I GERMI DELLA LOTTA DI CLASSE IN ITALIA

Le statistiche ufficiali sulla conflittualità sono un indice assai importante per valutare l' andamento della lotta di classe. Nel nostro paese esiste una normativa che risale agli anni del fascismo e che è tuttora in vigore (non meravigliatevi, la borghesia ha sempre considerato lo sciopero una minaccia al suo ordine) per cui tutte le aziende sono tenute ad informare la questura locale di ogni fermata che viene effettuata dai lavoratori. La questura effettua controlli sul posto e rileva tutti i dati sullo sciopero, il numero di ore lavorative perse ed il numero dei lavoratori partecipanti. Le informazioni vengono poi trasmessa al Ministero dell' Interno, a cui fa riferimento l' ISTAT per ottenere questi dati.

I funzionari dell' ISTAT rappresentano l' antagonismo di classe in alcune tabelle nelle quali le ore di sciopero vengono sommate a seconda se il conflitto è "originato dal rapporto di lavoro" oppure è "estraneo al rapporto di lavoro" (questo è il modo con cui la borghesia distingue gli scioperi economici da quelli politici). Quindi stilano dei riepiloghi per mese, per anno, per categoria e per regione, oltre a calcolare il numero totale dei conflitti, distinti a seconda dei motivi che li hanno generati, ed il numero dei dipendenti partecipanti.

Per avere una visione esatta ed assumere un atteggiamento consapevole in vista dei compiti che ci proponiamo è importante studiare attentamente questi dati.

Riportiamo prima di tutto alcune cifre "storiche" per dare la giusta dimensione alle statistiche registrate dal 1990 al 1999.

Nel 1969 le ore di sciopero raggiunsero la cifra di oltre 500 milioni. In tutto il decennio seguente, fino al 1980, le ore di sciopero hanno superato i 100 milioni annui. La particolarità di quel periodo in cui il movimento operaio in Italia raggiunse un livello sconosciuto dal dopoguerra stava nella combinazione di sciopero economici e politici. Dal 1980 (il punto di svolta possiamo situarlo dopo la sconfitta alla FIAT seguente alla lotta dei "35 giorni") assistiamo ad un lungo periodo di riflusso del movimento operaio. Le ore totali di sciopero scendono gradualmente, diminuiscono sensibilmente negli anni del governo Craxi, per poi arretrare ulteriormente negli anni '90.

Andiamo ora a leggere in particolare le statistiche sulle ore di sciopero relative all' ultimo decennio le quali, sebbene non tengono conto di alcune branche del lavoro salariato, sono assai indicative.

Conflitti originati dal rapporto di lavoro (ore di sciopero)

1990: 36.269.000

1991: 11.573.000

1992: 5.605.000

1993: 8.796.000

1994: 7.651.000

1995: 6.365.000

1996: 13.508.000

1997: 8.151.000

1998: 3.807.000

1999: 6.362.000

Conflitti estranei al rapporto di lavoro (ore di sciopero)

1990: 0

1991: 9.322.000

1992: 13.905.000

1993: 15.084.000

1994: 15.967.000

1995: 0

1996: 0

1997: 149.000

1998: 256.000

1999: 0

Cosa ci dicono queste tabelle ? In generate mostrano che nell' ultimo decennio la conflittualità è stata bassa, che c'è stata una evidente restrizione del numero totale di ore di sciopero. Nel 1998 (governo Prodi) è stato toccato il minimo storico dal dopoguerra, il punto morto inferiore che prelude ad una nuova fase di ascesa della lotta operaia.

Tuttavia la lotta della masse lavoratrici (in particolare degli operai dell' industria, che da soli effettuano in media i 2/3 delle ore totali di sciopero annue), nonostante il periodo di riflusso, nonostante siano state abbandonate dai partiti che proclamavano di rappresentarle, nonostante le truffe sindacali, non si è mai fermata. Essa si è espressa prevalentemente a livello di singola azienda o settore lavorativo, e specialmente per motivi legati a questioni salariali e contro i licenziamenti.

