Silvano Superstar (Lui)




Milano, ah, Milano…
Io la amo, Milano. È piena di vita, di opportunità, di lavoro, eccetera. Una vera città europea e multietnica.
L’unica in Italia, giacché il resto del paese è solo un susseguirsi di insediamenti secondari: borghi cresciutelli e nulla più. Roma, per esempio, è incasinata e pigra. Bologna è sporca e comunista. Venezia è decadente e sommersa. E così via, eccetera, eccetera.
Provincia, solo provincia. Niente a che vedere con Milano, la mia città, che può rivaleggiare con Londra e Parigi, forse anche con New York, diciamo.

Cioè, dove sono nato? A dir la verità nel varesotto, mi son trasferito a Milano quando frequentavo il Poli (la migliore università del mondo dopo Harvard) e mi ci son trovato subito come un pisello nel suo baccello. Insomma, oggi mi considero a pieno diritto un milanese DOC.
Cioè, se lo fanno i figli dei terroni immigrati, perché non dovrei farlo io?

Ma si parlava d’altro, no?
Dunque, dicevo, venerdì ero a Milano insieme ad una collega.
Com’è?
Una pompinara, ovviamente, ma anche una che mena.
Ah, tu volevi sapere com’è fisicamente?
Stronza. Alta, riccia, creola, occhi verdini e stronza.
E mi tratta malissimo…

Ok, ti dirò la verità: penso di piacerle e ti spiego anche il perché.
Forse tu non sai come sono fatte le donne, ma io si: loro si negano sempre, fanno le preziose, se la tirano abbestia, eccetera. In realtà ti stanno mettendo alla prova: vogliono vedere se sei un maschio adatto all’accoppiamento.
È una cosa naturale, istintiva, tipica di tutte le femmine di mammifero, capisci? L’ho visto su Quark, e cio’ taglia la testa al toro.

In sintesi, lei mi tratta troppo una merda per non esserci sotto qualcosa… un’empatia primordiale, diciamo, un’attrazione interiore e animalesca. Mi segui, vero?

Aspè, mi sono perso, cosa ti stavo dicendo?
Ah, si, raccontavo dell’altro giorno. ‘Scolta qui, perché è veramente intrippante: abbiamo avuto una riunione con dei clienti e si è finito il tutto sulle sette e mezza di sera.
Gran giornata, davvero: ho fatto un figurone e i tipi pendevano letteralmente dalle mie labbra. Persino la collega è rimasta senza parole, ammirata e in soggezione, tanto da sembrare insolitamente arrendevole. Allora mi son detto: << Vai, Silvano, che questa è la volta buona >>.

L’ho beccata mentre ammirava la città by night, comprensibilmente ammaliata. E ci credo: la periferia di Milano ha un colpo d’occhio mica cazzi.
<< Nadja >> la chiamo << andiamo giù? >> e le strizzo l’occhiolino.
Lei mi guarda un po’ rapita, senza mettermi del tutto a fuoco. Non dice nulla e non mi invita nemmeno ad andarci con mio fratello, come fa di solito. Carpe diem, penso. Oggi o mai più.

Entrando in ascensore le cedo il passo, cavallerescamente diciamo, e nel superarmi lei mi smolla un grosso plico di documenti << Tié, Silvano, fai il maschietto e portali tu >>
Cioè, dico… tu una frase del genere come la interpreti?
“Fai il maschietto”, ha detto. Non “uomo”, proprio “maschio”.
È più sessuale, più riproduttivo… si, lo so che magari era soprappensiero. Meglio: vuol dire che il suo inconscio ormai ha ceduto e vede in me un maschio. M-A-S-C-H-I-O, capito? Non una specie collega asessuato. Và che è un passo avanti mica da ridere, eh?
A naso, ancora due giratine e la bistecchina l’è cotta., eh? Eh? Ma chi sono?
Non lo so nemmeno io, ma non posso farci nulla: piaccio.

Comunque, capirai bene che la testa mi frullava come un vecchio Pentium: emozione, emozione, emozione.
In ascensore avrei potuto metterle una mano sulla spalla, magari guardarla un po’ così… di sbieco, eh? Eh? He-HE? Ci siam capiti, no? Poi, da cosa nasce cosa... (occhiolino maliardo).

