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Centocinquanta contratti a termine non rinnovati a Mirafiori,la protesta degli operai Fiat
Come sarebbe bello se le lacrime degli operai sciogliessero la neve. Se il ghiaccio che imprigiona il cuore di Torino diventasse acqua, quasi fosse il sangue di S. Gennaro. Invece fa freddo, e un cielo che promette tempesta saluta l’uscita dei lavoratori dai cancelli della Fiat. Centocinquanta ragazzi hanno l’umore nero come le nuvole che incombono. Il loro contratto a termine è scaduto, e l’azienda ha già fatto sapere che non sarà rinnovato. Così va il mondo, se il prodotto non tira l’operaio non serve. Stavolta però qualcuno riprova ad andarci contro, al mondo. Sulla carta d’identità c’è scritto Pasquale Loiacono. Sul libretto di lavoro, il timbro della Fiat. Lui lavora al reparto carrozzerie, proprio dove è nato lo sciopero: «Si sono fermate la verniciatura e la lastratura. La notizia che i contratti a termine non sarebbero stati riconfermati era già sulla bocca di tutti. Così siamo scesi giù in officina, e poi fuori dai cancelli. Non era stato organizzato nulla, è stato come un domino che ha attraversato le linee di produzione». Sono in ottocento a protestare contro la Fiat. Lavoratori contro padroni. E’ l’immagine di una fabbrica dove si respira un’aria pesante, con la cassa integrazione che lascia deserti interi reparti. «Lunedì faremo altre due ore di sciopero», aggiunge Loiacono, che fa parte della rappresentanza sindacale di Mirafiori. Il labirinto Fiat ha trentacinque porte, con il mondo della fabbrica che gira tutto intorno. Iole Vaccargiu lavora alle presse: «Ho saputo che c’era stato lo sciopero solo quando sono arrivata a casa. Sicuramente la protesta non è finita. Andremo avanti, in tutto lo stabilimento. I lavoratori sono veramente stanchi». Lei è un pezzo di storia operaia, si è fatta quattordici anni di sirene e poi tre di cassa integrazione alla Lancia di Chivasso, prima di entrare a Mirafiori nel 1995. «Ho una certa esperienza - dice - Qui si lavora moltissimo. E ogni giorno succede qualcosa, anche se nessuno ne parla. Per i giornali fanno notizia solo gli incidenti». La cartina al tornasole del tramonto della città fabbrica è dentro le pagine della Stampa. Nel quotidiano torinese le lotte della Fiat non fanno più notizia, sono solo un trafiletto nella cronaca locale. Agli occhi dei lavoratori la giunta comunale del sindaco Castellani sembra ben più amica degli Agnelli che degli operai. Tanto per cambiare la sinistra è divisa. Da una parte l’ottimismo della volontà, dall’altra il pessimismo della ragione. La solita vecchia storia, che porta gli amministratori di centrosinistra a strizzare l’occhio alla grande industria e alle sue ragioni. Mentre l’altra sinistra sta all’opposizione. Ma cosa resta della vecchia Fiat a Torino? «Tutto è stato terziarizzato - racconta Iole Vaccargiu - oggi è molto più difficile fare battaglie tutti insieme, perché i padroni sono diversi, tanti, troppi». I turni sono alternati, una settimana al mattino dalle sei alle quattordici, quella dopo al pomeriggio dalle quattordici alle ventidue. Gli straordinari sono un’abitudine, li chiede l’azienda perché è sotto organico, e ci si sposta da uno stabilimento all’altro, da Rivalta a Mirafiori. Anche se non siamo a Napoli, la paura della disoccupazione quasi si tocca con mano. Molti dei ragazzi “interinali” arrivano dal sud, raggiungono i parenti già emigrati seguendo il sogno di un’occupazione che è uguale per tutti. Eppure dopo sei mesi possono essere sbattuti fuori, ed entrano così nella grande riserva di un precariato dove ci si adatta a tutto pur di fare la giornata. «Un anno di Fiat resta sempre e comunque una bella esperienza. Anche oggi - dice ancora Iole - La mia generazione ha fatto la battaglia dei trentacinque giorni. Io ormai ho cinquan’anni, ma ricordo ogni minuto. A ripensarci sembra ieri, quando ogni settimana c’era una protesta in piazza, un corteo, una manifestazione. Allora cercavamo di migliorare le nostre condizioni di lavoro in fabbrica, e qualcosa l’abbiamo ottenuto». Anche Cesare Romiti sa chi è la segretaria del circolo di Rifondazione comunista di Mirafiori. Una che non ha avuto problemi a dire in faccia all’ex responsabile della Fiat che cosa pensasse la classe operaia della strategia dei padroni. Ora protestare è difficile, in una città che appare triste e rassegnata per i troppi anni trascorsi a progettare un futuro ben peggiore del passato. Però è successo. Anche se i giornali non ne parlano, e preferiscono far finta che gli operai non esistano più. Ma basta affacciarsi su Mirafiori e vedere il corteo che si muove per sentire qualcosa di diverso nell’aria. Come un aumento di temperatura. La Fiat è sempre il colosso dell’industria dell’auto, quella che in altre epoche ha regalato a Torino la fama di città fabbrica. E che continua anche nel 2001 ad avere l’ultima parola. Ma se le lacrime di un giovane operaio fanno scendere in piazza ottocento persone, forse la neve può ancora trasformarsi in acqua. Sarebbe il miracolo di un lavoro che non segue il destino delle foglie, pronte a cadere dagli alberi ad ogni cambio di stagione. Frida Nacinovich
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