Appendice I
Il vernacolo osimano
Sommario
Premessa.
Elementi per una
storia della formazione del vernacolo osimano all’interno dell’area marchigiana
centrale, nell’ambito della costituzione degli altri dialetti italiani.
Vocaboli osimani
derivati direttamente dai corrispondenti latini classici o latini volgari (con
esigue variazioni fonetiche). Esemplificazioni.
Vocaboli osimani
derivati direttamente dai corrispondenti latini classici o latini volgari e
trasformatisi a seguito di più profonde variazioni fonetiche. Esemplificazioni.
Conclusione.
Alcuni “fossili” di
lingue diverse dal Latino.
Principali differenze
fonetiche tra vernacolo osimano e lingua italiana.
Cenni grammaticali.
Premessa
Si
è condotto lo studio, di cui in questa sede si espongono le principali
risultanze, nella convinzione che anche l'area linguistica dialettale possieda
una sua dignità filologica, determinata se non altro dall'uso vivo che del
dialetto si è fatto nell'ultimo millennio (interamente il secondo dell'era
volgare). Ci sembra infatti una non leggera imparzialità - dal punto di vista
linguistico - non occuparsi dei dialetti, trascurando in tal modo una realtà
che purtroppo stiamo - giorno dopo giorno - sempre più consegnando alla tomba
del passato, quel passato nel quale essi hanno invece costituito lo strumento
principale di espressione per milioni di individui.
Elementi per una storia della formazione del vernacolo
osimano all’interno dell’area marchigiana centrale, nell’ambito della
costituzione degli altri dialetti italiani
Già
l'Ascoli, nel proemio all'Archivio
glottologico, evidenziava che nella nostra penisola, dal IV-III sec. a.C.
fino al 1861 (data dell'unificazione nazionale) non si erano create forze
capaci di accrescere o almeno salvaguardare l'unità linguistica delle nostre
regioni.
In
età preromana esisteva in Italia una frammentazione etnica e linguistica molto
accentuata, che trova paragone solo in India (ma con una superficie quattordici
volte maggiore). Troviamo infatti: Liguri, Celti, Veneti, Etruschi, Piceni,
Umbri, Oschi, Sanniti, Greci, Messapi, Sicani e Siculi. Tutti questi popoli
vennero sì assoggettati da Roma, ma ciò non comportò l'annientamento dei
rispettivi ethne, conservandosi
costumi e idiomi tradizionali. L'uso del latino infatti non fu imposto e restò
a lungo invocato e concesso come un ambito diritto.
Per
quanto riguarda in particolare Osimo (Auximum),
in terra picena, la lingua latina scritta e parlata (sermo vulgaris) vi arrivò con la deduzione della colonia romana
(metà del II sec. a.C.).
Con
Augusto sono ancor presenti le distinzioni etniche preromane, poggianti tra
l'altro sui confini naturali, ed esse vennero assunte a base della formazione
delle regiones. Auximum fece parte della V
regio (Picenum), che terminava
sull'Esino, confinante a nord con la VI
(Umbria et ager Gallicus).
Nel
III sec. Diocleziano divise l'Italia in due circoscrizioni: settentrionale
(gravitante su Milano) e centro-meridionale (con centro Roma); inoltre nel 297
riunì tutto il territorio delle Marche attuali nell'unica provincia Flaminia et Picenum.
All'inizio
del IV sec., il I grande concilio di Nicea (325), riordinando il territorio dal
punto di vista ecclesiastico, fece sopravvivere le partizioni amministrative
romane ormai fatiscenti, irrobustendo così particolarismi e divisioni.
Tra
la fine del IV e l'inizio del V sec. si ebbe una nuova scissione: l'Esino
divise la Flaminia et Picenum annonarium
a nord (con capitale Ravenna) e il Picenum
suburbicarium a sud (legato a Roma). La stessa divisione si avrà, dopo la
conquista longobarda, tra il territorio meridionale del Ducatus firmanus (appunto longobardo) e la Pentapoli (dipendente
dall'Esarcato bizantino di Ravenna). In questo periodo Osimo (divenuta ormai Oximum) fu a tratti bizantina e a tratti
longobarda.
Dal
756, e per cinque secoli, sui nostri territori si esercitò una nominale
giurisdizione del papa, in forza della Promissio
carisiaca tra Stefano II e Pipino, ma i due tronconi rimasero divisi o
dalla linea dell'Esino o da quella del Musone.
Sarà
solamente con Innocenzo III (XIII sec.) che il territorio delle attuali Marche
passerà unitariamente nel Patrimonium
Sancti Petri.
A
questo punto va sottolineata la funzione di divisione esercitata dal Patrimonium Sancti Petri, che isolò la
civiltà comunale e signorile dell'Italia centro-settentrionale dalla realtà
dell'Italia del sud.
Come
si è potuto notare, Osimo si trovò sempre presso il confine delimitante le
Marche settentrionali da quelle meridionali, soprattutto nei secoli coincidenti
con la formazione del volgare.
I dialetti dell'area
marchigiana settentrionale (fino a Senigallia) sono collegati a quelli
romagnoli, toscani orientali e umbri settentrionali; l'area meridionale invece
fa blocco con i dialetti meridionali continentali (Umbria centro-meridionale,
Lazio centrale, Abruzzo settentrionale), e va suddivisa nelle tre province che
comprende (Ancona, Macerata ed Ascoli). Delle due consistenti fasce di
isoglosse che provengono dal Tirreno, la più settentrionale è chiamata La
Spezia-Rimini, mentre l'altra disegna con questa un cuneo rivolto ad Est, ed è
la linea Roma-Ancona, la quale viene a percorrere la valle del Musone, dove
appunto si collocavano gli antichi confini amministrativi.
Da
quanto premesso risulta che, se il territorio marchigiano si pone, dal punto di
vista politico e linguistico, come caso esemplare di Grenzgebiet (territorio di frontiera), Osimo si trova esattamente
nel suo punto di maggior transizione.
Attorno
al Mille il panorama linguistico delle Marche si presenta più omogeneo se
confrontato con quello dei secoli successivi. Esistevano sì le due aree
linguistiche (Nord e Sud), ma il loro confine non era invalicabile alla
circolazione dei fenomeni linguistici; presentavano anzi un coefficiente
sensibile di affinità, all'interno del quale la componente meridionale aveva
una sua cospicua presenza. In pratica non si erano ancora introdotti i profondi
motivi di diversificazione oggi constatabili. Delle tre connessioni
linguistiche esistenti (verso Nord, verso Ovest e verso Sud), è chiaro che
Osimo fosse interessata a quest'ultima.
Il
fenomeno che interessava interamente il territorio regionale era la metafonesi,
la quale durò fino al Trecento, quando la toscanizzazione (molto intensa per i
rapporti commerciali e culturali), la fece regredire ed annullare. Questa fase
interruppe la primitiva continuità linguistica nel territorio marchigiano e da
quel momento i due tronconi procedettero staccati, ognuno per proprio conto,
producendo ulteriori suddivisioni rispettivamente nel proprio ambito.
