Regione Toscana Progetto memoria http://www.eccidi1943-44.toscana.it/stampa/espresso_960822a.htm

Dopo Priebke / viaggio nella giustizia militare

UNA, CENTO MILLE ARDEATINE

Ci sono i testimoni. I rapporti dei carabinieri. Dei colpevoli si conoscono anche i nomi, eppure, in cinquant'anni, nessuno è stato processato. E i loro casi archiviati. Perché? E quante sono le stragi nazi-fasciste dimenticate? "L'Espresso" ha frugato negli archivi. Facendo molte scoperte

di Alessandro De Feo e Franco Giustolisi

TAGLIACOZZO. NOVE MAGGIO 1944. Diana Nuccilli, 11 anni, gioca davanti a casa sua con Maria De Santis, un'amichetta di 15 anni. E' quasi il tramonto. Sta per scattare il coprifuoco. Un sergente tedesco, di stanza nella cittadina abruzzese scarica una raffica di mitra contro le bambine. Non c'è -ragione. Se non la ferocia. Diana muore sul colpo. Maria cade ferita alle gambe. Successivamente, e in tempi diversi, quel sergente ferirà a colpi di pistola due civili che si erano rifiutati di spalargli la neve. Poi, affacciato dalla finestra del suo comando, "per motivi futili" sparerà una raffica contro -alcuni cittadini, questa volta senza colpire nessuno. Di quel nazista si conoscevano nome, cognome, grado, reparto di appartenenza. E su di lui, subito dopo la fine della guerra, venne redatto dai carabinieri dettagliato rapporto (lì è scritto "futili motivi") con tanto di testimonianze particolareggiate. Verrà inviato al Corpo generale dei carabinieri che, a sua volta lo trasmetterà alla Procura generale militare, Ufficio procedimenti contro criminali di guerra tedeschi. Era il 1946. Quel rapporto insieme a migliaia di altri rimarrà congelato per cinquant'anni. L'unico atto formale, disposto e firmato nei primi anni Sessanta dal procuratore Enrico Santacroce, capo della giustizia militare dal 1958 al 1974. sarà l'apposizione di un timbro. Con la dicitura: "Archiviazione provvisoria". Diana non avrà mai giustizia. E come lei le innumerevoli vittime di stragi, omicidi, sevizie, rapine, saccheggi, compiuti dai nazi-fascisti. Nella maggioranza dei casi senza nemmeno la terrificante giustificazione della rappresaglia. Di alcuni di questi fascicoli, "L'Espresso" ha preso visione. Assieme a migliaia di altri, dimenticati nella polvere, vennero scovati nel maggio del 1994 dal procuratore militare di Roma Antonino Intelisano durante le indagini sul caso Priebke-Haas. E finalmente inviati alle procure militari di competenza: 150 a Roma, 160 a Torino, 93 a Verona, 102 a La Spezia, 105 a Padova e 6 a Napoli. In tutto, oltre 600 fascicoli, li. Dunque, solo 600 episodi criminali? No. Prendiamo i sei fascicoli inviati a Napoli. Una volta esaminati, hanno prodotto 279 procedimenti, 279 delitti per ora così sommariamente suddivisi: 68 a norma dell'articolo 185 del Codice penale militare di guerra (violenze con omicidi contro privati cittadini); 186 a norma dell'articolo 127 (saccheggi e altro); 4 a norma dell'articolo 187 (incendi, distruzioni)... Di questo materiale, le varie procure militati hanno già disposto l'archiviazione per quei reati caduti in prescrizione e per tutti quelli in cui i criminali nazi-fascisti siano deceduti o non sia più ragionevolmente possibile risalire agli autori. Come per la piccola Diana, nella grande maggioranza dei casi si sono ritrovate prove e testimonianze per risalire ai colpevoli. Per esempio, gli eccidi e le torture commessi nel lager di Bolzano dal comandante tenente delle Ss Karl Titho e dal suo maresciallo Hans Haage. Commenta il procuratore militare di Verona, Bartolomeo Costantini, membro del Consiglio della magistratura militare e della Commissione appena costituita che dovrà chiarire "le dimensioni, le cause e le modalità del fenomeno delle archiviazioni provvisorie": "Nel dossier sul lager di Bolzano che ci hanno trasmesso era possibile individuare i responsabili: erano già noti attraverso alcune pubblicazioni. Abbiamo accertato l'esistenza in vita dei due militari delle Ss, li potremo interrogare solo in rogatoria, verranno Processati probabilmente in contumacia dato che la Costituzione tedesca vieta espressamente l'estradizione dei suoi cittadini anche se accusati di crimini gravissimi". Ma perchè mezzo secolo di silenzio? Silenzio dei politici, dei militari, dell'opinione pubblica. Il silenzio dei politici è in parte spiegato sui libri di storia. In quegli anni cercare responsabilità per i crimini nazi-fascisti significava