e quello, cavalcando,
   con il ritratto di Sant'Antonio in mano, sali` nella piazza, dove
   arrivato, vedendo tale judicio, incomincio` a fuggire verso il Convento
   di S. Nicolo` l'Arena per salvarsi, poiche` si era impaurito di tale
   judicio.
      Il popolo, andandogli d'appresso ed animatolo, lo fece ritornare,
   il quale, ritornato, comincio` a gridare: Viva il Re di Spagna. Essendo
   nella piazza, vedendo tale judicio, animato dal popolo honorato, detto
   Capitano bandi` per ribelle il misero e sfortunato D. Bernardo Paterno`
   e Raddusa con tutti li miseri e sfortunati marinari. Cosi` tutto il
   popolo irato ando` contro detto di Paterno` e marinari i quali si
   havevano pigliato la fortezza dello Bastione Grande (32). Arrivato
   il popolo con animo di danneggiare quelli del Bastione, trovo` per sua
   mala fortuna che li pezzi di detta forteza erano voltati tutti contro
   la Citta` e verso il popolo. Qui alcuno non puo` dire, ne` core umano
   restare di lagrime asciutto senza che qualche poco non sudi o pianga.
   Si adiro` talmente il popolo che urto` con la forteza e, mentre quelli
   della fortezza resistono, la Citta`, veduto in che pericolo era essa,
   subito ordino` al Castellano, il quale si domandava D. Gio: Serraval o
   Lonazol, che dal Castello battesse la forteza del Bastione Grande.
   Onde quello per tale ordine incomincio` a battere a colpi di cannone;
   allora detti poveri marinari abbarruati (33) tutti si lanciarono
   di detta fortezza e, trovando le barche in ordine nel porto, si misero
   in mare, ma tanti non potettero imbarcarsi, e cio` non pertanto non
   foro uccisi e pigliati, e cio` per sommo miracolo della gloriosa
   S. Maria della Dagara. Poiche` mentre si stava in questa zuffa, si
   senti` sonare la sua campana da se sola et andando molte persone nella
   Chiesa trovarono tutta l'Imagine con il vantiotaro (?) messa nel mezzo
   del muro e i suoi veli, tutti nell'aere. Vi concorse tutta la citta`
   mirando si` gran miracolo et altre cose d'ammiratione.
      Lascio da dire questo e ritorno al primo che mentre le moschettate
   avvampavano e si combatteva in quella fortezza, ecco che nella piazza
   si calaro tre pezzi di cannoni: l'uno guardava il Campanaro (35),
   l'altro la Trixini (36) e l'altro li Corviseri (37); tutti
   carichi di palle di moschetti: qui foro alcuni morti, quelli i quali
   erano signalati furo: il primo Giacomo Cicala, il secondo l'amaro
   Bernardo Paterno` (38) capo delli marinari e capo-popolo, il terzo
   patron Cola marinaro, il quarto patron Pietro Stagno, il quinto patron
   Giuseppe Stagno fratelli, ve ne furono uccisi molti altri assai,
   feriti molti altri. Li presi furono questi: Vincenzo Giardinello, il
   Tignoso vitellaro, il quale aveva brugiato l'archivio anzi detto,
   Carro lo Scocco, Carro di Giovanni e un marinaro i quali erano
   confidati con D. Bernardo. Molti marinari furo presi in Augusta e
   molti altri feriti, molti altri in Iaci, parte s'annegaro e parte se
   ne andarono per la Calabria. Lascio da dire il grande lamento che fece
   la madre del misero D. Bernardo, quando si vide passare di sotto le
   finestre l'amara testa del suo figlio, attaccata alla punta di un
   bastone; sulle prime non la pote` si bene e subito conoscere, pero`
   quando vidde il busto che il boia portava di sopra le spalle con tanto
   vilipendio, cadde in terra tramortita e vi stiede piu` di un'ora:
   dapoi, rinvenuta un poco tutta pallida, quasi fuor di se stessa, fu
   trasportata dentro le stanze. Fu necessario chiuderla in una stanza
   firmata (39) per timore che si buttasse dalli balconi. L'istesso
   giorno, ad hore 21, si pigliaro tutti li corpi e s'appesero parte
   nella publica piazza e parte nello piano della Fera per un piede e le
   teste si misero sopra la Porta di Iaci nelli pertugi.
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                                  CAP. V.
                      DAL 29 GIUGNO ALL'8 OTTOBRE 1647

   La plebe non si da` per vinta, contende ancora ai nobili il governo
   della citta', molti congiurati ne meditano la rovina, un forte
   temporale impedisce l'esecuzione dell'orribile congiura.