Si
arriva così ai primi documenti scritti contenenti il volgare. Nel 1126 la Nota hic de portu Humanae (il primo documento del Libro
Rosso) contiene espressioni come "sive da mare sive da terra a ponte
fluvio Mussione", "de foris", "ut siatis",
"siamus in pena". Nella "Cartula episcopus Humane" del 1142
troviamo "de civitate Humana" e "de civitate Termole"
(entrambe genitivi).
Data
al 1151 la cosiddetta Carta osimana.
Si tratta di un rogito steso dal notaio Simeone, conservato nell'Archivio di
Stato di Roma, ma proveniente dall'Abbazia di Chiaravalle di Fiastra, che
registra una donazione da parte del vescovo di Osimo, Grimaldo, all'abate
Bernardo. In esso le tracce del volgare sono evidenti, pur se non numerose, ad
es. "da mo nnanti" (da ora in avanti), "ara" (aia),
"qualeungua" (qualunque) ecc.
La
cosiddetta canzone del Castra, citata da Dante nel De vulgari eloquentia (I, XI), e attribuita dal codice vaticano
latino 3793 ad un Messer Osmano (= Osimano), sembra più di origine dotta, anche
se la composizione è ascrivibile all'area centro-picena.
A
partire dal XIII sec. le Marche furono investite da svariate tendenze
culturali, soprattutto religiose. L'ascendente dei benedettini cassinesi e
farfensi viene sostituito dalle novità dell'Umbria francescana, delle quali si
sviluppa il messaggio estremo di osservanza spirituale (fino al caso limite dei
Fraticelli). Nella produzione delle Laudi si uniscono la componente linguistica
indigena, quella toscana e la latina.
Alla
fine del Trecento l'influsso toscano lascia le sue conseguenze nei principali
centri delle Marche, nelle scritture sia letterarie sia documentarie. Il suo
modello viene comunque imposto in maniera diversa; mentre, per esempio, ad
Urbino esso è legato al contesto politico e culturale e verrà meno con
l'evolversi degli eventi, ad Ancona, dove è fondato su rapporti meramente
economici e commerciali, il toscano riuscirà a deviare il corso evolutivo della
parlata. Il toscaneggiamento è comunque maggiore negli ambienti aulici, mentre
si perde in quelli popolareggianti.
I
più antichi Statuti osimani che ancor oggi si conservano risalgono ad anni
diversi del XIV sec. I primi frammenti datano all'inizio del secolo, si hanno
quindi lo statuto 29 novembre 1308, le reformationes
1309 e 1311, lo statuto 5 giugno 1323, il 22 marzo 1325, il frammento del 29
ottobre 1340, lo statuto 14 aprile 1342, la reformatio
1357-58 e l'altra pro statuto
1366-70. Lo statuto del 1371 costituisce la base dell'edizione a stampa del
1571, esattamente due secoli posteriore. Il latino degli statuti cittadini si
presenta nettamente medioevale e molto vicino al parlato. I suoi estensori, i
cosiddetti statutari, che tra l'altro furono in numero di 25 per la redazione
del 1308 (8 del terziere dell'Episcopato, 6 di quello della Piana del Mercato e
11 di quello di S.Gregorio), non dimostrano di possedere una buona cultura,
anche se la stesura definitiva dev'essere stata opera di un notaio.
I
termini usati nei diversi ambiti sono comuni a quelli degli altri dettati
statutari coevi della zona marchigiana, tolte alcune espressioni e alcuni
termini propri dell'area osimana. Procedendo in ordine alfabetico, passiamo ad
esaminare una decina di vocaboli, appartenenti al "sermo humilis",
riscontrati negli Statuti del 1308: "armunare" e "armunacio,
-onis" (III, 215) non trovano risconntro altrove; "bibia" (IV,
123) invece è tale anche nel Maceratese e nel Fermano coevo, dove resiste
ancora il classico "amurca", cioè la "morchia";
"butinellum" (III, 220) ricorda "buta o butta",
corrispondente al latino classico "buttis", e può valere
"bacinella"; "embeccatorium" (IV, 93), riferito ad una
parte del mulino, può avvicinarsi ad "imboccatura" italiano, senza
corrispondenza nel latino medioevale esterno, tantomeno nel classico (dove si
hanno "os, ostium, aditus"); - "folliarola" (III, 167), in
un contesto in cui "emet foleas", non ha parentela col volgare
"*fullare", ma riporta appunto a "venditrice di ortaggi";
"friscolarius" (III, 228) detto anche "trappetarius",
rappresenta chi lavora in un "trapetum", frantoio;
"macenare" (III, 228) riproduce il "mainare" medioevale dal
tardo latino "machinare", "macinare" in italiano;
"malvedula o malvendula" (III, 160) è un'altra venditrice di ortaggi,
molto lontana dall'"olitor" classico, anche qui senza altra
corrispondenza medioevale; "panifacula" (I, 79) è locale per
"panificus", ma classico "pistor", che è il fornaio o il
venditore di pane; "stuppla" (III, 184) adatta foneticamente
"stupla" dal classico "stipula", che vale sempre
"stoppia".
Giunti
al XV secolo, notiamo ormai chiaramente il decisivo affermarsi del modello
toscano nelle scritture letterarie o di registro colto, a fronte di una
variabile competitiva di elegante latino umanistico. Mancando una forte
identità nella nostra regione, le resistenze furono molto tenui. Anche l'assenza
di centri universitari fece la sua parte; si andava a studiare a Bologna, dove
si erano significativamente costituite due nationes,
della Marca superiore e di quella inferiore. Se la scelta del toscano era
dettata in primo luogo da motivi culturali, bisogna però anche affermare che
venne favorita da altri specificatamente linguistici, perché il toscano era il
volgare più conservativo rispetto al latino, e mediatore tra le parlate
settentrionali e quelle meridionali.
Al
XV secolo appartiene il capitano osimano Boccolino, definito "perditionis
filium, et iniquitatis alumnum" nella Bolla di Innocenzo VIII (1 maggio
1492). Le sue prodezze vennero tra l'altro rispolverate nel 1994, a distanza di
mezzo millennio esatto dalla sua uccisione, da alcune pubblicazioni. Di lui
restano diverse lettere, indirizzate a vari destinatari, come varia fu la sua
esistenza di capitano di ventura, ma anche di sobillatore dei propri
concittadini. Non è facile stabilire nei suoi scritti, dal punto di vista
linguistico, quanto il suo parlare sia contaminato dall'apporto ricevuto nei
suoi frequenti spostamenti in tutta la penisola, ed anche fuori di essa. Si
notano infatti influenze almeno toscane, veneziane, romane, napoletane, senza
contare poi le influenze di origine dotta (notarile, giuridica, militare ecc.).
