Loop




Nebbia.
Coccola e morbida nebbia, pervade i vuoti con amplesso protettivo.
Mamma nebbia, per me, che tra le sue cosce ci sono nato. Letteralmente. In una giornata d’ottobre che non ha mai visto il sole.

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Sono sempre stato a mio agio nella nebbia e anche oggi zampetto verso il metro’ godendo beota per il ticchettio delle mie scarpe italiane.
Alle otto di mattina, questo cesso di citta’ riesce perfino a piacermi.
E’ familiare, sempre uguale, rilassante. Forse per via della dinamica con la quale si compongono gli oggetti, partendo da ombre identiche e lattiginose. Quella gradualita’ sfocata, la dissolvenza di una presentazione powerpoint.

Ecco un lampione, per esempio, un’edicola, un ammasso di immondizie buttato la, di sbieco.
Che schifo.
Anonimo nella bruma, affianco il cumulo e gli incalmo una gaia pedata alla Rummenigge. [Vai campione, olllleeee’!]

La rumenta geme.
E’ un suono basso, liso, una voce consumata dall’umidita’ e dagli anni “Bastardo! Tanto e’ tutto inutile” mormora il barbone dal suo bozzolo di cartoni “Non puoi evitare il tuo destino”.

Ma pork! Deliri etilici? Iattura?
Sono a disagio. Un po’ mi vergogno come un cane, un po’ e’ colpa sua, del clochard, che si infratta, non si fa riconoscere e mi contamina la via.
Situazione imbarazzante. Devo assolutamente uscirne con stile.
Mi scuso? Mmm… no, dai.
Allora vedi di andare a fare in culo relitto di merda, concludo voltandomi in noncurante silenzio.

Tiro dritto.
[Perche’? Torna indietro e finiscilo. Scarpate e adrenalina al posto del solito caffe’. Giornata salutista.]
Tiro diritto senza tradire la benche’ minima emozione, ma intimamente spero che una di queste sere la temperatura si abbassi e il menagramo vada in ipotermia.
Citta’ piu’ vivibili, strade piu’ pulite. Ordem e Progresso!

Mi ubriaco con l’enfasi galvanica degli slogan elettorali e quasi non mi accorgo della moto di grossa cilindrata che si avvicina borbottando.
Fastidio.
Rumore, pistoni, motore. Fastidio.
Scocco un’occhiata seccata al centauro e mi ritrovo faccia a faccia col viso dai lineamenti piu’ grossolani, piu’ palesemente da Lombroso che mi sia mai capitato di incontrare (tranne al cinema, forse, ma quello e’ maquillage).

Mascella prominente e squadrata, occhi minuscoli, azzurri e gelidi, incassati sotto una fronte priva di sopracciglia. Un grugno di porco, con tanto di placca ossea frontale piu’ simile ad un paracarro che a qualcosa di umano. Inoltre, tutte le misure della creatura sono sbagliate, eccessive. Torso, collo, mani, cosce sono oversize, piu’ quelle di un orco che quelle di un uomo.

Shrek ricambia il mio sguardo e sorride, stirando due labbra talmente esili da far assomigliare la bocca ad uno sgraziato sfregio su un sacco di iuta.
[Cazzo guarda, l’orango? Cazzo sorride? Chiediglielo, esci le palle e fatti valere]
Fingo di non notare, raddrizzo il capo e continuo per la mia strada.

“C’e’ qualcosa che non va, bellezza?”
L’ignoro e accelero il passo. La stazione del metro’ e’ vicina: cento metri a destra, subito dopo la curva.
“Ehy, fighetta. Si dico a te. Che fai, te la tiri?” l’energumeno pare divertito “Non fare la difficile e salta su, dai, che ti faccio impazzire”. Dal tono la proposta e’ seria, boia Eva, e il mastodonte l’accompagna con un ruggito del motore che e’ urlo e promessa insieme.

Brivido. Accelero ancora il passo, nervoso ed imbarazzato allo stesso tempo. Inizio a correre in preda al panico solo quando il bruto mi assesta una laida, sonora, bruciante manata sul culo.

