SCHIZOFRENIA E MISTICA
di Adalberto Bonecchi
La mistica: la scoperta del divino in noi. Come prima approssimazione, si potrebbe dire che la mistica è la via più radicale di trasformazione interiore, che provoca un nuovo gusto del mondo e di ciò che lo trascende, ma questa formula sarebbe ancora dualistica, poiché nella mistica non vi è differenza tra il mondo e il trascendente. E' questo che, almeno in Occidente, ha spesso creato ai mistici gravi problemi da parte dell'autorità ecclesiastica. Infatti, sino a che si insegna che il divino è in qualche luogo nascosto e lontano, chi pretende di far da tramite tra gli uomini e quell'Altrove recondito gode di un enorme potere, ma che succede se si scopre che esso è piuttosto in ognuno di noi? O meglio ancora: nel modo in cui possiamo considerare noi stessi e ciò che ci circonda?
Diverse forme di mistica. In linea di massima, sono distinguibili due forme di mistica. La prima -tesa verso l'Assoluto e l'Infinito- supera esplicitamente il livello usuale di coscienza e tende al trascendente come dimensione "altra" rispetto alla quotidianità, spesso svilendo, se non addirittura eliminando, gli oggetti comuni della percezione. La seconda forma di mistica, invece, sembra aver rinunciato alle forme più appariscenti dell'estasi, per reinterpretare piuttosto l'esperienza mondana in termini divini. E' questo il caso, ad esempio, di persone estremamente altruiste, che incontrano il divino non nella semioscurità di una caverna, ma nel turbinio di una vita dedicata ai sofferenti.
Un'altra differenza importante, proposta da William James, è tra mistica sporadica o spontanea e mistica metodicamente coltivata, vale a dire tra il fare quasi casualmente un'esperienza mistica, ad esempio innanzi a uno stupendo paesaggio naturale, e il situarsi invece in un sentiero, solitamente tradizionale, teso a purificare gli aspetti più grossolani della mente e a coltivarne i più sottili.
Inoltre, l'esperienza mistica può presentare variazioni di intensità molto differenti, dalla leggera sensazione di un allentamento dei propri usuali limiti egoici, sino alla vera e propria estasi, accompagnata da visioni. E' significativo che le forme minori dell'esperienza mistica siano particolarmente diffuse, ma molto trascurate, quasi come se, in una società che pare aver accettato ogni aspetto della sessualità, la mistica fosse il vero tabù contemporaneo.
L'espansione del mondo interiore. La mistica consiste in un'espansione del proprio mondo interiore che, nelle sue forme più avanzate, arriva a sovrapporsi al mondo esterno. Da ciò può derivare l'eventuale impressione di indifferenziazione, che ha portato molti a credere che il mistico affondi le proprie radici -e per certi versi naufraghi- nel magma preegoico. Non ci si accorge così del fatto che nella mistica gli oggetti della coscienza non sono spariti, ma sono piuttosto divenuti trasparenti. Letteralmente: il mistico vede attraverso i fenomeni e scopre la loro natura comune. Che poi essa venga chiamata Brahma, vacuità, Dio o in altro modo ancora riguarda la storia delle religioni e quindi delle culture.
L'estasi non sorge dunque da ciò che si conquista, ma da ciò che si lascia: l'illusione della separatezza di un io ipertrofico, alla cui idea in precedenza ci si aggrappava disperatamente. Essa è un fluire di energia libera, perché non più impiegata per difendere una fasulla immagine dell'io.
Follia, normalità, mistica. Come si può vedere, non si tratta nella mistica -a differenza di quanto sostengono certe interpretazioni psichiatriche e, purtroppo, psicanalitiche- di regressione: il mistico infatti non regredisce, ma procede lungo sviluppi della mente solitamente trascurati nella "normalità", che a questo punto ci appare chiaramente come un blocco, se non patologico, certo limitante. E' dunque importante non lasciarsi fuorviare da eventuali somiglianze tra la mistica e la regressione psicotica, perché appunto si tratta solo di somiglianze e non di una comune struttura. Basti pensare a come il mistico, a differenza dello schizofrenico, sia in grado di sviluppare forti rapporti affettivi e di muoversi nel mondo. Anzi, se c'è qualcuno che ha coltivato gli ideali psicanalitici sull'amore e il lavoro, questi è proprio il mistico, che è spesso in grado di mantenere legami con innumerevoli allievi e di svolgere un'intensa attività pubblica come scrittore e conferenziere.
