Silvano Superstar (Lei)




Milano, ore 19.30.
La riunione è finita ed io pure.
Ho la schiena a pezzi, sono stufa ed anche un pò stanca di essere sballottata in giro come un carrozzone da circo. Gli allori del marketing, li chiamano.
Sarà… ma se in gergo aziendale lo chiamiamo “markètting” ci sarà pure un motivo.

Milano, si Milano.
Sono all’ottavo piano di un palazzone anonimo, vitreo, squadrato, architettonicamente privo di personalità e per di più color bruno cacchetta. Provo un certo trasporto per il suo progettista: è evidente che mamma e papà gli hanno fatto mancare l’affetto da piccolo.

Mi avvicino alla parete-finestra e sbircio fuori: sotto di me c’è un caos di macchine nervose ed alzando lo sguardo ci si perde in un’atmosfera opaca, mai completamente buia eppur priva di stelle. Un’aurora boreale di luci riflesse e rifratte dalla cappa di smog che ormai è emblema e vanto del capoluogo lombardo. Ma è Milano o Gotham Gity?
Dio, che depressione.

Schiava della più bieca deformazione professionale, all’analisi faccio seguire la sintesi: è una merda.
Una giornata di merda, in una città di merda, con una compagnia di merda.
Già, mi son dimenticata di dirvelo: insieme alla stanchezza c’è anche Silvano, il mio mini-mè intellettuale, quella presenza indesiderata che spesso mi segue come un carabiniere scemo ed arrogante.

Dovevamo finire la riunione alle sei di sera, ma lui ha insistito per prendere la parola.
Ho cercato di placcarlo, l’ho incenerito con occhiate fiammeggianti, gli ho dato pure qualche pedatina, ma lui non se ne è neppure accorto, privo com’è di contatto con la realtà e di sistema nervoso periferico.

La cortesia dell’ignaro cliente, poi, ha provocato l’irreparabile << Ma prego, ingegnere, dica, dica… >> e Silvano si è parlato addosso per un’ora e mezza. Una reboante maratona no stop. Total recall. L’indescrivibile nulla.
Alla fine, perfino i lilium del centrotavola sembravano tramortiti.

Cavoli! Ora che ci penso, parlo sempre di Silvano ma non ve l’ho mai descritto!
Sono imperdonabile.
Chiedo scusa, a parziale discolpa invoco la mia prostrazione fisica e mentale e corro subito ai ripari.

A proposito, chissà come ve lo sarete immaginato, Silvano… magari basso, pelato e segaligno. E invece no: è alto, pelato e segaligno. Inutilmente alto, se posso esprimere un giudizio impersonale: più di un metro e novanta centimetri di prosopopea inconsistente e pallonara.

Pur non essendo del tutto calvo, Silvano ha un enorme testone bozzoloso alla Telly Savalas, spoglio sulla calotta ma ancor ricoperto di tenace lanugine su tempie e nuca.
È stupefacente osservare come su quell’esplanade non fiorisca nemmeno un pelo: data la principesca ricchezza di fosfati che si trova appena sotto la superficie, infatti, sarebbe logico aspettarsi una chioma rigogliosa come la foresta amazzonica. Invece c’è un unico ciuffo arioso e volitivo, che parte dall’emisfero destro e svolazza verso gli antipodi: sono anni che Silvano lo addestra ostinatamente al riporto, ma i risultati conseguiti non sembrerebbero ‘sto granché incoraggianti.

Che manca? Ah, si, “l’improbabile tandem”: un paio di occhiali spessi con montatura nera anni ’70 che spiccano gloriosi in studiato contrasto con la modernità dell’auricolare laringeo, tocco tecnologico da vero cultore o da vero pirla, a seconda della visione del mondo.

Rileggo. “Segaligno”… vabbé, ho esagerato: magro, và, con le spalle spioventi di un tetto bavarese, la nemesi di un petto prestante e la bombatura di un principio di pancetta. Che poi magari non è nemmeno grasso: forse è un minestrone di organi interni che trasbordano a causa della totale assenza di muscoli addominali.

Ok, ok… lo ammetto, Silvano mi sta qui e forse sono un po’ maligna nel descriverlo…
Facciamo così, concedetemi una seconda chance e cercherò di essere obiettiva.
Un attimo, eh.
Ok, ci sono, avete presente un figone? Ecco, non è Silvano.