Corro. Corro e basta. Nelle orecchie il ringhio del motore, quella voce odiosa, il battito impazzito del cuore. Penso solo che a venti metri c’e’ la curva e subito dopo le scale che scendono nella patria dei pendolari. La salvezza.
Citta’ di merda, cazzo. Quartiere di merda. Gente di merda!

“Speri di cavartela sgambettando, fiorellino?”
[Ha ragione, fifone. E’ come a scuola, uguale. Quando tu, Marcos e quell’altro sfigato di Ernesto vi facevate mettere i piedi in testa senza fiatare. Ah, se avessi due gambe e due braccia ti farei vedere io come si fa, merdaccia!]

Escudo ogni cosa, ogni pensiero tranne uno: dieci metri. Solo dieci metri e sento ancora l’orrore della palpata. Cinque metri, ci sono quasi…
A sorpresa un mastino metallico mi sbarra la strada.
Felina, una mano enorme mi imprigiona il mento. Stringe le guance in una morsa dolorosa e la mascella si apre a liberare un gemito. Non so resistere mentre il mostro mi trascina lentamente a se fissandomi con gli occhi minuscoli e cattivi. Mi bacia con la sua bocca senza labbra.
Dio, che schifo!
Vorrei sputare ma sono bloccato, vorrei gridare ma frigno un mugolio sfatto, da troia, mentre la sua lingua viscida e oscena mi stupra il palato.

Lo colpisco. [Evvai, Spartacus, macella e stupiscimi!]
Non so dove trovo le energie, nella disperazione forse, ma gli schianto lo spigolo della ventiquattrore sulla tempia. Poi scatto indietro liberandomi dalla mano e da quel bacio aberrante. Scavalco la moto e mi precipito verso la salvezza di quella dannata, irraggiungibile fermata del metro’.

Superata la curva, mi trovo di fronte altri due tizi tarchiati con giubbe da bikers. Sono meno monumentali dell’orco ma palesemente della stessa pasta.
L’esitazione dura meno di una frazione di secondo, poi mi lancio verso le scale. Sotto ci sara’ qualcuno, cazzo. C’e’ sempre qualcuno, almeno gli impiegati delle biglietterie.
Dietro di me l’energumeno muggisce un ordine e subito i due individui muovono per intercettarmi.

Angoscia e panico sono maracas che martellano le tempie.
Non devono prendermi! Non devono, mi riprometto, mentre uno dei tizi mi si para davanti.
D’istinto e per la seconda volta nella vita uso la valigetta a mo’ di arma. La mulino come una mazza ferrata e contemporaneamente carico il teppista rotolandolo dai gradini. Nel trionfo, mi sfugge un ghigno satanico del tutto inopportuno vista la criticita’ della situazione. [Evvai, chico, sei il mio mito!]
“Sei la mia troia!” esplode un ringhio alle mie spalle “Mi hai sentito, stronzetto? Sei la mia TROIA!”

Mi tuffo letteralmente oltre le scale. Inciampo, cado, mi rialzo e continuo a correre.
Raggiungo la biglietteria.
E’deserta.
Non ci credo.
Mi guardo intorno disperato. Non c’e’ davvero un’anima! Mai successo. E’ una candid camera?

[Scoprilo, eroe, fermati e aspetta i tre gentleman. Pochi secondi e arrivano]
Col cazzo! Scavalco la barriera dei pedaggi e le cellule ad infrarossi registrano l’infrazione intonando il caratteristico cicaleccio antipatico e spione.

“E’ li!” tuona uno degli inseguitori.
Non mi volto e continuo a correre. Sto evidentemente impazzendo perche’ non riconosco niente della stazione. Ci sono piu’ corridoi, piu’ nicchie… forse ci sono sempre stati ma in questi mesi ero troppo distratto per accorgermene.
Gesu’, che situazione di merda!

Sono arrivato ai binari e non c’e’ nemmeno quello stracazzo di treno.
E’ chiaro, e’ una congiura. Ma adesso? Dove vado adesso?
Cristo santo… i binari, tra i binari, si.
Rischio la vita. M’importa sega. Prima me la squaglio, poi si vedra’.

