TAGLIACOZZO. NOVE MAGGIO 1944. Diana Nuccilli, 11 anni, gioca davanti a casa
sua con Maria De Santis, un'amichetta di 15 anni. E' quasi il tramonto. Sta per
scattare il coprifuoco. Un sergente tedesco, di stanza nella cittadina abruzzese
scarica una raffica di mitra contro le bambine. Non c'è -ragione. Se non la
ferocia. Diana muore sul colpo. Maria cade ferita alle gambe. Successivamente, e
in tempi diversi, quel sergente ferirà a colpi di pistola due civili che si
erano rifiutati di spalargli la neve. Poi, affacciato dalla finestra del suo
comando, "per motivi futili" sparerà una raffica contro -alcuni cittadini,
questa volta senza colpire nessuno. Di quel nazista si conoscevano nome,
cognome, grado, reparto di appartenenza. E su di lui, subito dopo la fine della
guerra, venne redatto dai carabinieri dettagliato rapporto (lì è scritto "futili
motivi") con tanto di testimonianze particolareggiate. Verrà inviato al Corpo
generale dei carabinieri che, a sua volta lo trasmetterà alla Procura generale
militare, Ufficio procedimenti contro criminali di guerra tedeschi. Era il 1946.
Quel rapporto insieme a migliaia di altri rimarrà congelato per cinquant'anni.
L'unico atto formale, disposto e firmato nei primi anni Sessanta dal procuratore
Enrico Santacroce, capo della giustizia militare dal 1958 al 1974. sarà
l'apposizione di un timbro. Con la dicitura: "Archiviazione provvisoria". Diana
non avrà mai giustizia. E come lei le innumerevoli vittime di stragi, omicidi,
sevizie, rapine, saccheggi, compiuti dai nazi-fascisti. Nella maggioranza dei
casi senza nemmeno la terrificante giustificazione della rappresaglia. Di alcuni
di questi fascicoli, "L'Espresso" ha preso visione. Assieme a migliaia di altri,
dimenticati nella polvere, vennero scovati nel maggio del 1994 dal procuratore
militare di Roma Antonino Intelisano durante le indagini sul caso Priebke-Haas.
E finalmente inviati alle procure militari di competenza: 150 a Roma, 160 a
Torino, 93 a Verona, 102 a La Spezia, 105 a Padova e 6 a Napoli. In tutto, oltre
600 fascicoli, li. Dunque, solo 600 episodi criminali? No. Prendiamo i sei
fascicoli inviati a Napoli. Una volta esaminati, hanno prodotto 279
procedimenti, 279 delitti per ora così sommariamente suddivisi: 68 a norma
dell'articolo 185 del Codice penale militare di guerra (violenze con omicidi
contro privati cittadini); 186 a norma dell'articolo 127 (saccheggi e altro); 4
a norma dell'articolo 187 (incendi, distruzioni)... Di questo materiale, le
varie procure militati hanno già disposto l'archiviazione per quei reati caduti
in prescrizione e per tutti quelli in cui i criminali nazi-fascisti siano
deceduti o non sia più ragionevolmente possibile risalire agli autori. Come per
la piccola Diana, nella grande maggioranza dei casi si sono ritrovate prove e
testimonianze per risalire ai colpevoli. Per esempio, gli eccidi e le torture
commessi nel lager di Bolzano dal comandante tenente delle Ss Karl Titho e dal
suo maresciallo Hans Haage. Commenta il procuratore militare di Verona,
Bartolomeo Costantini, membro del Consiglio della magistratura militare e della
Commissione appena costituita che dovrà chiarire "le dimensioni, le cause e le
modalità del fenomeno delle archiviazioni provvisorie": "Nel dossier sul lager
di Bolzano che ci hanno trasmesso era possibile individuare i responsabili:
erano già noti attraverso alcune pubblicazioni. Abbiamo accertato l'esistenza in
vita dei due militari delle Ss, li potremo interrogare solo in rogatoria,
verranno Processati probabilmente in contumacia dato che la Costituzione tedesca
vieta espressamente l'estradizione dei suoi cittadini anche se accusati di
crimini gravissimi". Ma perchè mezzo secolo di silenzio? Silenzio dei politici,
dei militari, dell'opinione pubblica. Il silenzio dei politici è in parte
spiegato sui libri di storia. In quegli anni cercare responsabilità per i
crimini nazi-fascisti significava riaprire ferite, scoprire connivenze. Di
natura diversa il silenzio dei militari. Si legga il documento segreto della
Procura generale del 1962 ("L'Espresso" n. 12) riferito ai criminali di guerra
nazisti: "La possibilità di un giudizio in contumacia è stata prospettata sin
dall'epoca del processo Kappler: ma la sua realizzazione è stata esclusa, per
direttiva del Procuratore generale militare ( ... ) per ragioni di Opportunità,
non sembrando conveniente, anche in considerazione delle scarse possibilità di
una pratica realizzazione della pretesa punitiva, turbare ancora una volta
l'opinione pubblica, riportando alla ribalta il triste episodio dell'eccidio
delle Fosse Ardeatine. Tali direttive del Procuratore generale sono state
periodicamente riconfermate, a richiesta di questa Procura militare".
