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Questo racconto è una pagina di diario.
Eppure non è solo quello.
Potrei tradurre e riportare: sarebbe già racconto.
Forse soddisferebbe voi ma non certo me.
Perché in fondo che cos'è un racconto?
È un insieme di immagini e colori, di parole e pause.
È un canale attraverso il quale si passano emozioni, ricordi e idee.
È un vestito da sera fatto di parole: c'è chi lo ammira in quanto tale e chi si spinge oltre l'estetica e le apparenze.
Ma se io scrivo questo racconto non lo faccio per estetica. Non ora.
Non oggi. Non in questo caso. Lo faccio per un'amica. Lo faccio per Irina Rabinova, per ciò che ha rappresentato per me. E se esso, se le pagine di diario non hanno un'anima, altrettanto non si può dire di Irina.
Perciò prima parlerò di lei. Poche righe, prima del racconto vero e proprio.
Al diavolo il racconto.
Al diavolo le parole.
Ora vi presento una persona, un essere reale.
Irina Rabinova è nata in Ossezia nel 1972. La sua famiglia ha fatto aliya, la salita, in Israele quando lei aveva 12 anni. All'inizio parlava solo russo e non riuscì mai a disfarsi di quell'accento un po’ esotico che le faceva allungare le “a” e le “o” ... o forse non volle, dato che costituiva un tratto caratteristico e non mancava mai di sortire un certo effetto.
Conobbi Irina su un autobus militare, dopo il mio kours ktzinim. Facemmo amicizia prima ancora di sapere che eravamo state destinate allo stesso tank, io come capocarro e lei come pilota. Forse ad un italiano sembrerà strano ma in TSHAL, esercito notoriamente poco formale, le differenze gerarchiche non ostacolano affatto la fraternizzazione.
Fisicamente Irina ed io non potevamo essere più diverse. L'unica cosa che avevamo in comune era l'altezza, per il resto eravamo come la panna e il cioccolato: io coi i capelli neri e mossi, occhi neri e carnagione scura. Lei biondo miele, con capelli lunghi e lisci, occhi blu (non azzurri: proprio blu, come il mare di Cipro) e la pelle chiara, spruzzata di efelidi che punteggiavano un viso sempre sorridente.
Caratterialmente, però, avevamo quella che si potrebbe definire eufemisticamente una certa affinità: vanitose, esuberanti, goliardiche, moderatamente refrattarie ad una visione rigorosa della disciplina militare (particolare che diede adito a diverse incomprensioni con le autorità). Abbiamo legato subito e nel corso dell'anno e mezzo che siamo state insieme nella hativat ci siamo scambiate esperienze, scherzi (anche crudeli) battute, confessioni e perfino ragazzi. I quali – a dire il vero – non sembravano troppo dispiaciuti per essere messi nelle condizioni di operare un confronto. In sintesi, stringemmo una di quelle amicizie vere, che spesso sono in grado di vincere tempo e ostacoli e, naturalmente, finimmo per condividere dettagli piuttosto intimi della nostra vita.
Ora che vi ho detto di lei, ora che la sto pensando, che ve l'ho presentata, sento di poter arrivare al racconto. Un episodio che da spessore ad un nome, svelando il carattere, la personalità, la vitalità di Irina. Per me scriverlo è ricordare, con un sorriso, la nostra lunga amicizia.
Qualcuno potrebbe giudicare l'episodio un po’ sopra le righe (non lo è poi molto, a dire il vero), ma Irina non se n'è mai vergognata, così come non me ne vergognerei io se ne fossi stata protagonista.
Dunque, mi ricordo che era una notte d'estate quella in cui Irina mi svegliò, troppo divertita per non far baccano.
<< Nadja... Nadja! Questa te la devo raccontare! >> Esordì lei, scuotendomi il letto.
Non ricordo esattamente a cosa pensai: un terremoto, gli scud, un blitz di ritorsione in Samaria, qualche casino col mio ragazzo... In sintesi mi si prospettò tutta la vasta gamma delle possibili emergenze su scala nazionale. Fortunatamente la mia apprensione era eccessiva.