Tra l’altro, il barbone di stamattina, poteva mica rifugiarsi nel metro’, eh? Qui, al calduccio… quel maledetto iettatore poteva dare un senso alla propria esistenza immolandosi ai teppisti froci e sanguinari. [Un’occasione mancata]. Una vita, un fallimento. [Inutile bipede].

Mi siedo sul bordo della pensilina e con un colpo di reni mi calo giu’. Senza riflettere inforco la voragine della galleria e mi lascio guidare dalle luci d’emergenza che ammiccano azzurrine nella pece sotterranea.

Devo fare in fretta perche’ quei bastardi sono vicini. Molto vicini. Li sento, avverto una tensione nell’aria, una vibrazione del terreno, un leggero vento caldo e lurido che mi invita ad andare piu’ veloce.

Pero’, questa brezza fetida… un po’ troppo vigorosa per essere l’alitosi dei bikers, e se…
[E’ il 7 barrato, genio della lampada]
Una nuova cacarella spray mi regala uno sprint da centometrista. Volo verso la lucina azzurra. Perche’? Boh, sara’ il colore. L’azzurro, si sa, e’ infido e traditore: celestiale, salvifico, in odor di santita’… eppero’ e’ anche il colore della Lazio.
Quisquilie a cui non si bada quando si e’ nella merda. Ci si fida e basta, come quando s’impilano crocette sulle schede elettorali.

Via, allora. Sfreccio, inciampo, perdo una scarpa ma non mollo illudendomi di non essere gia’ manteca sui binari.
Flash. Mi viene in mente un brano letto a scuola da bambino: Il pozzo e il pendolo. Edgar Alan Poe. Mi aveva colpito e fatto riflettere. Mi aveva anche regalato una lezione di vita: non mollare mai, mai, mai… costi quel che costi.

Al venticello puzzoso si aggiunge un fascio di luce. Mi travolge, mi supera e contemporaneamente i binari prendono a tintinnare come le campanelle di Babbo Natale.
[E’ la fine. Anche se sei ad un passo dall’illusione colorata, e’ la fine, Ben Johnson. Ti assicuro che ho sempre tentato di fare del mio meglio con te, nonostante la materia fosse penalizzante] Ma forse… sotto la lucetta c’e’ una porta di servizio, una di quelle con maniglia d’emergenza usate dagli operai delle manutenzioni. Mi ci tuffo di peso, o la va o la spacca. Se non cede saro’ comunque morto. Schianto una spallata da paura e la porta mi catapulta docile in un corridoio illuminato a giorno, mentre il 7 barrato ulula alle mie spalle come uno Space Shuttle in fase di decollo.

Fiuuu, c’e’ mancato poco!
Sono lungo disteso, bocconi, e devo avere l’aspetto di un fantasma emerso dalle torri gemelle. [Pero’, che culo] Che sfiga e che culo [Ma soprattutto che culo, siamo onesti].
Ora si tratta solo di alzarmi e trovare l’uscita dal dedalo delle gallerie di servizio.
[Ok, dai, in piedi e…]

“Santo cielo, ma cosa ti e’ successo?”
Mi volto di scatto e incrocio lo sguardo stralunato con quello altrettanto stupito di una ragazza alta, sui venticinque anni. Una cascata di riccioli biondi e scolpiti col gel che brillano come volute di miele. Un abito da sera con spacchi mozzafiato. Bellissima.
“E tu chi sei?” domando.

[Chi sei? Lurido ed illogico idiota, chiedile come si chiama, che ci fa qui, dove sta andando, se ha bisogno d’aiuto o se *lei* puo’ aiutare te e poi – poi – magari approfondisci: dove abita, se e’ libera stasera o anche subito, se gradisce essere leccata a morte. Ma tu no, “chi sei”. La domanda piu’ cretina che una mente cretina possa concepire. Chi e’ secondo te, sentiamo, Margaret Thatcher ricostruita da quelli della Corporation Dermoestetica?
Oppure un angelo… si, cazzo, un angelo e tu sei solo poltiglia. Un moscerino umano stampato sul muso del 7 barrato. Beh, dai, mio sottosviluppato amico, forse stavolta non hai fatto la tua solita domanda da coglione.
Allora, chi diavolo sei, angelo?]

