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Chani, femme fatale e ragazza acqua e sapone, oca svampita e sottile stratega.
Chani, nuotatrice iridata, scacchista apprezzata, assassina spietata.
Chani.
Chani, naturalmente, non era il suo vero nome, ma solo un suono, breve, mnemonico, schioccante come una frustata (attrezzo che, detto per inciso, lei maneggiava con maestria circense, regalando esplosioni di piacere o di dolore, a seconda delle perversioni personali).
Chani. I suoi amichetti d’infanzia la chiamavano così.
Per quale motivo? Da dove e da cosa, era nato il nomignolo?
La ragazza l’aveva dimenticato. Semplicemente, nel corso degli anni, aveva finito per abituarsi a rispondere a quel suono secco e dolce, costruendovi attorno tanto le proprie fortune quanto le proprie disgrazie.
Pian piano il soprannome aveva così acquistato un identità propria, artificiale, e col passare del tempo questa creatura artefatta, questo mister Hyde, aveva acquistato forza e consistenza, relegando in un secondo piano l’identità originaria e condannandola a sbiadire inesorabilmente, come i colori di un murale di periferia.
Aveva trent’anni, Chani.
Trentuno, per l’esattezza, ma la pelle di seta bruna, le forme toniche, il viso innocente e il fare sbarazzino suggerivano un’età che, ad essere crudeli, non superara le venticinque primavere.
Ad un primo sguardo poteva sembrare indiana o forse zingara. Araba? Spagnola? No, spagnola no. Forse turca. O greca… no, nemmeno greca.
In realtà i suoi cromosomi erano talmente cosmopoliti da risultare una sorta d’ode trionfale all’igiene genetica: un nonno francese e una nonna greca, e poi italiani, austriaci, croati e perfino un sudamericano avevano mescolato promiscuamente i loro geni per produrre quell’indefinibie, bastardo, irresistibile ibrido umano che avrebbe risposto al nome di Chani.
Nata in Italia da genitori di religione ebraica, Chani s’era trasferita giovanissima in Israele, dov’era cresciuta ed aveva vissuto in modo molto ordinario fino all’età di vent’anni.
Parlava tre lingue senza accento: ebraico, italiano ed inglese, ma comprendeva anche francese ed arabo. Intuiva il senso di alcune conversazioni elementari in tedesco ed aveva tentato, con scarso successo, di studiare il russo. L’yiddish… ecco l’yiddish, unica tra le lingue, l’indisponeva in modo irrazionale.
Un giorno spiegò che le ricordava troppo i vicini di Benai Berak, in Israele: una famiglia strettamente osservante d’origine ungherese composta da padre, madre e quindici figli o giù di li.
Erano le uniche persone – a sentir lei – con le quali non fosse mai riuscita ad andare d’accordo, tutti quanti. E si che da giovane, prima dell’incidente, Chani era una ragazza assolutamente affabile, sollecita, quasi servizievole nei confronti del prossimo, anche degli sconosciuti.
L’incidente, già, l’incidente.
A volte, nella vita di un essere umano (ma anche in quella di un cane, di una bestia, se mi si concede una piccola blasfemia) un evento inatteso spezza ogni equilibrio.
Lo spirito della creatura, allora, si stacca dal mondo, trasumana, come direbbe Dante, e la creatura stessa per difendersi, per contenere una gioia eccessiva o per non farsi schiacciare da un dolore insopportabile, scinde l’ anima dal corpo. Trasferisce la prima in un limbo interiore, una specie di rifugio nel quale lo spirito s’espande, si corazza, muta pelle come un rettile nel tentativo di adattarsi e metabolizzare la nuova realtà. Poi, a tempo debito, ricongiunge le due essenze, restituendo concretezza all’anima e al corpo la sua quarta dimensione.
Bene. Fin qui tutto bene.
Il problema sorge dal fatto che, nel mondo di Dio come in quello di Freud, non sempre le cose vanno per il verso giusto. Così, a volte, le anime ferite scelgono di restarsene nel limbo e condannano il corpo ad una vita mutilata: ecco dunque quelle creature inebetite, allo sbando, a cavallo tra il regno animale e quello vegetale. Scioccati, li chiamano. Traumatizzati. In realtà hanno solamente perso una metà di se stessi.
