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Amiche. Che parlano d’uomini e sognano insieme.
Gradi amiche. Che condividono tutto e non hanno segreti.
Grandissime amiche. Tutte per una, una volta e per sempre.
Intorno ai 18 anni avevo due grandissime amiche: Tamar e Rachel.
La prima condivideva con me statura e carattere. Determinata e pragmatica, superava il metro e settantacinque di altezza. Era di carnagione scura, occhi neri come olive e un caschetto di lisci capelli castani. Nell’insieme devo ammettere che era piuttosto graziosa. Gran bel fisico soprattutto, frutto di innumerevoli pomeriggi spesi in piscina.
Rachel, invece, era più bassina, bionda (ma ossigenata), con due innocenti occhioni più o meno verdi. Era espansiva, affettuosa, istintiva e decisamente la più civettuola. La più vanesia del trio. Era anche un incredibile richiamo per ogni maschio fertile a portata di feromoni. A ciò abbinava un’abilità nel rigirare le vittime che Tamar ed io, dal basso di una cosciente inferiorità tecnica, potevamo solo invidiare.
Una Ferrari e due Minardi, era questa la tragica realtà.
Ci chiamavano “Le Charlie’s Angels” ed eravamo inseparabili. Da quando avevamo guadagnato una certa autonomia trascorrevamo insieme anche le vacanze: andammo a Cipro, per esempio (ma coi genitori). Venimmo persino in Italia a trovare i miei nonni (molto più facili da eludere), ma la vacanza più indimenticabile fu senza dubbio quell’estate in campeggio ad Eilat.
Eh già, gita avventurosa. Eravamo esagitate:
- WOW, un campeggio, che cosa fica!
- Ad Eilat, poi, che posto fico!
- Noi tre sole! Iiiiii, mio Dio, più fico di così si muore!
Tre deficienti, per farla breve. Ne ho coscienza, non occorre che lo sottolineiate.
Il viaggio non fu nulla di speciale, ma già montare la tenda canadese fu una mezza avventura. Non per colpa nostra, sia ben chiaro: l’avevamo fatto centinaia di volte e padroneggiavamo la disciplina con spavalda sicurezza. Ci avremmo messo una decina di minuti al massimo, davvero, se nei paraggi non si fosse scatenata un’inspiegabile frenesia collettiva, una specie di corsa all’oro che spingeva il vicinato (in buona parte ragazzi della nostra età o poco più vecchi) ad offrirci un eccesso d’aiuto non richiesto, quasi avessimo dipinto sul telo tenda “HELP! Tre femmine in difficoltà”.
In un modo o nell’altro (e nonostante i soccorsi) alla fine riuscimmo a completare l’impresa e potemmo ammirare in tutto il suo splendore la più ardimentosa opera architettonica ebraica dopo la fortezza di Masada. A gioire con noi c’era un certo Yona, distintosi tra le schiere dei catastrofici soccorritori: un bel ragazzo, ben fatto, capelli color sabbia, lentiggini, molto intraprendente. Ci feci un mezzo pensierino, ma solo mezzo, giuro! Perché a dire il vero ho sempre avuto un debole per quelli un po’ più scuretti all’Alessandro Gassman, alla Banderas, così senza troppe pretese.
Evidentemente devo essere affetta da qualche anomalia genetica perché le altre due se lo sbranavano con gli occhi.
La sera stessa infatti la nostra tenda era tutta un cicaleccio, uno scambiarsi d’opinioni, un dar consigli, uno smodato lodare la purezza estetica di quel giovane adone, la sua evidente galanteria, il suo invidiabile sex appeal.
<< Ma avete visto quanto è cariiiiino! >> disse Rachel per la centesima volta, minacciando di farsi proiettare in orbita come uno sputnik da quel torrente di “i”.
<< Un amore >> le fece eco Tamar, stritolando un innocente cuscinetto in uno slancio d’affetto.
