Programma
 
“Religioni del Mediterraneo di fronte alla sfida del mercato globale”
a cura di CRIC e Millemondi

Università di Catania
Aula Magna – Monastero dei Benedettini
31/1 – 1/2/2003

Evoluzione delle religioni nell’immigrazione 

Pino Lucà Trombetta
Università di Bologna
 

(Piano dell'intervento) 

Sottovalutazione degli aspetti culturali negli studi sull’immigrazione.
Mancanza di una tradizione di studi sull'islam. 
L’immigrato visto come forza lavoro; portatore di problemi ed emergenze.
Sia da destra (controllare, limitare, espellere) sia da sinistra (aiutare, difendere, regolarizzare).
Difficoltà della cultura di sinistra a confrontarsi coi temi dell’identità, della religione (oppio dei popoli).
Deriva da ciò:

  • Atteggiamento prevalente nel dibattito sull’islam in Italia consiste nel riferirsi a stereotipi (generalizzando l’esempio peggiore: islam in alcuni Paesi, generalizzazioni di particolari interpretazioni del testo sacro, ecc). 
  • Nessun interesse per il fatto sociale rappresentato dall’immigrazione e su come si sta evolvendo la realtà culturale e religiosa nell’immigrazione.
  • Il mio contributo sarà una riflessione sulle evoluzioni delle religioni in Italia. A partire da una ricerca a Bologna: diverse comunità studiate; ruolo dei ricercatori etnici; creare ponti con le realtà culturali; obiettivo: considerare l’immigrato come persona, non come emergenza; L’islam è una delle religioni studiate.
  • Accennerò a tre linee di evoluzione: 
A. Cambiamenti nell’identità del musulmano immigrato 
B. Cambiamenti nelle organizzazioni per adattarsi alle leggi e alla costituzione.
C. Cambiamenti dovuti all’adattamento al contesto giuridico e costituzionale
 

A. Evoluzioni nell’identità del musulmano. 

Centralità della religione.

Eppure, la religione è centrale, soprattutto per i musulmani immigrati: 99,6% si dichiara musulmano; 70% praticanti; 30% non praticanti. 

L’immigrazione porta a porsi le domande che stanno alla base del sentimento religioso: Quale è il senso della mia esperienza? 
La globalizzazione non porta al melting pot ma ad un accresciuto bisogno di identità. Non assistiamo alla fine delle religioni, ma al loro fiorire, sia pure in forme differenti. 

L’accresciuto bisogno di identità e appartenenza in una società estranea spinge ad essere più consapevoli e creativi: la religione non è più un dato ambientale ma qualcosa che va costruito, deciso in forme individuali o di gruppo; i luoghi di culto non fioriscono naturalmente ma vanno costruite, contrattando gli spazi in un ambiente spesso diffidente od ostile.
Segno di questo bisogno è il fatto che gli intervistati vivono l’islam come un patrimonio importante che vogliono conservare a qualsiasi prezzo. 

Molti dichiarano che per loro la religione è diventata più importante nell’immigrazione di quanto lo fosse nel paese d’origine. 
Questo non significa una intensificazione del fanatismo o dell’ortodossia:

chi ha compiuto ricerche empiriche distingue in genere fra 

  • un islam comunitario, legato a correnti ideologiche islamiche (le più diffuse: "Fratelli Musulmani" UCOII; visione wahabita della Lega musulmana). Questa forma che coinvolge una minoranza (10% che non vorrebbe integrarsi e una piccola quota 4% che vorrebbe islamizzare l’Italia).
  • Un islam privatizzato o atomizzato: si tratta della grande maggioranza di “laici” che vuole integrarsi e accettare le leggi italiane.
Quest'ultima forma manifesta l'accettazione della separazione fra stato e religione; il concetto che la religione riguarda la sfera privata; quindi il principio della laicità dello stato.
 

Negoziazione dell’identità.

Un atteggiamento opposto a quello che svaluta l’etnia e la religione consiste nell’esaltazione della diversità e della sua protezione. Via americana alla multiculturalità che incapsula e gerarchizza le comunità. Alla base sta un’idea statica di identità.
Nella realtà dell’immigrazione le identità sono invece mutevoli e negoziate nel processo di integrazione
Uno spostamento importante registrato negli intervistati musulmani è verso la costruzione di una inedita identità interetnica su base religiosa. Moltissimi, alla domanda che chiede di definire la propria appartenenza, rispondono “musulmano” “arabo” piuttosto che marocchino, tunisino, pakistano, ecc.. 

