Benevento, la città dannata.
Il luogo
La città di Benevento sorge su un'area che costituisce una piccola Mesopotamia, terra fra due fiumi (il Sabato e il Calore), che già nell'epoca neolitica, circa settantamila anni fa, rappresentava una importante via di collegamento per l'Oriente, anche grazie alla navigabilità per un tratto del Calore. Nacque come Malventum. La popolazione era quella Sannita, di lingua Osca. La città divenne colonia romana nel 268, e sembra proprio che in quell'occasione il suo nome venne modificato in Beneventum.
Valle del sabato
La città è indissolubilmente legata alla figura della Strega, in virtù dei suoi antichissimi culti, in particolare quelli dedicati a Ecate, Diana e Iside, ma anche quelli dei Longobardi: ne fanno testimonianza epigrafi, templi, ricostruzioni etimologiche, e leggende, come quella del Noce sradicato dal vescovo Barbato e dell'Amphisibena. La cittadina irpina di Atripalda, sulla riva sinistra del fiume Sabato, individuava anticamente la città di Avellino:questa fu poi spostata di sue miglia a occidente e chiamata Abellinum, mentre la sua originaria ubicazione prese il nome di Tripalda.
Abellinum ditava 16 miglia da Benevento. Il luogo di culto era posto nei pressi della confluenza di due fiumi, il Rio Rigatore e il Sabato; il punto d'incontro dei due corsi d'acqua costituisce un'interessante similitudine con la città di Benevento. Tra queste due città sorge Altavilla Irpina, la città controlla la stretta valle interna in cui scorre l'ultimo tratto del fiume Sabato: sembra che il Noce di Benevento sorgesse proprio in vicinanza di questa città, in corrispondenza dello Stretto di Barba, in località Ponte dei Santi (in seguito "bonificata" dai culti cristiani, come suggerisce il nome).
Ripa delle Janare
Altavilla costituiva un passaggio obbligato tra Benevento ed Avellino: vi passava la strada di collegamento fra i due capoluoghi, puo assorbita dalla Statale 88, definita la Strada Stregata (foto). Al km 54 infatti, proprio nel territorio di Altavilla, si sono avute continue interruzioni, almeno in tre diversi periodi (il più lungo della durata di sette anni): qui i misteri dello Stretto di Barba affiorano dalla folta vegetazione bagnata dal fiume Sabato. Era questo il luogo dove si radunavano le Streghe per celebrare i loro riti magici. La città di Avella aveva anch'essa origine sannitica o sabellica, fino a una ventina di anni fa era considerata il centro delle attività magiche della zona, mentre in antichità si adorava Diana (ne fa fede il marmo DIANAE SACRUM MDLXIII, il quale fu sostituito all'altro DIANAE ET APOLLINI ET CERERI, sulla facciata del palazzo baronale). Qui la tradizione stregona ha lunghe radici che affondano nel passato e che sopravvivono ancora nel presente.
Streghe e Janare
Rispetto alla figura classica tramandataci dalla storia e dagli scritti degli esponenti della cultura clericale del Medioevo, la Janara è prettamente legata al culto magico della terra, conosce l'uso delle piante, può comandare gli eventi atmosferici e arrecare danno all'uomo. E' una donna dotata di conoscenze magiche e come tutti gli esseri magici, ha carattere ambivalente: positivo e negativo. Conosce i rimedi delle malattie attraverso la manipolazione delle erbe ma sa scatenare tempeste. Nella coscienza popolare non si associa la Janara al diavolo, ella non ha valenze religiose, ma soltanto magiche, come l'Uria, la Manalonga, le Fate. E' capace di nuocere agli umani, ma non ha legami con il diavolo, che le attribuiscono gli uomini di chiesa, i quali ne fecero un'eretica. La tradizione vuole che chi nasce la notte di natale sia predisposto a trasformarsi, se uomo in lupo mannaro, se donna in una janara.
Noce di Benevento
L'etimologia proposta per il termine popolare Janara metteva in connessione tale nome con il latino ianua=porta, in quanto essa è insediatrice delle porte, per introdursi nelle case. Presso gli usci si ponevano quindi scope o sacchetti con grani di sale, in modo che, se la Janara riusciva ad entrare,sarebbe stata costretta a contare i fili della scopa o i granelli di sale, senza poter venire a capo del conto. Ma possiamo anche notare che nel termine Janara la semiconsonante iniziale è l'evoluzione naturale del nesso latino "di",pertanto in termine non verrebbe da ianua, in cui la "i" evolverebbe in "g", ma da Dianaria o Dianiana, aggettivo derivato da Diana, equivalente a seguace di Diana.
La leggenda del Noce
Convinto di una derivazione da rituali longobardi è Pietro Piperno , protomedico beneventano e autore del celebre libro Della superstiziosa noce di Benevento, del 1639, rifacimento della versione latina dal titolo De nuce maga beneventana.
Pietro Piperno
Piperno nel suo testo fa risalire l’origine delle streghe beneventane al tempo dei Longobardi e precisamente all’epoca del duca Romualdo . Secondo quanto racconta il Piperno , che a sua volta desume le notizie da una legenda di San Barbato , i Longobardi adoravano una vipera d’oro e celebravano degli strani rituali intorno ad un albero.