<< Beh >> mi inserii << non è fatto male, ma ha le gambe un po’ storte, meglio il suo amic… >>
<< Nadja, amore, non capisci un cazzo di uomini >> mi stroncò Tamar << scusami, lo sai che ti voglio bene, ma proprio per questo non posso tacere. Stai sempre insieme a quello Zeev, per intenderci >>
<< Ma che c’entra, quello è un amico! Non ci farei mai nulla.>>
<< Bel cesso di amico, però! Uno normale, no?... Dai che scherzo >> (sorrisino)
<< Oh, beh, fate quel che volete >> (sorrisino anche io, ma le avrei volentieri spaccato i denti con una chiave inglese) << Yona è vostro, per quanto mi riguarda >>
<< OK, fuori Kelly (Kelly, la mora del trio, mi chiamavano così che colpa ne ho?). È tra me e te Rachel >>
<< Mmmm, mannò, dai, io ho già il ragazzo a casa. Questo è tuo, è giusto così… Pero’, facciamo un patto: la sera ci devi raccontare tutto, ok? Ma tutto tutto tutto, anche le cose più hum… accetti? >>
Sigillammo il patto con una risata e ci immergemmo immediatamente nella meticolosa pianificazione dell’approccio. Nessun dettaglio venne trascurato: dalla mise all’acconciatura, dal trucco leggero al luogo dell’agguato. Fu un brain storming di quelli seri, mica quelle idiozie da compagnie di consulenza col nome scandinavo, e il risultato fu l’arrogante spartizione delle spoglie di un nemico già sconfitto a tavolino.
LA PRIMA SERA (Il preludio)
La sera successiva Rachel ed io non stavamo nella pelle tanto eravamo impazienti di ascoltare i racconti da safari di Tamar.
Ci rotolavamo nei sacchi a pelo facendo ogni sorta di supposizioni, immaginando giochi d’amore che sconfinavano nel virtuosismo acrobatico e di conseguenza eccitandoci a vicenda, complice la luce di una torcia elettrica civettuolamente offuscata da un fazzoletto blu.
Quando finalmente Tamar arrivò, quasi l’assalimmo.
<< Allora, Tamar >> cominciai io << com’è andata?>>
<< Benone >> rispose, godendosi il suo momento di gloria e gestendo la suspance in modo talmente magistrale che non l’azzannai solo perché sono una che si sa controllare.
<< Parla, bastarda!>>
<< L’avete fatto? >> incalzò Rachel, sempre molto pratica.
<< No, non la prima volta. Non mi va. Non voglio che pensi male di me, che pensi che sia una facile >>.
<< Ma che ti frega, Tamar? Tu sei una facile. Poi tra meno di cinque giorni saremo di ritorno a Tel e non lo rivedrai più, via! >>
<< Cinque giorni, Rachel? Allora ho tutto il tempo, stai tranquilla. Diciamo che oggi ho sondato il terreno. Per esempio… >> e Tamar si lanciò in una minuziosa descrizione della sua più recente conquista, di come baciava, di quali fossero le sue dotazioni di serie, di come sapesse eccitare – a sentir lei – anche la mummia di Nefertiti grazie ad una misteriosa forma di pranoterapia sessuale, e di come fosse accessoriato con un’infinità di altre doti magiche e miracolose, ma forse più comuni.
Rachel ed io restammo incantate ad ascoltarla, talvolta intervenendo, talvolta impersonandoci in lei, dispensando consigli, emettendo gridolini eccitati, sospirando lussuriosamente nel sacco a pelo o sobbalzando sul posto come manguste epilettiche.
Tre deficienti, si, l’ho già detto, non affannatevi.
LA SECONDA SERA (Il fatto)
La seconda sera la scena non era architettonicamente diversa: luci bluastre soffuse, tre salamini eccitati nei sacchi a pelo, eccetera. Cambiava solo che una di noi si sentiva Miss Universo nel giorno della sua consacrazione, mentre le altre due, pur nel ruolo non proprio esaltante delle ributtanti sorellastre, partecipavano alla felicità della reginetta e gioivano con lei.
<< Allora? >> questa volta fu Rachel a chiederlo.