Questa deriva senz’altro dall’importanza che l’islam attribuisce al concetto di umma, la comunità di tutti i credenti e all’ideale di un’unica realtà politico-religiosa che abbracci l’intera comunità dei credenti. 

L’immigrazione offre però la condizione per tale ampliamento d’orizzonte frutto di negoziazione. L’appartenenza all’islam è ciò che dà senso all’esistenza del soggetto in quanto immigrato, che lo colloca e lo distingue dagli altri immigrati e giustifica la sua diversità con gli italiani. 

C’è anche un interesse politico: l’identità interetnica permette più ampia visibilità pubblica agli immigrati di religione musulmana ed una migliore capacità di contrattazione con le autorità locali o nazionali. 

Un interesse, anche inconsapevole, che aiuta a comprendere perché nell’immigrazione molti dicono di essere più credenti, di pregare di più, di sentirsi più vicini ad Allah, ecc. 
 
 

B. Ruolo dei  centri islamici nella formazione dell’identità. 

La lingua. 

I centri religiosi sono realtà inter-etniche. La convivialità  è possibile a condizione che ciascuno rinunci ad una parte della propria visione della religione e della cultura (abitudini, dialetti, abbigliamento) in favore di una visione più generica ed essenziale. 

L’aspetto più evidente è l’adozione di lingue comuni a tutti: l’italiano nella moschea di Bologna in cui la maggioranza dei frequentanti non è araba (Pakistani, Senegalesi), 
L’affermazione dell’italiano come lingua è importante anche al fine di creare un islam italiano. Problema centrale per poter firmare gli accordi con lo Stato che può firmarli solo con cittadini italiani.

Il cambiamento di lingua implica un cambiamento importante nell’identità: da un lato lo spostamento verso un’identità intermedia interetnica, dall’altro l’interiorizzazione di contenuti culturali e di sensibilità italiani che necessariamente si integrano con quelli tradizionali. 

La questione della lingua è importante per la seconda generazione che con ogni probabilità continuerà a vivere e lavorare in Italia. 

Per favorire il mantenimento dell’identità religiosa, i centri islamici organizzano infatti corsi di arabo classico destinati ai più giovani. Per questi quindi, il legame con la cultura dei genitori diviene virtuale ed astratto, si riferisce ad una comunità multinazionale di parlanti arabo che non ha un territorio concreto di riferimento, ma fa riferimento solo alla lingua e al testo sacro nella quale esso è scritto. 

Studiare gli aspetti linguistici dell’immigrazione sarebbe quindi un modo per valutare il livello di integrazione dei musulmani nella cultura e società italiane.

L’ideologia.

Un ruolo importante nella diffusione organizzata di una particolare ideologia islamica è svolto dall’UCOII che raggruppa circa il  50% dei centri e il 70% dei frequentanti le moschee. Si tratta di una associazione che rivendica il suo collegamento almeno ideologico con i Fratelli musulmani.

È importante quindi analizzare i contenuti trasmessi. Tenendo presente comunque che i frequentanti sono una minoranza dei musulmani in Italia (20% circa) e che molti di quanti frequentano non condividono l’ideologia dell’UCOII.
L’analisi dei sermoni del venerdì nella moschea di Bologna mostra come l’esperienza religiosa viene proposta come l’elemento centrale per autodefinirsi e dare senso alla propria presenza in paese straniero. I sermoni parlano sempre, in modo esplicito, di cosa significa essere musulmani in un contesto straniero. 

L’esperienza religiosa diviene quindi una meditazione continua sull’identità musulmana e sui modi di viverla nella quotidianità; è rappresentata come l’unico fattore di continuità col passato e uno strumento per rapportarsi al presente senza assimilarsi ai costumi locali. La speculazione dell’imam si concentra sul tema della “nazione islamica” semanticamente opposta al “mondo occidentale” fondato sul godimento immediato (di cibo, alcol, sesso) e nella sua essenza inumano e inconsapevole. 
All’opposto la “Nazione islamica”, che deriva le sue leggi direttamente dalla religione rivelata, è descritta come umana e giusta. La “nazione islamica” è descritta sia come realtà fuori discussione ed autoevidente, sia come un ideale e un compito da realizzare. In quanto ideale l’avvento della “nazione islamica” sarà il rimedio a tutti i mali del mondo: una medicina per tutti i popoli e tutti i tempi. 