      Il posdimane, che fu il giorno 29 di detto mese di Giugno, subito
   il Capitano della Citta` ordino` che ognuno si mettesse i ferrioli
   (41), si sottraessero quelli appesi e che nessuno piu` parlasse di
   niente. Havvistosi pero` il popolo che li nobili si vantavano di haver
   fatte tante straggi, ne fu tutto adirato. Si vidde tutti di nuovo in
   un serra serra ed ecco li nobili chi fugge, chi si nasconde e chi si
   sotterra al sentire suonare li tamburi. Qui havrebbe successa l'ultima
   rovina di questa Citta`, se non che tutti li nobili incominciaro a
   dire: viva il popolo honorato della citta` di Catania; e a chi quindi
   veniva dato honore, costui evitava la zuffa. Cosi` si quieto` il popolo
   per miracolo del Sommo Iddio. In questo sempre governava la plebe
   nella Citta` e nessuno si provava a levarle questo dominio.
      L'ultimo di detto mese e il 1, 2, 3, 4 e 5 di Luglio il popolo
   s'andava consigliando di quello dovesse fare, e il consiglio preso fu
   contro la nobilta` e ognuno era per lanciarsele contro; ma perche` si
   stava aspettando la risposta da S. E. per questo ognuno non si moveva.
   Alli 6 di detto mese venne il correro da S. E. e porto` risposta che
   S. E. molto si tenne gradito del successo in Catania, di haver levate
   le teste a quelli dandoli per ribelli e tanto piu` perche` essi andavano
   componendo; e che S. E. voleva concedere alla Citta` di Catania tutto
   quello e quanto domandava e la restituzione dei Casali (42); pure
   venne ordine che si esterrassero (43) l'infrascritti e di mettersi
   ognuno li ferrioli e cosi` la Citta` con tutto il popolo si metteva in
   ordine. Li esterrati dal Regno da S. E. e R. G. C. furono: il primo
   D. Alessandro Gioeni, Notar Mase e Gio. Battista Di Mauro fratelli,
   Vito Randazzo, M.ro Diego Gargano e sette marinai. A' 23 Luglio 1647
   nella Cortina (44) sopra il Castello, la mattina ad hore 9, si
   appiccarono tre: Carlo lo Scapo, dato per ribelle, il Tignoso, come
   quello che incomincio` ad abrugiare lo archivio e come ribelle e M.ro
   Antonio Giusto come quello che uccise quella antedetta donna e come
   ribelle.
      A' 6 di detto mese di Luglio la Citta` haveva mandato a S. E. e
   R. G. C. risposta con la gratia quale domandava, che era questa: 1. il
   perdono di tutta la Citta`: 2. i giurati popolari in perpetuo (45):
   3. l'indulto generale: 4. la restituzione delli Casali: 5. la
   dilazione del civile contro cui dovesse havere con dare anni dieci di
   tempo: 6. La conferma della nullita` delli Capitoli quali haveva fatto
   il Marchese di Spaccaforno (46) a tempo che fu Vicario generale in
   detta Citta` di Catania il quale cunsumo` (47) la Citta`: 7. la
   reintegratione delli fuggiti, poiche` erano fuggite due mila persone
   per detto eccesso: 8. in ultimo, tutta quella gratia concessa alla
   Citta` di Palermo autore della ribellione del Regno di Sicilia e di
   Napoli (48). Cosi` stando le cose per poco tempo, ecco che li
   nobili havendosi preso il dito passo passo si presero la mano (49)
   e cominciarono a strapazzare li popoli con maltrattarli, e vedendo che
   li popoli non si movevano e che anzi si volevano star quieti, ecco che
   li nobili andavano inquietandoli. Cosi` si stiede insino alli 5 di
   Agosto e i nobili sovercchiavano talmente li nobili [sic] che, chi di
   questi parlava, lo mandavano carcerato. Ai 5 di Agosto Notar Gironamo
   Ronsisvalle, M.ro Gironamo Cutugno e Giuseppe Cutugno suo figlio,
   Giuseppe Lunzella nella bottega di M.ro Sebastiano Portoghese
   trovavansi tutti insieme. Il signor Capitano della Citta` li mando` a
   pigliare e li mando` carcerati nel Castello con molta custodia. Alli 8
   di detto mese di Agosto portarono alla tortura e in secreto il detto
   Mro. Girolamo Cutugno e li fecero molti tormenti. Il Cutugno era homo
   honorato, tale lo mostravono le opere sue e dalla sua bocca non scappo`
   parola da nuocere ad alcuno (50). Alli 9 di detto mese si carcero`
   il Sac. D. Bernardo Ali`, alli 10 furono carcerati questi: il Sac.
   D. Giovanni Femia e D. Giovanni Mazzoni e nella Citta` di Aderno` fu
   fatto ancora carcerare Francesco Parisi. In tutto questo mese di
   Agosto furono carcerate da quaranta persone, fra sacerdoti e secolari,
   e fra li altri era stato pure carcerato il Sac. D. Francesco Greco.
   Mentre si stava in questo laberinto e travaglio, dicono che questi
   carcerati cercavano di far fuga di dentro il Castello. Si stette in
   questo fino alli 28 di Settembre, nella mattina del qual giorno per
   molti luoghi pubblici furono trovati cartelli, i quali avvertivano il
   popolo che si trovasse in ordine con l'armi in mano a nuovo movimento
   e che ognuno si battesse con la nobilta`.
      Laonde tutta la nobilta` si pose in rivolta e, per l'ardire che
   havevano preso, tutti andavano armati con soffioni e pistole sine fine
   (51). Il giorno seguente il detto Sac. signor D. Francesco Greco
   mando` a chiamare a se` il signor D. Francesco Amico Vicario generale e
   li fece palese tutto: che quei cartelli erano stati posti per fare
   fuggire i carcerati e che cio` doveva avvenire la notte precedente, che
   i carcerati congiurati con alcuni soldati del Castello havevano da
   uccidere il Castellano e che dopo il Castello battesse la Citta` e che
   quelli di fora facessero fracassi dall'altra parte e che i carcerati
   stavano in quella notte aspettando le armi le quali doveva portarle il
   creato (52) di D. Vincenzo d'Amico domandato D. Vincenzo. Ma
   subito fu preso il detto D. Vincenzo con altri tre che furono questi:
   Mro. Vincenzo Statella, M.ro Vincenzo Serafino e M.ro Vincenzo
   Capizzi, tutti tre corviseri. La nobilta` con molta custodia prese
   questi e li portarono al Castello: al popolo che vedeva questo piu`
   s'invetravano (53) li occhi e si rodeva: ognuno dubitava di
   qualche tradimento e ognuno si stava per lanciarsi contro la nobilta`.
      Alli 8 di Ottobre, di notte, la nobilta` haveva proposto di
   appiccare questi otto: Notar Geronimo Ronsisvalle, M.ro Sebastiano
   Portoghese, M.ro Girolamo Cutugno, M.ro Giuseppe Cutugno ed altri
   quattro della ciurma (54). Pero` per miracolo di Dio avvenne un
   grandissimo temporale d'acqua: grandine, tuoni e vento che pareva
   subissare la Citta`. E perche` il caso haveva da succedere in quella
   notte, e il temporale incomincio` a 22 hore e duro` tutta la notte, in
   cui doveva succedere il caso, non si pote` attendere a questo, anzi
   ognuno si stiede dentro a fare orationi insino alla mattina.
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                                  CAP. VI.
                  DAL 9 OTTOBRE A TUTTO GENNAIO DEL 1648.