Il mistico, dunque, non è un disintegrato psicotico, ma per così dire un "superintegrato", che ha saputo assimilare dimensioni della mente la cui esistenza viene di solito trascurata, se non addirittura negata. In questo senso, possiamo parlare di un ordine mistico, in cui sono state integrate diverse sfaccettature della mente. Che in questa integrazione un mistico abbia a volte rischiato la follia -cioè una regressione senza ritorno- non deve portare a inficiare la sua esperienza, ma anzi ad apprezzarla ancora di più per i pericoli che essa comporta. In fondo, un mistico ha rinunciato a quella normalità a cui lo psicotico non sa accedere e quindi vi è nella sua vita il rischio, nel caso non riesca a imboccare nuove vie, di ripercorrere a ritroso il cammino della normalizzazione, sino all'esplosione dei confini egoici, non accompagnata da alcuna sintesi superiore. A questo punto, anziché alla gioia estatica, egli approderebbe al caos terrificante.
Allucinazioni o visioni. La differenza tra allucinazione e visione non è tanto nella forma, quanto nel contesto. Fermo restando, infatti, che percezioni senza oggetto possono intervenire per differenti cause fisiche o psichiche, quali ad esempio fame, stanchezza e sonnolenza intense, sostanze inebrianti, depressioni e manie ecc., sarà solo il contesto psicotico o religioso a differenziare l'allucinazione dalla visione. Naturalmente, vi possono essere allucinazioni psicotiche a soggetto religioso, che però non per questo cessano di essere psicotiche: ciò che infatti conta è capire l'organizzazione mentale al cui interno sorgono immagini senza stimolazioni esterne dell'occhio. Da questa indagine psicologica resta invece escluso, per motivi di competenza, il fenomeno delle "apparizioni".
Preegoico e transegoico. La mistica allevia e addirittura muta alchemicamente di segno il dolore della separazione dal mondo, senza per questo ricorrere alla regressione. Certo, è possibile che per fare ciò essa acceda a dimensioni arcaiche solitamente inaccessibili se non nella psicosi, ma queste dimensioni preegoiche vengono reinterpretate in modo inedito. Nello schema di Ken Wilber possiamo affermare che la mistica, a differenza della psicosi, non è preegoica, ma transegoica.
La mistica ritrova l'oggetto perduto, scoprendo che esso non si era mai allontanato, ma semplicemente veniva visto in un'ottica limitante. Essa pertanto rimedia all'errore di prospettiva che sulla differenzia funzionale tra io e oggetto (che certamente esiste e deve essere mantenuta) aveva costruito una rigida differenza di identità. Nella mistica, l'io e l'oggetto continuano a essere separati nella loro funzione, ma non nella loro natura. Perciò il mistico supera la paura della perdita di sé: non può infatti perdere l'aspetto funzionale dell'io, mentre sperimenta la gioia dell'aver lasciato le illusioni sulla sua esistenza inerente.
Forme della trascendenza. Ma che cos'è la trascendenza? O meglio: che cosa sono le trascendenze? Appare infatti evidente che, come già indicò Abraham Maslow, ne esistono diverse forme, alcune delle quali può ora essere utile ripercorrere.
Tutti noi siamo probabilmente passati almeno una volta nella vita attraverso crisi di perdita di autoconsapevolezza al limite della depersonalizzazione. Esse, se non avvengono in un quadro psicotico, possono risultare particolarmente utili, perché rappresentano reali momenti di crescita, in cui si sperimenta un allargamento dei propri confini egoici. Sebbene possano provocare dolore e anche terrore, queste crisi ci avvertono che noi non siamo solamente ciò che ci immaginiamo di essere: da qui sorge l'impressione, al limite, di "sparire", mentre in effetti stiamo sperimentando un nostro spazio interiore in precedenza nemmeno immaginato. Dov'è in quei momenti l'io e dov'è l'oggetto? Mentre stiamo esplorando nuovi confini, non ci ricordiamo più dei vecchi.
Un'altra esperienza abbastanza comune di trascendenza è rappresentata dal superamento del tempo limitato, psicologico, in cui solitamente pensiamo di esistere. Se ad esempio sto leggendo con interesse il libro di un autore ormai morto da tempo, è come se d'un tratto non esistessero più i decenni, i secoli o addirittura i millenni che ci separano. Oppure, quando ci preoccupiamo per le generazioni a venire, non abbiamo forse l'impressione di vivere in un tempo eterno, in cui non esistono più passato, presente e futuro? O ancora, non possiamo entro certi limiti trascendere la nostra cultura, accorgendoci che più lavoriamo su noi stessi, più diventiamo una sorta di uomo universale? Sebbene ognuno di noi sia radicato in una particolare cultura, come non accorgersi che essa è solo la forma fenomenica in cui esistiamo, ma a cui non siamo riducibili? Tra l'altro, saper cogliere la relatività della propria cultura è anche la condizione per poterla valutare criticamente e quindi per apprezzarne alcuni aspetti, allontanandosi invece da altri.