Obiettivo dell’UCOII è l’islamizzazione dal basso, e nel rispetto delle leggi italiane, della società. L’islam è infatti visto come l’unica religione che possa dare un’anima ad un mondo che l’ha perduta. Infine, trattandosi di un progetto divino, il suo avvento è un processo universale e inevitabile. 

Al di là dei contenuti più o meno fondamentalisti di queste posizioni – che del resto molti credenti non condividono – va osservato come, attraverso il concetto di “nazione islamica” e l’opposizione di questa alla società italiana – in quanto parte del “mondo occidentale” – il discorso della moschea contribuisce ala formazione di un’identità inter-etnica su base religiosa, a cui esso conferisce una base trascendente, eterna, divina.

Ruolo dei centri islamici nel processo di integrazione. 

I centri islamici sono molto diversi, nelle loro funzioni dal modello della moschea nel paese d’origine. Svolgono infatti molti compiti diversi da quelli religiosi (lingua, socialità, aiuto materiale e assistenza) sono associazioni culturali che in alcuni casi si collegano alla ricca rete di altre associazioni presenti nel territorio dell’Emilia Romagna.

Citerò a questo proposito un esempio di come tale ruolo si esercita nella pratica, parlando di un’iniziativa di recupero di giovani a rischio di devianza della moschea di Bazzano, vicino Bologna: un centro islamico ben inserito nella realtà locale, con ottimi rapporti con il comune, le autorità, la polizia, la società civile, la chiesa cattolica.

Alcune delle persone più attive  nella moschea si recano, ogni sabato sera, in alcuni bar della zona frequentati da giovani arabi dediti all’alcol e a forme di microcriminalità e vi svolgono un lavoro di proselitismo religioso: li istruiscono sulla gravità della punizione divina che li attende per i loro comportamenti; cercano di riportarli sulla buona strada e li invitano a frequentare la moschea. 

La motivazione di questi interventi è religiosa – recupero di fratelli che rischiano di perdersi – ma mira anche a migliorare l’immagine pubblica della comunità islamica e, in generale, dell’immagine che la comunità locale ha dell’islam. Anche questo del resto è un obiettivo religioso: combattere i pregiudizi che portano a confondere i musulmani con i terroristi, gli spacciatori, i criminali è un dovere del musulmano e la premessa per la diffusione dell’islam. 

Del resto nella prospettiva coerentemente islamica non c’è differenza fra obiettivi religiosi, sociali o politici e i leader religiosi si considerano in un certo senso come dei missionari dell’islam.

I giovani immigrati sono particolarmente esposti al rischio di cadere nella criminalità o in generale in comportamenti devianti. Essi infatti, più di tutti sono portati ad interiorizzare gli obiettivi legittimi che la società promette (realizzazione personale, successo lavorativo, denaro) ed esposti alla frustrazione di non poterli perseguire con mezzi legittimi, per gli stessi svantaggi della condizione di immigrati. Questa mancanza di corrispondenza fra fini legittimi e mezzi legittimi a disposizione porta, secondo l’analisi classica di R. Merton ad un doppio possibile esito, in entrambi i casi nefasto: alcuni possono tentare di raggiungere i fini legittimi con mezzi illegali e cadere quindi nella criminalità (spaccio, furti, ecc.); altri, di fronte alla difficoltà, possono rinunciare al perseguimento dei fini legittimi. In quest’ultimo caso, la mancanza di motivazioni e di mezzi legittimi conduce a comportamenti autodistruttivi (uso di droghe, alcolismo). Nel primo caso il soggetto vorrebbe assimilarsi in fretta ma non ha i mezzi per farlo; nel secondo rinuncia ad ogni assimilazione.