   La nobilta` sopraffa` la plebe, questa aspetta l'occasione di
   vendicarsene.

      La mattina (9 Ottobre) successe un bellissimo giorno, e si propose
   di appiccare li detti carcerati nella notte di questo giorno 9. Fu
   anche questo un miracolo di Dio, perche` in questo giorno sopraggiunse
   un corriero mandato da S. E. con ordine che subito il Tribunale di
   Catania volesse escarcerare tutti i carcerati per causa di ribellione.
   Cosi` in un punto questi dalla morte passarono alla vita e ritornarono
   alle loro case con i loro figli e le loro mogli. Solo non si
   escarcerarono li tre corviseri detti sopra. Tosto che furono
   escarcerati si disse pubblicamente che essi tutti havevano da essere
   strangolati, come s'e` gia` detto, e che nel Castello vi erano molti
   pali e collane (55) con cui dovevano soffocarsi. Il popolo,
   sentendo questo, tutto si pose in grandissimo rumore e per questo la
   nobilta` si stava con molta paura. Il Capitano della Citta` con tutta la
   nobilta`, molto bene armata, passeggiava ogni notte perche` si dubitava
   di qualche congiura delli popoli. Oltre a cio`, notte per notte e il
   giorno, passeggiavano quattro capi squadra con 50 soldati salariati
   per guardia delli nobili. Alli 14 di Ottobre furono escarcerati li tre
   che erano rimasti carcerati, e questo per farsi benigna la gente; ma
   molti erano assai alterati (56). Alli 12 Ottobre fu Capitano della
   citta` D. Ludovico Ansalone il quale era giurato, questi pigliato il
   possesso subito mando` via cento villani armati, i quali stavano nella
   Loggia, per guardia della Nobilta`. Il 1 di Novembre ogni persona stava
   con molta rabbia. Essendo quello il giorno di tutti i Santi, in cui
   ogni persona stava officiando nella loro chiesa, tutta la nobilta` era
   nella sua Chiesa e qui stava officiando. Fu avvisato che il popolo
   congiurato sarebbe venuto per tagliare tutti i nobili a pezzi nella
   propria Chiesa (58) ove erano radunati. Vedendo questo i nobili
   chi pote` fuggire da una parte e chi da un'altra, chi si butto` dalle
   finestre e dalle porte perche` si dubitava che il popolo fosse loro
   sopra. Ma non fu vero quello che si andava dicendo, perche` il popolo
   voleva uccidere i nobili in migliore commodita`, specialmente che chi
   era cercato dal popolo non era andato all'ufficio e nemmeno camminava
   troppo per la Citta`. Il Capitano in sulle prime ando` subito per la
   Citta` e poi si nascose a salvamento in S. Agostino, perche` dubitava
   della vita ed allora usci` quando vide che non c'era niente di pericolo
   e si andava mostrando benevolo con li popoli. In questo si stette
   insino all'ultimo del mese di Novembre 1647 (59).
      Alla Loggia intanto stavano quaranta di guardia, notte e giorno, e
   s'avevano per giorno tari` quattro per persona. nella propria Loggia
   comparvero tre cartelli per li quali fu pigliato il Clerico D. Agatino
   Vicari, la stessa notte lo misero in sicuro nella Loggia e ve lo
   tennero due hore ed esso non parlo` niente. La mattina dopo fi
   carcerato il Sac. D. Diego Chierico e altri come testimoni per provare
   qualche cosa. Questi poi furono escarcerati, eccetto tre i quali
   furono: il detto chierico, il Vicari e un altro.
      L'ultimo di Gennaro 1648 (60) si trovarono molti cartelli, per
   laonde la Citta` e Capitano getto` bando che, chi rivelasse l'autore
   delli cartelli, s'avrebbe one 150 di regalo. Subito se ne dette avviso
   a S. E. e li mandaro li detti cartelli. Pero` non si pote` provare
   l'autore, laonde il Capitano escarcero` molti carcerati quali sospetti
   autori dei detti cartelli. Si stava intanto in quest'odio e forte
   nimicizia tra li popoli e la nobilta`. E` certo che la nobilta` sempre
   haveva trattato li popoli con mille dispettosi trattamenti e strapazzi
   e mille ingiurie; i popoli intanto sopportavano e fingevano affinche`
   non ricevessero piu` vili strapazzi. Erano pero` le cose arrivate ad un
   punto che essi non potevano piu` sopportarle.
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                                 CAP. VII.
                     DAL 10 FEBBRAIO AL 23 MARZO 1648.

   Si presenta l'occasione di una nuova rivolta della plebe; Girolamo
   Cutugno la capitaneggia; i nobili presi da timore abbandonano la
   Citta`.