“Sabrina, ma tu… miseria, hai un aspetto orribile! Vieni, lasciati aiutare”.
La ragazza e’ al mio fianco. Mi porge una mano ed io l’accetto senza riflettere. E’ calda, morbida e forte come seta. Lentamente guadagno la verticalita’ e salendo non posso evitare di notare le sue scarpe col tacco, nere, d’alta classe, costellate da piccoli brillanti che incorniciano un piede perfetto, da idolatrare. Poi su, la caviglia snella e la gamba slanciata, che fa capolino da uno spacco vertiginoso e sale nuda, oltre il ginocchio, oltre la coscia e… ma in che minchia di posto sono?

Finalmente eretto mi volto verso Sabrina. Vista da vicino e’ ancora piu’ bella: ha enormi occhi verde smeraldo, cosi’ grandi che sembrano uscire dritti sparati da un manga. Ha curve prorompenti, una pancia piatta fa capolino dall’abito griffato ma a modo suo deliziosamente sconcio, ed e’ alta. Davvero, avra’ anche i tacchi, ma e’ alta come me. E’ una stanga, una puledra di razza, pero’… da dove viene? E, ribadisco, dove cavolo siamo tutti e due?

Vorrei proprio chiederglielo, ma ho la bocca allappata, percio’ indico intelligentemente la porta attraverso la quale sono appena volato come Batman e gorgheggio qualche sillaba interrogativa.
Sabrina nemmeno si volta “Non ti preoccupare” srotola con voce dolce di latte condensato “E’ tutto a posto. Aspetta solo che ti pulisca la faccia e poi andiamo, senno’ facciamo tardi”.
Andiamo? Dove? Tardi per cosa?

“Hem…” accenno ancora alla porta. Mi immagino rintronato, patetico, un ritardato monomaniaco che si fissa sui dettagli piu’ insignificanti. Immagino anche un alter ego prostrato che si stampa manate sulla fronte.

L’angelo non fa una piega, tira fuori un cleenex e me lo passa dolcemente sul volto. Dio, e’ bellissimo. Sorrido mio malgrado… e poi insisto, indicando la mia ossessione ma in modo molto, molto meno convinto.

[Ma che ti frega, eh, si puo’ sapere? Che stracazzissimo ti frega? Perche’, mi chiedo io, che ho fatto di male? Perche’ mi doveva capitare quest’imbranato patologico, perche’ la selezione naturale non l’ha estinto da piccolo? Ditemi.]

“Ma dai, che ti frega?” mormora infatti Sabrina e, inaspettatamente, mi bacia.
E’ come se tutti i sogni di tutti i tempi si perdessero e si realizzassero nella promessa delle sue labbra. Poi ogni cosa sublima, perche’ la sua lingua, nella fiaba di un sussurro, dice alla mia “Andiamo, dopo ci sara’ tempo per tutto”. Dopo, si. Lei si allontana con decisione, mi prende una mano ed io… io la seguo, che altro potrei fare?

Sabrina si muove sicura nel dedalo dei cunicoli. Io la tallono e gli interrogativi si moltiplicano dal momento che niente ha senso, nonostante una voce nella testa continui a ripetermi che, date le circostanze, solo un imbecille come me se ne preoccuperebbe. Soprattutto perche’ lei e’ cosi’ bella e dopo… dopo ci sara’ tempo per tutto. Ha promesso.
E’ l’anfetamina di parole che mi spinge avanti, passo dopo passo. Mi libero anche dell’ultima scarpa ormai scomoda ed inutile, e l’angelo, notando il gesto, mi regala un sorriso che e’ un’icona di lussuria disegnata sul volto da copertina di Vogue.