riaprire ferite, scoprire connivenze. Di natura diversa il silenzio dei militari. Si legga il documento segreto della Procura generale del 1962 ("L'Espresso" n. 12) riferito ai criminali di guerra nazisti: "La possibilità di un giudizio in contumacia è stata prospettata sin dall'epoca del processo Kappler: ma la sua realizzazione è stata esclusa, per direttiva del Procuratore generale militare ( ... ) per ragioni di Opportunità, non sembrando conveniente, anche in considerazione delle scarse possibilità di una pratica realizzazione della pretesa punitiva, turbare ancora una volta l'opinione pubblica, riportando alla ribalta il triste episodio dell'eccidio delle Fosse Ardeatine. Tali direttive del Procuratore generale sono state periodicamente riconfermate, a richiesta di questa Procura militare".
E IL SILENZIO DEI CITtadini dei parenti delle vittime? Risponde Intelisano: "Non mi risultano iniziative di familiari o associazioni per riaprire i casi archiviati. Se si eccettuano le stragi di Capistrello e l'eccidio della Storta dove fu assassinato il sindacalista Bruno Buozzi. Mi sono spesso interrogato su questo atteggiamento. Lo ritengo ascrivibile a forme di rimozione collettiva: l'amnesia si traduce in amnistia. A volte c'è stata una sorta di inversione dei giudizi di responsabilità: sono stati chiamati in causa, informalmente, gli autori di azioni partigiane per una specie di "sindrome di Stoccolma", quasi per giustificare le feroci reazioni tedesche". È successo a Gubbio. Qui, il 22 giugno 1944, vennero fucilati 40 cittadini per rappresaglia, dopo l'uccisione di due ufficiali tedeschi. In un rapporto doppio rispetto alla strage delle Fosse Ardeatine. Di ostaggi ne erano stati rastrellati 160, ma' intervento del vescovo riuscì a limitare l'eccidio. A quei 40 fu ordinato di scavarsi la fossa e poi avvenne l'esecuzione a raffiche di mitragliatrice. Al centro di Gubbio un mausoleo con i nomi dei martiri ricorda l'evento. Il fascicolo "archiviato" di Gubbio, ora riaperto, riporta testimonianze, circostanze, nomi e cognomi degli ufficiali che ordinarono la rappresaglia. -Il rapporto risale al '46. Se si fosse voluto, si sarebbe potuto perseguire i responsabili. Perché non è successo? Risponde il sindaco Paolo Barboni: "Tra il '44 e il '45 ci si preoccupò soltanto di capire se le responsabilità dell'eccidio fossero dei tre partigiani che uccisero i due i ufficiali tedeschi, o dei tedeschi per la rappresaglia. Sull'opportunità di quell'azione partigiana la città si spaccò. Si discuteva, e si discute ancora, se il rastrellamento fosse stato operato autonomamente dai tedeschi o il frutto della denuncia di qualche fascista. Dobbiamo immaginarci l'Italia di allora-. Anche negli interventi del prefetto e del questore, la strage rimase quasi sullo sfondo. Noi la ricordiamo il 22 giugno, ogni anno, con solennità. Una volta è pure intervenuto il presidente Scalfaro... Ma la divisione in città ha bloccato ogni possibile iniziativa, ogni richiesta di giustizia". Gubbio. Un episodio emblematico. Nel settembre del '44, l'avvocato Gaetano Salciarini, nominato sindaco dal Comitato di liberazione provinciale, denunciò alla Commissione alleata dei crimini di guerra il capitano nazista Erik Buckmakoswki come responsabile della carneficina. Il 4 giugno del '45 lo Special Investigation Branch (Sib) dell'esercito inglese aprì un'inchiesta affidandola al sergente B.I. Brainbridge affiancato da altri due sottufficiali. Nel rapporto finale del 20 luglio '45, controfirmato dal capitano Middleton della 78° sezione Sib, si elencavano i nomi degli ufficiali tedeschi probabili responsabili del massacro. Verranno resi noti nell'agosto del '64 quando i familiari delle vittime scrissero al Tribunale di Stoccarda. La risposta arriverà tre anni dopo: "Il capitano Buckmakoswki è responsabile di complicità in omicidio secondo l'articolo 212 del Codice penale tedesco. Ma questo tipo di reato è già prescritto dal 1960. Il comandante della 114° Divisione di fanteria Joan Boelsen e il suo ufficiale di ordinanza, capitano Rausc, che avrebbe scelto i 40 da fucilare, sono deceduti". Rimane Il mausoleo. "Non solo le guerre, ma anche le catastrofi naturali sono tragedie collettive indimenticabili", commenta lo storico Lucio Villari, "eppure esiste un fortissimo sentimento della pace e della normalità senza il quale non vi sarebbero ricostruzione e aumento delle nascite, fenomeni che caratterizzano la fine di quegli eventi. Questo sentimento è il padre dell'oblio. Così è avvenuto dopo la Seconda guerra mondiale. Pochissimi responsabili di morte e distruzioni sono stati puniti. Ma la miriade di drammi individuali sono come svaniti nel nulla, o rimangono custoditi solo in silenti memorie personali e familiari È stato sempre così. È giusto questo? La Storia tace, perplessa".
