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E NUOVE CARATTERISTICHE DEL LAVORO OPERAIOSi possono individuare tre fasi fondamentali del rapporto tra tecnologie, organizzazione del lavoro e figure prevalenti del lavoro manuale nella grande industria.
In una prima fase (grosso modo fino alla prima guerra mondiale) l’organizzazione del lavoro operaio si riduce alla ripartizione dei compiti tra operai e tra squadre capaci di svolgere numerose e complesse operazioni. La figura centrale non è più quella dell’artigiano che lavora a mano con gli utensili tradizionali, come nella manifattura, ma quella dell’operaio di mestiere, altamente qualificato attraverso un tirocinio fatto di esperienze, di empirismo e di tradizione, che lavora su macchine polivalenti o generiche. L’operaio professionale estende la sua autorità sugli apprendisti e sui manovali ed è al centro di un gruppo di lavoro che egli stesso organizza.
In una seconda fase, con l’introduzione dei metodi
tayloristici e lo sviluppo della produzione in grande serie, le macchine vengono costruite per realizzate una o poche operazioni e il lavoro diventa parcellare, ripetitivo, dequalificato. L’operaio specializzato non scompare ma è addetto ad alcune lavorazioni in reparti separati (attrezzaggio, manutenzione, ecc.) nei quali occorrono qualità professionali. La figura prevalente diventa l’operaio comune che lavora "alla catena", cioè una successione ininterrotta di operazioni elementari compiute da operai disposti spazialmente l’uno accanto all’altro, in un tempo definito in cui i ritmi sono predeterminati dalla velocità di scorrimento del nastro che trasporta l’oggetto da lavorare. Storicamente questa nuova figura di operaio non deriva soltanto dalla "degradazione" e dall’impoverimento professionale di una categoria altamente qualificata, ma anche dall’assorbimento e dalla riqualificazione dei manovali (precedentemente ancor meno in possesso di abilità specifiche e soprattutto dall’immissione nella produzione di manodopera che cambia radicalmente di attività, passando dall’agricoltura all’industria).La grande trasformazione del lavoro operaio nel Novecento non si può infatti spiegare in riferimento esclusivo ai mutamenti tecnologici dell’industria, ma deve essere messa in relazione a un contesto economico più ampio, caratterizzato da due elementi:
- l’allargamento del "mercato dei prodotti" che permette la produzione in grande serie (il lavoro parcellizzato e dequalificato compare già alla fine dell’Ottocento nella prima produzione di massa del settore tessile; la committenza di camion e di prodotti bellici da parte dello Stato è fondamentale per lo sviluppo e l’ammodernamento tecnologico dell’industria nella prima guerra mondiale);
- l’allargamento del "mercato del lavoro" con l’offerta di grandi quantità di manodopera dequalificata dal punto di vista industriale (è la situazione che si verifica dopo le grandi ondate di immigrazione negli Stati Uniti, o, nell’Italia degli anni Cinquanta, con lo spopolamento delle campagne e l’addensamento nel triangolo industriale).
La terza fase dell’automazione, si sviluppa in modo molto diseguale nel secondo dopoguerra e attualmente è in pieno svolgimento: le funzioni del lavoro operaio in certi settori diventano operazioni di sorveglianza, di registrazione, di controllo, di alimentazione di macchine automatiche. Si sviluppano nel contempo specializzazioni tecniche di tipo nuovo (si pensi alla applicazione dell’informatica e dell’elettronica alla produzione). Queste tre fasi non si succedono meccanicamente l’una all’altra in tutti i settori industriali, ma pur nella varietà delle trasformazioni e dei tempi di mutamento definiscono la sequenza di tra grandi sistemi differenti di lavoro, tra grandi modelli di organizzazione della grande industria, a cui corrispondono le forme prevalenti della retribuzione operaia (cottimo individuale e varie forme di salario fisso). Inoltre, questi tre modelli incidono largamente nelle forme di coscienza operaia e di organizzazione sindacale, anche se a questo riguardo giocarono un ruolo molto importante le variabili dipendenti dalla società nel suo complesso, dal sistema politico, e dalla storia particolare del movimento operaio nei singoli paesi.
In Italia la "razionalizzazione" del lavoro cominciò ad esser applicata verso la fine degli anni Venti alla Fiat e alla Breda, senza gli alti salari, gli accorciamenti di orario e di elevati investimenti in impianti che caratterizzavano il modello americano.
Le reazioni operaie furono vivissime e anche il sindacato fascista dovette farsi interprete della protesta raggiungendo poi un accordo con la CONFINDUSTRIA per una sua applicazione limitata.