E IL
SILENZIO DEI CITtadini dei parenti delle vittime? Risponde Intelisano: "Non mi
risultano iniziative di familiari o associazioni per riaprire i casi archiviati.
Se si eccettuano le stragi di Capistrello e l'eccidio della Storta dove fu
assassinato il sindacalista Bruno Buozzi. Mi sono spesso interrogato su questo
atteggiamento. Lo ritengo ascrivibile a forme di rimozione collettiva: l'amnesia
si traduce in amnistia. A volte c'è stata una sorta di inversione dei giudizi di
responsabilità: sono stati chiamati in causa, informalmente, gli autori di
azioni partigiane per una specie di "sindrome di Stoccolma", quasi per
giustificare le feroci reazioni tedesche". È successo a Gubbio. Qui, il 22
giugno 1944, vennero fucilati 40 cittadini per rappresaglia, dopo l'uccisione di
due ufficiali tedeschi. In un rapporto doppio rispetto alla strage delle Fosse
Ardeatine. Di ostaggi ne erano stati rastrellati 160, ma' intervento del vescovo
riuscì a limitare l'eccidio. A quei 40 fu ordinato di scavarsi la fossa e poi
avvenne l'esecuzione a raffiche di mitragliatrice. Al centro di Gubbio un
mausoleo con i nomi dei martiri ricorda l'evento. Il fascicolo "archiviato" di
Gubbio, ora riaperto, riporta testimonianze, circostanze, nomi e cognomi degli
ufficiali che ordinarono la rappresaglia. -Il rapporto risale al '46. Se si
fosse voluto, si sarebbe potuto perseguire i responsabili. Perché non è
successo? Risponde il sindaco Paolo Barboni: "Tra il '44 e il '45 ci si
preoccupò soltanto di capire se le responsabilità dell'eccidio fossero dei tre
partigiani che uccisero i due i ufficiali tedeschi, o dei tedeschi per la
rappresaglia. Sull'opportunità di quell'azione partigiana la città si spaccò. Si
discuteva, e si discute ancora, se il rastrellamento fosse stato operato
autonomamente dai tedeschi o il frutto della denuncia di qualche fascista.
Dobbiamo immaginarci l'Italia di allora-. Anche negli interventi del prefetto e
del questore, la strage rimase quasi sullo sfondo. Noi la ricordiamo il 22
giugno, ogni anno, con solennità. Una volta è pure intervenuto il presidente
Scalfaro... Ma la divisione in città ha bloccato ogni possibile iniziativa, ogni
richiesta di giustizia". Gubbio. Un episodio emblematico. Nel settembre del '44,
l'avvocato Gaetano Salciarini, nominato sindaco dal Comitato di liberazione
provinciale, denunciò alla Commissione alleata dei crimini di guerra il capitano
nazista Erik Buckmakoswki come responsabile della carneficina. Il 4 giugno del
'45 lo Special Investigation Branch (Sib) dell'esercito inglese aprì
un'inchiesta affidandola al sergente B.I. Brainbridge affiancato da altri due
sottufficiali. Nel rapporto finale del 20 luglio '45, controfirmato dal capitano
Middleton della 78° sezione Sib, si elencavano i nomi degli ufficiali tedeschi
probabili responsabili del massacro. Verranno resi noti nell'agosto del '64
quando i familiari delle vittime scrissero al Tribunale di Stoccarda. La
risposta arriverà tre anni dopo: "Il capitano Buckmakoswki è responsabile di
complicità in omicidio secondo l'articolo 212 del Codice penale tedesco. Ma
questo tipo di reato è già prescritto dal 1960. Il comandante della 114°
Divisione di fanteria Joan Boelsen e il suo ufficiale di ordinanza, capitano
Rausc, che avrebbe scelto i 40 da fucilare, sono deceduti". Rimane Il mausoleo.
"Non solo le guerre, ma anche le catastrofi naturali sono tragedie collettive
indimenticabili", commenta lo storico Lucio Villari, "eppure esiste un
fortissimo sentimento della pace e della normalità senza il quale non vi
sarebbero ricostruzione e aumento delle nascite, fenomeni che caratterizzano la
fine di quegli eventi. Questo sentimento è il padre dell'oblio. Così è avvenuto
dopo la Seconda guerra mondiale. Pochissimi responsabili di morte e distruzioni
sono stati puniti. Ma la miriade di drammi individuali sono come svaniti nel
nulla, o rimangono custoditi solo in silenti memorie personali e familiari È
stato sempre così. È giusto questo? La Storia tace, perplessa".