Una forma differente di trascendenza consiste invece nel superamento dell'egoismo e dell'egocentrismo mentre stiamo assolvendo responsabilità e doveri. Essa si accompagna spesso al venir meno della contrapposizione tra l'io e l'altro e favorisce così la partecipazione a lavori collettivi, in quanto porta a superare l'impellenza dei bisogni individuali più grossolani. Sviluppare una visione di vita più ampia aiuta anche a trascendere la malattia, il dolore ed eventualmente la morte, che verranno considerate parte integrante della propria esistenza, con immediati benefici anche nella quotidianità, in quanto si riesce così a vivere con un'attitudine molto più calma e rilassata, perché maggiormente oggettiva. Naturalmente, questo presuppone una pur minima trascendenza del bisogno di dipendenza dalle opinioni e dall'apprezzamento mondano altrui e lo sviluppo di valori e di capacità di autostima individuali, perché essi generano una notevole fiducia esistenziale in se stessi e nelle proprie capacità di risolvere o reinterpretare i problemi che la vita ci impone.
Un'altra forma di trascendenza, che in un certo senso deriva dalle precedenti, è il superamento in generale delle dicotomie e l'accesso a una percezione olistica del cosmo come unità. Si apre così la porta dell'effettiva trascendenza mistica, di cui le precedenti possono rappresentare un'utile preparazione.
Cinque stadi della mistica. Esistono, secondo la classificazione di E. Underhill, cinque stadi nella mistica. Il primo è la conversione improvvisa che segue un periodo di inquietudine e turbamento e può essere chiamato il Risveglio del Sé. Esso è accompagnato dalla consapevolezza che esiste un livello superiore e maggiormente desiderabile dell'esperienza umana e a volte viene vissuto come un rapimento o un trasporto. E' una situazione radicalmente diversa rispetto ai livelli usuali di coscienza.
Nel secondo stadio, la Purificazione del Sé, il mistico, dopo aver sperimentato un livello più esteso di coscienza, avverte una profonda insoddisfazione per il proprio stile di vita, che gli appare estremamente povero e limitato. Poiché ora sa che esiste un altro livello di coscienza, egli desidera purificare la propria mente e diminuire i contatti sociali, avvertiti come meschini e privi di senso. Una volta che la purificazione è avvenuta, la "mortificazione" cessa, poiché essa era solo strumentale alla nuova vita.
Nella terza fase, l'Illuminazione del Sé, il mistico sperimenta una gioiosa conoscenza dell'Assoluto, spesso accompagnata da estasi. Egli tuttavia si avverte ancora come un'entità separata, un io che conosce l'Assoluto, ma non è ancora unito con esso.
Il quarto stadio apparentemente può sembrare una regressione. In esso -che con la precisa espressione di San Giovanni della Croce possiamo chiamare l'Oscura Notte dell'Anima- il mistico non riesce più a sperimentare la gioia precedente e si sente gettato nella solitudine e nella depressione. Se nella seconda fase si era purificato dagli attaccamenti esterni, ora egli deve liberarsi dall'attaccamento all'io: deve quindi rinunciare alla volontà e all'individualità, che lo mantengono separato dalla Realtà Ultima. Nella fase successiva, la Vita Unitiva, vi sono infine l'obliterazione di sé e l'esperienza di unità con l'universo: uno stato di pura coscienza, accompagnato da pace e tranquillità.
Il "ritorno" nel mondo. Per motivi che vanno dalla sopravvivenza biologica allo slancio altruistico verso i sofferenti, il mistico non può vivere perennemente in questo stato, ma deve ritornare nel mondo. Molto spesso, questo avviene con una rinnovata energia, che porta a risultati sociali particolarmente efficaci, contraddicendo così lo stereotipo del mistico distaccato dalla realtà. In effetti, il mistico non ha rinunciato agli oggetti, ma all'attaccamento a essi: per una sottile legge psicologica, non essendovi più attaccato, li può manipolare con estrema agilità e leggerezza. Riprendendo la famosa formula, egli è nel mondo, ma non del mondo, cioè vi si muove senza essere appesantito da attaccamento, odio, paura e da tutte le altre afflizioni mentali derivanti dal non aver realizzato la vera natura dell'io e dei fenomeni.