E’ passato un attimo o forse un’eternita’ infinita quando arriviamo ai doppi battenti argentati di un ascensore. Entriamo e la cabina sprofonda verso non specificati livelli inferiori. Voglio chiedere a Sabrina dove stiamo andando, anche se forse ha ragione la mia vocetta interiore: sono tutte seghe mentali ed io sono un patetico sfigato. Apro la bocca, ma Sabrina mi precede. Si appoggia alla parete, mi prende per la giacca e mi tira a se. Mi bacia una seconda volta. Mi sussurra parole senza senso quasi fossi un palafreno nevrotico da calmare. Si direbbero banalita’ stucchevoli ma anche parole d’amore e poesie carnali d’una bellezza struggente.

Vorrei concentrarmi, seguirla di piu’, ma qualcosa mi distrae. Forse e’ lo spacco inguinale che le permette di divaricare le gambe ed imprigiona le mie in seno alla sua V rovesciata. Forse e’ la sua pancia nuda tra gli squarci del vestito. Forse il rigonfiamento del seno che schiaccio per forza, perche’ lei mi trattiene. [Alla Cambronne, ragazzo: Merde! E poi vai, lasciati guidare da mamma natura]. Sono confuso e smarrito. Mi sta capitando sempre piu’ spesso, ora che ci penso.
Sono completamente suo schiavo mentre la violento di baci, perdo le mie mani nei suoi capelli.
Non faccio piu’ caso all’ascensore che scende, scende, scende verso un inferno incantevole di sogni proibiti.

La cabina si blocca di scatto e i battenti si aprono.
Sabrina, con mio grande disappunto, si e’ gia’ liberata dall’abbraccio. Non ha una piega sul vestito, non un capello fuori posto. Io invece mi sento come un terremotato, ma a questo punto, davvero, che mi frega? Se va bene a lei…
[Oh, ecco come si ragiona, ragazzo. Ci vuole un po’ di tempo a farti comprendere le cose, ma forse non sei un caso disperato. Forse si puo’ ancora recuperare qualcosa da quest’inutile carcassa.]

Sempre trascinato da Sabrina, mi avvicino a due enormi portoni in bronzo decorati coi bassorilievi del battistero di Santa Maria del Fiore a Firenze. Li guardo sbigottito e solo in un secondo momento noto che sono presidiati da due… unni, alani, tartari?

I gorilla, si insomma, i buttafuori sono vestiti di pelli. Il piu’ vicino e’ rasato a zero tranne per una lunga coda di cavallo che gli parte dalla sommita’ del capo per scomparire a mezza schiena. L’altro e’ privo di naso e ha un cappello di pelo bordato di pelliccia. Entrambi portano alla cintura una daga crudelmente seghettata e il pelato fa sfoggio di un piccolo Uzi Zacbumbum, l’ultimo gemito della tecnologia bellica. Sara’ una festa in maschera, deduco. Mi viene il dubbio di non indossare una mise delle piu’ adatte.

Lo sfregiato, infatti, scocca appena uno sguardo a Sabrina, poi mi sorride a mezzabocca, come un lupo affamato. Un altro invertito? Ce l’hanno tutti con me oggi?
Mi annuso… Sia mai ‘sto cavolo di “Gigolo’”, il nuovo dopobarba al feromone di gnu.

Un brutto brivido mi percorre la schiena, ma per fortuna il mio angelo custode interviene “E’ tutto a posto, Berucin” precisa Sabrina con piglio autoritario nella voce da letto “lui e’ con me”. Il vigilante, sbianca, china il capo docile e spalanca le immense porte per noi, cedendoci il passo.
[Visto come si fa, mezzasega? Impara dalla signorina, su.]

Di colpo ci troviamo in balia delle luci psichedeliche di una discoteca e la musica grunch mi stupra le tempie con la violenza di un rotore d’elicottero. La gente mi urta, mi sorride, mi insulta, mi sbatte qua e la come un tappo di sughero in un fortunale. Sono pigiato da tutte le parti e non so nemmeno come riesco ad arrivare al bancone di un bar. Gli do le spalle e mi guardo attorno per fare un minimo il punto della situazione.