L’intervento degli uomini della moschea ha un effetto riequilibrante. Ricordando al giovane i suoi doveri religiosi e riavvicinandolo alla moschea essi gli ricordano i valori della sua cultura e i doveri verso la comunità, mentre lo aiutano a ridefinire gli obiettivi che egli può ragionevolmente proporsi nella condizione svantaggiata dell’immigrazione. Al sogno di un’illusoria e rapida assimilazione si sostituisce una logica di integrazione graduale: una traiettoria che prevede il passaggio attraverso la cultura d’origine e la sua trasformazione, come condizione di un ingresso legittimo nella società. 
Il successo di questi interventi non consiste solo nel numero, limitato, di giovani effettivamente “salvati” e strappati ad un destino di esclusione. Consiste soprattutto nell’indicazione di un percorso ideale – che l’esistenza stessa del Centro islamico rende evidente e garantisce in virtù della sua visibilità pubblica e del suo riconoscimento sociale. Il successo ottenuto in alcuni casi non fa che confermare la validità di un percorso di integrazione (non di assimilazione) che rimane a disposizione di tutti i membri della comunità musulmana.
 

Evoluzione dei riti. 

Anche nella ritualità si è spesso attratti da aspetti superficiali e si perviene a giudizi sommari. Stupiscono soprattutto alcune pratiche lontane dalla nostra sensibilità (sgozzamento del montone). 

Se osserviamo invece da vicini vediamo che anche tali riti subiscono trasformazioni importanti. Osserviamo ad esempio lo sgozzamento del montone, nel quale le norme di prevenzione, imposte dai regolamenti italiani ed europei operano un cambiamento fondamentale. 

Il sacrificio del montone non può essere fatto spontaneamente senza il rispetto scrupoloso delle normative in tema di macellazione, trasporto e conservazione asettica della carne.

Non si tratta di cambiamenti solo superficiali (come pretenderebbero i dirigenti delle moschee intervistati). L’introduzione di queste norme determina infatti l’acquisizione e interiorizzazione, da parte dei musulmani immigrati, di una diversa prospettiva, una particolare forma mentis per cui la razionalità, l’efficacia, prevalgono sulla spontaneità e l’intensità del rito. 

È molto diverso sgozzare il montone da sé con amici, tagliarlo a pezzi e distribuire la carne, piuttosto che, come succede, delegare il lavoro a una macelleria autorizzata che segue tutte le normative di una macellazione igienica e, alla fine della catena vende i pezzi di carne confezionati sotto vuoto. 

Allo stesso modo, è diverso fare la circoncisione in casa, all’interno di una festa, o all’ospedale, dopo aver svolto tutte le pratiche necessarie. 

L’acquisizione di una mentalità attenta alle procedure e alle ossessioni igieniche delle società europee condiziona e subordina il rito. Tempi e modi burocratici (permessi, domande, ritardi) ne fanno ormai parte e aggiungono nuovi significati. 
Adesso gli immigrati celebrano, forse senza saperlo, accanto ai significati tradizionali, anche l’avvenuta accettazione e interiorizzazione delle norme e dei limiti della società italiana e, quindi, l’appartenenza ad essa. La diversità radicale dei contenuti oggetto di celebrazione, divenuta compatibile con le finalità igieniche e burocratiche, trasforma il rito in un rituale di integrazione.

 
C. Verso un'islam italiano?(islam e legislazione italiana)

L'Italia ha un modello di mercato religioso basato sull'intesa di ciascuna religione con lo Stato che prevede diversi gradi di riconoscimento.

  • la chiesa cattolica: ha un ruolo speciale costituzionalmente riconosciuto
  • le religioni con cui lo stato decide di firmare un'intesa e decide di collaborare - favorendo le specifiche esigenze di culto - perché riconosciute compatibili con i suoi fini e ordinamenti e facendole accedere all'8 per mille
  • religioni riconosciute come enti morali, abilitate a compiere atti giuridicamente rilevanti mediante propri ministri di culto.
  • associazioni non riconosciute, per le quali valgono i principi della libertà religiosa riconosciuti a tutti i cittadini.


È quindi importante per l'islam firmare un'intesa, sia sul piano simbolico (è la seconda religione) per uscire da una condizione di minorità e non riconoscimento pubblico, sia sul piano finanziario, per poter contare su propri fondi e non dover dipendere da Stati esterni.