Il mistico e lo schizofrenico. Si può così comprendere la differenza tra il mistico e lo schizofrenico: sebbene entrambi abbiano sperimentato una frattura tra il mondo esterno e interno, il venir meno dell'attaccamento agli oggetti, nonché sofferenza e terrore, l'esito del loro sviluppo è infatti radicalmente di segno opposto.
In primo luogo, la via mistica rappresenta una sorta di allenamento continuo, in cui chi l'ha intrapresa si rinforza e diviene sempre più in grado di affrontare le esperienze del mondo interiore. Nulla di tutto ciò avviene nella schizofrenia, in cui invece l'individuo è devastato dai propri fantasmi, che non è minimamente in grado di fronteggiare.
Ciò porta a un diverso atteggiamento nei confronti di quanto si sta vivendo: mentre il mistico, anche nei momenti più difficili della propria esperienza mantiene pur sempre una minima fiducia nell'esito positivo della sua vicenda e in qualche modo sa che al termine del tunnel incontrerà il divino, lo schizofrenico subisce passivamente e disperatamente la propria disgregazione, simile a un pugile sprovveduto e debole che senza alcun allenamento debba combattere contro potenti e temibili avversari.
Mentre il mistico sa gradualmente rinunciare, pur tra mille peripezie, al proprio guscio protettivo, aprendosi così a nuove emozioni ed esperienze nel momento in cui è in grado di affrontarle e di integrarle in una organizzazione mentale più ampia, allo schizofrenico manca o si è rotto prematuramente il guscio protettivo. Egli è pertanto incapace di affrontare l'irruzione di un mondo interiore terrificante e distruttivo, con conseguenze devastanti sul piano mentale e sociale. Di solito, tutto ciò è peggiorato anche dalla scarsa consistenza della sua vita familiare e professionale, a cui diviene pertanto impossibile aggrapparsi nel momento della crisi. Se famiglia e lavoro -due dei maggiori punti di ancoraggio che ci sono offerti- sono fragili e la mente non ben organizzata, diviene impossibile affrontare l'inflazione psichica, in cui immagini e pensieri non sono più controllabili. Non a caso uno, dei primi passi terapeutici quando si lavora con schizofrenici consiste nel radicare il paziente e nel riportarlo a terra, controbilanciando così il suo essere troppo sbilanciato verso il cielo.
Diversi sono anche gli "obiettivi" del mistico e dello schizofrenico. Se, infatti, per il primo si tratta di allargare sempre più il campo della coscienza, sia integrando parti interne sconosciute sia estendendosi verso l'universo, grazie a una graduale diminuizione dei meccanismi di difesa in senso lato, lo schizofrenico punta invece a un radicale allontanamento dal mondo esterno, i cui compiti è quasi completamente incapace di assolvere. Il mondo interno non diviene pertanto un campo da esplorare, ma un rifugio in cui cercare protezione da un mondo esterno per cui egli si sente inadatto.
La differenza è fondamentale: mentre infatti il mistico lavora sull'attaccamento agli oggetti mediante un eventuale ritiro dal mondo, lo schizofrenico fugge dagli oggetti stessi, che continuano a vivere in forma distorta nella sua mente, spesso dominandola. Inoltre, mentre l'addestramento mistico avviene pur sempre in un contesto culturale, di cui assimila immagini e miti in qualche modo riconosciuti, il processo schizofrenico è letteralmente "privato": gli manca infatti questo contesto, di cui solo alcuni spezzoni vengono utilizzati per il proprio delirio.
Non a caso l'uscita dalla schizofrenia spesso comporta la fine dell'esplorazione del proprio mondo interiore. A differenza del mistico -che sa far convivere la ricerca interiore e l'attività sociale- per l'ex schizofrenico è come se la seconda potesse intervenire solo a discapito della prima. Però questa è solo una valutazione generale -direi quasi statistica- perché fortunatamente i casi della vita sono sempre più vari e sorprendenti di quanto noi possiamo prevedere. Non ci è dunque lecito precludere a nessuno l'eventualità che la sua ricchezza interiore possa felicemente integrarsi con una capacità di svolgere i propri ruoli sociali, come ad esempio avviene per molti artisti.
In linea generale, comunque, il mistico e lo schizofrenico costituiscono i due antipodi di ciò che accade quando mondo interno ed esterno sono felicemente congiunti o drammaticamente separati. Nel mezzo, vi è una gamma quasi infinita di possibilità.