Parli del diavolo… ed ecco che Silvano mi chiama e bofonchia qualche cosa indicando l’ascensore.
Non sento quello che dice, ma non può essere nulla di importante.
Lo seguo e, prima di entrare nella cabina, lo zavorro con tutti i documenti della giornata. Scopro così che Silvano ha almeno un aspetto positivo: è someggiabile.
Lui sorride. È la stessa espressione ionica dell’Apollo di Veio anche se, inspiegabilmente, sulla statua ti eleva lo spirito e su Silvano ti fa cader le braccia.

Saliamo in ascensore insieme a due bionde sulla trentina e il mio collega fa immediatamente sfoggio di tutto il suo baluginante fulgore << Buona sera signorine, a che piano andate? >>.

E a che piano vuoi che vadano, scimunito? Sono le sette e mezza passate e a quest’ora vanno a casa persino le donne delle pulizie… Dio, Dio, Dio, ma cos’ho fatto di male?
Non ho ucciso bambini, onoro gli anziani e cerco di essere sempre gentile (o quasi). Ho stirato sotto i cingoli del tank alcune biciclette dei Neturei Karta [estremisti religiosi n.d.a.], ma son bagattelle di gioventù e poi nelle faide personali qualche colpo basso è concesso… In fondo al cuore so che il Padreterno mi è grato per aver messo alla prova il self control dei suoi fedeli.

Mentre l’ascensore inizia a scendere, Silvano si mangia con gli occhi le due bionde.
È immobile come un monumento ai caduti. La mano sinistra nella tasca dei pantaloni temo gli serva a mascherare un’erezione, ed è semplicemente un miracolo che l’eccesso di salivazione non lo porti a schiumare come un boxer accaldato.
No, davvero, cos’ho fatto di male per meritarmi questo disadattato come spalla? Che mi affiancassero un Willy Smith, era chiedere troppo? Io e lui avremmo potuto formare una nuova coppia di Men in Black: politically e sexually correct. Vuoi mettere che colpaccio per l’immagine dell’azienda?
Suvvia, non ci devo pensare… e devo anche smetterla di guardare male Silvano: non è colpa sua se è nato così.

All’improvviso la cabina si blocca e le luci si spengono.
Cazzo un guasto, penso.
Silvano esplicita il concetto… ah, se non ci fosse lui.

<< Ma per Dio! >> sacramenta una delle ragazze, comprensibilmente seccata.
L’imbecille crede che sia stata io a parlare e se ne esce con uno dei suoi commenti fuori luogo. Gli rispondo male: è stata una giornata dura, sono bloccata in un ascensore senza corrente, sono stanca… proprio non ce la faccio a sentirlo int’errecch’.

Il tempo gocciola via oleoso, quando chiudo gli occhi vedo piccoli lampi di mille colori e quando li riapro si riempiono di notte. Devo essere proprio distrutta.
Appoggio la schiena ad una parete e aspetto: conto fino a cento e poi ricomincio da uno. È un gioco stupido che ho sempre fatto fin da piccola, serve ad ingannare la noia.

Nel frattempo le due ragazze bisbigliano fra loro, si raccontano cose, si muovono… forse stanno cercando degli oggetti nelle borsette. Una torcetta o un accendino, magari. Chissà, sono dall’altra parte della cabina.
Silvano, invece, deve essermi piuttosto vicino: lo sento ansimare come un mantice.

Povero cuor di coniglio, starà facendo training autogeno: è impressionabile, ipocondriaco, crede nei fantasmi, nel malocchio, in Cthulhu e negli extraterrestri. Eppure – non finirò mai di stupirmi - nonostante tutto ciò si considera una specie di Kwisatz Haderach, di essere supremo.
Ed è permaloso, vendicativo, arrogante coi deboli e viscido coi potenti. Assolutamente refrattario ad ogni addestramento ed impermeabile alle mazzate della vita. Sotto un certo aspetto non ho mai conosciuto un paranoico più egotico e coriaceo: è unico, come Elvis Presley.