<< Nadja, mi sono fatta un vergine >> sparò Irina tutto-d'un-fiato.
<< Hai stuprato un ragazzino? >> le chiesi acida, perché me ne stavo così bene nel virile abbraccio di Morfeo.
<< Macché ragazzini, avrà avuto un anno meno di me... 18 al massimo, và >>.
<< Allora è un cesso >> sentenziai senza appello e rigirandomi dall'altra parte.
<< Nemmeno: bruno, riccio, spalle larghe... bellino... Ma sabra [cactus spinoso, nomignolo dato agli ebrei nati in Israele] e pertanto tutto taciturno e seriosetto come sono loro, hai presente? >>
<< Come no >> e pensavo alla piaga sociale dell'erotismo sabra << e dava persino segni di vita? >>
<< Beh, si, relativamente... non è stata una cosa classica >> rispose lei misteriosa.
A quel punto ero completamente sveglia oltre che incuriosita a morte: << racconta >>.
Irina saltò sul mio letto e si accosciò all'estremità senza nemmeno togliersi gli stivaletti neri d'ordinanza. Un'area periferica del mio cervello urlò tutto il suo indicibile orrore, ma venne prontamente zittita dall'imperante esigenza di gossip.
<< Allora >> cominciò lei << io e Yael siamo andate a cena a casa di quegli studenti di medicina, hai presente? >>
Annuii, mentre mi passavano davanti agli occhi i volti di due ragazzi abbastanza ordinari, ma simpatici.
<< Ecco, ci siam trovati in 5: c'era anche il fratello minore di Yoram, quello alto. Molto carino, anzi, quasi bello, ma timidissimo >>
<< Si, vabbè, Irina, stringi, vieni al succo: avete fatto un'orgia?>>
<< Maddai, che idiozia: te la vedi quella gatta morta di Yael circondata da una panoplia di cazzi? Le verrebbe un esaurimento nervoso e per espiazione si rinchiuderebbe una settimana nella sua squallida torretta.>>
<< Irina, sto cominciando a spazientirmi >> cercai di grugnire seriosamente, con in mente la vivida immagine della pia Yael che nuotava in un mare di membri maschili. Dovetti violentarmi per non deflagrare in una risata.
<< Ok, ok, calma >> rispose Irina << abbiamo cenato, bevuto e ascoltato musica. Il ragazzo mi guardava di sottecchi, ma appena mi voltavo verso di lui arrossiva e distoglieva lo sguardo. Gli altri, soprattutto il fratello, hanno cominciato a sfotterlo. Sai come fanno i maschi, no? Che per farsi belli agli occhi di quelle che definiscono pomposamente prede, vessano il primo malcapitato che gli arriva a tiro. Ecco >>
<< Fammi indovinare, Irina >> dissi << il tuo cuore spavaldo si è spontaneamente erto a bastione conto l'Ingiustizia, il Sopruso e la Prepotenza, e laddove il Male regna sovrano, sei apparsa tu, messaggera del Signore armata di una spada di fuoco...>>
<< Beh, dai, è che ad un certo punto mi ha fatto tenerezza. Così, quando ci siamo alzati per portate via i piatti, l'ho fatto deviare un attimo nella stanza accanto e gli ho detto: “ascolta, facciamo un bello scherzo a quei due li, che ne dici?”
E lui: “Ma no dai, cosa vuoi far...”
Gli ho messo le mani sulle spalle e STUNF l'ho incastonato sul muro.
Poi l'ho baciato sulle labbra premurandomi di non trascurare un sonoro schiocco.
Le voci, dall'altra parte si son zittite di colpo, come da programma.
“Avanti, scemo” miagolo “fai la tua parte”
“Che... che cosa devo fare?” ha balbettato poggiandomi le mani sulle spalle... no dico, Nadja, *sulle spalle*, ti sembro una cozza forse?
Numi, ho pensato, questo è perdutamente gay.
