"Sulle montagne che circondano Trento le formazioni
partigiane erano strutturate già prima dell'8 settembre 1943"
di Giorgio Tosi
dal "Manifesto"
Una storia poco conosciuta e spesso rimossa: quella del movimento di
liberazione che agì nella regione più settentrionale del paese e più vicina
al Reich tedesco, che dopo l'armistizio venne posta sotto l'amministrazione
diretta della Germania. Lì i nemici non erano i repubblichini di Salò, ma
unicamente i soldati di Hitler. Un'esperienza unica rispetto al resto
dell'Italia che in quelle zone accentuò i caratteri di "liberazione
nazionale" della guerra partigiana
Anche in Trentino la nostra repubblica antifascista ha tratto alimento e radici
dalla resistenza. Ma anche in Trentino il passaggio difficile e sanguinoso dal
fascismo alla democrazia è stato sepolto da decenni di silenzio, che hanno
oscurato non solo la memoria di eventi ormai lontani ma l'identità stessa dei
trentini e il loro stare nella comunità nazionale. Per esempio pochi sanno,
anche in Trentino, che la battaglia per la liberazione di Riva del garda [al
confine con la repubblica di Salò] fu una delle più notevoli combattute dopo
l'insurrezione nazionale del 25 aprile 45. Durò tre giorni, e vide impegnate
notevoli forze militari con alterne vicende. Alla fine la brigata Garibaldi
"Eugenio Impera", guidata dal comandante comunista Dante Dassatti, e i
battaglioni degli operai Fiat [interi reparti erano stati trasferiti dopo l'8
settembre da Torino nelle gallerie della Gardesana occidentale] ebbero ragione
della guarnigione tedesca e dei fascisti in fuga dalle vicine province di Verona
e di Brescia, salvando la città dal bombardamento americano. Pochi sanno, anche
in Trentino, che la vittoriosa battaglia di Riva aveva radici lontane, tra cui
la costituzione nella zona del Basso Sarca di un gruppo antifascista studentesco
attorno a un insegnante del locale liceo, il prof. Guido Gori; gruppo poi
allargatosi e trasformatosi in formazione partigiana guidata dal tenente degli
alpini Gastone Franchetti. Questo gruppo partigiano che ebbe una struttura
organizzativa, basi e armi già prima dell'8 settembre 43, venne successivamente
distrutto dalla brutale repressione nazista. All'alba del 28 giugno 44 reparti
SS operarono decine di arresti e assassinarono nel triangolo Riva, Arco,
Torbole-Nago 16 persone tra cui i giovani studenti Eugenio Impera e Enrico
Meroni: "Ragazzi in guerra", come li definisce un bellissino filmato
per le scuole che ha visto la luce in questi giorni a cura del Museo del
Risorgimento e della Libertà di Trento e dell'Istituto Parri di Bologna.
Giovani martiri la cui epopea è raccontata nel libro "Stagioni
interrotte" di Luciano Baroni, uno dei protagonisti di quella storia
insieme a Renato Ballardini, a Giulio Poli e a tanti altri. Tra i sopravvissuti
alla strage cinque partigiani vennero processati il 2 agosto 1944 dal tribunale
militare tedesco di Bolzano: Gastone Franchetti, comandante della formazione,
Giuseppe Porpora. Giuseppe Ferrandi, Gino Lubich e il sottoscritto. Il
procuratore militare Werner von Fischer chiese la pena di morte per tutti. Il
Tribunale presieduto dal generale Sprung condannò a morte Franchetti e Porpora,
che vennero fucilati, e al carcere duro gli altri che vennero liberati alla fine
della guerra [gli atti del processo sono stati recentemente ritrovati e
acquistati dal Museo del Risorgimento e della Libertà di Trento]. La violenza
del pluridecennale silenzio fa emergere in folla le memorie di quell'epoca che
cambiò la mia vita. Voglio ricordare soltanto che nel carcere di Bolzano ebbi
la ventura di incontrare Tita Piaz, il leggendario arrampicatore delle Dolomiti
e Francesco Jori, altro grande dell'alpinismo, e di rimanere nella loro cella
oltre un mese. Entrambi trentini, entrambi arrestati perché considerati nemici
del Reich nazista.
Pochi sanno queste cose [e numerose altre che potrei raccontare] a causa
dell'oblio in cui è stata sepolta la Resistenza anche in Trentino. Le ragioni
della rimozione sono molteplici e comuni al resto d'Italia: non ultima la
contraddizione insita nella Resistenza stessa, che è stata nello stesso tempo
autentica opposizione e guerra di popolo, ma anche zattera di salvataggio sulla
quale la classe dominante riuscì a traghettare la continuità dello stato,
facendo abortire sul nascere quella rivoluzione [nel senso gobettiano e
gramsciano del termine] di cui l'Italia aveva bisogno. Ma nel biennio 43-44 il
Trentino ha avuto inoltre una sua storia particolare, che molto ha pesato e
sulla quale solo da qualche tempo gli studiosi cominciano a riflettere. Essa può
essere sintetizzata col titolo di un libro apparso nel 1975 e presto ignorato:
"Trentino provincia del Reich" - [P. Agostini, ed. Temi, Trento,
1975].
Dopo l'8 settembre 1943 la provincia di Trento, insieme a quelle di Bolzano e di
Belluno, fece parte della "zona di operazione delle Prealpi" [Alpenvorland]
e venne posta da Hitler direttamente sotto il dominio del Gauleiter di Innsbruck,
Franz Hofer.