<< Fan-ta-sti-co, vi dico solo questo. SU-BLI-ME >>
<< Tamar, guarda che vado a chiederlo a lui, eh? >> (Questa ero io, la timida).
Rachel stava già facendole il solletico: << Parla! Parla! Parla! >>
Cedette (ma tu guarda, eh?) << Ok, ok, ninfomani assatanate, dico tutto: l’abbiamo fatto due volte! >>
<< La prima è stata in mare >> continuò Tamar << siamo andati a fare il bagno tardi e una volta in acqua… è successo >>
<< Tutto, hai promesso! >> Incalzò Rachel.
<< Uff, una volta in mare niente, ci siamo coccolati, baciati, palpati, ma tutto ciò gli ha provocato una certa reazione e si è trovato impossibilitato ad uscire dall’acqua. Ha anche fatto degli intrepidi tentativi, per carità, ma arrivato sul bagnasciuga era costretto a spiaggiarsi come un cetaceo, non so se ho reso… Così siamo tornati un po’ più al largo la dove l’acqua ci arrivava al petto e poi, da cosa nasce cosa…>>
<< Tut-to! >> niente da fare, Rachel era un mastino quando ci si metteva.
<< Ok >> sospirò Tamar << gliel’ho tirato fuori ed ho cominciato ad accarezzarglielo mentre lui mi toccava i fianchi, così (Tamar incrociò le braccia e mimò l’atto d’insinuare due mani sotto gli slip, ancheggiando un po’) e pian piano mi ha fatto scivolare il costume sempre più giù. Quando è arrivato alle ginocchia non ho più resistito: mi sono stretta attorno a lui e senza quasi staccare le mia labbra dalle sue gli ho dato la schiena e mi sono seduta.
Oh, ragazze, in acqua è tutta un’altra cosa: è più fresco, c’è tutto un effetto pneumatico che, ooohhhh.
Favoloso! Davvero.
L’unico svantaggio in quella posizione è che non lo vedi in viso, che non lo puoi abbracciare né baciare senza contorcerti come una scala a chiocciola. Perciò mi son sfilata il costume, l’ho calzato su un braccio per non lasciarlo al mare e mi son girata mettendomi di fronte a lui.
Allora ho staccato i piedi dal fondale, gli ho appoggiato le mani sulle spalle e ho divaricato le gambe a V, spregiudicatamente. Lui mi ha presa sotto le ginocchia aprendomi ancor di più e io mi sono abbandonata sul dorso, coccolandomi col suo sguardo lascivo: è bello suscitare certe emozioni in un uomo.
Dopo un po’ ha iniziato a tirarmi a se e – piano, molto piano - ha cominciato a penetrarmi.
Ragazze, attraverso l’acqua potevo quasi vederlo entrare. Un centimetro alla volta! Indescrivibile.
Solo quando ha cominciato a muoversi gli ho stretto le gambe lungo i fianchi e le braccia attorno al collo, come nei film avete presente? Come quelle scene nella doccia, ecco, ma senza le pareti. Con tutta la magia liquida del mare, con le sue mani che mi avvinghiavano le natiche, con le sue spalle da mordere e baciare… Godere in quel modo, vi assicuro è… è come fluttuare in sincronia con le onde, senza più punti di riferimento, senza distinguere l’alto dal basso >>
Vi risparmio i commenti, i gridolini, l’inutile spreco di vocali, la dettagliata descrizione dei virtuosismi contorsionistici nei quali tutte e tre, senza distinzioni, ci producemmo.
Accenno solo al fatto che Tamar fu costretta a ripetere storia diverse volte suscitando sistematicamente le stesse, precise, identiche reazioni. Non vado oltre per una questione di dignità personale, è abbastanza penoso per me rievocare la scena, non chiedetemi di scendere nei particolari.
<< E la seconda volta? >> chiese l’implacabile Rachel.
<< La seconda volta l’abbiamo fatto quando siamo riusciti finalmente a guadagnare il bagnasciuga >> proseguì Tamar, ormai senza più pudori << era talmente tardi che non c’era più nessuno, allora ci siamo stesi sulla spiaggia uno accanto all’altra e ci siamo rotolati sulla sabbia.