      Ai 10 di Febbraio 1648, quando si teneva nella pubblica piazza di
   questa Citta` la Fera (62), che in questo giorno si fa in onore
   della Gloriosa nostra S.a. Agata, ad hore 20 in circa, mentre che la
   nobilta` stava in detta Fera passeggiando, ecco passare la carrozza del
   Barone di S. Giuliano (63), dentro la quale era la moglie del
   Barone. La carrozza passando urto` col sopracelo (64) con le corde
   delle tende della loggia (65) di Giuseppe e di Mastro Diego lo
   Bruno.
      Quelli cavalieri che si trovavano in detta Fera, tra i quali
   trovavasi lo stesso Barone, vollero affrontare i detti Bruno, stante
   che questi non corsero subito con coltelli per rompere le corde e cosi`
   impedire l'urto della carrozza. Tanto era il dominio che detti nobili
   havevano pigliato contro li popoli! Per il che i poveri popoli non
   potendo piu` sopportare, ecco il detto Mastro Geronimo Cutugno
   lanciarsi e levare una pistola ad un nobile. Vedendo questo li altri
   popoli si trovarono con esso, si lanciarono nella Loggia dove erano
   quelli soldati tutti armati a servizio della nobilta` e, disarmatili
   tutti, li pigliarono a colpi di scimitarre cacciandoli fora. Si vide
   allora tutta la Citta` in rivolta e ognuno pronto all'armi. Mentre si
   stava in questo il detto Cutugno piglio` un trombetta (66), lo fa
   porre a cavallo e, con due cento figliuoli appresso, lo fa girare per
   la Citta` gridando: serra, serra. Dopo calo` nella piazza, dove erano da
   mille popolani tutti armati, e getto` bando che ogni mercante
   sbaratasse la sua loggia, mettendovi quattro uomini honorati bene
   armati, accio` guardassero la robba. Cosi` fra il termine di tre hore si
   sbaratto` tutta la piazza piena di logge e di mercanti, senza che si
   fosse perso un tari` da nessuno. Fatto questo il Cutugno fece di subito
   scippare (67) tutte le logge e fece portare un pezzo (68) in
   mezzo la piazza con molta munizione e mando` alcuni a pigliare la
   Fortezza di S. Giovanni (69). Or mentre si stava in questo, e i
   popoli andavano procurandosi tutta sorte di armi, venne ad oscurarsi
   il giorno. Li nobili vedendo l'apparecchio che in un subito fecero li
   popoli, mostrarono di voler combattere infinitamente; ma poiche` fu
   riferito ad essi che in quella notte li popoli volevano ammazzare
   tutti li nobili, questi se ne fuggirono dalla Citta`, chi si gettava
   dalle mura con la moglie e i figli, chi fuggiva vestito da monaco, chi
   usciva dalla porta da povero viandante. Finalmente quando li popoli si
   risolvettero di assalire li nobili, non ne trovarono ne` grandi, ne`
   piccoli, ne` donne, ne` homini, tutti erano fuggiti per li boschi e per
   li Casali: chi dormiva sotto rocche, chi arrivava nei Casali piu` morto
   che vivo; le loro armi chi li lascio` sotterrate nelle rocche, chi le
   lascio` alli padri Cappuccini e a quelli Riformati; le loro donne chi
   si diserto` (71) per le rocche e chi rivo` piu` morta che viva.
   Ognuno di essi andava lagrimando e piangendo, poco curandosi della
   roba. Vedendo questo D. Blasco Romano, il quale in queste cose non
   era stato ne` buono, ne` reo, si getto` tra li popoli trattando di far
   fare la pace tra popoli e nobili: cosi` egli cercava potere far
   ritornare nella citta` i nobili.
      Il detto Romano scrisse ancora a S. E. che nella Citta` si stava
   trattando questa pace tra popoli e cavalieri, e che il detto di
   Cutugno voleva andare in Parlamento innanzi a S. E. per dire tutto. Il
   Cutugno si parti` in fatti da Catania alli 13 di detto mese Febbraro e
   si porto` con esso un Crocifisso e un pezzo di collana; cosi` comparendo
   innante a S. E. voleva significarle che se egli aveva fatto male
   contro Sua Maesta`, voleva morire appiccato con quella collana: esso
   pero` intendeva che mai haveva fatto cosa contro Sua Maesta`. (tralascio
   un periodo che, secondo me, non ha nesso alcuno con quel che segue).
      Passando il detto Cutugno per Aderno`, quelli di Aderno` lo
   riconobbero e lo presero e lo portarono carcerato come ribelle. Alli 9
   di Marzo si seppe in Catania che il detto Cutugno era stato pigliato,
   per laonde tutta la Citta` si mise in rivolta e si voleva ribellare
   contro il Capitano e alcuni Cavalieri che erano ritornati nella Citta`.
   Onde il Capitano mando` subito il suo bargello (73) in Aderno`, che
   per servitio di S. Maesta` si facesse consegnare da quelli di Aderno` il
   Cutugno per portarlo in Catania. Il Capitano di Aderno` rispose che non
   lo poteva consegnare al bargello, poiche` lo voleva consegnare con
   publico contratto. La Citta`, vedendo questo, supplico` S. E. che
   volesse concedere gratia di fare consegnare dal Capitano di Aderno`
   detto di Cutugno.
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                                 CAP. VIII.
                        DAL 25 MARZO A TUTTO GIUGNO

   Il Vicere` scrive lettere favorevoli alla plebe la quale,
   acconsentendo, accoglie un Governatore straordinario che rimette nella
   Citta` la perduta quiete.