Comunque, per conoscere come scrivesse un osimano di non alta cultura alla fine
del XV sec., citiamo, tanto per esemplificare, una lettera spedita dal Nostro a
Ludovico il Moro dopo la presa dell'arsenale di Savona (settembre 1488):
"Illustrissimo et Excellentissimo Signore mio. Sel mare non fosse stato
turbato et qualche provisione necessarie non fossero manchate, haverìa fornito
fin laltro heri el darsenale de questa cità. Tamen essendome studiato et
ingegnato de fornirlo per omne modo, etiam che la turbatione del mare che dura
anchora me impedisse questa matina cum lo adiuto de nostro Signore Dio et de
questi valenti compagni lo ho fornito, non senza periculo. Et dentro gli ho
lassato alexino albanese cum bono numero de li soi compagni, quali teneranno
talmente custodito da la parte verso la marina questo castello, che non gli
potrà intrare uno ucello. Ne da la terra bisogna pensare per essere fornito lo
episcopato et quante case gli sono intorno. Ita che se po extimare non habia ad
tenerse multo questi che sonno dentro queste fortezze. Tamen per omne modo
bisogna che la Ex.a V.a mandi qualche altro bono numero de compagni cum le
artegliarie che gli ho domandate per laltre mie, adciò se possano stringere et
redure cum tanto più prestezza alla obedientia dela Ex.a V.a alla quale me
recomando. Ex Savona XXVIIII Septembris 1488. Excellentiae Vestrae Servitor
Bocholinus Gozonus de Auximo Armorum ecc.".
Tra
Cinquecento e Ottocento la realtà sociale e linguistica italiana restò sempre
profondamente frammentata a causa delle lotte per l'equilibrio condotte dai
grandi Stati nazionali europei.
Nel
XVI secolo la lingua scritta si identifica ormai col toscano letterario,
variando comunque il grado di approssimazione al modello, a seconda del grado
di cultura degli autori e del genere interessato. Alla fine del secolo è
diventata ormai difficile la localizzazione di un testo in prosa. Per Osimo c'è
da ricordare la comparsa dei primi testi a stampa, prodotti appunto localmente
dal Tebaldino (1567) e soprattutto dal De Grandis (dal 1569), il quale - come
ricordato - mise sotto i suoi torchi il Magnificae
et Vetustissimae Civitatis Auximi volumen in quo Leges, Statuta, Constitutiones
et Decreta... nel 1571. Uno degli scopi dichiarati di questa pubblicazione,
anche se di minore importanza, era "ad politiorem, concinnum, Romanumque
sermonem reddidere" le leggi che "a Romana lingua longe prorsus
alienae" erano divenute. Ma nonostante questo buon proposito, i termini
volgari locali abbondano ugualmente. Ne riportiamo una scelta:
"laborerium" (I,4), "auscultantes" (I, 8),
"sportula" (II, 11), "massarolo" (II, 17),
"dohanerius" (II, 32), "ianitor" (II, 35),
"ditto" (II, 39), "toballietta" (II, 42),
"palumbaria" (IV, 52), "marescallum" (V, 4),
"broda" (V, 21), "pizicharolus" (V, 37),
"trichula" (V, 37), "cribanaria" (V, 51),
"fornarius" (V, 51), "bursia" (V, 96), "centura"
(V, 96), "caldarium" (V, 100), "cannetum" (VII, 13),
"arroncare" (VII, 18).
La
grande frammentazione delle Marche nel sec.XVII in legazioni, terre, feudi,
masse e castelli, comportò anche la divisione e l'indebolimento culturale;
l'analfabetismo toccava il 96% su di una popolazione di meno di mezzo milione
di abitanti. Le migliori scuole erano quelle tenute dai Gesuiti, connotate fortemente
dallo spirito controriformistico. Si aprirono diverse biblioteche: quella di
Osimo data al 1667, donata da Francesco Cini, osimano, vescovo di Macerata. È
anche il secolo delle accademie (ad Osimo, gli Avvalorati ed i Sorgenti).
Attraverso i testi scritti per la scena, il dialetto cerca di conquistare nuovi
spazi espressivi e di toglierne al toscano trionfante. Si conoscono due
commedie in dialetto marchigiano mediano, entrambe intitolate Intervenuta (e conservate
rispettivamente presso le biblioteche comunali di Macerata e di Serra
S.Quirico), dove si riscontrano vocaboli ancora oggi in uso da noi, quali
"sbiscià" (osimano "sbisgià", scivolare), "scapà"
(osimano "capà", scegliere), "scrima" (osimano
"scrime", scriminatura), "scutulasse" (osimano "scudulasse",
capovolgersi). Non si dà invece poesia dialettale, concedendo imitazione
solamente alla lezione del Marino (Giovannetti, Sempronio).
Il
Settecento segna per la nostra regione un lungo periodo di immobilismo
culturale, se si eccettuano i pochissimi studiosi coordinati da Giuseppe
Colucci, l'autore della grande raccolta di documentazione marchigiana confluita
nei 31 volumi delle Antichità picene
(Fermo, 1789-91), e l'attività delle accademie arceviesi (gli Affumigati e la
Misena). Ma ciò che più ci interessa è costituito dalla Raccolta di voci romane e marchiane poste per ordine di alfabeto con le
toscane corrispondenti per facilitare a ciascuno lo studio delle lingue che
Giuseppe Antonio Compagnoni (1731-79) pubblicò anonimamente proprio ad Osimo nel
1768 per i tipi del Quercetti (e che venne ristampata nel 1932 dal Merlo). La
pubblicazione comprende voci di tutte le regioni dello Stato Pontificio,
escluse l'Emilia e la Romagna, ed ha un intento più pedagogico che linguistico,
intendendo appunto "facilitare a ciascuno lo studio della lingua".
L'utilità di questo lavoro si rivela quando, confrontando i suoi lemmi con
quelli del vernacolo osimano odierno, riusciamo a stabilire gli
"antenati" prossimi, cioè settecenteschi, dei vocaboli odierni. Per
esempio esisteva il vocabolo "nisciuno", tale e quale vive oggi; e
ancora: il verbo "magnare" (anche se sarebbe più corretto dire
"magnà"); "magara", del quale si danno due corrispondenti
greci, "makas" e "makàri"; "lupomanaro" con
rimando al Vocabolario della Crusca sotto la voce "maniaco"; e
ancora, in ordine alfabetico, "careggiare"; "allesso" con
vicino il latino "elixum"; "anguria"; "biroccio";
"bozzo"; "brugiare"; "castrica";
"coderizzo"; "crescia"; "cossa";
"cucchiara"; "delma"; "fracascè";
"fiottare"; "foderetta"; "forbicetta";
"gangano"; "gambetta" (delle lettere);
"gargalozzo"; "gramaccia"; "grancio";
"grattacacia"; "mandola"; "melangola";
"moccicare"; "monnezzaro"; "ovatta";
"pacca" e "paccare"; "parnanza";
"Pasquella"; "pattuella"; "piccionara";
"pigna"; "piro"; "pitria"; "prete"
(scaldaletto); "quitarra"; "rampinarsi";
"reccamo"; "rendiera"; "ricapezzare";
"rigalo" e "rigalare"; "rinaccio" e
"rinacciare"; "robba"; "romanzina";
"rosciolo" (pesce); "ruzzo"; "saccocciata";
"san" ("con"); "saracca" (spada);
"sbiavito"; "sbisciare"; "sbrozzoloso";
"scartozzo"; "schiafana"; "schioppetti"
("morbillo"); "scialpo" e "scialpare";
"sciapo"; "sciuccare"; "sediola";
"sgaggiare"; "sgrizzare" e "sgrizzo";
"smoccicare"; "smollicare"; "smuscinare";
"somenta" e "somentare"; "spiccia";
"spisciolare"; "spizzicare"; "squacquarare";
"stecchia"; "strampalone"; "stronzicone";
"tarpano"; "tega"; "tigame"; "tirabuscion";
"torcolo"; "traccagnotto"; "zinale".