All’improvviso si accende la luce rossa di emergenza.
Abbasso immediatamente lo sguardo sull’orologio e quando lo rialzo ho una visione da incubo: Silvano è davanti a me con le braccia aperte, un sorrisone ebete a trentadue denti e folgori di lussuria nello sguardo.
Lo minaccio di morte e stringo il destro: se accenna ad avvicinarsi gli stacco la mascella, giuro.
Lui lo sa, e desiste.

Contemporaneamente, e con un certo ritardo, il mio cervello registra una seconda immagine: le due bionde abbracciate in modo decisamente equivoco.
All’esplodere della luce rossa si sono subito staccate, ma sono sicura di ciò che ho visto.
Per me quelle due… << È solo per via del fatto che… >> esordisce infatti quella più alta << Si, insomma, un momento di incertezza… non c’è nulla da… >>
Excusatio non petita… << Capisco >> taglio corto.
Silvano si associa, ma è evidente che non ha minimamente inquadrato la situazione.
In fondo le loro preferenze sessuali non mi riguardano… anzi, vista la qualità della presenza maschile nella cabina, devo ammettere che l’omosessualità offre prospettive intriganti e meriterebbe di essere rivalutata.

Aspettiamo con pazienza e il silenzio della stanzetta è quasi riposante.
Se chiudo gli occhi riesco ad immaginare il mio uomo, la laguna, una sera d’estate.
Sogno casa, sogno Venezia addormentata su se stessa.
Vedo i raggi argentei della luna giocare sull’onda morbida, sento quest’ultima cantare dolcemente sciabordando sulla riva…
Ma cos’è questo cacchio di rumore?
Silvano che gioca col cellulare. Ma porc… non è proprio capace di starsene un po’ fermo?

Chiama un suo amico, un altro inutile nerd segaiolo e smanettone.
Ora che ci penso, fatemi spezzare una lancia a favore di Silvano: è senza dubbio un imbecille, ma col PC ci sa fare. Pensa direttamente in linguaggio macchina, il che gli semplifica i rapporti coi microchip ma lo penalizza sul piano relazionale.
Davvero, talvolta può apparire persino brillante, un vero Superman del codice. Il problema è che quando si arresta il sistema (con quel risveglio un po’ anarchico che ci pervade tutti prima di lasciare l’ufficio) è come se qualcuno gli infilasse nel culo una barra di criptonite. E il nostro eroe appare in tutta la tua triste essenza di Clark Kent de noaltri.

Ci mette due minuti secchi, Silvano, a spiegare al suo amico come contattare la sicurezza.
È il piano più ingarbugliato, più cervellotico, più assurdamente scomodo e irrealizzabile che una mente malata o quella di un ingegnere possano concepire.
Ha appena finito che una delle ragazze lo umilia suonando il campanello d’allarme.
Io resto senza parole, imbarazzata per lui, ma anche affascinata. Si, affascinata, perché ho sempre ammirato la stupidità perfetta: ha qualcosa di artistico, di poetico.

Pochi secondi dopo la sicurezza ci contatta via interfono, ci invita ad avere pazienza e sottolinea che il problema è in corso di soluzione.
Silvano è nervoso. Il testosterone gli tracima dai bulbi oculari come il mosto da una tina.
Farà qualcosa, dirà qualche stronzata, lo sento.
Perché? Perché?

E infatti Silvano non delude: “rompe il ghiaccio”, per usare le sue parole, tracciando un parallelo con un reality show. Si paragona ad un DJ sconosciuto (il suo idolo maschile?), allude a noi concubine coatte paragonandoci alle femmine del suo harem immaginario e si propone come maschio dominante.
Riesce a fare tutto ciò con pochissime frasi, le due bionde si rendono conto di avere di fronte un cretino olimpionico e sorridono maliziose.
Ad occhio e croce hanno scoperto anche loro come ingannare il tempo.

<< Silvano >> intervengo.
<< Si? >>
<< Risparmiaci >> perché perfino io, a volte, posso provare pietà.
L’imbecille non comprende il gesto di apertura, non coglie il braccio teso in soccorso e reagisce stizzito.
Che vada a farsi fottere, allora: gli propongo di scardinare le porte d’acciaio per mezzo di vigorosi e prepotenti sussulti percussori della cervice, ma lui riesce ad interpretare il mio invito al suicidio come una scenata di gelosia e - a modo suo - cerca di rassicurarmi. Roba da tagliarsi le vene per lungo.
Resto ammutolita e per la prima volta in vita mia potrei prendere seriamente in considerazione le opportunità consolatrici che due lesbiche possono offrirmi.