      Si stiede in questo insino alli 15 di Marzo. Si disse per la Citta`
   che i nobili havevano fatto tra essi una congiura di tagliare a pezzi
   alcuni popolani, e la Citta` di nuovo si mise in guardia e non lasciava
   entrare quelli Cavalieri che erano rimasti fora della Citta` per la
   loro fuga fatta. Alli 20 di detto mese di Marzo si trovo` che M.ro
   Andrea Riccioli catanese andava cercando persone che volessero essere
   della fellione delli nobili contro li popoli, questi presero quello
   con molta furia e volevano ucciderlo; ma, non essendo certi, lo
   portarono carcerato. Dappoi si seppe che detto Riccioli era stato
   comandato dal Capitano della Citta e dalli Cavalieri. Alli 21 di detto
   mese li popoli volevano levare la testa al detto Riccioli come
   traditore.
      Alli 22 si disse che li nobili volevano combattere con li popoli
   arme con arme e la giornata stabilita era li 23: per questo tutta la
   Citta` si mise in arme, onde quelli nobili che erano rimasti in Citta`
   se ne fugirono dove erano gli altri! Li 25 venne lettera di S. E.
   contro li nobili la quale molto era favorevole alli popoli e contro
   detti nobili. Nello stesso tempo S. E. faceva sentire che avrebbe
   mandato un Governatore in Catania, per la quale cosa scrisse alli
   popoli, se lo volevano ricevere. Subito li fu risposto che questo era
   il gusto delli popoli che volevano nuovo governo. Li 6 di Aprile
   arrivo` in Catania il Sig. Governatore mandato da S. E. Fu ricevuto con
   grande honore e con sparare 200 maschi (75) e tutta l'artiglieria.
   Da detto giorno li nobili fuggiti incominciarono a raccogliersi in
   Citta`. Detto Governatore mostro` alla Citta` una lettera mandata da
   S. M. alla Citta` di Catania molto affettuosa et amorosa e
   particolarmente per quelle teste che livarono...........
      (Qui la cronaca manca di altri fogli in cui dovea essere scritto il
   seguito e il fine; pero` qualche altro scrittore ve ne attacco` altri,
   come ben si vede dalla diversa qualita` della carta, dicitura e
   scrittura e prosegui` l'interrotta cronaca legando il periodo di sopra,
   rimasto sospeso, con le parole qui appresso):
   di quelli rubelli e S. M. finiva la lettera offerendosi in ogni
   occorrenza alla Citta`. Anche in detta lettera S. M. mando la nobilta` a
   Francesco Speciale chiamandolo D. Francesco, essendo il suo Ufficio
   quello di ferraro: questo era stato bombardiero sopra la fortezza del
   Bastione Grande, quando se ne haveva impossessato D. Bernardo Paterno`.
   Detto bombardiero, fuggendo dal Bastione, si butto` da detta Fortezza e
   si ruppe una gamba. Fu riferito a S. M. che esso si butto` da detta
   Fortezza per non voler dare fuoco alli cannoni contro la Citta` e per
   questo S. M. li assegno` ancora di prazza (76) trenta scudi il
   mese (77).
      L'ultimo di Giugno si elessero li Ufficiali con due Giurati
   popolani: l'uno fu Giacomo Gemma e l'altro Francesco La Gugliara,
   cugini carnali, che con la presenza del Governatore tenevano la Citta`
   in mediocre pace (78). Hor stando in questo, il Governatore, che
   era stimato dalli popoli, pose un certo intrico con una Signora Dama
   abitante vicino il Porto (79). Li 24 di Luglio, ad hore tre di
   notte, essendo detto Governatore insieme con Cesare Caracciolo suo
   magistro notaro e con un creato vicino il loco della Casa della
   Signora Dama, ed aspettava di entrarvi di sospetto, fu sopraggiunto da
   M.ro Francesco Portoghese Capoxurta (80) con i suoi compagni.
   Questi havevano ricevuto ordine da detto Governatore che incontrando
   di notte persone, e non dandoli alle tre voci il nome, le havessero
   sparato. Infatti havendosi gridato per tre volte: da` il nome, e il
   detto Governatore non volendosi lasciar conoscere, un compagno di
   quelli, con la mira in faccia, li lascio` una schiopettata si` terribile
   che prese l'amaro Governatore negli occhi, il quale nemmeno pote`
   chiamare Gesu`. A tale caso fu molto sentimento per tutta la Citta`,
   cosi` per la morte del Governatore, come perche` il caso fosse successo
   in una nobile Casa della Citta`. Fu sepolto nell'ecclesia di Santa
   Caterina di Siena con molto honore della Citta`. Subito d'ogni cosa si
   diede parte a S. E. che allora era il Cardinale Trivulzio, in Palermo.
   Si costato` havere sparato un certo M.ro Giuseppe Brandano corvisere,
   lavorante nella bottega del detto Portoghese, Capo di xurta, il quale
   per pochi mesi stiede assentato in una Chiesa.
      Poi S. E. informato meglio del fatto, lo fece presentare e fra
   pochi mesi fu liberato e tutto fu terminato a favore di detto Capo di
   xurta. Questo fu passato e successo in Catania, permettente ogni cosa
   il sommo Iddio che regge il tutto.
     _________________________________________________________________

                           Note del Sac. G. Longo

   (1) Si gridava contro il mal governo d'allora e a tutta ragione.
   In quei tempi, a dire d'uno scrittore, il governo spagnuolo ridusse il
   disordine a sistema: i nobili erano sistematicamente prepotenti, la
   plebe sistematicamente insubordinata, senza essere libero nessuno dei
   due.

   (2) La voce Citta` qui e` presa a significare il luogo in cui si
   radunava il senato, il Palazzo senatoriale.

   (3) Al Vicere` si dava il titolo di Sua Eccellenza. Fin dalla morte
   di Martino il Giovane i siciliani ebbero la disgrazia di perdere la
   presenza dei loro sovrani. Or da che la residenza di questi fu altrove
   e perpetua, fu bisogno commettere ad altri l'amministrazione locale e
   il governo -- La carica di Vicere` prima si dava senza prescrizione di
   tempo, dal 1488 in poi per tre anni: i governanti triennali
   nominavansi Vicere`, Luogotenenti, Capitani Generali; gli interini col
   nome di Presidenti Generali -- Il Vicere` rappresentava la persona del
   Re; teneva potesta` spirituale e precedeva in questa dignita` i Vescovi
   stessi. Nei di` solenni, entrando nelle Chiese Cattedrali, riceveva
   l'acqua benedetta dal Vescovo e sedeva sul soglio che s'alzava a man
   dritta e palmi tre piu` alto di quello del Vescovo.
      Nel 1647 il Vicere` era il Marchese Los Veles; egli mori` a' 3
   Novembre dello stesso anno e gli successe, col titolo di Presidente,
   il Marchese di Montallegro e dopo pochi giorni, con lo stesso titolo,
   il Cardinale Trivulzio -- Il Los Veles, per quanto era timido,
   irresoluto e condiscendente a vista d'un popolo furibondo, altrettanto
   audace e crudele quando vedeva questo scemato di forze: allora
   s'accendeva di vendetta contro quelli che gli avevano messa tanta
   paura e usava quella repressione violenta, causa pure di maggiori
   tumulti.

   (4) Questo Bernardo apparteneva alla nobile famiglia dei Paterno` e
   all'altra non meno nobile dei Raddusa: era giovane molto bello e di
   soli 19 anni. Appare egli sulla scena della ribellione fin dal primo
   giorno 27, e non, come scrive il Rizzari, fin dal giorno 30 Maggio.