Ragazze era la notte ideale: la luce soffice delle stelle che accarezza la veste blu del cielo, la luna che stendeva un sentiero d’argento sulle superficie del mare, la risacca che cantava dolcemente solo per noi, isolandoci dal mondo. Per-fet-to! >>
<< Ma che vuoi che ci interessi della luna, Tamar! >> sbotto’ Rachel incontrando la mia incondizionata approvazione << Sostanza, Sabrina [Sabrina, la C.A. col caschetto: Tamar]. Dicci com’era lui. Com’è stato quando l’avete fatto. Descrivici come ce l’aveva, il suo sapore, le frasi idiote che ti ha detto mentre veniva. Cose concrete, altro che la luna e le stelle: quelle ci sono ogni notte! >>
<< Va bene, porcelle, ho capito >> sorrise Tamar sorniona << dunque, eravamo distesi su un fianco e lui mi ha detto << Tamar, guardami negli occhi. Sempre e solo negli occhi, ok? >>, poi ha messo la sua bocca ad un centimetro dalla mia. Uno!
Ha proteso l’indice a separare le nostre labbra, come una barriera ed allo stesso tempo come a dire << Facciamo silenzio tutti e due, sshhttt >>. Poi ha fatto scivolare il dito verso il basso.
Piano. Molto piano.
Collo, petto, seno, pancia, ombelico e… ha continuato a fissarmi negli occhi tutto il tempo, anche quando ha cominciato a giocare col mio clitoride.
Alla luce della luna sembrava che sorridesse come la Monnalisa e io mi mordevo le labbra per non guaire come un dingo il calore.
Poi, ragazze, all’improvviso mi ha penetrata con due dita. Cioè, a tradimento! È stato… sono rimasta senza fiato, e lui era li, vicinissimo ma irraggiungibile. Sentivo il suo respiro, mi sembrava di sentire il suo cuore e lui senza dubbio sentiva il mio, anche perché ansimavo come un maratoneta.
Non ho resistito e gliel’ho chiesto. L’ho quasi supplicato PRENDIMI e forse era proprio quello che aspettava, perché mi ha finalmente baciata mi ha coricata supina e abbiamo fatto l’amore >>.
Scegliete una vocale aperta e strangolatela all’infinito.
Ecco, questa fu la reazione mia e di Rachel.
Poi chiedemmo il bis, pretendendo una attenzione manieristica per i dettagli.
Ok, ok,… vi prego.
Grazie, ci siamo capiti.
IL GIORNO DOPO
Il giorno dopo ci svegliammo tardi e Rachel come al solito era la più poltrona. Dal momento che dovevamo fare le spese e che l’unico supermarket della zona distava alcuni chilometri, Tamar ed io noleggiammo due biciclette e partimmo senza di lei.
Con la fortuna sfacciata che mi contraddistingue scelsi il bolide più sfigato dell’arsenale: dopo nemmeno un paio di chilometri riuscii a spaccare il freno davanti e contemporaneamente a forare, il tutto in discesa. Cose che nemmeno David Copperfield.
Mi fermai puntando i piedi e non mi dimenticai di ringraziare il Signore per avermi fatto donna. In caso contrario quel giorno il più vivace dei miei organi pensanti sarebbe rimasto incastonato sul cambio.
Naturalmente tornammo indietro, che altro potevamo fare?
Riconsegnammo la bici e ci dissero che in un’oretta sarebbe tornata esattamente come prima, c’est à dire un ignobile ferrovecchio, ma pur sempre un velocipede.
Nel frattempo Tamar ed io pensammo bene di fare un salto a prendere Rachel, se non era già andata al mare.
Non lo aveva fatto e la trovammo facilmente nella tenda: a pecorella, con Yona dietro che la sbatteva furiosamente tenendola per i capelli.