Nel frattempo le concubine non rimangono inattive: una di loro – un troione ossigenato, truccata come un Cheyenne e con le labbra sponsorizzate da un’industria di pneumatici – inizia a stuzzicare Silvano.

L’ambiente di colpo si riscalda: lei assume atteggiamenti e posture a metà tra la femme fatale e la Lolita di Trastevere. Ribalta i capelli da una parte e dall’altra, si disegna le curve con le mani e stupra con gli occhi l’implume collega.
Il poveretto non si contiene più: si agita con la grazia di un vitellino nelle sue prime ore di vita. Suda. Balbetta. Triplica il numero di frasi fatte sciorinate al minuto secondo.
Quasi mi si stringe il cuore… quasi.

Circa tre minuti dopo, Silvano esplode: una delle ragazze gli chiede di raccontare le sue esperienze di sesso rocambolesco con più donne e l’immagine libidinosa che si fa strada nella mente dell’uomo ha l’effetto dirompente di un sigaro in una polveriera.
Il mio mini-mè inizia ad inventarsi un fantomatico soggiorno su uno scoglio sardo. (Ma dico io, uno scoglio… ma per pietà). Tra le sue prede d’amore, in uno slancio emotivo ad inconscio, introduce persino me!
Deve proprio essere impazzito.

Le bionde colgono il pathos del momento ed intensificano la pressione psicologica sul meschinello: quella più alta (e più fine) gioca molto con le parole e grazie ad esse cavalca la fantasia di Silvano come un’amazzone sciita.
L’altra, l’ossigenata, è più rozza e carnale. Parla meno e punta più sul seno atomico e sulle movenze fluide che vorrebbero emulare Kim Basinger in nove settimane e mezzo.

È superfluo descrivere la reazione di Silvano: è talmente alla mercé delle più selvagge scorribande ormonali che nell’intimità sarebbe capace di riferirsi al suo cosino chiamandolo “Genserico, re dei Vandali”.
Inoltre - potrei scommetterci uno stipendio - sta vivendo l’esperienza mistica di un’orgogliosa erezione, e questa volta senza l’aiuto di una jpeg. Cose dell’altro mondo.

L’intero uragano emozionale si traduce in un curioso stato di confusione iperattiva: Silvano rigira continuamente tra le mani la sua ventiquattrore nera da impresario delle pompe funebri, si adula, si incensa, si impersonifica in tutta una serie di eroi televisivi dai Bonanza in giù.
Ormai è al delirio.

La boarotta (che si sta divertendo un mondo) cerca di alzare la posta in palio coinvolgendomi.
Cioè, scusa, mi balena un tragico sospetto… tu pensi che io sia come lui, cocca?
Ok, ok, se vuoi ballare, balliamo. Decido di stare al gioco e le sbrodolo una supercazzola insensata ed imbevuta di boiate classico-mitologiche.
È perplessa, ma l’amica (evidentemente un pelino più colta) ridacchia di gusto.
Silvano boccheggia e si masturba la cravatta: la sua sanità mentale, ormai, è appesa ad un filo sottile come il pianto di un bambino.

All’improvviso il suo atteggiamento cambia di colpo.
È uno stacco netto, subitaneo, tanto che sarei pronta a giurare di aver sentito un click soffocato, il rumore del salvavita nella testa di Silvano.
Appena un istante e già lui abbraccia entrambe le ragazze, con slancio ardito e garibaldino.
Non ci posso credere! L’adrenalina gli forse ha dato alla testa?

Ma lui va oltre e con la voce raschiosa di Darth Vader o di un maniaco con l’impermeabile, mormora << Si cena insieme stasera? >>.
Figuriamoci, quelle non aspettano altro: iniziano a strusciarglisi contro come gatte in calore, friniscono, fanno le fusa e lo coglionano alla grande.
Silvano, intanto, muove le mani come la dea Kali. Non sa dove metterle, dove toccare e con esse dispensa un piacere raffinato, paragonabile forse al contatto di una sanguisuga che striscia sul collo.
Come diavolo faranno quelle due? Hanno certamente uno stomaco blindato oppure sono appassionate di CSI e di autopsie.