Presentate tre bozze d’intesa 
1. UCOII 1992 – cui si è associato il Centro di cultura islamica
2. AMI 1994
3. CoReIs 1996
La firma dell'intesa è ostacolata da due fattori principali

  • uno interno all'islam italiano riguarda la difficoltà a trovare un accordo su chi deve rappresentarlo nei confronti dello Stato. 
  • Uno esterno dovuto agli interessi di parti del mondo cattolico che ha paura di perdere la sua egemonia e parte dei finanziamenti pubblici, e all'opposizione delle forze di destra che perseguono una politica del sospetto verso l'insieme della comunità islamica.
Non parlerò però qui di queste difficoltà, ma dei cambiamenti in atto e prevedibili nell'islam messi in moto dalla necessità di firmare l'intesa con lo Stato.

A. La nuova legge prevede un filtro del consiglio di stato che, se non entra nelle questioni dottrinali e spirituali, verifica però se negli statuti vi siano principi in contrasto con l'ordinamento giuridico italiano. Si pone quindi un tema di fondo: 
l'islam ortodosso non ha la stessa visione dei diritti umani delle società occidentali soprattutto in tema di diritto di famiglia, condizione della donna, eredità, libertà di cambiare religione.

Si tratta di aspetti che toccano questioni di fondo cui islam e occidente hanno dato nei secoli risposte divergenti:
1. è possibile individuare diritti umani senza il riferimento alla rivelazione divina?
2. è possibile interpretare storicamente la rivelazione, riaprire la porta dell’interpretazione chiusa molti secoli fa?
C’è da molti anni un dibattito interno ai paesi musulmani, rimangono tuttavia aperte alcune questioni:
1. schiavitù (teoricamente ammessa dalla sharia)
2. apostasia – non libertà di abbandonare l’islam
3. differente statuto di musulmani e non musulmani
4. condizione giuridica della donna, discriminata nei diritti familiari e matrimoniali

Se le organizzazioni islamiche accettassero di sottoscrivere la nostra visione dei diritti come premessa per l'intesa, si avrebbe quindi uno stravolgimento della tradizionale concezione religiosa.

  • Le richieste presenti nelle bozze sono quindi di lasciare da parte tutte le questioni su cui non può esserci accordo, considerandole questioni "religiose". 
  • Ciò significa che il diritto di famiglia islamico tradizionale (poligamia, diversa visione del ruolo dei coniugi, diritti dei minori) non può entrare nel patto. 
  • Questi aspetti - che nell'islam hanno rilevanza pubblica e giuridica - divengono privati e personali. Si instaura di fatto una separazione fra sfera religiosa privata e sfera pubblica inesistente nell'islam ortodosso, che incide profondamente nel modo soggettivo di vivere la religione.


B. Lo stato richiede, per poter trattare, l'esistenza di "ministri di culto" che siano responsabili dell'attività delle organizzazioni religiose e siano abilitati a compiere atti religiosi rilevanti come: matrimoni, rappresentanza, contratti. 

Quella che nell’islam è una guida, spesso occasionale e non strutturata, viene trasformata in ministro autorizzato e stabilizzato: iscrizione al fondo pensione, esonero da obblighi militari, suo mantenimento permanente, definizione di un ambito specifico di attività definito “ministero culturale e devozionale” 

È un modello che rispecchia la concezione cattolica e il modello è quello del sacerdote e del parroco: nell'islam non esiste un "ministro di culto" di questo tipo.

  • La necessità di designare "ministri di culto" trasforma l'organizzazione religiosa; introduce una figura inesistente, che probabilmente finirà con l'attribuirsi un ruolo reale e centrale - paragonabile forse a quello del parroco nel cattolicesimo.
  • Ad esempio. il "ministro di culto" (figura inesistente) celebra (concetto inesistente) un "matrimonio religioso" (inconcepibile nell'islam) che ha effetti civili (si instaura una dicotomia fra civile e religioso)
  • Allo stesso tempo la moschea potrebbe, in virtù dei nuovi compiti amministrativi e di rappresentanza richiesti, assumere compiti e modi di funzionamento tipici della parrocchia.
  • Queste trasformazioni, necessarie per la vita di una religione minoritaria, possono suscitare reazioni violente in coloro che vorrebbero preservare l'ortodossia: islam comunitario, gruppi fondamentalisti.


