da panorama.it

STRAGI DIMENTICATE: GLI STABILIMENTI FINCANTIERI

DI TRIESTE E MONFALCONE

Lacrime d'amianto

di Antonio Rossitto 19/3/2004

Le vedove degli operai morti per mesotelioma davanti al monumento di Monfalcone che ricorda le vittime dell'amianto Ogni giovedì decine di vedove presidiano il tribunale di Gorizia. I mariti lavoravano nei cantieri navali e sono morti per le sostanze tossiche. Chiedono giustizia per almeno 430 vittime. Una di loro l'ha avuta. Con un risarcimento di 1 milione di euro.

Aveva scritto tutto con dovizia di particolari: in bella grafia, nel suo corsivo senza fronzoli. Dopo, una mattinata di aprile del 1997, Aldo Damiani, operaio alla Fincantieri di Trieste fino al 1997, aveva preso da parte la moglie Albina. Sapeva di stare per morire: lo stomaco gli si era gonfiato come un pallone e non riusciva quasi più a respirare. Serio e sofferente, l'aveva guardata fissa. Le aveva dato quel foglio: ogni parola era perfettamente leggibile, dando quasi l'impressione di poter diventare sonora da un momento all'altro: «Morirò per lavoro, perché ho respirato amianto. Quando sarà finita, chiedi la mia scheda personale alla società e la cartella clinica all'ospedale. Poi vai all'Inail e fatti dare tutti i certificati di malattia professionale. Prendi il libretto di lavoro. Porta tutto a un bravo avvocato. Abbi fiducia». Poi, prima di affidarle definitivamente il suo testamento morale, l'aveva firmato. Da quel giorno, Albina ha cercato quella giustizia che il marito Aldo non aveva visto in vita. Fino a tre settimane fa: quando il tribunale di Trieste ha emesso una sentenza clamorosa che, per la prima volta, condanna la Fincantieri a pagarle un milione di euro «per danni biologici e morali». In pratica, l'azienda statale, che costruisce navi da un secolo, dovrà risarcire la signora Damiani.

Basta però percorrere 30 chilometri a est e raggiungere Monfalcone, la città che ha i cantieri più grandi d'Italia, per trovare decine di altre vedove assetate di giustizia. Alla procura di Gorizia, la prima denuncia per omicidio colposo è arrivata cinque anni fa. Ne sono seguite una cinquantina, ma l'inchiesta è ancora in fase preliminare. Così è cominciata la protesta: ogni giovedì mattina circa 30 vedove, assieme ai volontari dell'Associazione esposti amianto, partono da Monfalcone e arrivano a Gorizia. Si piazzano davanti al tribunale e restano impalate dalle 10 a mezzogiorno: vanno avanti così da più di un mese. Come a Buenos Aires le madri di plaza de Mayo sfilavano silenziose di fronte alla Casa Rosada, così le vedove dell'amianto di Monfalcone srotolano senza parlare i loro striscioni. Alzano gli occhi verso quel palazzo grigio: lo guardano due ore filate, impettite e severe. Poi tornano a casa.