Se guardiamo al numero totale dei conflitti accaduti vediamo che nel decennio preso in considerazione essi oscillano intorno ad una media di 890 conflitti annui, con un minimo di 545. Questo da una parte significa che i motivi di lotta non sono mai venuti meno a causa della dura offensiva padronale che ha investito molteplici realtà; dall' altra mette in luce che è stato il ridotto numero dei lavoratori partecipanti a far scendere la curva delle ore totali di sciopero effettuate. Nonostante la bassa marea, uno "zoccolo duro" di mezzo milione di operai è comunque sceso in sciopero ogni anno per difendere i propri interessi, mantenendo viva la fiamma della lotta di classe.

Quello che salta agli occhi è però un altro dato. Mentre dal '92 al '94 i conflitti generali superavano addirittura quelli economici, a partire dal 1995, cioè da quando la borghesia ha cambiato cavallo (dopo l' esperimento neoliberista dichiarato del governo Berlusconì), contando sull' appoggio e la partecipazione diretta dei liberali di sinistra al governo, si è verificata una caduta verticale dei conflitti "estranei al rapporto di lavoro", cioè della lotta politica, degli scioperi generali o di solidarietà, che vedono un gran numero di lavoratori partecipanti.

E' dunque evidente che esiste uno strettissimo legame fra la debolezza della lotta politica (si badi, della stessa lotta politica riformista e sindacalista gestita dagli agenti della borghesia dentro il movimento operaio) e la formula governativa del centrosinistra. L' infrenamento del movimento operaio su questo terreno è stato il maggiore risultato ottenuto dalla borghesia negli ultimi anni.

Il condominio di governo tra alta finanza e liberal-riformisti ha costituito un' esigenza tattica per il capitalismo italiano. Alle prese con una feroce concorrenza internazionale, con il problema dell' entrata nell' Euro, con una vasta crisi sociale ed istituzionale, Agnelli & soci hanno pensato bene di rimanere a galla cercando di mantenere, insieme al massimo profitto, pace sociale e stabilità politica. Questi obiettivi potevano essere raggiunti solo imbarcando i D.S. ed i loro cespugli al potere, coinvolgendo in modo più stretto i sindacati borghesi tramite la concertazione e i patti sociali ( espressione del moderno corporativismo imperialista), tramite quella "moderazione" che ora non basta più ai padroni.

Con i governi a partecipazione o a guida riformista l' opera di contenimento delle lotte dei lavoratori si è fatta più efficace. Il loro compito è stato quello di ingabbiare e addormentare il movimento operaio per procedere sulla strada dell' attacco al salario, della flessibilità, dello smantellamento del "welfare state" e delle conquiste frutto della precedente fase di lotta di classe, della trasformazione reazionaria dello stato e della società, delle aggressioni ai popoli. Un offensiva tutt' altro che conclusa ma che per essere portata avanti senza correre il rischio che la classe operaia mandasse in frantumi il debole quadro politico abbisognava di alcuni passaggi.

La borghesia negli ultimi cinque anni ha dunque seguito una applicazione del neoliberismo mitigata e graduale per prendere al laccio il proletariato ed evitare la sua ridiscesa in campo aperto. Una politica gestita davanti alla masse dalla sua ala sinistra, che ha prodotto in un primo momento indubbi risultati, specie sul versante della accettazione da parte operaia delle "compatibilità nazionali ed aziendali". L' arretramento sul terreno economico si è accompagnato allo smembramento della struttura unitaria del proletariato, alla messa in soffitta della sua capacità organizzativa, alla spoliticizzazione delle lotte, perfino di quelle che avvenivano nell' ambito borghese-riformista.

Bloccando la classe operaia sul terreno di lotta politico la classe dominante ha indebolito anche le vertenze locali, chiudendole all' interno dei cancelli delle singole imprese, mentre il fronte padronale colpiva unitariamente restando all' offensiva in tutti i campi, preparando nuovi assalti per avere le mani completamente libere.

Di questo processo bisogna però saper guardare altri aspetti interessanti.

In primo luogo, dobbiamo osservare che mentre la socialdemocrazia ha rivelato di essere una forza al servizio del grande capitale, senza più velleità riformatrici, il distacco della classe operaia dalla influenza borghese e riformista è andato avanti, manifestandosi in diversi modi, dall' astensionismo elettorale alla bocciatura degli accordi capestro firmati dalle centrali sindacali ( vedi Zanussi e Telecom), allo strappo delle tessere.