C. Più in generale, la necessità di stabilire un interlocutore rappresentativo dell'islam in grado di contrattare col potere statale per la firma dell'intesa e per la gestione delle controversie, porterà inevitabilmente a costituire strutture religiose centrali, nazionali. Anch'esse inesistenti nell'islam che non prevede alcuna struttura ecclesiastica centralizzata.
 

  • Tali strutture "rappresentative" di tutto o di una parte dell'islam italiano probabilmente svolgeranno anche un ruolo di controllo e gestione della religione, tutela dell’ortodossia. 
  • Esse saranno inoltre portate a regolare maggiormente e controllare la partecipazione e l'appartenenza dei fedeli, poiché da esse deriva la loro rappresentatività. In contrasto con la tradizione islamica che non prevede obblighi di frequenza, appartenenza, partecipazione.
  • Dall'altro lato l'esistenza di tali strutture introduce una distinzione inesistente fra religione (si potrebbe forse dire chiesa?) e stato. 
  • Mentre lo stesso accordo introduce elementi di laicità e di accettazione di leggi non islamiche nella stessa religione.


D. In definitiva la necessità di firmare l'accordo con lo stato porta a profonde trasformazioni nell'islam italiano rendendolo meno dissimile dalla forma religiosa prevalente in Italia, rappresentata dalla Chiesa. Struttura centrale con organi di governo che abilita i ministri, li autorizza, fissa le festività, nomina i docenti nelle scuole, crea scuole islamiche, strutture periferiche di tale organismo, ministri di culto che celebrazione i riti, ecc..

Si tratta di un processo definito di "isomorfismo istituzionale" con cui le religioni degli immigrati tendono a trasformarsi nell'immigrazione assumendo forme compatibili con quelle dominanti nel paese ospitante. 

In America lo spostamento avviene in direzione del congregazionalismo (formazione di congregazioni indipendenti, simili a quelle protestanti) 

In Italia, probabilmente, la direzione è verso forme che prevedano istanze rappresentative centrali (modello chiesa) e strutture periferiche dotate di responsabili e ministri di culto ben individuati (modello parrocchia). 

Si tratta di un processo che, se da un punto di vista ortodosso o fondamentalista rischia di modificare l’islam, da un altro punto di vista, può essere visto come necessario per una armoniosa convivenza e un più agevole dialogo con le altre fedi e con la società.

In questo contesto va vista la principale posta in gioco legata alla firma dell'intesa con lo stato e consiste nell'individuare chi sia autorizzato a rappresentare l’islam in Italia. 

E. La posta in gioco

Come abbiamo visto, la grande maggioranza dei musulmani non aderisce a nessuna associazione o centro, preferisce una religione privata è disposta ad adattarsi e ad integrarsi. 

I due gruppi più consistenti UCOII e Lega Islamica (che raggruppano nell’insieme una piccola minoranza di immigrati: 5-10% secondo Allam) esprimono l’uno una visione integralista seppur legalitaria, mentre l’altro appare ancora legato agli interessi e all’ideologia dell’Arabia Saudita che lo finanzia.

D’altra parte la grande maggioranza degli immigrati che esprimono una religiosità privata e disposta a laicizzarsi non sono rappresentati da alcuna organizzazione. (I due gruppi islamici “laici” ed ecumenici che hanno presentato bozze d’intesa non hanno alcuna rappresentatività).

Esiste quindi, al di là degli interessi consolidati della Chiesa e della destra che rallentano il riconoscimento dell’islam da parte dello stato, una reale difficoltà a individuare un interlocutore.

Paradossalmente, firmando l’intesa con l’UCOII, l’unica organizzazione che rappresenti alcune migliaia di musulmani e che ha presentato una bozza d’intesa nel 1990 lo Stato legittimerebbe una visione particolare dell’islam, e di fatto la imporrebbe alla maggioranza come unica forma legittima. 
 

Conclusioni.

Ho presentato più che una relazione, una lista di temi su cui a mio parere è oggi interessante centrare l’attenzione se si vuole evitare di cadere in visioni stereotipate (poco importa se di destra o sinistra) che finiscono col ridurre l’immigrato ad un insieme di problemi e di emergenze. 

Tutto ciò richiede tempo, apertura effettiva alle culture dell’altro, denaro per interventi sistematici e, come accennavo all’inizio, la capacità di collaborare con intellettuali etnici che servano da ponte fra le culture e stabiliscano canali di comunicazione.