Altre volte, invece, capita qualcosa di peggiore. L’anima non trova la forza di far fronte agli eventi, forse non riesce a fuggire nel limbo o forse non vuole farlo. Allora, s’indurisce e si ricopre di spine, si dilania, si tortura e lentamente muore.
Questo. Precisamente questo era successo a Chani dopo l’incidente.
L’incidente, già, l’incidente.
Più di dieci anni erano passati da quel giorno d’agosto.
Una mattina tersa, calda che presagiva un pomeriggio soffocante tra le inospitali alture del Golan.
Nel silenzio, un boato sordo, improvviso.
Tra le pietre sterili d’una sassaia, un pugno di soldati, uomini e donne, uniti in gruppo.
Un ragazzo è a terra, agonizza. È giovane, splendido come un dio assiro.
La compagna al suo fianco è piegata in due dal dolore, singhiozza piano, l’accarezza, lo bacia e piange in silenzio, piange sul suo corpo e sul suo viso, e attraverso gli occhi parte della sua anima vola via, cadendo sul volto dell’amato e versando lacrime impossibili.
Chani morì quel giorno e quel giorno rinacque.
Niente emozioni, niente passioni, niente necessità o desideri: straordinariamente bella e interiormente spoglia. Arida come un sole nero.
Poco dopo Chani lasciò il paese per trasferirsi in Europa. Studiò svogliatamente, posò come modella, lavorò… sopravvisse, insomma, e lo fece in mille modi, senza sentirne il peso.
Commise il primo omicidio quasi per caso: un mammasantissima a cui piacevano i giochetti estremi e che aveva pagato per il privilegio della sua compagnia, finì accidentalmente strangolato da un reggicalze di seta color verde mela.
La ragazza comprese immediatamente che, se non avesse eliminato anche le tre guardie del corpo, la sua vita avrebbe avuto un rapido epilogo.
Confezionò quindi una bomba artigianale utilizzando mezzo litro di Jack Daniel’s, del comune detersivo, farina da cuscus e il forno a microonde come detonatore.
L’esplosione che seguì fece crollare l’intera ala di un immobile seppellendo tra le macerie ben nove persone tra cui due dei pericolosi gorilla. Il terzo energumeno, invece, scampato all’ecatombe ma comprensibilmente disorientato, fu sorpreso da Chani pochi istanti dopo la catastrofe e liquidato sul posto: le fontanelle riaperte con un ferro da calza.
L’impresa, per efficienza, fantasia e rapidità d’esecuzione fu molto commentata tra gli specialisti del settore e ben presto Chani scoprì d’essere richiesta ed ammirata anche per doti diverse da quelle estetiche o carnali.
Per la giovane fu come una folgorazione: quasi disinteressata a vivere o morire, amorale e priva d’ambizioni, inaspettatamente trovò nell’arte d’uccidere un nuovo scopo. E vi si aggrappò con disperata passione.
Negli anni successivi Chani diventò sempre più brava, perfezionando tecniche e conoscenze: seguì corsi specialistici tenuti da mafia cinese e narcos colombiani. Apprese l’uso del pugnale doppio in Malesia, in Bosnia Erzegovina imparò a padroneggiare l’arte del tiro rapido a piccoli bersagli in movimento. Frequentò un master in sevizie presso il miglior collegio paragovernativo cileno ed a soli ventisei anni entrò definitivamente nella leggenda guadagnandosi sul campo l’Escobar Cross, la più ambita onorificenza del cartello di Medellin.
<< Salve >> esorì la dea dell’amore << Io sono Chani, chi di voi due è Manuel? Chi è the Driller? >>
<< The Driller? Il trivellatore? >> le fece eco Manuel, un po’ sorpreso.
<< Hum… >> tossì l’ingegnere a disagio << È il nick che uso nelle chat lines >>
<< OK, il fusto è Manuel, lo sgorbio the Driller. Tutto chiaro. Questa catapecchia è il covo operativo? >>
Calma, calma, calma… il conte di Carimacon aveva come l’impressione che la cosa gli stesse sfuggendo di mano.