Per
quanto riguarda la situazione culturale della nostra terra agli inizi del
secolo XIX, è sufficiente leggere la lunghissima lettera che Giacomo Leopardi
il 30 aprile 1817 indirizzava al Giordani. In particolare così il poeta
giovanetto si esprimeva: "Qui, amabilissimo Signore mio, tutto è morte,
tutto è insensataggine e stupidità. Si meravigliano i forestieri di questo
silenzio, di questo sonno universale. Letteratura è vocabolo inaudito. I nomi
del Parini dell'Alfieri del Monti, e del Tasso, e dell'Ariosto e di tutti gli
altri han bisogno di commento. Non c'è uno che si curi di essere qualche cosa,
non c'è uno a cui il nome di ignorante paia strano. Se lo danno da loro
sinceramente e sanno di dire il vero". E Giacomo scriveva a dieci
chilometri da Osimo, in un ambiente molto simile al nostro.
Tralasciamo
qui le considerazioni del poeta riguardo ai dialetti (non ritenuti da lui
all'altezza di costituire linguaggio poetico), mentre ricordiamo en passant la sua sporadica
considerazione per la parlata di Recanati, alcuni termini della quale egli si
ritrova a considerare in diversi punti dello Zibaldone, e qualcuno era "vigente" anche ad Osimo (vedi
"ciniscia" simile a "cenisgia", "misticanza",
"pigna", "piovizzicare", "sardone").
Se
tale era il clima letterario della nostra regione nel secolo scorso, ancora più
desolante si presentava in essa il quadro della letteratura dialettale. Ad
accrescere le differenziazioni tra regione e regione agì in Italia anche la
rivoluzione industriale, che causò una maggior chiusura - per motivi economici
- tra gli Stati italiani.
Il
secolo XX vede per primo la produzione a stampa di alcuni testi in vernacolo. I
principali, in puro ordine cronologico, sono: Costantino Costantini, Pr'i viguli e pr'i campi, Osimo,
Scarponi, 1922; Benedetto Barbalarga, La
battaja del porcu, Osimo, Scarponi, 1924; Costantino Costantini, Canti senza testa, Osimo, La Picena,
1924; Costantino Costantini, Popolaresca,
Roma, 1927; Augusto Tappa, La moda
stramuderna de le donne (...), Osimo, Scarponi, 1929; Costantino
Costantini, Bastianellu, Osimo,
Scarponi, 1935; Elmo Cappannari, Quadretti
di vita osimana, Osimo, Scarponi, 1946; Carlo Grillantini, Cinquantatre sciapate in osimano (senza
testa e sa la coda), Osimo, Belli, 1950; Carlo Grillantini, Tre quartine in osimano, Osimo,
Scarponi, 1951; Elmo Cappannari, S.Martino
- La cosa più bella che ce resta, Osiimo, Belli, 1955; Benedetto Barbalarga,
Scherzi dialettali, Ancona, 1963;
Carlo Grillantini, testi e glossario dialettale in Saggi e studi sul dialetto osimano e rievocazioni in lingua,
Pinerolo, 1966 e in Osimo - Guida storico-artistica
- Dialetto - Folclore, Pinerolo, 19755, II parte, con aggiunte in Uomini, cose, avvenimenti di Osimo,
Pinerolo, 1980; Armando Marra, Storia e
storie d'Osimo (s.d.); Gino Vinicio Gentili, Asteres, Bologna, 1986; Gino Vinicio Gentili, Intorno a l'arola, Bologna, 1987; Leonardo Mancino, La casa, la madre, il colle e l'orto,
1989 (non si tratta di dialetto stretto).
In
queste composizioni il dialetto, nel giro di circa sessant'anni, è abbastanza
cambiato, soprattutto dal punto di vista di vista lessicale. Infatti numerosi
sono stati i prestiti dall'italiano e altrettanto numerosi sono i vocaboli
caduti completamente in disuso, specie durante e dopo gli anni Sessanta.
All’elenco sopra riportato sono da
aggiungere i numerosi scritti in vernacolo pubblicati su “L’Antenna”, periodico
locale, da vari autori: Umberto Graciotti, Sandro Mosca ecc., tenendo conto,
comunque, che si tratta di “pezzi brillanti”, nei quali il dialetto è usato,
appunto, per rendere vivacità o comicità.
Vocaboli osimani derivati direttamente dai corrispondenti
latini classici o latini volgari (con esigue variazioni fonetiche).
Esemplificazioni
I
vocaboli appartenenti a questa ed alla seguente categoria costituiscono
chiaramente una minoranza, essendo il vernacolo osimano per la quasi totalità
composto da vocaboli aventi sì 'ascendenzà latina, ma poi toscanizzati e/o
italianizzati e quindi passati ad esso, subendo un'ulteriore trasformazione
fonetica ('osimanizzazione’).
La
categoria di vocaboli, che qui ci interessa, è giunta al vernacolo osimano
direttamente dal latino (medievale, più spesso, ma anche classico), senza
subire la toscanizzazione e/o la successiva italianizzazione. In questo ambito
sono chiaramente osservabili le modificazioni tipiche minime che il vernacolo
osimano ha condotto sul lessico latino. Esse risultano di minor numero rispetto
a quelle condotte sul lessico italiano; cioè l’osimano ha mantenuto un
atteggiamento più 'conservatore’ riguardo alla lingua latina piuttosto che
riguardo alla lingua italiana. Si può nel contempo affermare che il lessico più
antico (latino medioevale) ha subito minori alterazioni rispetto al lessico di
più recente acquisizione (lingua italiana del secondo millennio dell'era
volgare).
Esemplificazioni:
Voce latina |
Voce osimana |
Voce italiana |
"aciarium"
(tardo) |
"acciaru" |
acciaio |
"amandula"
(tardo) |
"mandula" |
mandorla |
"bonus" |
"bonu" |
buono |
"bos" |
"bò" |
bue |
"caelum" |
"celu" |
cielo |
"ceresium"
(volg.) |
"ceresgiu" |
ciliegio |
"cerqua"
(volg.) |
"cerqua" |
quercia |
"de" |
"de" |
di |
"dictus" |
"dittu" |
detto |
"domus" |
"domu" |
duomo |
"gingiva" |
"gingia" |
gengiva |
"homo" |
"omu" |
uomo |
"me" |
"me" |
mi |
"novus" |
"novu" |
nuovo |
"piulare"
(volg.) |
"piulà" |
pigolare |
"rastellum"
(“rastrum”) |
"rastellu" |
rastrello |
"schola" |
"scola" |
scuola |
"se" |
"se" |
si |
"te" |
"te" |
ti |
"ultra" |
"oltra" |
oltre |
"Vergilius" |
"Vergì" |
Virgilio |
Vocaboli osimani derivati direttamente dai corrispondenti
latini classici o latini volgari e trasformatisi a seguito di più profonde
variazioni fonetiche. Esemplificazioni
Questa
categoria si presenta naturalmente più nutrita della precedente e comprende
vocaboli sempre tratti direttamente dal latino volgare o classico, senza
successiva toscanizzazione o italianizzazione, ma sui quali si è operata
l'osimanizzazione di tipo fonetico.