Insomma, si stavano per chiudere le porte quando un coglione interrompe il fascio della fotocellula con una cartellina. Alzo gli occhi di scatto per inquadrare l’inopportuno bastardo figlio di una cagna rognosa e chi mi trovo davanti? Chi, dai chi? Non lo sai, vero? Te lo dico io: mi trovo davanti non una, ma ben due bionde.
Oddio, una biondo-grigio o come cazzo si dice, l’altra proprio biondo-gialla, come una danese. Naturale, insomma. << Buona sera signorine, a che piano andate? >>

Le due sguattere ammiccano, logicamente sorprese dalla mia cortesia vittoriana.
Poi squadrano Nadja, la quale fa quella faccetta da Monnalisa che gliela spaccherei volentieri a sprangate. Cioè, le bionde valutano se sono impegnato o meno, va da se.
<< A quest’ora, per forza al piano terra >> sbotta una delle due, con gli occhioni sbarrati da eroina dei Manga e da troia.
<< Perfetto, è dove dobbiamo andare noi >>, specifico con signorile distacco e tirandomela un po’.

La collega mi guarda strano… vuoi vedere che anche lei aveva certe idee su questa gita in ascensore?
Vabbè, amen: “l’amour c’est comme une guerre et à la guerre comme à la guerre” è il mio motto. Perciò sono sempre pronto a combattere su più fronti, nonostante gli insegnamenti della storia: so’ impavido. Come Braveheart.

Durante la discesa decido di ingannare il tempo classificando le tipe: le mappo con uno screening definitivo, modello tomografia assiale piedi-testa-piedi. Doppia passata per ciascuna, “la prima lama alza il pelo, la seconda lo taglia”, come dico sempre io.
So farlo in modo assolutamente discreto, muovendo gli occhi e lasciando ferma la testa. È un talento naturale, diciamo. E nessuna si è mai accorta di nulla.

Una delle due è graziosa: belle poppe, chiappette un po’ larghe, pelle di pesca e caviglie snelle (anche se ha gli stivali scamosciati, certe cose – con un minimo di pratica – si intuiscono). L’altra è figa.
Molto figa.
Senza dubbio due segretarie… cioè, sottoculturate servette a cui dire “fai questo, fai quello”.
Quando saro’ un megadirigente ne avrò una anch’io, di segretaria. E avrò anche un’audi, anzi no, una porche. Essì, saran bei tempi.
La voglio bionda-gialla naturale (la segretaria, non la porche), la farò lavorare talmente tanto che l’ufficio rivivrà i fasti dell’industria cotoniera e nei tempi morti la costringerò allacciare i cavi di rete.

Il pensiero di una sottoposta che traffica sotto la mia scrivania, com’è ovvio, mi stimola e allo stesso tempo porta la mia mente un attimino alla deriva. Sto proprio valutando se sia il caso di cambiare la scheda video al PC, quando sento come uno scossone.
BONG.
Al che tutto si spegne e noi ci fermiamo.
<< Niente paura >> esordisco << è un guasto tecnico >>.
<< Ma non mi dire >> fa la collega.
Stronza dentro. E frigida, sicuramente, che te lo dico a fare?

Buio pesto.
<< Oddio >> squilla acuta una voce di donna.
Femmina: fa tanto la dura, ma poi cede.
<< Non ti preoccupare, Nad >> intervengo << è solo questione di un minuto >>
<< Guarda che non ho fiatato, scemo >>.
OK, era una delle giumente bionde e non l’iceberg in gonnella.

In quell’istante ho come una folgorazione: la mia collega è mora e riccia, queste due son bionde e lisciotte… cioè, m’hai già capito, no? La, soli, al buio, io unico maschio con tre donne spaventate… se me la gioco bene faccio il Ringo boy: una bianca ed una mulatta, una da una parte una dall’altra, non modo sed etiam, con le mani e coi piedi, mèn dé. Cioè, figata, no?

Già mi immagino i pompieri che irrompono premurosi e ci trovano tutti nudi. Io seduto per terra. La bionda-grigia che mi fa da schienale di carne e con le mani mi sgratta la pancia. La collega e la biondo-gialla avvinghiate ognuna ad una mia gamba. Strette e tremanti, che mi sbaciucchiano riconoscenti le maniglie dell’amore, mentre io le gestisco entrambe con un medio nel culo e le faccio mugolare come un organista.
Poteva capitare, no?
Diciamo.