Dunque, sono in un locale underground, molto vivace, persino piccantino e stracolmo di… fighe? Minchia, solo donne! E di tutte le razze, di tutti i colori, scandinave e mulatte, orientali, amerinde, meticce ed atlantidee. Tutte giovani, parrebbe, e anche attraenti… almeno per la maggior parte. Senza uno stile definito o dominante: ci sono punk e ragazze acqua e sapone, sambiste carioca e dame in abiti d’atelier, ma… Sabrina?
Sabrina, dov’e’ la mia Sabrina?
[Lascia perdere, idiota. Vai al sodo, concretizza, concludi. Devi solo scegliere]

Urlo il suo nome, ma la mia voce viene messa in minoranza dalle note incongrue e prepotenti che dominano la sala.
Insisto anche se lo so che e’ stupido. In fondo la conosco appena, anzi no, non la conosco affatto, ma mi aggrappo ai pochi minuti che ho passato con lei come se fossero un’ancora di salvezza: tutto il mio passato, ogni riferimento, ogni punto d’appoggio. La sanita’ mentale. Perche’ senza di lei mi sento perduto come un bambino senza la sua mamma o, peggio, come un amante abbandonato sul ciglio di una strada. Lui e il suo bacio d’addio, una museruola che gli impedisce di guaire.

[Ma quando mai ti ricapita un’occasione del genere, eh, scarto della terra?
Unico uomo circondato da modelle inimmaginabili, in una discoteca impazzita, in un abisso di lascivia al centro del mondo. Buttati, deficiente, buttati e cogli l’attimo. Nascere o morire sono i dettagli di un percorso, ma vivere - vivere davvero - e’ l’attimo di una scintilla che non tornera’ mai piu’.
Ascoltami, imbecille, che ne so certo piu’ di te: ne incontrerai quattro o cinque di occasioni decenti nella vita, di scintille. Se te le fumi che ti restera’? Rimpianti? Ha senso vivere di rimpianti o e’ meglio rischiare tutto, anche qualche rimorso?
Ecco, allora ascoltami, perche’ e’ vero che ti considero il piu’ patetico dei senzasperanza, ma in fondo sono l’unico che ti vuole veramente bene. Vai, dunque, bevi ogni cosa fino a scoppiare e se poi accade che schiatti, vaffanculo almeno avrai dato una sola, dannata logica a questa presa in giro che chiami vita. E lascia perdere Sabrina, io ti sto mostrano il mondo e tu pensi ancora a lei, o mia croce, o mio avvilente fallimento, ascolt… ]
“Sabrinaaaaa!!!”

“Sono qui, tesoro”.
Oltre la schiena, una mano mi sfiora delicatamente la spalla. Con dolce determinazione mi afferra la cravatta, la gira e la tira a se.
Una pressione di seta sulla gola mi forza all’indietro e mi trovo disteso sul bancone del bar, mio malgrado. Il nodo della cravatta si stringe fastidioso e deglutire fa un po’ male, ma quasi non me ne accorgo dal momento che il viso perfetto di Sabrina appare rovescio di fronte a me. Occupa l’orizzonte intero e scende a baciarmi, regalando al mio naso la carezza vellutata della gola.

Mi perdo. Voglio perdermi e sono felice perche’ lei mi sbottona la camicia, mi slaccia la cintura, mi apre i pantaloni e mi allarga le braccia.
Sabrina? Non puo’ essere. Non da sola!
Sussulto e l’ angelo si stacca appena permettendomi di vedere decine di mani di donna che mi spogliano, mi bloccano, mi sfilano mutande e pantaloni assieme.

“Ma cosa?”
[Cosa “cosa”, stallone? Ringrazia il cielo con la faccia per terra, piuttosto. Tu non ti rendi conto che razza di culo. Perche’ devi sempre pensare, interrogarti sulle cose, farle quadrare? Goditele e basta, ragioniere dei miei coglioni!]

“Guarda come sono belle” senza saperlo Sabrina fa eco al mio inconscio, al mio Mr Hyde esperto ed esasperato “Lasciati andare. Sara’ bellissimo, vedrai, e durera’ per sempre”.
“Per sempre? Si puo’ sap…” Una donna, una creola seminuda coi soli lombi avvolti in un pareo rosso lussuria e’ davanti a me. Ha un fisico da atleta e il viso delicato di una donnina di Manara. Con entrambe le mani inizia a masturbarmi dolcemente e ogni pensiero muore all’istante, precipitando in un abisso di desiderio e trascinando con se respiro, parole, volonta’, coscienza.