A differenza che nel bellunese, che ebbe una storia del tutto diversa, i nazisti
attuarono una politica intelligente basata sinteticamente su questi punti:
proibizione in Trentino [e in Alto Adige] delle organizzazioni fasciste,
chiusura delle sedi, divieto alle milizie repubblichine di oltrepassare i
confini della regione [sottratta di fatto alla sovranità di Salò]; leva dei
giovani trentini in un corpo di sicurezza [che non fu inviato al fronte];
mantenimento dei fondamentali rifornimenti alimentari; nomina a capo della
amministrazione civile di un avvocato liberale trentino [de Bertolini] esponente
di un moderato antifascismo. Con questa operazione politica i tedeschi fecero
venir meno fin dall'origine [per il Trentino] una delle tripartizioni suggerite
da Claudio Pavone per la Resistenza: "Guerra civile".
I partigiani, infatti, non ebbero occasione durante i 18 mesi di occupazione
[salvo che negli ultimi giorni di guerra] di scontrarsi militarmente con i
repubblichini che le forze armate tedesche tenevano rigorosamente fuori dei
confini. Nessun'altra provincia italiana conobbe questa strana sorte,
recentemente sottolineata dallo storico prof. Vincenzo Calì [direttore del
museo del Risorgimento e della resistenza di Trento] nella conferenza tenuta a
Riva del Garda il 9 maggio 1994, sul tema: "La Resistenza in una provincia
di confine". Non vi è dubbio che sotto questo profilo la resistenza
trentina fu essenzialmente guerra di liberazione dal tedesco invasore, e solo
indirettamente [come parte di un tutto] dal fascismo. Ma l'operazione politica
sopra accennata produsse altri più rilevanti effetti. Un giovane storico ha
recentemente evidenziato che gli obiettivi sottesi all'operazione non erano
riconducibili alla sola dimensione militare, e cioè all'esigenza di garantire
la sicurezza del Brennero [come via di rifornimento al fronte]. In realtà i
nazisti miravano, illusoriamente, più lontano: porer i fondamenti politici e
amministrativi di una futura annessione del Trentino al grande Reich. L'incontro
del Gauleiter Hofer subito dopo l'8 settembre 43 con un centinaio di notabili
trentini , accompagnata dalla nomina a Prefetto dell'avvocato de Bartolini,
voleva apparire la pedana di lancio di una "autonomia trentina"
all'interno della galassia ariana ideata dai nazisti. L'evento fu accolto
favorevolmente dall'opinione pubblica trentina - [Giuseppe Ferrandi,
"Resistenza armata e resistenza civile, riflessioni sul caso trentino"
in "Archivio trentino di storia contemporanea" 1. - 1995].
Del resto i trentini avevano conosciuto l'Italia dopo la prima guerra mondiale
attraverso la funesta esperienza fascista, e non c'è da meravigliarsi che il
gesto di Hofer apparisse loro come una chance verso la sospirata autonomia. A
parte ogni altra considerazione non vi è dubbio che le autorità naziste
riuscirono, con quella operazione politica, a neutralizzare la maggioranza della
popolazione che almeno fino al 28 giugno 1944 rimase sostanzialmente
indifferente [talvolta ostile] ai nuclei resistenziali. Questi restarono di
conseguenza un fenomeno elitario e minoritario, almeno sul piano militare, anche
se di inestimabile valore su quello eticopolitico, segnato da un grande
sacrificio di sangue [arresti, internamenti, fucilazioni, torture, veri e propri
massacri].
L'"anomalia" trentina durante la Resistenza sembra dunque nascere da
un errato sogno di autonomia nel quadro del grande Reich. Non è da escludere
che la successiva rimozione della Resistenza possa trovare una delle sue cause
remote in quella "falsa autonomia", e una causa prossima nel torpore
indotto dalla "pingue autonomia" dei decenni che seguirono al 1945:
torpore che ha rischiato di corrompere la autentica "koinè" trentina.
ora che nuovi barbari premono alle porte, ora che la "democrazia di
Barabba" [secondo la felice espressione di Gustavo Zagrebelsky] sembra
prevalere sulla democrazia nata dalla Resistenza, anche in Trentino nascono
iniziative per riscoprire le radici della nostra storia e per controllare la
fondatezza di rinate speranze. Nonostante l'"anomalia", o forse
proprio per causa delle particolari difficoltà da esse create, i trentini
possono essere fieri della loro Resistenza che ha visto intrecciate le
tradizioni forti della nostra storia, impersonate da straordinarie figure:
Gigino Battisti [figlio di Cesare Battisti], Giannantonio Manci di giustizia e
Libertà, i partigiani della Val Cadino e del battaglione "Gherlenda"
tra cui le due donne medaglie d'oro Ancilla Marighetto [di Ora] e Clorinda
Menguzzato [di Veglia], i martiri del 28 giugno 1944, e tanti altri che
bisognerebbe ricordare ad uno ad uno. E' stato certamente un contributo di alto
valore quello che i resistenti trentini hanno dato alla guerra di liberazione
nazionale, base dell'accordo costituzionale che ancora regge la nostra
repubblica. E' necessario che i trentini, e quanti con loro combatterono allora
[provenendo da altre regioni] lo ricordino oggi, a cinquant'anni dalla
riconquistata libertà contro il fascismo, nemico di tutte le libertà.