   (5) Il nome di Via Triscini si dava all'attuale dei Scoppettieri o
   Manzoni; essa attraversava il piano che s'allarga dinanzi la Chiesa di
   S. Nicolo` Triscini. Non esisteva allora la Via Etnea che fu aperta dal
   Duca di Camastra dopo il 1693 e continuata sino al largo Gioeni nel
   passato secolo.

   (6) In questo giorno i tumultuanti ascendono a circa settemila; il
   Rizzari invece ne numera soli ducento cinquanta. Poco numero invero
   egli e` questo per mettere tanta paura nei giurati, nei nobili, nel
   Capitano i quali, al dire dello stesso Rizzari, corsero a salvarsi
   dall'ira del popolo.

   (7) Nel 1232 la Citta` nostra fu distrutta da Federico II in odio
   al partito guelfo che in maggioranza vi padroneggiava; fu concesso di
   rifabricarla con piccole case e allora fu costrutto, vicino al mare,
   il Castello Ursino, sopra gli avanzi d'una antica rocca detta
   Saturnia, per cosi` potere tenere in freno il popolo.

   (8) Il capitano col suo giudice assessore aveva la facolta` di
   conoscere le cause criminali nelle terre demaniali, ne potea compilare
   il processo, ricevere le accuse, procedere alla carcerazione con
   l'obbligo di trasmettere poi il reo e il processo alla Gran Corte. Non
   era conceduto al Capitano la potesta` del mero e del misto impero che
   comprendeva specialmente il dritto d'imporre pene di morte, di
   deportazione e di mutilazione di membra.

   (9) Giom. De Grossis--Dec. Cat.--scrive del Vicario Generale suo
   contemporaneo: <>. La
   nostra Cronaca lo chiama Vicario Generale, dignita` che manca in sede
   vacante, forse perche` nel 1647 era stato gia` eletto il nuovo Vescovo
   di Catania, il quale pero` non ne aveva ancora preso il possesso.
   Difatti l'Ab. Amico ci fa sapere che in quell'anno un certo Marco o
   Martino, vescovo di Pozzuoli, era stato eletto vescovo della nostra
   Citta` e che costui non volle venirvi per non lasciare la sua antica
   Chiesa che aveva retto da venti anni, quantunque meno ricca di quella
   di Catania.

   (10) La piazza alla quale s'accenna sembra non dubbio di essere
   quella del duomo, volgarmente detta di S. Agata, essendo in
   quell'epoca appunto la Loggia di riscontro al Duomo. -- Nota del Cav.
   Ing. Signor Sciuto Patti.

   (11) Il Palazzo Senatoriale, volgarmente detto La Loggia dalla sua
   forma architettonica poiche` si reggeva su pilastri e colonne, [...]

   (17) La piazza o piano della Fera corrispondeva quasi al sito
   medesimo dell'attuale piazza degli studii. era in questo piano che
   prospettava allora la Chiesa collegiata. Nota del Cav. Sciuto.

   (20) La Porta di Mezzo era nel sito medesimo della attuale edicola
   di S. Maria della Grazia e tutte quelle vicinanze costituivano il
   Quartiere della Porta di Mezzo -- Nota del Cav. Sciuto Patti.

   (22) Il Gioeni andava componendo, vale quanto dire andava
   scroccando danaro. Brutta figura in vero che ci fa questo nobile
   signore che fattosi capopopolo e, profittando delle circostanze, cerca
   scroccar denaro a questo e a quello. Del resto son cose queste di
   tutti i tempi.

   (23) Il Sacerdote che l'havesse a ricordare; questa voce in sic.
   vale assistere i moribondi e qui il Giusto condannato a morte.

   (26) Si dubitava un nuovo tumulto -- Anche in Palermo in
   quest'anno 1647 erano avvenute gravi turbolenze: la plebe sdegnata
   contro il mal governo di allora era divenuta furibonda, capitanata da
   un certo Pelusa era corsa al Palazzo di Citta` per mettervi lo
   incendio, aveva tentato saccheggiare la Casa del Tesoro ed aveva gia`
   fatto uscire a forza i carcerati. I PP. Teatini ed i Gesuiti, il
   Marchese di Geraci erano riusciti alcun poco a pacificare gli animi,
   pero` la debolezza del Vicere` Losveles aveva resa piu` audace
   l'infellonita plebe e poi il suo troppo rigore l'aveva inasprita di
   piu`. S'era giunti agli iltimi di Giugno e gia` sembrava tutto ritornato
   nella calma, ma questa era pur troppo apparente; M.ro Alessi nei mesi
   appresso doveva capitanare quella plebe e spingerla a inauditi
   eccessi.

   (27) Grada; graticola di ferro che si mette alle finestre,
   inferrata; usasi ancora nel significato di carzara, carcere, prigione.

   (30) Banniava: bandiva, pubblicava per bando; testa abbanniata
   vale uomo sentenziato a morte per bando.

   (31) Ammucciatu: noscosto, appiattato. I siciliani adoperano
   ancora in questo senso ingattarsi da gatta e mucciarsi da mucia: forse
   per la proprieta` di questo animale nel mettersi in agguato nel
   prendere i topi. puo` darsi ancora che i siciliani dicano ammucciare
   dal francese musser, appiattarsi.

   (32) Il Bastione Grande, detto ancora di S. Salvatore dalla vicina
   Chiesa omonima, era un'opera ammirevole, costrutto di quadrate pietre
   di lava, innalzato dal Vicere` Vega nell'anno 1552 sotto Carlo V, il
   disegnatore ne fu il celebre Maurolico.

   (33) Li poveri marinari abbarruati: sbigottiti, scoraggiati,
   spaventati.

   (35) Il Campanaro o piazza del Campanaro era nell vicinanze
   dell'odierna Chiesa di S. Placido -- Nota del Cav. Sciuto Patti.

   (36) La Piazza della Triscini era nelle vicinanze di S. Nicolella
   -- Nota del Medesimo.