“Ti fidi di me?” mormora Sabrina.
“Si” rispondo, ma e’ un riflesso condizionato dal momento che non sto palesemente capendo piu’ nulla. Decido di rilassarmi. Allargo le braccia e mi lascio andare per davvero.

Decine di mani femminili mi immobilizzano sul bancone. Sono calde, sensuali, ingioiellate e la loro e’ una prigione dorata. La piu’ desiderabile che mai si possa concepire.
Contemporaneamente, altre mani mi bloccano le gambe spalancandole. Unghie affilate mi disegnano il petto. Sono laccate, naturali, alla francese e lasciano piccoli solchi arrossati, il cui bruciore e’ subito lenito da lingue o labbra che implorano perdono.

Sono alla deriva e Sabrina, che ormai e’ il mio mondo e la mia luna, si slaccia il vestito da sera. Gli permette di scivolare via dal corpo, col languore della risacca che si ritira dalla riva.
Resta completamente nuda e concede ai miei occhi avidi d’esplorarla. Poi scende piano. Offre alla mia bocca le sue labbra, il suo seno, la sua fica depilata, mentre la creola mi finisce con un pompino.

E’ il paradiso ed e’ anche completamente senza senso, ma perche’ il paradiso dovrebbe necessariamente averne uno? Forse e’ proprio l’assenza di logica a renderlo tale.

Sto per venire e la creola interrompe la sua magia proprio in quest’istante.
E’ evidentemente una professionista e vuole farmi durare di piu’, la viziosa, percio’ solleva la bocca dalla verga e la lecca lasciva fissandomi negli occhi.
Mugola, la troia, e si alza lentamente strisciandomi addosso il corpo da sirena, i seni dai capezzoli d’ebano, ruvidi e turgidi. E’ una mousse di lussuria e lo sa, e ne gode, solleva persino le braccia per farsi ammirare in tutta la sua maesta’ dall’ombelico, dal confine del pareo fino agli occhi gialli di leone, imbevuti di malizia.
Credo di scoppiare quando si abbandona all’abbraccio di un seconda ninfa che la palpa in modo ruvido e volgare. Le liscia il busto strusciando dita affusolate lungo i fianchi sinuosi e le morde il collo. Sposta le mani sul pareo e con un unico strappo, la denuda.

Mmmm… chiudo gli occhi. Ora si siedera’ su di me, si chiavera’ da sola ed io gia’ pregusto la goduria di una cosi’ gran fica.
Voglio vedere quando scendera’ ad impalarsi, pero’. Ubriacarmi d’ogni istante. Riapro gli occhi per contemplare l’ottava meraviglia e… Dio Onnipotente!

E’ un uomo!

Cioe’, e’ una donna, con cosce, ventre da donna, ma e’ anche un uomo, una chimera, un ermafrodito. No! Un ermafrodito no, perche’ loro hanno il membro semiartrofico di un bambino e questa…Merda, questo ha un’asta equina. Lungo, largo, inumano e gigantesco in tutto!
Che cazzo vuole fare con quel coso? Che cazzo si sono messi in testa tutti oggi, eh?

Cerco di liberarmi, di riguadagnare la posizione eretta ma le odalische-secondine sono troppe. Mi rendo conto che, prese singolarmente, le potrei spazzare via come fuscelli (non sono mica dei bruti con la moto, in fondo), ma il loro numero e’ tale che non riesco letteralmente a muovermi. Eppoi continuano a toccarmi, le puttane, a leccarmi, ad amarmi e io non so piu’ che minchia voglio, perche’ catene fisiche e dell’anima si sostengono a vicenda.
Ecco che mi scopro impotente, inerme e schiavo d’un eccitato terrore.