Poi, però, col bacino ho avvertito una certa rigidità lassotto, nelle misteriose profondità degli abissi... Lo guardo e mi accorgo che è rosso come un gambero investito dalla luce di un tramonto nel neghev.
“Respira su” gli faccio.
E lui, sempre in apnea “Io... si insomma ... vuoi che... qui?”
Ti giuro, Nadja, mi veniva da ridere. Gli ho messo una mano tra la pancia e la cintura. Sempre puntellandolo sul muro, piano, 'ho fissato negli occhi... sai come si fa per tener buoni i cani, no? Ecco, uguale... Con lentezza mi sono avvicinata alla sua bocca e ho deviato di scatto verso l'orecchio chiedendogli languidamente “Prima volta?”
Ma cavolo, Nad, la mia voleva essere una battuta! Quasi faccio un'extrasistole quando quello mi ha risposto “NO, no... cioè... si... si vede tanto? Non lo dire agli altri, ti prego...” >>
<< Surreale >> l'unica cosa che riuscii a dire, sbalordita. A quel punto mi sedetti a gambe incrociate di fronte ad Irina, troppo presa dal racconto << e tu che hai fatto? >>
<< Beh, dopo aver ribadito il consiglio di non mettere ulteriormente alla prova la sua superlativa capacità polmonare, gli ho spiegato qual era la mia idea iniziale: volevo dare una lezione a quei due laffuori... o meglio, far loro uno scherzo, ridere un po’ alle loro spalle “Senti” gli faccio “ora noi simuliamo di avere un rapporto, ok? Qualcosa che si senta di la, ma sia abbastanza sopito da essere credibile, ci stai?” >>
Quello annuisce e ci sediamo sul divano. Io mi rilasso appoggiandomi allo schienale, chiudo gli occhi, penso all'uomo più sexy del mondo e comincio a mugolare piano “mmm, oh, malicik” - e Irina cominciò a strusciarsi alla spalliera della lurida brandina e a palparsi il seno di fronte a me, con aria sognante, come se quelle mani delicate dalle lunghe dita affusolate non fossero le sue, ma appartenessero al succitato, mitologico, uomo più sexy del mondo.
<< E hai fatto le stesse scene di fronte a lui? >>, le chiesi
<< Naturalmente: non riesco mica a fingere senza un minimo di partecipazione! Mi hai presa per la frigida odalisca di un lurido cammelliere arricchito del Qatar? >> (Irina non nutriva una particolare affezione per gli arabi e talvolta lasciava trasparire questo sentimento).
<< E non hai pensato alla fragile psiche del verginello? >> intervenni io, perché un buon ufficiale deve saper essere anche un po’ mamma.
<< Francamente no, mi ero quasi scordata di lui fino a quando non ho sentito un rumore strano, come di muflone affannato. Ho aperto le palpebre e lui era li, dall'altro lato del divano: mi guardava, con due occhi grandi quanto la luna e un ritmico ansimare incontrollato, come se stessimo facendo l'amore per davvero... ma non osava toccarmi >>
<< Piccino >> dissi
<< beh, Nadja, in quel momento me lo sarei fatto veramente: lo avrei violentato sul divano >>
<< E che cos'è che ti ha trattenuto >> le chiesi maliziosamente << il timore degli strali divini? >>
<< Macché è che l'altro ieri ho avuto le mie cose e... si insomma...>>
<< Teref? >>
<< Macchemmenefrega del taref, no, figurati! È che avremmo fatto un macello. Ma a quel punto mi ero eccitata davvero e non potevo accettare che la cosa finisse tutta in una simulazione >> .