In secondo luogo, l' aristocrazia operaia e la burocrazia sindacale si sono indebolite, si sono disgregate e distaccate ancor più dagli strati profondi della classe operaia perdendo gran parte della loro capacità di funzionare come strato cuscinetto tra il proletariato e la borghesia. Non costituiscono più una sicura riserva per l' oligarchia finanziaria e non possono più essere mobiliate tanto facilmente contro il proletariato.

In terzo luogo, come abbiamo avuto occasione di provare nei mesi scorsi, esiste una forte disponibilità alla lotta da parte degli operai che non vogliono piegare la testa ed aderiscono in maniera compatta agli scioperi - spesso scavalcando gli apparati sindacali - senza porre discriminanti rispetto le strutture che li promuovono. Significativo che alla Fiat dopo anni di batoste ci sia l' adesione del 90% agli scioperi. In altre parole la classe operaia cerca disperatamente di trovare una sponda nelle condizioni attuali pur di ridiscendere in campo. Fatto ancora più importante, alla testa degli scioperi, dei cortei interni, dei picchetti ci sono ogni volta i giovani operai, quelli più sfruttati, i precari. Sono sempre più combattivi e consapevoli della loro enorme forza. Da Melfi a Mc Donald, dalla Piaggio alla Ducati, sotto la cenere cova tanta brace.

Tali aspetti sono senza dubbio rilevanti, ma non possiamo certo dimenticare che la lotta degli operai di una singola fabbrica contro un singolo padrone o di un solo settore della classe lavoratrice costituisce solo il germe di una lotta di classe, la sua premessa.

Una vera lotta di classe c'è solo quando tutti gli operai cominciano a lottare non contro un singolo capitalista, non per un singolo contratto e divisi per categoria, ma uniti contro l' intera classe dei capitalisti ed i governi che curano i loro affari.

La classe operaia durante gli scioperi politici agisce come classe che è all' avanguardia di tutti gli sfruttati, di tutte le altre classi subalterne ed in questo modo sviluppa una sua funzione egemone. Più forte è la lotta dell' intera classe operaia e più gli altri strati sfruttati ed oppressi simpatizzano con essa, si uniscono ad essa. La sua lotta sul terreno politico investe le condizioni di vita della maggioranza e tocca le questioni fondamentali della vita sociale del paese, modificando i rapporti di forza con la borghesia.

D' altra parte gli operai non accetteranno mai di rappresentare gli interessi "della maggioranza", il "progresso sociale", ecc. senza avanzare precise rivendicazioni che riguardino anzitutto le proprie condizioni di vita, cioè senza rivendicazioni economiche, normative, ecc. La massa operaia appoggia il movimento di lotta, vi porta dentro tutta la sua energia ed il suo dinamismo, nella misura in cui vede possibile il miglioramento della sua situazione reale.

I comunisti per elevare politicamente e teoricamente il movimento operaio, per coniugare il marxismo-leninismo al movimento spontaneo e sviluppare una funzione dirigente devono saper trovare il modo, le forme, le parole d' ordine e le tattiche adeguate per collegarsi ad esso, devono saper lavorare dovunque le masse siamo organizzate.

In un periodo di iniziale ripresa la lotta economica ha una importanza che non deve essere trascurata. Più forte sarà la pressione degli operai su questo terreno più facilmente si svilupperà il movimento. Questo è ovviamente non può costituire il punto di arrivo o il recinto entro il quale muoversi, ma è il punto di partenza che va utilizzato per lo sviluppo di una vera attività politica comunista.

Soltanto quando gli operai riconosceranno di far parte di una stessa classe, quando anche dentro la piccola lotta quotidiana contro il proprio padrone e contro i funzionari locali del potere borghese sentiranno di far parte di una lotta diretta contro tutta la borghesia, ci sarà effettivamente lotta di classe.

Per arrivare a questo bisogna sapersi appoggiare sulle rivendicazioni immediate sapendo unire ad esse la politica rivoluzionaria. Ciò significa che bisogna sostenere il collegamento dello sciopero politico con quello economico, l' inevitabilità di questa unione. E' estremamente importante lavorare per impedire che i socialdemocratici, la sinistra liberale e le altre forze borghesi creino uno steccato di questo tipo, agendo proprio nel senso di "mescolare", di creare un legame, di dare un carattere più ampio, cioè di politicizzare anche le più piccole vertenze unificandole entro un programma politico rivoluzionario.