Durante l’assedio dell’imperatore d’Oriente, Costante, nel 663, il duca Romualdo, che stava per soccombere, accettò l’invito del vescovo di Benevento, Barbato, ad allontanarsi dall’eresia per abbracciare la vera fede cristiana. In cambio di ciò Dio permise al duca longobardo di conservare il suo regno e di sconfiggere i bizantini.
Sempre secondo la leggenda di San Barbato, questi fece sradicare l’albero di noce intorno al quale i Longobardi tenevano le loro feste e proibì l’adorazione della vipera d’oro grazie alla collaborazione della duchessa Teodorada .
La preoccupazione di Piperno è quella di dimostrare l’infondatezza della diceria che Benevento è città delle streghe. Infatti, il noce dei raduni longobardi, infestato di demoni, fu sradicato dal santo vescovo. Purtroppo, però, sia relazioni di dotti inquisitori, sia le testimonianze rese dalle streghe, facevano pensare che il mitico noce esistesse ancora e qualcuno diceva addirittura che era rinato, nello stesso posto da cui era stato estirpato per virtù diabolica. Lo stesso Piperno localizza in una piantina, acclusa al testo italiano dell'opera, sia il simulacro della vipera longobarda, sia il noce.
Egli puntualizza che il noce, rinato sul medesimo luogo di quello sradicato da San Barbato, si trova a circa due miglia dalla città, non distante dalla riva meridionale del fiume Sabato , nella proprietà del nobile Francesco di Gennaro. Su questo luogo il patrizio beneventano Ottavio Bilotta fece porre un'iscrizione che ricordasse l'opera di San Barbato. Il Piperno però aggiunge di non essere certo se fosse proprio questo il famoso noce.
L’albero di noce
Vicino alla città di Benevento
Vi sono due fiumi molto rinomati
Uno Sabato , l’altro Calor del vento;
Si dicono locali indemoniati,
Un gran noce di grandezza immensa
Germogliava d’estate e pur d’inverno;
Sotto di questa si tenea gran mensa
Da Streghe, Stregoni e diavoli d’inferno.
Così suona l’inizio di un poemetto popolare ottocentesco edito a Napoli e intitolato “Storia della famosa noce di Benevento”, raccolto da Giuseppe Cocchiara , che al noce e alle streghe dedica un intero capitolo del suo Il paese di cuccagna.
La fama della città, luogo del convegno di streghe , è molto antica. Se ne trovano echi in un sonetto del Fiore, poemetto allegorico del 1200, il cui protagonista dice di chiamarsi Ser Durante. Molti pensano che questo nome adombri lo stesso Dante Alighieri .
La trama è semplice: Ser Durante, l’amante, cerca di cogliere un fiore, simbolo del perfetto amore, da uno splendido giardino, per farne omaggio alla sua amata, Madonna Bellaccoglienza. Egli si è cavallerescamente messo al suo servizio ed ella sembra accettare la sua corte. Pare giunto il momento di cogliere il fiore che è quasi sul punto di sbocciare, quando interviene lo Schifo (cioè il pudore) ad impedirglielo.
Sonetto 203: L’amante e lo Schifo.
Quand’i’ vidi l’offerta che facea,
del fatto mi credett’ esser certano1 :
allor sì volli al fior porre la mano,
che molto ringrassato2 mi parea.
Lo Schifo sopra me forte correa
dicendo: “Tra’ t’addietro3 , mal villano
che, se m’aiuti Iddio e San Germano,
i’ non son or quel ch’i’ esser solea.
El diavol sì ti ci ha ora menato
se mi trovasti a l’altra volta lento
or sie certan ch’i’ ti parrò cambiato.
Me’ ti verria4 che fossi a Benivento”.
Allora al capezzal5 m’ebbe pigliato,
e domandò chi era mi’ guarento6 .
Alcuni dicono che il nome della città è usato solo per ragioni di rima, ma in verità l’autore aveva molte possibilità di scelta. Invece, è evidente la connessione tra il diavolo e Benevento.
Lo Schifo infatti rimprovera l’amante per essere entrato nel giardino, dicendogli che è stato portato lì dal diavolo, sarebbe stato meglio che il diavolo l’avesse portato a Benevento, luogo più consono ai trasporti diabolici. C’è già, nel sonetto, l’idea del volo diabolico associato alla nostra città. È soprattutto in epoca moderna, però, che si comincia a parlare del noce .
Non si trattava di un noce qualsiasi, ma di un albero particolare; addirittura secondo le testimonianze di alcune streghe (o ritenute tali), sempreverde. Esso sorgeva in un luogo detto “ripa delle janare”, lungo il fiume Sabato , dove tali donne si bagnavano. [1]
1 Certo
2 Più grande
3 Fatti indietro
4 Sarebbe meglio
5 Al collo
6 Garante
[1] Dove fosse esattamente la ripa delle janare non è dato sapere. Sul lato ovest delle mura di Benevento, che era lambito dal fiume Sabato, si trovava una torre, detta Pagana, sulla quale fu edificata una cappella, alla sommità di due rampe di scale affrontate, dedicata a San Nicola di Mira, che avrebbe operato straordinari miracoli.. L’anonimo autore dell’Adventus Sancti Nycolai in Beneventum, testo propagandistico redatto nel 1090, descrive il luogo prossimo alla Torre Pagana dove “…aquarum abundantia sit “ e “arborum amenitas”. Cfr.Lepore, C. e Valli, R. L’Adventus di San Nicola in Benevento, in Studi Beneventani, n.7, 1998