L’idillio viene interrotto da rumori metallici e grugniti umani di fatica.
Non è Silvano, sono gli omini della manutenzione ascensori.
Le ragazze si ricompongono in un battito di ciglia, veloci come una passione travolgente, e un istante dopo la porta si apre cigolando.
Finalmente aria.

Purtroppo la cabina si è bloccata a metà strada tra due piani, quindi per scendere bisogna avere un minimo di agilità.
Un operaio partenopeo, cortesissimo, ci offre il suo aiuto: << Uè, signò! Si vulite ve pozz’ ra ‘na mano >>.

Gli sorrido ma declino. Sono molto orgogliosa e moderatamente fessa: cerco sempre di fare da me.
Silvano, invece, con la sua tipica scortesia, non gli risponde nemmeno, né lo considera. Mi spinge di lato, poggia una mano sul pavimento, spicca il balzo e si scatafascia al suolo. Per poco non s’ammazza.

Si rialza subito (“ebeti e bambini son fatti di gomma”, diceva sempre un’anziana e saggia zia) e solleva le braccia al cielo come a ringraziare Dio per grazia ricevuta.
Ci metto un po’ a realizzare che quegli arti insicuri sarebbero li per me, per aiutarmi, e all’ennesima ricerca di un contatto fisico. Che pppppalle!
<< Tié >> e gli smollo il plico coi documenti.
Lui para la massa delle scartoffie, la ripone al suolo e rialza subito le braccia.
Niente da fare.. non capirà mai.

<< Scansati, Silvy >>
Abbassa le braccia, ma non si muove di un millimetro.
Ma porca miseria, ho la gonna! Vuoi vedere che quell’imbecille ci sta marciando?
<< Togliti di li, Silvy. Su. Raus. Stoj. >>
Fa appena un passetto indietro. Vaffanculo, non posso restare appollaiata qui in eterno: gli salto su un piede.
<< Squaaaaaak! >> come paperino. Poi mi guarda risentito.

Ok, diciamolo, se Silvano ha una qualità, questa è la tenacia: tenta la medesima mossa con le bionde e fallisce vistosamente con entrambe, che lo snobbano favorendogli l’operaio.
Alla fine resta solo, a braccia e membro tesi verso una cabina vuota. Mi auguro che in questi frangenti si senta vagamente pirla, anche solo un poco… dalla faccia si direbbe di si, ma - si sa - l’espressione inganna. Soprattutto la sua.

Guardo l’ora. È tardissimo, ma se prendo un taxi riesco ad acciuffare l’ultimo intercity per Venezia.
<< Allora, stasera si fa una cenetta a tre, eh? Eh? He-he? >>
Silvano ha già metabolizzato lo smacco e incalza. Tenace, vi ho detto. E inaffondabile.
<< Ma certo! >> gli risponde quella più volgarotta. Poi gli fa il verso: << Che te lo dico a fare? >>
È una delle frasi ricorrenti di Silvano, insieme ai cioè, ai diciamo, agli eccetera, ai come-dico-io, ai se-vuoi-sapere-come-la-penso e a tante altre.

Silvy coglie immediatamente la palla al balzo per fare il galletto con l’operaio. Lo apostrofa persino in latino.
<< Ch’a ritt’ ‘stu scem’? >> sintetizza l’uomo, conciso e perplesso.
<< Faciteme nu piacere, nun è date aurienz >> mormoro stanca, cercando di imitare l’accento di mio cugino. Basta un’occhiata e solidarizziamo. Si vede che è un tipo in gamba: alza le spalle e tace.

Saluto tutti, respingendo l’ultimo tentativo silvanesco di invitarmi alla cenetta romantica.
Non ha ancora capito che si troverà solo come un cane, povero.
Essia, chissà che racconterà lunedì in ufficio… le possibilità a mio avviso sono due. Sbrodolerà un cumulo di balle da gran viveur: il pistonatore assoluto & le femmine esauste-e-soddisfatte, sesso tantrico e pirotecnico, performance acrobatiche e incastri multipli alla tetris (per 48 ore filate, off course).

Oppure si trincererà dietro un silenzio misterioso e carico di signorile dignità. Dimenticando, come molti altri, che la dignità è solo un grande mantello con cui si possono coprire molte cose.


Nadja Jacur

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