«Quei
soldati
spararono
a tradimento»
Il 28 luglio 1999, 56 anni dopo l'eccidio delle Reggiane del 1943, dove
caddero nove operai e 40 rimasero feriti, Toni Roggeri - che aveva vissuto in
prima persona quella strage - ricordò quei tragici fatti.
Venni assunto alle Reggiane come apprendista fresatore. Era il 9 giugno del
1942 e tre giorni dopo compivo 15 anni. La mattina del 25 luglio 1943,
entrando in reparto, percepii un'atmosfera diversa, sentivo i miei compagni
che parlottavano manifestando il desiderio di fare qualche cosa, di lasciare
il lavoro, di uscire, di andare in piazza. Nessuno però osava muoversi, poi
qualche operaio cominciò. Fermò la sua macchina, ma la guardia del reparto
si allarmò e voltò le spalle per andare a chiudere il pesante portone che
portava al cortile. Un primo operaio si mosse correndo in direzione
dell'uscita e, come un solo uomo, tutto il reparto lo seguì.
Il portone si spalancò di colpo e ci trovammo tutti in strada. Nel giro di
mezz'ora tutte le Reggiane furono paralizzate, migliaia di persone erano
raccolte. Il direttore appoggiò la scala da elettricista al muro del mio
reparto, salì alcuni pioli e si voltò sovrastando con lo sguardo la massa di
operai che occupavano l'intero cortile del refettorio.
Si fece silenzio perché l'ingegnere accennava a parlare. Non aveva microfono.
La massa si era stretta intorno alla scala. Con un gesto plateale si tolse
dall'asola della giacca la «marola», il distintivo del partito fascista che
eravamo obbligati a portare e lo gettò a terra.
Dalla folla salì un applauso di consenso, ma quando egli continuò
esortandoci a rientrare nei reparti, dato che la guerra non era finita,
l'uditorio si raffreddò e grida di protesta si alzarono: «Vogliamo andare in
piazza a manifestare». Il direttore fece una pausa, guardò l'uditorio. I
minuti passavano fra il silenzio, allora il direttore discese la scala
scrollando la testa e si fece largo tra la folla dirigendosi verso la
direzione. La massa si mise in cammino verso la portineria. Incominciammo a
premere sul cancellato.
I soldati non erano per niente imbarazzati: «indietro, indietro», gridavano
forte poi sottovoce, in modo che potessero sentire solo quelli davanti,
dicevano: «spingete, spingete, su presto, uscite». In quel momento un rumore
sinistro di scarpe chiodate che saltavano giù dall'autocarro. Erano i
bersaglieri.
Sentii sparare ma si diceva: «fanno apposta, sparano in aria». Ma in quel
momento sentii le grida e i lamenti. Vidi un mucchio enorme: nove i morti e i
feriti quattro volte tanto. Rivoli di sangue sull'asfalto correre verso i
tombini.
dalla Gazzetta di Reggio 3
giugno 2003