Esemplificazioni:
Voce latina |
Voce osimana |
Voce italiana |
"-amus"
(verbi I.a con.) |
"-amu" |
-iamo |
"blastimare"
(volg.) |
"biasctimà" |
bestemmiare |
"caecare" |
"cegà" |
accecare |
"caecus" |
"cegu" |
cieco |
"cambra"
(volg.) |
"cambura |
camera |
“cannabis” |
"canniba" |
canapa |
"coquere" |
"cosce" |
cuocere |
"coxa" |
"cossa" |
coscia |
"cum+initiare" |
"cumenzà" |
cominciare |
"cursus" |
"cursa" |
corsa |
"deorsum" |
"giò" |
giù |
"dies Mercurii” |
"merculdì" |
mercoledì |
"discrimen" |
"scrime" |
scriminatura |
"duo" |
"dò" |
due |
"ecce" |
"ecchelu |
"ecco" |
“-emus” (verbi II.a
con.) |
"-emu" |
-iamo |
"exsucare" |
"sciuccà" |
asciugare |
"feniculum" |
"fenocchiu" |
finocchio |
"focus" |
"fogu" |
fuoco |
"foras" |
"fora" |
fuori |
"fracidus" |
"frasgidu" |
fradicio (met.) |
"frigere" |
"frisge" |
Friggere |
"hostaria"
(volg.) |
"ustaria" |
osteria |
"illa" |
"lia"
(metat.) |
lei |
"-imus"
(verbi III.a con.) |
"-imu" |
-iamo |
"lactarius"
(tardo) |
"lattarolu" |
lattaio |
"laxare" |
"lassà" |
lasciare |
"mactare" |
"'mmazzà" |
ammazzare |
"mel" |
"mele" |
miele |
"operire" |
"uprì"
(scambio con “aperio”) |
aprire |
"par" |
"paru" |
paio |
"pavor" |
"paora" |
paura |
"pullarium"
(tardo) |
“pullaru” |
pollaio |
"rota" |
"roda" |
ruota |
"sabbatum" |
"sabbedu" |
sabato |
"siccare" |
"sciuccà" |
asciugare |
"socrus" |
"soscera" |
suocera |
"solea" |
"sola" |
suola |
"sternumentum |
"scternudu" |
starnuto |
"syndicus" |
"sinnigu"
(assimilaz.) |
sindaco |
"-um" |
"-u" |
-o |
Conclusione
Riguardo
all'attuale veloce trasformazione (per usare un eufemismo) del vernacolo
osimano, e di tutti i dialetti in genere, c'è da ricercarne la causa principale
nell'uso sempre più diffuso dell'attuale lingua italiana. E qui si deve
prendere atto di un paradosso: sono gli stessi volgari locali (usati dai
giornalisti e dai presentatori in ‘facili’ traduzioni mentali in diretta) a
fabbricare la lingua della televisione, chiaramente accanto all'azione
destabilizzante della lingua inglese (anch'essa ‘speditamente’ tradotta) e di
altre lingue straniere (seppure in misura meno notevole). La lingua televisiva,
venendo imitata, contribuisce in maniera determinante non solo a modificare i
volgari locali, ma addirittura alla loro prossima prevedibile soppressione. Come
dire, suicidio linguistico.
Un'azione
veramente incisiva e valida per evitare questo fenomeno potrebbe - a nostro
avviso - essere intrapresa solamente dalla scuola, quando, invece di censurare
il dialetto, lo affianchi in pari dignità alla lingua italiana, sia nell'uso
sia nello studio, considerandolo come prima lingua di espressione, come in
effetti è stato per la maggioranza dei parlanti nell'ultimo millennio ed oltre.
Alcuni “fossili” di lingue diverse dal Latino
Il
"san" (italiano "con") riportato dal Compagnoni e da lui
raffrontato col greco "syn", è oggi divenuto "sa" e vige
più che altro in area rurale. Esso fa anche riandare al sanscrito
"sam", di pari significato.
L'aggettivo
"straccu" è una copia esatta del longobardo "strak”.
Dal
francone si hanno almeno due vocaboli: “(v)ardà” (italiano
"guardare") che proviene da "wardon", che significa
"stare in guardia"; e "sparagnà" (italiano
"risparmiare") da "sparanjan".
La
parola “bardasciu” (italiano “bambino”) deriva dall’arabo “bardag” che vale
“giovane schiavo” e si ritrova anche in altri dialetti nella forma “bardasso” e
“vardasciu”.
Principali differenze fonetiche tra vernacolo osimano e
lingua italiana
Bisogna
premettere che i confronti che seguono andrebbero più giustamente eseguiti non
con l'attuale stato della lingua italiana, ma con i diversi stadi che la stessa
ha attraversato nei secoli trascorsi dalla sua formazione.
1. Vocali e nessi
vocalici
1.1 A
- atona > E
(spor.): es. "barberu", "fermascia", "orghenu",
"Peseru", "sabbedu", "Sctefenu",
"scternudu", "selleru"; imperativi I.a coniug.: es.
"magnelu". Nelle finali: es. "chiese".
- atona > I
(spor.): es. "birocciu", "canniba", "ingunia",
"monniga", "sctomigu", "sinnigu",
"tonniga".
- tonica > IÀ
(spor.): es. "scmemuriadu".- atona > O (spor.): es.
"oprì".
- atona > U
(spor.): es. "gabula", "scandulu".
- AU atono > U
(raro): es. "Ugusctu","Ureliu".
- aferesi, se atona:
es. "'ccegà", "'cchiappà", "'cciaccà",
"'ccumedà", "Gujà", "guzzu", "'llentà",
"'mmazzà", "'ndà", "'ntipadigu",
"renga", "rià", "ricchì",
"risctugradigu", "sciuccà", "sgerbu",
"stroligu", "ttaccà", "'ttizzà".
1.2 E
- spesso aperta: es.
"invesce", "legge" (sost.), "scemu",
"vergine".
- chiusa invece che
aperta: es. "sei" (numerale), "scena", "piega".
- atona > A
(frequ.): es. "abreo", "caldararu", "carubì",
"chiacchiarà", "diassilla", "garuju",
"matarazzu", "musarola", "oltra",
"purcaria", "sargente", "scganganadu", "scpregaria",
"talefenu", "tarazzu", "usctaria"; condiz. pres.
I.a coniug.: es. "magnaria"; futuri I.a coniug.: es. "cantarò".Nelle
finali dei femminili in -e: es. "fulisgina", "polvera",
"pomiscia", "quala", "rusgena",
"serpa".
- atona > I
(frequ.): es. "calchidù", "cirottu", "criadura",
"divuziò", "gingia", "giniale",
"isctade", "liccà", "liò", "Lisà",
"malcriadu", "Napuliò", "pisctà",
"puntirolu", "rigalà", "scimentu",
"Sinigaja".
- tonica > I
(spor.): es. "dittu", "lia".
- atona > IÀ
(spor.): es. "biasctimà".
- atona > IÈ
(spor.): es. "tienè".
- atona > U nelle
desinenze masch. sing. (frequ.): es. "bicchieru", "grannu",
"lepru".