“Lasciatemi!” grido.
“Rilassati” mi fa eco la voce calda di Sabrina “Lascia che tutto vada come deve andare. Vedrai che e’ molto piu’ facile e poi, magari… magari ti piace.”
E come cazzo e’ che deve andare, mondo merda, si puo’ sapere?
Decine di dita agiscono in sincronia sollevandomi un po’ le gambe ed avverto subito una presenza ingombrante che si appoggia alle pareti dell’ano.
Ma sono pazze? Quell’arnese e’ quattro volte un membro normale. Squarterebbe chiunque, Cristo! Mi dimeno, ma cio’ non migliora di certo la mia posizione, anzi… la peggiora. Allora grido, grido come un moribondo, grido come un disperato. Grido come una donna “Nooooo!”

“Fammi impazzire” supplica la creola con la voce di Julie Andrews, e contemporaneamente la pressione si fa piu’ decisa, invadente. Stringo i muscoli, mi ribello “Vaffanculo, frocio bastardo! Alieno pervertito bevicazzi comunista, vai a fare in culo!”, ma e’ tutto inutile. Sento la carne che cede e con cio’ un dolore sconosciuto, lancinante, totale s’impadronisce delle mie viscere e risale il ventre dilaniandolo.

Con un angolo del cervello percepisco Sabrina, il mio angelo traditore.
Mi sovrasta. E’ in piedi sul bancone o deve essersi abbarbicata su due sgabelli. Ha uno sguardo satanico, lascivo, succube e sadico al tempo stesso, mentre si siede su di me. Sul mio viso, con la fica umida e profumata. La voglio e voglio fuggire. “Mi stanno impalando” piango, come se non lo sapesse, come se fosse uno scoop dell’ANSA, e nello stesso istante me lo sento sprofondare fino al cuore, fino in gola, enorme, infinito, devastante e lubrificato dal mio stesso sangue.

E’ un dolor intollerabile, inumano e voglio morire. Anzi, sto gia’ morendo, sventrato e dissanguato. Lo so, ormai e’ la mia unica certezza, ineluttabile come il destino.
Grido.
Grido, grido, grido con tutto il fiato che ho un disperato richiamo alla vita. Il piu' umano ed istintivo: "Mamma!".
Prima e ultima parola di un uomo.

E Sabrina e li. Materna. Scende su di me riempiendomi la bocca con la sua fica.
Per sempre, il mio urlo soffoca ed io muoio.
Mentre la sveglia suona.

Mi desto di soprassalto con un colpo di reni.
Tra la testa e le orecchie, l’eco di un singhiozzo strozzato si dissolve come un rintocco solitario di campana. Ho la schiena inarcata, tesa, e i pugni stretti, sconfitti da una forza invisibile.
Un sogno. Solo uno stronzo fottuto sogno del cazzo.
Il piu’ realistico della mia vita.

Abbandono il letto e mi dirigo in bagno. Apro il rubinetto e ci tuffo la testa sotto. Quando riemergo lo specchio mi restituisce una faccia sconvolta. Occhi rossi, pupilla dilatata, capelli smodatamente lunghi appiccicati al viso e scompigliati in riccioli tondi e corvini.
Che faccia da culo.
Mi sorrido. Mi faccio sempre tenerezza nelle prime ore del mattino.

Poi guardo l’orologio: le 7.30, tardi, cazzo! La sveglia si e’ guastata un’altra volta, dannati trabiccoli elettronici. Mi riprometto di cambiarla, quella porcheria. Tornare ad una semplice, affidabile sveglia meccanica. Una di quelle che fanno il rumore di un allarme antincendio e che si spengono (senza rompersi, miracolo) con una manata da gorilla.

Dopo un quarto d’ora sono gia’ fuori casa. Elegante nel mio bel completo blu, la camicia fresca di bucato, la fida ventiquattrore e una cravatta regimental del 1° King’s Own Yorkshire. Una tradizione di famiglia.

Le strade sono dominate dalla solita, ovattata nebbiolina di stagione e, noto, sono anche particolarmente deserte. Meglio, meno rotture di coglioni.

Sono sempre stato a mio agio nella nebbia e anche oggi zampetto verso il metro’ godendo beota per il ticchettio delle mie scarpe italiane.
Alle otto di mattina, questo cesso di citta’ riesce perfino a piacermi.
E’ familiare, sempre uguale, rilassante. Forse per via della…
………
……



Nadja Jacur

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