CHI NON TACE È ANTONIO ROSINI, già in prima fila nelle lotte contadine nella Marsica. Il 4 giugno 1944 a Capistrello (Avezzano) suo padre e suo zio, assieme ad altri 28 civili, tra cui un bambino di 13 anni, furono messi in fila ed eliminati uno dopo l'altro con un colpo di pistola alla nuca. Dice: "II dolore, la convinzione che non sarebbe stato possibile punire i colpevoli, provocarono prima rassegnazione poi una generale inerzia. Non sapevamo a chi rivolgerci, intanto tornavano dal fronte ragazzi che raccontavano mille atrocità. Finimmo per dirci: "È la guerra"". Per quei martiri non ci fu altro che una lapide al cimitero e un monumento in piazza. Eppure, già in quel primo rapporto ce n'era a sufficienza per indagare. Nella zona operava un feroce tenente tedesco, Haing Nebgen, autore dì varie efferatezze, tra cui l'omicidio del giovane Piero Masci, studente di 19 anni, seviziato, fucilato e poi evirato (20 marzo 1944), come si legge nel rapporto dei carabinieri. Nebgen è vivo e vegeto al sicuro vicino Dortmund. Così Rosini, comunista, non si arrende. In Germania ha personalmente rintracciato testimoni e ha parlato con ex militari tedeschi che allora si trovavano in Abruzzo. Con nuove prove in mano Rosini ha firmato un esposto-denuncia al Tribunale di Avezzano (18 aprile 1994), si è costituito parte civile prima presso la Procura di Avezzano (8 marzo 1995), poi (17 ottobre 1995) presso la Procura militare di Roma. Infine è riuscito a far costituire parte civile anche i Comuni dì Capistrello, Avezzano, Luco e Canistro (16 marzo 1996), tutti devastati dalla furia nazista cinquant'anni dopo. Non molto diversamente è andata per la strage compiuta il 21 novembre del '43 nel comune di Roccaraso, in contrada Limmari. Con la scusa di una perquisizione, i tedeschi rastrellarono 124 abitanti sfollati da Pietransieri e li raggrupparono sopra una radura dove li massacrarono a mitragliate. Si salvò miracolosamente solo una bambina di 9 anni, Virginia Macerelli, ritrovata sotto al cadavere della madre. Anche in questo caso testimoni. Un memoriale (quello di un testimone oculare, Italino Oddis, all'epoca guardia municipale) . Il rapporto dei carabinieri. L'archiviazione provvisoria. E lapidi. Monumenti. Discorsi in piazza. Cerimonie con le autorità (il cinquantennale venne commemorato in presenza di Giovanni Spadolini, allora presidente del Senato). E mai un processo. Con la popolazione passivamente rassegnata a convivere con quella ferita aperta. Perché? "Perché la comunità non crede ai processi. Si porta addosso con cristiana sofferenza il dolore per una strage assolutamente immotivata, per cui a tutt'oggi non sa darsi una spiegazione logica", risponde Mario Liberatore, sindaco di Roccaraso. E aggiunge: "Poi, dopo la Liberazione, coloro che dovevano perseguire i crimini di guerra erano pochi e distratti da tante altre cose. E le indagini sulla strage di Limmari partirono con troppo ritardo, nel '46. Si interruppero un anno dopo, quando era stata individuata una pista (che potrebbe essere ancora percorsa): si entrava nella guerra fredda, la vera origine di questo mancato sforzo finale contro i crimini nazisti" . Delle indagini sull'eccidio si occupò il War Crime Group, sezione di Padova. Incaricato di redigere un rapporto fu il capitano inglese R. L. Stayer. Lo firma il 9 novembre 1947. Nonostante tutto è dettagliato, luoghi, personaggi, piste da seguire, suggerimenti per ulteriori indagini. Perfino nazisti da "rintracciare e catturare". E via una lunga lista: il generale Heidrich, il tenente colonnello Schultz, il maggiore von Schulenburg, il capitano Schulder, il soldato Paul Haas... Erano tutti lì, all'epoca dei fatti. Dovevano sapere. Probabilmente avevano visto. Addirittura, potevano aver materialmente compiuto la strage. Niente. Non si fece nulla. Un'anno fa, per iniziativa del Comune, un gruppo di studiosi è stato incaricato di una ricerca storica sul massacro di Limmari. Verrà pubblicata il prossimo 21 novembre, anniversario dell'eccidio. Storia, non giustizia.


L'Espresso - 22 agosto 1996