   (37) Corviseri risponde quasi alla contrada S. Francesco -- Nota
   del Medesimo. -- La voce corviseri o curviseri ed anche solichianeddi
   nel dialetto siciliano vale ciabattiere, ciabattino; forse da tali
   artigiani che l'abitavano pigliava nome il Quartiere.

   (38) L'Ab. Amico -- Cat. Ill. -- cosi` racconta la fine del tumulto
   di questo giorno: <>.

   (39) In una stanza firmata: chiusa con serrame.

   (41) Ognuno si mettesse i ferrioli: ferrajuoli, ferrajoli.
   <> -- Fanfani -- Perche' si diede l'ordine d'indossare i
   ferrajuoli, specialmente a' 29 Giugno che doveva fare molto caldo?
   Forse obbliugasndo a portare quell'ampio mantello, venivano impediti
   d'usare le armi e portarsi con prestezza da un luogo all'altro.

   (42) I Casali di Catania, con sommo danno della Ctta`, erano stati
   venduti nel 1642: i Catanesi avevano gia` protestato, ma inutilmente,
   contro l'ingiustizia d'una tale vendita. La ribellione del 1647-48 e
   poi le pratiche di M.r Gussio pare che abbiano influito non poco
   sull'animo dei Vicere` e della Corte Spagnuola perche` il Casali
   venissero restituiti a Catania. Difatti nel 1652, mediante il riscatto
   di 149,500 scudi, furono riacquistati, ma dopo due anni rivenduti di
   nuovo ai medesimi compratori.
      Vespasiano Trigona aveva comprato Misterbianco per il prezzo di
   12,000 scudi e di altri 20,000 quale donativo alla R. C. con
   soggiogazione di tanta rendita sul patrimonio del Casale; Domenico Di
   Giovanni compro` Trecastagni, Viagrande e Pedara per 42,500 scudi;
   Giovanni Andrea Massa compro` S. Giovanni La Punta e S. Gregorio per
   800 scudi e l'istesso Massa compro` S. Giovanni Galermo, S. Agata,
   Trappeto, Tremestieri, Mascalucia, Plache, Camporotondo, S. Pietro e
   Monpelieri per 35,000 scudi.

   (43) Esterrassero: esiliassero.

   (44) Nella Cortina del Castello -- Cortina dicesi quella parte
   delle mura d'una fortezza che e` tra baluardo e baluardo -- Fanfani.

   (45) I Giurati costituivano il Corpo del Senato; essi ebbero il
   titolo onorifico di senatori dal Vicere` Filiberto di Savoja nel 1622 e
   da lui il Senato di Catania fu dichiarato uguale a quello di Palermo.
      Ai Giurati o Senatori, preseduti dal Patrizio, era il dritto di
   amministrare il patrimonio e le gabelle del comune, curare l'annona e
   le vettovaglie, sopraintendere alle misure, ai pesi, au nuovi
   edifizii, all'ampiezza e mondezza delle piazze e delle strade.
      L'istituzione dei Giurati rimontava a' tempi di Federico II, il
   quale aveva stabilito le forma dell'elezione popolare e l'ufficio di
   quelli, sia nelle terre demaniali, sia nelle feudali. Da quel tempo
   pero` nobili e plebei spesso erano venuti in contesa sul dritto della
   elezione e sull'elegibilita` dei candidati e spesso i Vicere` non
   avevano tenuto conto del vantato dritto degli uni e degli altri,
   elegendo da se` i Giurati nei diversi Comuni.

   (46) Il Marchese di Spaccaforno -- Secondo il Villabianca il
   primo che abbia avuto il titolo di Marchese di Spaccaforno si fu
   Francesco Statella e Gravina, a' 19 Luglio 1598, figlio dell'illustre
   Blasco Barone della medesima Terra il quale lascio` grande memoria di
   se` nella Citta` di Catania. A Francesco successe nel 1626 il figlio
   Antonio Statella La Rocca e a questo, a' 7 Gennaio 1651, successe
   Francesco Statella Rai. Chi di questi tre Marchesi fu quello che
   consumo` la Citta` di Catania nel tempo che ne fu Vicario? E quali
   furono i Capitoli tanto nocivi alla Citta`?

   (47) Consumare: rovinare, ridurre nella miseria; questa voce nel
   dialetto siciliano ha molto del latino consumere.

   (48) Palermo autore della ribellione -- A quei tempi il fuoco
   della ribellione s'era acceso in tutte le provincie soggette alla
   Spagna: questo fuoco divampo` vieppiu` dopo i feroci tumulti di palermo,
   ai quali successero tosto quelli di Messina, di Catania, di Napoli e
   di altre provincie.

   (49) Preso il dito e passo passo tutta la mano -- Maniera
   proverbiale a significare che coi ragazzi od altre persone che debbono
   stare soggette (qui ragazze e persone soggette sarebbero i nobili) si
   vuole andar cauti a dare alcuna licenza, perche` se ne abusano, e
   dicesi: <> ed anche: << se gli date un dito, vi piglia la mano e
   tutto il braccio>>.

   (50) L'Ab. Amico -- Cat. Ill. -- forse rilevandolo dalla cronaca
   del Rizzari, fa autore della ribellione di Catania Girolamo Cutugno.
   Secondo il nostro Anonimo, pare che il Cutugno non abbia preso parte
   attiva da Maggio a Luglio in cui si compirono le maggiori gesta dei
   ribelli. A' 5 Agosto il Cutugno ci si presenta, per la prima volta,
   nella bottega del Portoghese insieme ad altri, con cui vi fu preso e
   condotto in carcere. L'Ab. Amico lo dice uomo licenzioso e cupido di
   cose nuove; il nostro Anonimo lo dice uomo dabbene come lo mostravono
   le opere ecc. Ecco le parole dello Ab. Amico: <>.

   (51) Con soffioni e pistole sine fine -- Soffione dicesi quella
   canna di ferro traforata da soffiare nel fuoco; Fanfani -- Qui tal
   voce per similitudine s'adatta a dinotare l'archibugio; sine fine:
   senza fine: infinitamente, in grandissimo numero.