- EU > U (raro):
es. "Usgeniu".
- Si aggiunge come
finale nelle parole straniere in consonante: es. "abbisse",
"bare", "brecche", "este", "fonu",
"gasse", "nicchesse", "norde", "oeste",
"sporte", "tennisse"; ma: "camio".
- aferesi, se atona:
es. "dugadu", "'llasctigu", "migragna".
- sincope, se atona
(spor.): es. "brettu", "budu" (da "bevudu"),
"merculdì", "poru" (da "poveru"),
"tremodu".
-
sincope, se tonica (raro): es.
"cul", "cula".
1.3 I
- atona > (spor.):
es. "fora", "fracascè", "magara".
- > E (frequ.): es.
"ascenu", "belancia", "besaccia",
"besontu", "burghesgia"', "ce",
"ceresgiu", "de", "dedu", "Felì" (da
"Felippu"), "fenì", "fenocchiu",
"lengua", "maghena", "mantenicchia",
"me", "prencibe", "recamu", "renga",
"rusgena", "sce", "scpegne", "sctrenga",
"se", "sctregne", "te, "tentu",
"urdegnu", "usemà", "ve", "vegne",
"Vergì"; imperativi II.a e III.a coniug.: es. "beve",
"sente".Nelle finali (raro): es. "denare".
- > U (spor.): es.
"centenaru", "cruellu", "garuju",
"grandula", "rondula".
- > UI (raro): es.
"guisgiola", "guidara".
- IÀ > A (spor.):
es. pres. ind. I.a coniug. I.a pers. pl.: es. "parlamu",
"tajamu", "sunamu".
- IÀ > E (spor.):
es. pres. ind. II.a coniug. I.a pers. pl.: es. "leggemu".
- IÀ > I (spor.):
es. pres. ind. III.a coniug. I.a pers. pl.: es. "sentimu";
"discissette", "discinnove".
- IE > E (raro):
es. "spesce".
- IÈ > È (freq.):
es. "cegu", "celu", "cuscensa", "mede",
"mele", "rempì".
- IÈ > Ì (raro):
es. "rimpu", "schina".
- IU > E (raro):
es. "rescì".- aferesi se atona (frequ.): es. "'gnurante",
"'mbriagà", "'mbrujò", "'munnezza",
"'struì".- sincope se atona (frequ.): es. "bricchì",
"carcà", "multura" (da molitura), "nualtri",
"'rmane", "vualtri".- apocope se atona (raro): es.
"nò", "vò".
1.4 O
- aperta invece che
chiusa (raro): es. "Bulogna".- chiusa invece che aperta (raro): es.
"Giove", "boscu".
- > A nelle finali
masch. (spor.): es. "broda", "custora", "lora",
"mia", "sua", "tua".
- > E (spor.): es.
"'ccumedà", "ecchelu", "'Nfelonniga",
"presgiuttu", "sprefonnu", "telefenu"; pres. ind.
III.e pers. pl.: es. "fanne", "polene".Nelle finali: es.
"asse", "fume".- > I (raro): es. "comidu" (o
"commidu"), "stroligu".
- tonica > U
(spor.): es. "cume", "cursa", "cusa",
"nun".
- atona > U
(frequ.): es. "dulore", "susctansa", "Rubertu".In
tutte le finali: es. "taccadu", "finidu",
"Paulu", "'ndadu", "cattiu".
- > IU (raro): es.
"schiuppà".
- OI > U (raro):
es. "nualtri", "vualtri".- aferesi se atona (raro): es.
"'bbedì", "belligu", "recchia".
1.5 U
- > I (spor.): es.
"inguentu", "rimore".
- tonica > O
(spor.): es. "besonto", "donca", "giò",
"paora".
-
UE > O (spor.): es. "bò"
(bue), "dò" (due); ma: "sue", "tue".
- UÒ > O (di
norma): es. "bonu", "cosce", "domu",
"fogu", "fora", "logu", "musarola",
"novu", "omu", "roda", "scola",
"sola", "soscera".
-
aferesi, se atona (raro): es.
"cellu".
2. Consonanti e nessi
consonantici
2.1 B
- > BB (iniziale)
(spor.): es. "bbadà", "bbajà".
- > BB (interna)
(spor.): es. "gabbarè", "libbru", " robba",
"sabbedu", "tribbulà", "trobbidu".
- > F (raro): es.
"fiocca".
- > V (raro): es.
"sciaatta (da sciavatta)", "sbiaidu".
2.2 C
- > CC: es.
"acacciu", "reccamu".
- > G (iniziale)
(frequ.): es. "gambià", "garbò", "gardellì",
"gardinale", "gasctigu", "graatta".
- > G (interna)
(frequ.): es. "amigu", "bugu", "gnigò", "'mbriagu",
"musiga", "pruugà", "scpettagulu",
"segonnu".
- > S (raro): es.
"pansa".
- > SC (frequ.):
es. "cosce", "cuscina", "diesci", "
fasceu", "fascile", "lisceu", "sce",
"scinta".
- > SG (frequ.):
es. "basgiu (bacio)", "brasgia", "brasgiola",
"brusgià", "camisgia", "casgiu",
"curnisge", "risginu", "sgerbu".
- > Z (raro): es.
"'ncumenzà".
- CC > GH (frequ.):
es. "bagalà", "bugale", "buguncì",
"rusigà", "sugu" (ma: "buccò").
- CC > ZZ (raro):
es. "scapezzà", "scartozzu".
- CH > C (raro):
es. "granciu" (o "sgranciu"), "numbrisciu".
-
CH > SG (raro): es. "basgiu"
(baco)", "busgiu".
2.3 D
- > DD (frequ.):
es. "doddisci", "treddisci".
- > GH (raro): es.
"vagu".
-
> LL (raro): es. "selleru".-
sincope in "ranciu".
2.4 F
- > FF (interna)
(frequ.): es. "riffulu", "sctuffu".
2.5 G
- > C (raro): es.
"Caribaldi", "ranciasse".
- > CC (spor.): es.
"sciuccà".
- > GG (interna)
(spor.): es. "urloggiu" (anche "urlosgiu").
- > SG (frequ.):
es. "Biasgiu", "rasgiuniere".- > V (raro): es.
"vardà".
- GG > SG (frequ.):
es. "frisge", "rusgena", "strusge".
- GH > D (raro):
es. "lendiera".
- GH > J (iniziale)
(spor.): es. "jacciu", "janna", "jomu" (da
"gumidulu)", "jottu".
- GL > J (molto
frequ.): es. "aju", "budija", "cujò",
"garuju", "Gujè", "Jè", "maja",
"'mbrujò", "meju", "sbaju", "vaja".
- GL > LL (frequ.):
es. "cunillu".- sincope in "piulà" (pigolare)",
"ardà" (guardare)".
2.6 L
- > J (spor.): es.
"bascuja", "oju".
- > LL (spor.): es.
"baulle", "cell'ea".
- > N (spor.): es.
"antru", "numbrisciu".
- > R (frequ.): es.
"ceresgiu", "curtellu", "furminante",
"rasagnolu", "rigulizia", "scarogna",
"scarpellu", "sfrasgellu", "spusariziu".