Nel buio fottuto ed claustrofobico, ad un tratto sento dei rumori non immediatamente identificabili.
Strizza?
Mannò, figurati, tu non mi conosci. Io godo di un autocontrollo britannico che nemmeno il Principe Carlo. Inoltre, da scout ho imparato che nelle situazioni disperate aiuta un sacco restare immobili e fare respironi profondi. Funziona anche con le colleghe scorbutiche e con le bestie feroci: stessa metodica.

E poi, penso, se mi mettessi a gridare qui scoppierebbe il putiferio. Vedendomi cedere le donne piomberebbero in preda all’isteria più incontrollabile. Magari una inizia a piangere sconsolata. Un’altra picchia le pareti col tacco di una scarpa, angosciata come un topo in trappola. La terza, resta immobile e catatonica, vittima del più classico shock da trincea.
No, è mio preciso dovere morale mantenere la calma, anche perché l’agitazione collettiva potrebbe sollecitare eccessivamente i cavi di traino. Magari si spezzano e moriamo tutti. Tutti! Pure io!
Può succedere, no?
Per evitare la strage mi vedrei costretto a calmare le invasate a suon di smatafloni… poi finisce che si risentono e non me la danno più. Meglio concentrarsi sulla respirazione, allora. Più astuto.

Poco dopo, per fortuna, si accende di scatto la luce di emergenza. Una luce rosso-arancione, come quelle dei ristoranti cinesi o delle case d’appuntamento.
E a quel punto…
Tieniti forte eh…

A quel punto vedo la biondo-grigia e l’altra bionda abbracciate. Ma strette!
Nadja, invece è accanto a me, spalle alla parete. Libera e disponibile.
Mi è venuto duro.
Allora spalanco un po’ le braccia, come per invitarla a farsi confortare.
<< Silvano, vuoi morire? >> mi fa.
Dio, che incredibile stronza… ma crede di avercela solo lei? E pensare che volevo solo essere gentile.
Vedi anche tu com’è bastarda, no? Ma che te lo chiedo a fare.

Le due bionde si staccano di botto, come se si fossero scottate.
<< È solo per via del fatto che… >> fa quella solo graziosa << Si, insomma, un momento di incertezza… non c’è nulla da… >>
<< Capisco >> commenta la mia collega.
<< Io pure >> intervengo. Così, tanto per dire qualcosa, altrimenti mi sento tagliato fuori.

Subito dopo il clima si fa stranamente silenzioso, quasi teso… per un guasto tecnico mi pare eccessivo, ma hai presente com’è certa gente, no? Impressionabile.
Così, probabilmente stimolato dalla quiete, mi viene un’ideona: estraggo il videofonino e chiamo Gianni, sai quel ex compagno di università? Si, si, ingegnere anche lui, fa… boh, non ricordo, sviluppa software mi pare.

Gianni risponde immediatamente. Gli faccio presente la drammaticità della situazione e gli chiedo di localizzare sul web l’edificio, rintracciare il civico, matchare il risultato con il database telecom (hackerato), chiamare la portineria e risalire al numero della sicurezza onde rivelare la nostra situazione di impasse, bloccati tra… il terzo e quarto piano.
Sto giusto per riagganciare quando la biondo-bionda preme il pulsante d’allarme. Stesso risultato, per carità, ma metodica semplicistica ed assolutamente inelegante, che te lo dico a fare.

<< Prova. /Prova. /Prova sicurezza.
Il blackout di poco fa ha danneggiato la centralina elettrica dell’ascensore due.
Non vi preoccupate.
I tecnici della manutenzione sono stati allertati.
Ripeto, abbiate pazienza e non preoccupatevi >>.

Vabbè – ho pensato – non ci resta che aspettare.
Nadja se ne sta in un angolo e guarda il soffitto (è evidente che ha i nervi a pezzi, povera) e le due bionde restano vicine vicine, come due pulcini. E bisbigliano e si tengono per mano. Tenere.