Quante volte abbiamo sentito le prediche dei bonzi sindacali e dei portaborse dei partiti parlamentari! Per costoro "non è ancora il caso", "non è opportuno complicare la protesta", "non bisogna infilare negli scioperi questioni di principio", "è un errore intrecciare le due cose" e così via. Quante volte abbiamo sentito certi moderni economisti che si trascinano alla coda degli avvenimenti ripetere il ritornello secondo cui "la lotta economica è il mezzo più largamente applicabile bla, bla, bla, la lotta politica restringe gli spazi bla, bla, bla, bisogna far seguire la politica all' economia bla, bla, bla, per arrivare al partito dobbiamo passare per la strada del sindacato", e così via.

Un mare di menzogne del tutto funzionale alla borghesia che ha una gran paura della lotta politica, poiché questa lotta porta la classe operaia agli scontri aperti, indebolisce e mette in difficoltà la sua egemonia, rompe la tregua e le regole sociali.

La sostanza di tutte le argomentazioni usate dai riformisti sta nel costringere forzatamente l' ampiezza della lotta politica per impedire lo sviluppo della coscienza di classe degli operai. Ma la stessa esperienza di lotta degli operai dice l' esatto contrario di quanto affermano i meschini intermediari del capitalismo. Dice loro che gli interessi fondamentali e decisivi potranno essere affermati solo per mezzo di una rivoluzione politica.

Dunque l' errore principale - come ogni operaio avanzato sa - sta proprio nel mantenere separata la lotta politica da quella economica, nel non combinare le due forme, di limitare, di restringere e di bloccare le denuncie e l' agitazione politica. Esattamente quello che è successo negli ultimi anni.

Non si tratta allora di "dare contenuto politico alle lotte economiche" ma di fare l' esatto contrario, cioè di avvalersi delle lotte economiche per sostenere rivendicazioni politiche rivoluzionarie.

In questo modo sarà possibile estendere il movimento, attirare in esso nuovi partecipanti, conquistarsi l' appoggio di altri settori e del proletariato e delle masse sfruttate. La stessa situazione economico-sociale farà si che per l' avanguardia operaia ci sarà una maggiore possibilità di neutralizzare la piccola borghesia e di esercitare allo steso tempo una influenza sui vasti strati restanti, di trascinare alla lotta di classe - sotto la direzione della classe operaia - tutti gli elementi che sono oppressi dal capitalismo monopolistico.

Non dobbiamo perdere mai di vista che il nostro compito, il compito di tutti i rappresentanti di avanguardia del proletariato, è quello di elaborare e combinare la lotta politica comunista con quella economica, di trasformare, di elevare mediante la propria azione di propaganda, di agitazione e di organizzazione, la lotta spontanea, la lotta rivendicazionista di alcuni settori, in lotta di tutta la classe per determinati fini politici, in lotta di un determinato partito politico.

Davanti a noi sta un periodo di ripresa della lotta operaia. Un periodo non solo di scioperi isolati ed economici ma di grandi lotte in cui la classe riacquisterà la sua autonomia politica.

Il compito di organizzare e dirigere la lotta di classe in tutte le sue sfaccettature non può essere effettuato da circoli e gruppi locali. Nessun gruppo, nessuna organizzazione, nessun singolo compagno può far questo. D' altra parte il limitarsi al piccolo cabotaggio all' attività ristretta, il disperdersi in mille rivoli non solo avvantaggiano terribilmente la borghesia e le sue appendici economiciste ma fanno anche perdere gran parte del valore anche le lotte che i rivoluzionari sviluppano in un ambito circoscritto.

E' necessario allora unificare e sintetizzare tutto il lavoro locale in un solo lavoro nazionale. E' necessario dar vita ad una organizzazione unica del proletariato rivoluzionario con un suo programma comune, una tattica ed una organizzazione comune per fondere il socialismo scientifico con il movimento operaio spontaneo.

Oggi il compito più urgente che abbiamo davanti è quello di concentrare le forze dar vita ad un giornale politico nazionale per superare la ristrettezza del lavoro locale o di gruppo. La creazione del partito rimarrà un pio desiderio se non saremo capaci di creare questo organo di stampa, se non sapremo unire le forze sane su una salda base ideologica spingendole immediatamente ad un vasto lavoro in comune tra le masse.