- LL > J (frequ.):
es. "boja", "boje", "puju",
"sbujentà".- sincope in "abbisse".
2.7 M
- > GN (raro): es.
"sparagnà".
- > MB (frequ.):
es. "cambura", "camburiere", "sembula".
- > MM (frequ.):
es. "amme", "ammidu", "cummare".
- ML > MEL (raro):
es. "Meledu".
- MM > M (spor.):
es. "scimia"; ma: "gomma", "mamma".
-
MP si assimila in PP (frequ.): es.
"roppe".
2.8 N
-
> GN (spor.): es.
"gnacchera", "gnisciù", "gnocca",
"pignolu".
-
> L (raro): es. "grandula",
"rondula".
-
> NN (frequ.): es.
"dumenniga", "lunnedì", "'ncronnigu",
"tanniga".
-
NC > GN (raro): es. "vegne".
-
NG > NN (frequ.): es.
"mogne", "ogne (ungere)", "piagne",
"scfragne", "scpegne", "sctegne", "sctregne",
"tegne".
-
NGH > GN (raro): es. "ogna".
-
NIA > GN (frequ.): es.
"culogna", "migragna", "sborgna".
-
NIE > GN (iniziale): in
"gnè".
- ND si assimila in NN
(di norma): es. "cumannu", "cumprenne",
"dumanna", "faccenna", "fronna",
"grannu", "mannà", "monnu", "munnezza",
"nasconne", "'nna", "predenne",
"quannu", "segonnu", "sfunnadu",
"sinnigu", "spanne", "spenne", "tonnu",
"venne"; ma: "grandula", "mandula".
-
NN > GN (raro): es. "pagnu";
ma: "nonnu".
2.9 P
- > B (frequ.): es.
"abbisse", "biattula", "bisellu", "brugna",
"cabottu", "cabra", "cabucciu",
"caburale", "cibolla", "cuberta",
"paba", "pobulu", "prencibe", "sabé",
"scubà".
- > PP (interna)
(spor.): es. "pippa".
-
> V (interna) (spor.): es.
"peerò", "scavesctru".
2.10 Q
- > CH (spor.): es.
"calche", "calchidù", "donca"; ma:
"quadernu", "quadru" ecc.
- > GH (spor.): es.
"guasi", "rigulizia".
2.11 R
- > L (spor.): es.
"clema", "Diassilla", "lendiera",
"rigulizia", "scialpa".
- > N (spor.): es.
"mantinicchia", "sganganadu".- sincope in
"mandula", "rastellu".
- RC si assimila in CC
(frequ.): es. "badacce", "vedecce", "cupracce".
- RI metatesi in AR
(iniziale) (spor.): es. "ardecchelu", "armane",
"armette", "arturnà", "'rvedè".
- RI metatesi in ER
(iniziale) (spor.): es. "m'ercordu".
-
RI metatesi in 'R (iniziale) (frequ.):
es. " 'rcurdà", "'rmasta", "'rturnà".
-
RR > R (di norma): es.
"caru", "ghidara", "guera", "tera".
-
RS assimila in SS (spor.): es.
"alzasse".
2.12 S
-
> C (raro): es. "borcia",
"salciccia".
- > SC (frequ.):
es. "accuscì", "scì", "sciguru".
-
> Z (raro): es. "penzà",
"salza".
- + B, CH, D, F, GH,
M, N, P, Q, T, V > SC (di norma): es. "scbudellà",
"sccrusctà", "sdugà", "scfarinà",
"scgaggià", "scmenà", "biscnonnu",
"scpusà", "scquadrinadu", "sctufà",
"scvergugnà".
- SC > SS (spor.):
es. "cossa", "lassà".
- SC > SG (frequ.):
es. "lisgià", "presgiuttu", "strasginà",
"strisgià".
- SCH > SC (spor.):
es. "finisciu".
-
SS > SC frequ.): es.
"fracascè", "nisciù", "pasciò",
"rosciu", "sfragascià", "tosce".
-
SS > S (spor.): es. "Lisà"
(Alessandro)", "mesu".
-
SS > Z (raro): es.
"cazzarola"; ma: "cassa".
2.13 T
- + voc. > D
(iniziale) (raro): es. "dunzilla".
- + voc. > D
(interna) frequ.): es. "cadena", "cadì", "dedu",
"inudile", "pudè", "rede", "suldadu",
"vida; partic. pass": es. "finidu".
- + cons. > D (nel
gruppo ST) (spor.): es. "sdrega"; ma: "sctreccià".
- > G (raro): es.
"sctrigulà".
- > TT (frequ.):
es. "dattu", "pattada", "sccattula".
- TT > CC (raro):
es. "sciuccu".
-
TT > D (frequ.): es.
"badezzu", "madina", "mado", "quadrì".
2.14 V
- > B (spor.): es.
"besciga", "malba".
- > G (spor.): es.
"guisgiula", "guluppa (da inviluppo)", "nugulu",
"sguizzeru".
-
> U (raro): es. "sciuetta".-
sincope se intervocalica (norma): es. "beuda", " guernu",
"mentuà", "nuidà", "pruincia", "truà",
"ua (uva)".- sincope nel gruppo VR (frequ.): es. "aria",
"arò".
2.15 X
-
> CCHESE in "bocchese"
(box), "facchese" (fax), "icchese" (ics).
2.16 Z
-
> C (raro): es. "ciuffulu",
"melancià", "pacenza".
- > S (frequ.): es.
"'nfilsà", "marsu", "sensa", "sfilsa".
- > ZZ nel gruppo
ZI+voc. (di norma): es. "giudizziu".
-
ZZ > GG (raro): es.
"gaggia".
3. Altri fenomeni
a) Modifica di
iniziale:- + A (spor.): es. "accuscì", "alluscì",
"aradiu", "auffa".- + S (frequ.): es.
"scbarattà", "scbesonto", "scbiascigà",
"scbonu", "scbruntulà", "scbusgià",
"sccarcioffenu", "sccarpì", "sccartozzu",
"sccassà", "scmattisse", "scmuccigà",
"scmuscià", "scolabrodu", "scpartì",
"scpasseggià", "sctrasginà", "sccuffia",
"sfilsa", "scfragascià", "scfragne",
"scfrasgellu", "scfugà", "sctrunà",
"scturnà", "sgranciu".- aferesi (spor.): es.
"'gna", "paccà", "'sa" (da "quessa"),
"sparagnà", "'sta".
b) Apocope:- di -NE in
-ANE/I (frequ.): es. "cà", &quoot;dumà", "pà".- di -NE
in -ENE (di norma): es. "bè", "mantiè".- di -NE in -ONE (di
norma): es. "cujò", "padiò", "padrò", "trumbò".-
di -NO in -ANO (di norma): es. "crisctià", "grà",
"mà".- di -NO in -INO (di norma): es. "mulì",
"spì", "taulì", "vì".- di -NO in -UNO (di norma):
es. "disgiù", "nisciù".- di -RE negli infiniti presenti (di
norma): es. "rià", "vede" (o "vedè")",
"sentì".- nei nomi propri (quasi di norma): es. "Antò",
"Dumè", "Francè", "Giuà", "Gujè",
"Gustì", "Lurè", "Nazzarè", "Pascì",
"Peppì ", "Terrè", "Vincè".- altri casi:
"adè", "cu", "gnè", "gnigò",
"jè", "lù", "mì", "'ndu",
"'o" (da "'olta")", "pulè", "què",
"qualcò", "tù".
c)Passaggio -AIO >
-ARO (di norma): es. "acciaru",, "nudaru", "paru",
"pullaru", "vedraru".
d) Suffissi
particolari:- -CCIA: es. "gramaccia"- -GIA: es. "cenigia"-
-EMBULI: es. "accidembuli"- -ENNZIU: es. "accidenziu"-
-ERBA: es. "acciderba"- -EU: ess. "canfeu"- -ORIU: es.