   (52) Creato: dallo spagnuolo creado: usasi nel dialetto siciliano
   per servo.

   (53) Occhi invetrati -- Il participio invetrato in forma
   d'aggettivo e in senso figurato, detto di faccia, di fronte, d'occhi,
   vale sfacciato, impudente; qui dinota la rabbia e il furore di quella
   gente.

   (54) Ciurma: qui non ha il significato di ciurma italiano, cioe`
   moltitudine vile di gente, ma senz'altro di gente riunita insieme.

   (55) Pali e collane con cui dovevano essere soffocati: dovevano
   essere condannati al barbaro suppliio del palo usato gia` dai Turchi e
   all'altro non meno barbaro della corda o del capestro.

   (56) Molti erano assai alterati: alterato usasi nel significato
   di assai adirato, sdegnato. Fanfani.

   (58) Nella propria Chiesa: l'antica Chiesa di S. Martino; in
   essa, come al presente, eravi l'Arciconfraternita` dei Bianchi, cioe` di
   quelli scritti nell'Album della Nobilta`.

   (59) Siamo nel Novembre del 1647; in questo mese al Vicere`
   Losveles, morto di crepacuore perche` rimproverato, come vile, da
   Filippo IV; era successo al governo della Sicilia, col titolo di
   Presidente, D. Vincenzo Gusmano Marchese di Montallegro il quale
   governo` pochi giorni; a costui successe, a' 17 Novembre, con lo stesso
   titolo di Presidente, il Cardinale Teodoro Trivulzio <>.

   (60) In Dicembre del 1647 e in Gennaio del 1648 tutto sembrava
   rientrato in una certa calma; la nostra cronaca non registra gravi
   fatti; possiamo cio` attribuire alla violenta repressione dei mesi
   scorsi e al nuovo governo del Cardinale Trivulzio, il quale, in quei
   giorni con fine arte, seppe tenere l'Isola in aspettativa di salutari
   riforme. Le sole promesse pero` possono valere a frenare per poco il
   popolo, che` questi disingannati, presto o tardi, ritornano ai primi
   eccessi e a reclamare i loro dritti.

   (62) Ecco la descrizione di questo mercato lasciataci dap P.
   Carrera nelle sue <>: <>.

   (63) Trascrivo dalla Sic. Nob. del M. Villabianca, vol. 1, pag.
   552, quanto egli scrive sul barone di Marchese di S. Giuliano: <>.
   >   Il suo nome si fu quello di Girolamo Asmundo, figlio di Francesco
   e di Olivia Paterno`; l'Ab. Amico gli da` il nome di Orazio, ma non pare
   esatto, mentre questi fu il terzo Marchese di Sangiuliano investito di
   questo titolo a' 17 Ott. 1732.

   (64) Sopracelo: spe`raccielo, la parte superiore del cortinaggio
   del letto, e di altri arnesi simili, o di una carrozza -- Fanfani.

   (65) Loggia: qui col nome di loggia s'intende una di quelle
   baracche construtte con legni, tele o simili nel piano della Fera per
   riparo di quelli che concorrevano e dei commercianti andativi a far
   bottega di commestibili o d'altro. In questo significato usasi ancora
   in italiano -- Vedi Fanfani.

   (66) Trombetta dicesi colui che negli eserciti da` i cenni con la
   tromba.

   (67) Fece scippare le logge. Scippare dal latino excerpere: cavar
   fuori, estrarre, raccogliere, togliere, levare. Scerpare e` registrato
   in alcuni vocabolari italiani nel significati di schiantare. Dante
   XIII, v. 35 in questo senso:

   Ricomincio` a gridar: Perche` mi scerpi?

   (68) Fece portare un pezzo. Questa voce usata in senso assoluto
   come qui, intendesi per cannone, obice e simili; dicesi percio`: pezzo
   d'assedio, da campagna.

   (69) Fortezza di S. Giovanni. Cordaro: <> scrive: <>.

   (71) Le donne si disertarono o addisertarono: abortirono, si
   sconciarono.

   (73) Bargello dal latino barbaro barigillus per capo dei birri.

   (75) Si spararono 200 maschi. La voce maschio e` qui usata nel
   significato del masculu i masculuni siciliano, che e` quella sorta di
   mortaletto che si carica con polvere d'archibugio in occasione di
   qualche solennita`.

   (76) Gli assegno una prazza: questa voce pare d'origine greca e
   vale vitalizio, assegnamento annuale.

   (77) Circa la lettera del Re riporto le parole dell'Ad. Amico:
   <>.

   (78) In conferma di quanto s'e` detto e si dira` in quest'ultimo
   capitolo sulla cronologia senatoriale della Citta` di Catania,
   trascrivo dal Villabianca quanto appresso:

                             2 Ind. 1648 e 49.

   Fu Capitano della Citta` /Ludovico Ansalone/ che poi fu levato ad
   istanza del Popolo e venne eletto /Antonio Bisignani Cavaliere
   Napolitano/ con titolo di Governatore a 6 Aprile 1648, il quale a 20
   di Luglio fu ucciso e resto` /Giambattista Guarrera/ come Senatore piu`
   grande, sino alli 14 Gennaio 1649, poiche` cesse il luogo al novello
   Capitano /Andrea Gregorio/ -- Il Corpo senatoriale era formato dal
   Patrizio Francesco Rizzari Barone di S. Paolo, da Giurati Cesare
   Ansalone, Vito d'Amico Barone del Grano, Alfonso Paterno`, Giambattista
   Guarrera tutti nobili e da /Giacomo Gemma e Francesco Gugliara
   popolani/.

   (79) Questa Nobile Dama abitava vicino il Porto, cioe` nel
   quartiere della Civita, allora abitato, quasi tutto, dalla Nobilta` del
   paese. Chi sa dirmi a qual nobile famiglia appartenesse questa Dama du
   cui l'autore tace il nome?

   (80) Capo di xurta: di scorta, di gente armata; il capoxurta era
   un pubblico ufficiale che in tempo di notte stava a guardia delle
   strade della citta`.
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