<< E allora? >>
<< Allora mi sono avvicinata e ho cominciato a sussurrargli paroline metà in russo e metà in ebraico, facendo la “r” roca, come una ballerina del Bolshoi, sai come funziona, no? >>
<< Certo, quando fai così non capisco mai se sei una Circe incantatrice o una mignotta da saloon... ma visti i risultati, ti invidio come poche >> confessai << Ma a questo punto continua, finisci il tuo racconto. >>
<< Beh, non c'è molto da aggiungere, Nadja: il resto è stato solo sesso. Sesso orale, carezze, mani calde e umidi baci. La prima volta che gliel'ho preso in bocca è durato meno di un minuto e mi ha letteralmente lavato la faccia con un geyser salato. Mi sono pulita alla meglio strusciandomi con interessato languore sulla sua maglietta. Poi l'ho baciato e gli ho sussurrato “ora te lo rifaccio, vuoi?”
Quell'anima candida mi ha risposto di si. Non gli ho spiegato che era una domanda retorica: è tempo perso con un sabra. Gli ho detto invece “È allora baciami, mordimi il collo, leccami le labbra, le orecchie, il viso... in fondo è roba tua” ... che vuoi, Nad, mi piace tiranneggiarli, quando sono in quelle condizioni. E loro, yaldei, non si rendono conto di nulla ed eseguono. >>
<< La seconda volta si è dimostrato più prestante. Ha persino racimolato chissà dove il coraggio per toccarmi i capelli, anche se non mi ha tenuto la testa e stuprato la gola come mi sarebbe piaciuto. L'ho lasciato venire in bocca. Poi ci siamo ricomposti e siamo tornati tra i convitati che erano rimasti mummificati nella stanza accanto.
Solo allora mi sono resa conto che il mio verginello indossava una maglietta blu, irrimediabilmente ridotta ad un campo di battaglia e con tutte le tracce del nostro gioco ben in evidenza. L'esibiva con orgoglioso trionfo, come se sfoggiasse al cospetto della knesset l'arca dell'alleanza ritrovata... certe volte i maschi sono proprio dei bambini >>
Questa era Irina Rabinova, la mia amica, la mia spalla, la mia compagna di caccia, l'eccellente pilota di Parpar.
Circa un anno dopo quest'episodio, nel '92, dopo la Prima guerra del Golfo, dopo il terrore degli scud e dei gas, la mia famiglia ed io ritornammo in Italia.
Qui trovai nuovi amici e, come spesso accade, i contatti con chi era rimasto in Eretz si fecero via via più distanti.
Irina sposò un ragazzo di Haifa che conoscevo di vista. Non bello, ma a modo suo attraente: molto esuberante, irresistibilmente spiritoso, di carattere.
Non sabra e quindi umano.
Fu assunta come impiegata in una ditta di import/export che trattava coi paesi dell'ex URSS ed ebbe un bambino: Motti (diminutivo di un orribile nome ashkenazita che mi rifiuto nel modo più categorico di riportare).
Nel dicembre del '97, poco prima che mi laureassi, venne a trovarmi in Italia. Non ci vedevamo da più di cinque anni, ma fu come se ci fossimo lasciate il giorno prima: passammo quasi una settimana insieme a parlare, a fare shopping, a ricordare, a ridere, a far progetti e a scambiarci promesse.
Io le promisi che dopo la laurea sarei andata a trovarla in Israele insieme al mio ragazzo.
Irina Rabinova morì lunedì 4 maggio 1998, insieme ad altre 3 persone, mentre pranzavano in un bar sul lungomare di Tel Aviv. Aveva 26 anni.
Io non ho ancora mantenuto la promessa.
Alla mia amica, al mio pilota:
Irina - Irene - Eirené - Pace - Salam - Shalom
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Legenda
P.S.: legenda dei termini ebraici
aliya = salita, emigrazione in Israele
sabra = cactus del deserto, ebreo nato in Israele
kours ktzinim = corso ufficiali
hativat = brigata
taref = impuro, non kasher
neghev = deserto brullo e sassoso
knesset = parlamento
malicik (russo) = ragazzo
ashkenazita = ebreo centroerupero/ esteuropeo
yaldei = bambini
parpar = farfalla (nome del nostro Tank)
Eretz (Israel) = Israele.
TSHAL = Tzavà Haganah L'Israel, esercito israeliano.
Motti… evabbè, si, ve lo dico. Diminutivo di Mordekhai.
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