"bruttoriu"- -ROLU: es. "lattarolu",
"pesciarolu"- -U (invece di -AMENTO): es. "accumpagnu"
e) Sincopi, es.
"fradiu", "Micchere", "pleure",
"purettu", "purì", "scpicciu",
"scricchià", "scrime", "tughetta".
f) Aggiunta di
lettere, es. "maltappena", "marzumaja",
"'mbrenna", "melauro", "mucculu",
"neccortu", "nuggia" (da uggia)",
"pipidula", "rinsega", "sctantiulidu",
"sctraccu", "sctrainisse", "sgranfignà",
"sgrizzà", "trusamarì", "ubbiede", "
vermenu", "vespera".
g) Metatesi es.
"battecca", "brignoccula", "cerqua",
"cuncorsiu", "drentu", "fedigu",
"frasgidu", "gamazzì", "purcessiò",
"scbinnonnu", "sctroppiu", "trobbidu".
h) Scambio di
consonanti es. "calonnigu".
Cenni grammaticali
- Articoli
determinativi: el ('l), lu, la, i, i, le.
Scambio di articoli:
es. el zuccheru, lu ride.
- Articoli
indeterminativi: un, unu, una ('na).
- Nomi propri
apocopati: es. Antò, Giuà, Vincè, Pè.
- Grado comparativo
degli aggettivi - Uguaglianza: ... cume (quantu); maggioranza: più... de ...;
minoranza: menu ... de ...
- Grado superlativo
degli aggettivi - Assoluto: positivo + un bel pò (oppure "probiu",
oppure "bellu ..."); relativi: "il più ... de ...";
"il menu ... de ...". Mancano tutte le forme irregolari italiane (es.
migliore, maggiore, minore, ottimo, pessimo ecc.), sostituite da avverbio +
grado positivo. "Meju" (o "più meju") sostituisce migliore.
- Aggettivi
sostantivati: es. "'l bonu", "'l pogu".
- Aggettivi
possessivi: "miu" ("mia", "mi"), "mia"
("mi"), "mii" ("mia"), "mie";
"tuu" ("tu"), "tua" ("tu"),
"tui" ("tua"), "tue"; "suu"
("sua"), "sua", "sui" ("sua"),
"sue"; "nostru", "nostra", "nostri",
"nostre"; "vostru", "vostra", "vostri",
"vostre"; "de lora" (in tutti i casi).Sono sempre posposti
al sostantivo di riferimento, eccetto in "mi, tu, su padre". Le forme
enclitiche sono: "-du" e "-da" (es. "babbedu" e
"mammeda") e le forme rurali "su" e "sa" (es.
"lu zisu", "la zisa").
- Aggettivi
dimostrativi: "stu", "sta", "sti",
"ste", "su", "sa", "si",
"se", "cul" ("culu", "cul"),
"cula", "cui", "cule". Rafforzativi:
"chi", "lì", "là".
- Aggettivi
interrogativi: "qualu", "quala", "quali",
"quale", "cu", "quantu".
- Aggettivi
indefiniti: "nisciunu" ("nisciun'"), "'gni",
"pogu", "troppu", "tantu", "tuttu" ecc.
- Pronomi personali
soggetti: "iu", "te" ("tu"), "lu",
"lia", "essa", "no" ("nualtri",
"nuà"), "vo" ("vualtri", "vuà"),
"lora". Il lei è sostituito dal "te" e dal "vo".
- Pronomi personali
complementi diretti: "me", "te", "lu",
"la", "se", "ce", "ve", "li",
"le", "se"; indiretti: "me", "te",
"lu", "lia", "iè", "ne", "no"
("nualtri", "nuà"), "vo" ("vualtri",
"vuà"), "lora"; accoppiati: "melu",
"telu", "selu", "jelu", "celu",
"velu", "selu".
- Pronomi
dimostrativi: "questu", "questa", "questi",
"queste"; "Quessu", "quessa", "quessi",
"quesse"; "quellu", "quella", "quelli",
"quelle". Riferiti solo a persone (e mancanti della forma plurale):
"custù", "custia", "cullù", "cullia".
"istessu", "istessa", "istessi", "istesse".
- Pronomi possessivi:
sono uguali ai corrispondenti aggettivi accompagnati dagli articoli; l'ultima
forma è "quellu de lora" ecc. Il pronome "altrui" è reso
con "quellu dell'altri".
- Pronomi relativi:
"che" (soggetto, oggetto, complemento indiretto).
- Pronomi indefiniti:
"calchiduno" (anche "calchidù"), "calchiduna",
"calcò", "moltu", "pogu", "troppu",
"tantu", "parecchiu", "tutto",
"l'altri", "gnente", "gnisciù", "gnigò"
ecc.
- Pronomi
interrogativi: "qualu", "quali", "quala",
"quale", "cu", "cusa" (a volte rafforzato con
espressioni più o meno volgari), "quantu", "qualu".
- Pronomi esclamativi:
"quantu", "quanta", "chi".
- Verbi. - I modi
usati sono: indicativo (pres., imperf., pass. pross., trap. pross., fut., fut.
ant.), congiuntivo (pres., imperf., pass., trap.), condizionale (pres., pass.),
imperativo, gerundio (pres., pass.), participio (pass.), infinito (pres.,
pass.).
- Avverbi - Quantità:
"un bel pò", "multu bè" (entrambi posposti), ecc. Luogo:
"diedru", "quaggiò", "oltra", "giò"
ecc. Tempo: "adè", "dumà", "dobu" ecc. Modo: "cuscì"
(o "accuscì"), "alluscì" ecc. Affermazione:
"scì", "siguru" o "sciguru", "certu"
ecc. Interrogazione: "Indò", "quannu", "cume"
ecc. Dubbio: "puesse", "pudarsi", "guasi".
Locuzioni avverbiali: "alla bona" (modo); "sessà"
(affermazione); "casu mai", "guasi guasi", "lì de
giò", "lì de oltra", "su de sobra", "giò de
sotta".
- Preposizioni -
Semplici: "de", "cun" (rur. "sa"), "pè"
ecc. Articolate: "'ntel", "pel", "cul" ecc.
Improprie: "sotta", "sobra", "dobu",
"fora", "drentu", "oltra" ecc.
- Congiunzioni.
Coordinanti: "uppure", "uppuramente" (rur.),
"ussia", "ma però", "ciuè", "donca"
ecc. Subordinanti: "quannu", "benchè", "cume";
molte sono sostituite dal "che".
-
Interiezioni: "oh",
"eh", "daje" ecc.