Che situazione, eh? Già, che te lo dico a fare.
<< Ma vi rendete conto >> faccio all’improvviso << che li fuori staranno tutti parlando di noi? >>
Silenzio.
<< Maddai, è come se fossimo sull’isola dei famosi: io sono DJ Francesco e voi siete le squinzie, figo no? >>
Le bionde sorridono “Se fai ridere la donna, sei già sotto la sua gonna” dico sempre io. E mi è bastata una frase sola. Roba da non credere, vero? A volte mi stupisco da solo.

<< Silvano >> È Nadja la prima a parlare.
<< Si? >>
<< Risparmiaci >>
<< Sto solo cercando di rompere il ghiaccio! >>, insensibile, frigida, puttana.
<< Silvano, qui l’unico ghiaccio è quello che hai nella testa: cercati uno spigolo e prendilo a zuccate >>.

Per me è gelosa. Non c’è altra spiegazione: invidiosa del mio successo e gelosa. Mi avvicino un po’ a lei e – sottovoce – la tranquillizzo << Eddai, dopo stasera non le vedrò più >> (Trad: sono sempre tutto per te, se mi vuoi) << Fammi sfoggiare ancora un po’, reggimi il gioco >>
E così la coinvolgo. Ma vieni! “Figaro qua, figaro la, firuli-firulà, firuli-firulà”.

Nadja alza gli occhi al cielo, ma rimane muta… come sempre dovrebbero stare le donne (soprattutto lei) quando non si fanno bombare, dico bene?
E anche il quel caso non occorre che pronuncino frasi intelleggibili: bastano gorgheggi, gridolini o vocalizzi oranti…

Ok, è una battuta, si. Mi vengono così, spontanee. “Nature”. Non ci penso nemmeno e la mia mente produce a spizzico magnifico. È una cosa di famiglia: il babbo era uguale.
Le due bionde, infatti, ridacchiano tra loro. Ad un tratto quella veramente bionda chiede << Ma tu, ci sei mai stato con tre donne su un’isola deserta? >> e nel dire questa frase si appoggia con la schiena alla parete, inclina la testa in modo da dardeggiare uno sguardo troiesco che al confronto Messalina doveva sembrare l’ape Maja. Da non dormirci la notte, giuro!

<< Come no! In Sardegna ci siamo appartati su uno scoglio e c’era anche lei >> rendo partecipe Nadja che altrimenti si sente sola e allo stesso tempo faccio la figura del fico. Ma chi sono? Chi? Non lo so, ma Karpov al confronto era un pivello.
<< Silvano, quando usciremo di qui saremo soli. Regolati. >>
Majala. Lo vedi che avevo ragione? Mi anela.

<< Su uno scoglio spoglio e deserto, che esperienza conturbante! Una cosa a metà tra il primitivismo selvaggio e l’esclusivismo proletario! >> esclama la biondo-striata, strusciandosi appena sull’amica. Una mano aperta sul ventre piatto e l’altra vicino alla bocca, l’indice teso e mordicchiato a fior di labbra. Dio, che pulsione suina… avrei voluto grugnire.

<< E le hai castigate tutte e tre? >>
<< Eh, modestamente… ma che te lo dico a fare >>
<< Ma allora sei uno stallone! >>
<< Cioè, ragazze, questo corpo è una macchina: mi chiamano “Furia cavallo del west”, mi faccio in quattro come l’A-team e sono più fantasioso di MacGyver, diciamo >>
<< Se ne sono già accorte, Silvy >> mormora Nadja con una vocina sommessa e pacata, che ricorda tanto quella della mamma. Santa donna. La mamma, ovviamente, non quella bastarda.

<< Racconta, racconta >> incalza quella più carina (evidentemente anche la più perversa e vogliosa) << le hai fatte godere tutte quante? >>
<< Pazzamente >>
<< A te >> rivolgendosi a Nadja << quante volte ti ha presa >>
<< Una sola, ma è stato indimenticabile.
Era in preda a trasposizione mitologica (una patologia insolita, che sta a metà tra l’allucinazione mistica e l’epilessia). Mi chiamava Andromeda, mi ha legata ad uno scoglio con grosse catene e mi ha presa da dietro gridando “Chi sono? Sono Poseidone e questo è il mio tridente, ma che te lo dico a fare!”. Ad ogni colpo io dovevo ululare come la tramontana, mentre le altre due prescelte fluttuavano come nereidi e mormoravano “Wosh-wosh”, simulando la risacca e le onde del mare.
Un’esperienza indescrivibile, davvero: pensate che quando ha raggiunto l’orgasmo si è svuotato tutto come il vaso di Pandora, ha zampillato copioso tra i flutti e la spuma del mare ha raddoppiato in volume. Tutti i pesci sono venuti a galla e si mormora che per una settimana le acque attorno allo scoglio siano state smodatamente ricche di prede. >>

