Movimenti Operai e Proletari

Rappresaglia nazifascista a Niccioleta [Grosseto]

Niccioleta era un borgo abitato quasi esclusivamente da famiglie di operai minatori, protagonisti anche durante il periodo fascista di dure lotte. Un nucleo compatto di proletari partecipava attivamente alla resistenza, soprattutto con azioni da sabotaggio e riforniva di esplosivi le formazioni partigiane della zona. Decisi ad impedire che le truppe tedesche, durante la ritirata, distruggessero gli impianti minerari e le case operaie, i lavoratori avevano organizzato la difesa armata del villaggio, ma nella notte fra il 12 e il 13 giugno 44 vennero sorpresi da alcuni reparti delle Brigate nere e delle SS italiane, comandati da ufficiali tedeschi. All'alba i fascisti irruppero nell'abitato e operarono un rastrellamento casa per casa: vennero catturati 150 minatori, 5 dei quali furono immediatamente fucilati e gli altri condotti al comando tedesco. I più anziani furono rilasciati più tardi, ma 25 vennero deportati in Germania e ben 77 fucilati. Questa strage, oprata direttamente contro un nucleo di classe operaia, è stata per lo più ignorata dagli studi sulla lotta di liberazione.

 

CANTO PER IL SANGUE DIMENTICATO

 

CANTO PER IL SANGUE DIMENTICATO
Un film di Luigi Faccini prodotto da Maria Piperno


In collaborazione con
Monte dei Paschi di Siena

Scritto e diretto da Luigi Faccini con Livio Bernardini

Fotografia Gabriele Tabusso
Suono Sirio Segatori
Montaggio Massimo Fioravanti
Voce Alberto Rossatti
Consulenza Storica prof. Luigi Lotti e prof. Ivano Tognarini
Produzione REIAC film di Marina Piperno
Durata 85 minuti
Girato in Betacam

IL MASSACRO DELLA NICCIOLETA
di Emilio Zannerini


Progetto

Provincia di Grosseto/Informa

Responsabile
Massimo Cipriani


Hanno collaborato:

Grafica e impaginazione
Mario Papalini per C&P Adver

Fotografie
Archivio Banchi

Impianti e stampa
Tipografia Vieri - Roccastrada


[fotogramma]


Canto per il sangue dimenticato
Il massacro della Niccioleta
In memoria dei minatori fucilati
dai nazifascisti

Edizioni Aida, Via Maragliano, 31/a, 50144 Firenze
Libro + cassetta VHS

Introduzione di Luigi Faccini

Libro
40 pagine Formato cm. 15 x 21
Era l'estate dei 1980 quando Marina Piperno ed io c'insediammo in quella ventosa maremma azzurra che da Sovana si arrampica verso l'Amiata, lungo i meandri della sassaia bianca che nasconde e restituisce l'acqua della Fiora. Una maremma che odora di macchia mediterranea e che ìvede" l'isola del Giglio. Una maremma che sale lasciando il tufo, incontrando la trachite e il calcare grigio chiaro con cui avi sconosciuti, fenici o longobardi chissà, costruirono la Rocca Silvana. Una maremma severa, pastorale nel secoli mineraria negli ultimi centocinquant'anni, fino al 1976, quando il proprietario statale delle terre da mercurio mise in cassa integrazione gli ultimi. addetti. Una cultura venne cancellata. (con essa la rivoluzione industriale che aveva modificato la vocazione di quelle colline poverissime. Sentimenti e memoria, individuali e collettivi, vennero via via spenti. Arrivammo in quella terra quando un sogno giovanile stava prendendo corpo. I figli del minatori in cassa integrazione volevano trasformare le terre povere in un pretesto dì agricoltura industriale: allevamento intensivo di animali da carne, lavorazione e commercializzazione dei prodotti ottenuti. C'era il sostegno della Regione Toscana. C'erano le lauree dei figli dei minatori.
C'era entusiasmo. C'era una generosa ingenuità. I paesi si sognavano come repubbliche cooperative. Ma la lontananza dai luoghi del consumo di massa e qualche errore di valutazione spensero quel sogno. Restarono le linee dl produzione negli stabilimenti edificati. Qualcun altro maneggiava i comandi.
Su quel sogno e sull'eredità negativa cui tentava di dare una risposta, facemmo un film che testimonia di quella "generosità". Era il 1983. Si chiamava "L'AMIATA È ANCHE UN FIUME". Era popolato di gente che cercava una diversa qualità di vita. Rivederlo produce un'infinita nostalgia.
Sentimmo, andando e venendo, risiedendo in quella terra di faggi solenni, solcata da sciami dì farfalle ubriache, che la memoria del lavoro minerario, con i patimenti e le gioie che l'avevano distinto, si stava perdendo. Le giovani generazioni, i nipoti soprattutto, non conoscevano più nulla di quel vivere metodico e rischioso, dì un vivere che costituiva comunque il piedistallo economico delle loro famiglie e della loro personale evoluzione. C'era chi si vergognava d'aver avuto nonni e parenti minatori. Come se quella non fosse stata una sorta di "aristocrazia" paesana. Come se la miniera non avesse portato, con la silicosi, la ricchezza. I minatori morivano prima degli altri. Ma lasciavano laute pensioni vedovili e strade aperte verso scuola ed università. Lavorammo su questa ambiguità. Scambiare la propria salute per una ricchezza di cui avrebbero goduto solo gli eredi, fu la contraddizione dalla quale partimmo per intrattenere una relazione con i più giovani abitanti dì Selvena e Castell'Azzara. E le lapidi ci ricordavano l'eccidio della Niccioleta. I minatori non erano morti soltanto di fatica, alcolismo, esplosione e frana. Erano morti per l'accusa d'aver inneggiato ai partigiani. Erano morti per odio politico, per delazione fascista. Erano stati rastrellati e ingannati. Fascisti agli ordini dei tedeschi li mitragliarono. Avevano migrato da ogni dove, raggiungendo le Colline Metallifere, fin dagli anni '30, seguiti dalle famiglie. Per la gran parte gente amiatina.

Film in video cassetta VHS

Decidemmo di conoscerne la Storia e le storie. Cercammo negli archivi, nei libri, nei giornali, nei mille e mille detriti famigliari che giacciono nei cassetti meno frequentati nella memoria Lacunosa, spesso reticente, timorosa o addolorata, dei figli e dei nipoti degli uccisi
Tra morti della Niccioleta moltissimi erano i minatori di Selvena, Castell'Azzara e Santa Fiora i ragazzi che "cercarono" con Marina Piperno e me, erano soprattutto selveniani. La miniera del Morone, che arrugginisce sotto il dirupo in tardivo restauro della Rocca Silvana era un segnale ancora memorabile di una vita e dì una storia recenti. Studiammo i documenti, insegnai qualche segretuccio del "far cinema", vedemmo film nell'aula della scuola materna che il comune ci aveva messo a disposizione insieme ad un televisore, un videoregistratore e una piccola telecamera. Ci incontrammo per molti mesi...
"CANTO PER Il SANGUE DIMENTICATOî nasce da tutto ciò. C'era un sentimento fortemente condiviso e un'emozione che volevamo duratura. Chiamiamola "memoria". Chiamiamola "identità". Sono convinto che il film, ora in cassetta, vi prenderà' per mano e non ci smentirà!