CHI NON TACE
È ANTONIO ROSINI, già in prima fila nelle lotte contadine nella Marsica. Il 4
giugno 1944 a Capistrello (Avezzano) suo padre e suo zio, assieme ad altri 28
civili, tra cui un bambino di 13 anni, furono messi in fila ed eliminati uno
dopo l'altro con un colpo di pistola alla nuca. Dice: "II dolore, la convinzione
che non sarebbe stato possibile punire i colpevoli, provocarono prima
rassegnazione poi una generale inerzia. Non sapevamo a chi rivolgerci, intanto
tornavano dal fronte ragazzi che raccontavano mille atrocità. Finimmo per dirci:
"È la guerra"". Per quei martiri non ci fu altro che una lapide al cimitero e un
monumento in piazza. Eppure, già in quel primo rapporto ce n'era a sufficienza
per indagare. Nella zona operava un feroce tenente tedesco, Haing Nebgen, autore
dì varie efferatezze, tra cui l'omicidio del giovane Piero Masci, studente di 19
anni, seviziato, fucilato e poi evirato (20 marzo 1944), come si legge nel
rapporto dei carabinieri. Nebgen è vivo e vegeto al sicuro vicino Dortmund. Così
Rosini, comunista, non si arrende. In Germania ha personalmente rintracciato
testimoni e ha parlato con ex militari tedeschi che allora si trovavano in
Abruzzo. Con nuove prove in mano Rosini ha firmato un esposto-denuncia al
Tribunale di Avezzano (18 aprile 1994), si è costituito parte civile prima
presso la Procura di Avezzano (8 marzo 1995), poi (17 ottobre 1995) presso la
Procura militare di Roma. Infine è riuscito a far costituire parte civile anche
i Comuni dì Capistrello, Avezzano, Luco e Canistro (16 marzo 1996), tutti
devastati dalla furia nazista cinquant'anni dopo. Non molto diversamente è
andata per la strage compiuta il 21 novembre del '43 nel comune di Roccaraso, in
contrada Limmari. Con la scusa di una perquisizione, i tedeschi rastrellarono
124 abitanti sfollati da Pietransieri e li raggrupparono sopra una radura dove
li massacrarono a mitragliate. Si salvò miracolosamente solo una bambina di 9
anni, Virginia Macerelli, ritrovata sotto al cadavere della madre. Anche in
questo caso testimoni. Un memoriale (quello di un testimone oculare, Italino
Oddis, all'epoca guardia municipale) . Il rapporto dei carabinieri.
L'archiviazione provvisoria. E lapidi. Monumenti. Discorsi in piazza. Cerimonie
con le autorità (il cinquantennale venne commemorato in presenza di Giovanni
Spadolini, allora presidente del Senato). E mai un processo. Con la popolazione
passivamente rassegnata a convivere con quella ferita aperta. Perché? "Perché la
comunità non crede ai processi. Si porta addosso con cristiana sofferenza il
dolore per una strage assolutamente immotivata, per cui a tutt'oggi non sa darsi
una spiegazione logica", risponde Mario Liberatore, sindaco di Roccaraso. E
aggiunge: "Poi, dopo la Liberazione, coloro che dovevano perseguire i crimini di
guerra erano pochi e distratti da tante altre cose. E le indagini sulla strage
di Limmari partirono con troppo ritardo, nel '46. Si interruppero un anno dopo,
quando era stata individuata una pista (che potrebbe essere ancora percorsa): si
entrava nella guerra fredda, la vera origine di questo mancato sforzo finale
contro i crimini nazisti" . Delle indagini sull'eccidio si occupò il War Crime
Group, sezione di Padova. Incaricato di redigere un rapporto fu il capitano
inglese R. L. Stayer. Lo firma il 9 novembre 1947. Nonostante tutto è
dettagliato, luoghi, personaggi, piste da seguire, suggerimenti per ulteriori
indagini. Perfino nazisti da "rintracciare e catturare". E via una lunga lista:
il generale Heidrich, il tenente colonnello Schultz, il maggiore von
Schulenburg, il capitano Schulder, il soldato Paul Haas... Erano tutti lì,
all'epoca dei fatti. Dovevano sapere. Probabilmente avevano visto. Addirittura,
potevano aver materialmente compiuto la strage. Niente. Non si fece nulla.
Un'anno fa, per iniziativa del Comune, un gruppo di studiosi è stato incaricato
di una ricerca storica sul massacro di Limmari. Verrà pubblicata il prossimo 21
novembre, anniversario dell'eccidio. Storia, non giustizia.
L'Espresso - 22 agosto 1996