Tornano a Monfalcone: 30 mila abitanti, operai navali in ogni famiglia. E centinaia di morti. I conti li ha fatti meticolosamente Claudio Bianchi, ex direttore dell'Istituto di anatomia patologica della città, oggi presidente della Lega tumori della provincia. Spiega che, da queste parti, c'è ancora il retaggio asburgico di fare le autopsie su ogni morte sospetta: le diagnosi sono quindi inconfutabili. Dal 1979 al 2002 ha visto 215 casi di mesotelioma, il tumore dell'amianto: 152 erano cantieristi. «La zona di Monfalcone è un'area di circa 60 mila abitanti» argomenta. «Dovremmo aspettarci un caso ogni 17 anni. Invece, solo nel 2003, ce ne sono stati una ventina: 340 volte più di quelli attesi». Precisa: «Questo tipo di tumore è solo la causa più lampante di morte per l'amianto e non è nemmeno la più frequente. La letteratura medica ormai ha confermato che, per ogni mesotelioma, ci sono almeno due carcinomi polmonari». Seguendo il ragionamento si arriva, solo considerando chi ha lavorato alla Fincantieri, a 430 vittime. A Trieste, dove c'è un altro glorioso cantiere navale, le cose sono andate peggio: «In trent'anni abbiamo scoperto quasi 500 mesoteliomi» dice Bianchi. «Due terzi si è ammalato nei cantieri triestini. Ma la zona ha 250 mila abitanti. Metà dei monfalconesi, invece, ha lavorato per la Fincantieri». Per questo in città si parla della società con rispetto reverenziale e timore. Ha dato pane e lustro: ha fatto lavorare migliaia di persone e riempito gli occhi della gente con quelle navi sfavillanti che tagliavano in due il mare. Quelle navi, ancora oggi, sono un vanto per tutti. Ma nessuno riesce a dimenticare la tragedia. «Mio marito, mia suocera, una zia: tutti morti per mesotelioma» racconta con gli occhi lucidi Annamaria Bottegaro, vedova di Ezio, ex operaio morto nel '96. «E anche un nostro cugino è spacciato. Una strage. È stata una strage». Bastava appena entrarci in quel cantiere. Mirella Bigot è una bella signora d'aspetto giovanile: ha i capelli biondi corti e un paio di occhialoni neri che le coprono il viso. Era sposata con Stanislao Stanic, scomparso nel '95, ad appena 52 anni. «Ha fatto l'operaio solo 24 mesi» si dispera. «Poi ha lavorato sempre in ospedale. Io nemmeno sapevo che aveva maneggiato l'amianto. Appena due anni! Era un ragazzino». L'ex tubista Gualtiero Nardi, invece, ha scoperto di essere ammalato tre giorni dopo la pensione. Ha combattuto quattro anni con il tumore, fino al '98. La moglie Rita è stata la prima a denunciare la Fincantieri alla procura: «Era nauseato da quel posto, da come venivano trattati, dai soprusi che vedeva. "Mascalzoni": ogni volta che ne parlava, non aggiungeva una parola di più». Non si dà pace: «Voglio giustizia: è l'unico scopo della mia vita. Solo se penso a questo trovo la forza per alzarmi. Ormai viviamo nel terrore: ogni mattina la gente si fa il segno della croce e spera che non gli capiti niente. Ma qualcuno deve pagare. I saveva e no ga fato niente». «I saveva», loro sapevano: dopo anni di silenzio, a Monfalcone, nei bar e nelle piazze, basta accennare all'argomento: «I saveva» riponde la gente a testa bassa. Ma è vero? I dirigenti conoscevano veramente i rischi a cui andavano incontro ogni giorno i lavoratori? Alcuni documenti inediti permettono di ricostruire pezzi di verità. Il 12 novembre del 1977 è la data fondamentale. Quel giorno, il professor Ferdinando Gobbato, consegna all'azienda la «relazione sui controlli di inquinamento da polveri e da fumi nei reparti "Marina militare"». Il punto 6 delle conclusioni rivela: «L'uso delle fasce di amianto per operazioni di preriscaldo è causa di inquinamento ambientale». La Fincantieri del resto si era già impegnata a intervenire. Un accordo con il consiglio di fabbrica del 24 ottobre dello stesso anno aveva previsto «la totale sostituzione del materiale, salvo i casi in cui la tecnologia non lo permetta», cioè per le le riparazioni. È andata veramente così? Il 22 luglio 1981, un verbale del comitato sindacale di sicurezza riferisce delle attività di coibentazione: «Si stanno ultimando le prove anche per la sostituzione del rivestimento dei tubi». Quattro anni dopo, quindi, almeno in alcuni reparti, «si stanno ultimando le prove». Anche gli ex operai smentiscono la solerzia con cui si sarebbe mossa la società. L'ex isolatore termico Duilio Castelli, 72 anni, è il presidente dell'Associazione esposti amianto di Monfalcone: «Un'azienda statale non poteva pensare solo al profitto come una fabbrica qualsiasi. Era un dovere morale occuparsi per prima cosa della salute dei lavoratori. Invece hanno continuato a usare amianto senza problemi». Tira fuori le fotocopie di alcune bolle: 600 chili d'amianto consegnati all'azienda nel 1985. C'è un documento che conferma i ricordi dei cantieristi. La relazione dell'Inail sul riconoscimento dei benefici previdenziali ai lavoratori esposti: l'amianto, a Monfalcone, sancisce l'Istituto, c'è stato «fino a settembre 1985», data di «ultimazione della Garibaldi», l'ammiraglia della marina militare. Fino al 1985, quindi. Anche se molti operai riferiscono di aver costruito sottomarini coibentati con il materiale fino all'89. E qualcosa dev'essere sfuggito anche dopo quella data. Il 18 giugno del 1996 il ministero della Difesa scrive alla Fincantieri: era stato segnalato che alcune guarnizioni consegnate a Monfalcone «contengono amianto, il cui utilizzo è stato vietato dalla legge 257 del '92, e quindi sono inutilizzabili». L'azienda il 7 luglio risponde assicurando che interverrà al più presto. Conclusione: consapevolmente o meno, l'amianto alla Fincantieri c'è stato fino al '96. L'azienda per il momento non commenta, riservandosi di farlo più avanti. L'ex meccanico di bordo Renzo Tripodi, 63 anni, baffoni grigi allungati fino al mento, al lavoro era uno scrupoloso fino alla nausea. Del resto, è sempre stato un tipo precisissimo. Tira fuori quattro foglietti: «Queste sono le navi che mi ricordo di aver costruito: sono 79. E in tutte e 79 c'era amianto. Ovunque c'era amianto. L'aria era irrespirabile e noi non abbiamo avuto nessuna precauzione. Iera de morir. Come fanno a dire che l'hanno usato solo fino al '77? Sono andati avanti per anni». Mostra di nuovo i foglietti. Li agita in aria: «Questa è storia, questa è storia. Non è che possono dire: sono balle. No, non sono balle. È la storia di 14 mila operai. I saveva, i saveva».

HTTP://WWW.ECN.ORG ----------------->