NOTA (giusto per sdrammatizzare questo momento saturo di pathos): Rachel in ebraico vuol dire pecorella. Un gioco di parole che Tamar probabilmente non ha avuto modo di apprezzare data la peculiarità delle circostanze.
Un refolo di vento siberiano percorse Eilat.
Glaciazione.
Io: piegata a metà sulla soglia della tenda, con le sopracciglia tirate come un lenzuolo.
Tamar: mandibola abbandonata, occhio sbarrato, semipiegata anche lei.
Rachel: nuda e a pecora, collo iperteso per la trazione esercitata sulla chioma, schiena inarcata per facilitare la cavalcata all’imbizzarrito Yona.
Yona: sguardo incredulo, sudatissimo, i capelli appiccicati al viso, addominali contratti e tutto il fisico proiettato in una stantuffata copulativa il cui periodo oscillatorio andava progressivamente smorzandosi, man mano che la percezione della realtà si faceva tragicamente strada attraverso i suoi gangli iperstimolati.
Click.
Sarebbe stata veramente una bella foto.
Un istante dopo, l’uragano.
Tamar: << Tu, tu… lurida troia! E tu, tu… ma vaffanculo, ben zona! [figlio di puttana/bastardo] >>
Rachel: --- muta --- (Non è mai stata scema).
Yona: << Aspetta, ti spiego >> (a differenza di lui, evidentemente)
Io: << Alle tre sei libero? >> (Scherzo, mi limitai a sbuffare come una teiera cercando di non ridere. Ci riuscii solo grazie all’applicazione delle più rigorose tecniche mentali bushido).
Tamar fuggì in lacrime, più per la rabbia e per l’umiliazione che per altro.
Lei è sempre stata più simile a me: sensibile. Il che vuol dire che quel giorno abbandonò precipitosamente la scena del crimine anche per non trucidarli entrambi in un’orgia splatter che avrebbe stomacato Quentin Tarantino.
La seguii, com’era giusto.
A consolare Rachel c’era Yona.
Come potete facilmente intuire la nostra vacanza si concluse anticipatamente e la sera stessa eravamo tutte sull’autobus diretto a Tel Aviv.
Tutte, anche Rachel, che aveva abbandonato Yona al suo destino. Ossia tra le cosce di un’altra o tra le fauci di una balena, come Tamar non smetteva di augurargli.
<< Per cortesia, Nad, parlale tu.
Non vuole nemmeno che le vada vicino e ha ragione.
Si, lo so, sono stata una stupida, ma lui era li, mi piaceva e l’ho fatto… Pensavo che non se ne sarebbe accorto nessuno, che fosse una cosa poco importante. Ho sbagliato, mi dispiace. Ti prego, aiutami: ci tengo a voi due >>.
Accettai, naturalmente, e mi impegnai anima e corpo in una sofisticata impresa diplomatica nella quale dovevo essere contemporaneamente. Confidente e punchball, mediatrice e messaggera, oltre ad un’infinità di altre cose.
Mi presi tifoni di parole da una parte, fiumi lacrime di coccodrillo dall’altra e a pensarci con lucidità io ero l’unica che non era stata a letto con Yona. Che pezzo di cretina, eh? Da piccola dovevo essere posseduta, non c’è altra spiegazione.
Dopo quasi un mese Rachel e Tamar si riconciliarono.
Fu per generosità della seconda. Fu per sincero pentimento della prima.
Fu soprattutto grazie al mio ineguagliabile equilibrismo politico, siamo oneste! Ne ero talmente fiera che quasi mi offesi per il fatto che Henry Kissinger, imperdonabilmente distratto dalle solite cazzate, non fosse venuto a complimentarsi di persona con me.
Eravamo di nuovo le Charlie’s Angels. Grandi amiche come lo siamo ancor oggi, anche se dopo quella vacanza ad Eilat il legame che ci unisce si è fatto più maturo, meno ingenuo, perché in fondo nessun sentimento umano è immutabile nel tempo. Forse è vero che per sempre c’è solo un De Beers: splendido, luccicante, prezioso, ma pur sempre una pietra.
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