Non ci ho capito un cazzo, ma Nad è sempre stata brava con le parole… è l’accento un po’ aspro che la frega. Un po’ aspirato, straniero. Ma le altre due son rimaste abbacinate, davvero
È l’attimo perfetto. Carpe diem.
Banzaaaaai!

Mi tuffo tra le vichinghe, cingo loro la vita e contemporaneamente, imitando la voce calda di Robert Redford, sussurro << Si cena insieme stasera? >>
Si vede ad occhio che non stanno nella pelle: la biondo-grigia mi accarezza la nuca e miagola << Maschio >>, mentre l’altra mi pizzica il culo e cinguetta << Chiappone >>. È un trionfo.

Proprio in quel momento si sentono dei rumori e in un baleno la porta si apre cigolando.
Merda, sono arrivati i soccorsi e quei vigliacchi mi rubano la scena.

L’ascensore si è bloccato tra il terzo e il quarto piano, cosicché per uscire bisogna fare un bel saltino.
<< Ué, signo’! Si vulite ve pozz’ ra ‘na mano >> tuona una specie di uomo-caprone ipertricotico, con ogni evidenza il nostro salvatore.

Balzo giù leggiadro (Sergej Bubka, non sei nessuno) e non lo degno nemmeno di uno sguardo: le femmine sono mie. Mie! Tutte mie! Tendo le braccia.
<< Scansati >> questa è Nadja.
Abbasso le braccia.
<< Ho la gonna, idiota. Togliti di li. Su. Raus. Stoj. >>
Faccio un passo indietro e quella scendendo mi zappa un callo.
<< Ahi! >>
<< Scusa. Ti sei scansato troppo poco >>, lurida, ingrata, insensibile, sadica.

Tendo ancora le braccia, ma la biondo-bionda mi preferisce l’uomo-ovino.
Abbasso le braccia.
Le ritendo … ma anche l’altra preferisce il peloso terrone.
Resto con le braccia così, come Mosè davanti al Mar Rosso e non so perché, ma mi viene voglia di strappare un estintore dalla parete e di sfondargli il cranio, a quel tipo. È solo un attimo, però. Poi razionalizzo: potrebbe non funzionare e quello è grosso grosso.

Intanto la biondo-bionda si riassetta la gonna, che nella calata dall’ascensore le è salita ad un’altezza vertiginosa.
Io deglutisco. Deglutisco e basta. Un gentleman.
Il vesuviopiteco la spazzola con manate premurose. Ladro.
Lei non sembra dispiaciuta. Troia.
Voglio gridare “Perché con lui e non con me?”, ma sono un uomo ed uno stratega, perciò, con voce calma e misurata, le propongo << Allora, stasera si fa una cenetta a tre, eh? Eh? He-he? >>

<< Ma certo! >> fa la bionda naturale << Che te lo dico a fare? >>
<< Alle 21.30 da Romualdo, ok? >> mormora l’amica passandosi sulle labbra un dito allusivo.
Sono mie.
<< Ubi maior minor cessat >> faccio notare al vile meccanico. Tié, incolta mezzacalzetta.
Lui risponde qualcosa di incomprensibile nella sua lingua da baluba. Nemmeno gli bado. Proletario.

<< Vieni anche tu, Nadja? >>
<< A volte stento a credere che tu esista veramente, Silvano >>, risponde lei enigmatica. Non ho capito cosa intendesse, ma era senza dubbio un complimento e mi ha fatto sentire molto James Bond.

Cosa? Com’è andata la serata?
Eh… Beh… Si, io all’appuntamento ci sono andato, ma… cioè…
Insomma, un vero signore gode e tace, come non mi stancherò mai di ripetere.
Ma tu lo sai gia, perciò che te lo dico a fare?


Nadja Jacur

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