<< Signorina, non per mancarle di rispetto, ma cerchi di capire noi… o almeno io, mi aspettavo una persona leggermente diversa, ecco >>
<< Non ti piace il mio aspetto, damerino? >> la voce sottile, delicata, un po’ di musica e un po’ di veleno.
<< No, no, per carità! >> occristo che casino << Forse siamo partiti col piede sbagliato, proviamo a rifare tutto da capo. Signorina, permetta >> Manuel, che si era prontamente alzato dalla poltrona sfondata, accennò ad un cortese baciamano << Manuel Ibanez y Ruiz de Alliende, Conte de Carimacon e Margravio delle piccole Indie, per servirla. Quel galantuomo laggiù, invece, è mister Italo… Italo… >>
<< Greco >> concluse l’interessato.
<< Italo Greco? >> il tono era incredulo, il sorriso a stento controllato.
<< È un cognome molto comune >>
<< Bene allora, immagino che lei sia Chani… >>
<< Per l’appunto >>
<< Encantado, Mrs Chani…? >>
<< Chani e basta >>
<< Benissimo. La prego di scusare la mia mancanza di tatto: sono nuovo del mestiere ed alcune consuetudini ancora mi sfuggono >>
<< Nessun problema, ma vediamo di fare il punto della situazione. Chi di voi due èil planner? >>
Il planner? Ma come diamine si esprime ‘sta ragazza?
<< Signorina, sono desolato ma… >>
<< Sono io >> intervenne il Troncato.
<< Quindi tu sei the plant >> concluse Chani indicando Manuel col mento, un triviale gesto da vasciarola che compiuto da lei acquisiva la grazia d’una carezza di farfalla.
The plant? Che accidenti vuol dire plant in inglese?
Aspetta, aspetta… non è per caso quel piccolo roditore cieco dal pelo scuro, morbido e setoso: un topo, una toupeira, una talpa!
Obbella, e perché lui, il conte di Carimacon dovrebbe essere un sorcio?
<< Se questi attributi l’aiutano ad inquadrare, signorina… >>
<< È per capire: il sono il solver, lui è il planner e tu sei the plant. Semplice. >>
Sempre più oscuro.
<< Le sembrerà assurdo, ma questa sintassi mi disorienta >>
<< Ok, chico, ti spiego: dobbiamo eliminare un pezzo grosso. Non si sa chi e non si sa come, perché le specifiche ci verranno consegnate fra due mesi circa, in concomitanza con l’apertura della mostra del cinema.
Potrebbe essere chiunque, da un divo di Hollywood come Gorge Clooney ad un magnate della finanza come Soros, da un inutile coglione come un ministro italiano ad un premier come Tony Blair. Il target, alla fin fine, è il problema minore >>
Clooney? Blair?
Gin, gin, gin… dove aveva messo la bottiglia di riserva?
<< Prego, signorina, continui… cerco qualcosa che mi permetta di fare gli onori di casa senza troppo sfigurare, ma lei continui: sono letteralmente rapito dalle sue parole, mi creda >> intonò Manuel col suo accento spagnolo, rombante e passionale.
Dove cazzo aveva sbattuto quella dannata, strafottuta bottiglia di gin?
Manuel scoprì con un certo disappunto che si stava lasciando andare ad espressioni mentali da portuale.
Controllò il respiro e riformulò: dove accidenti poteva aver riposto la seconda bottiglia di gin?
<< Mi hanno offerto un contratto da dodici milioni di euro >> continuò la ragazza << ed io ho accettato >>
Dodici, ma non aveva detto dieci, il Troncato?
Non solo, aveva detto anche che il contratto era stato proposto a lui, che lui aveva contattato Chani, che lui aveva organizzato tutto e che lui… ah, piccolo, lurido bastardo!
Riformulare… no, riformulare, un cazzo: era un piccolo, lurido bastardo!
<< Ora, ragazzi, io sono il solver, il risolutore. >> proseguì Chani << Io ammazzo, in altre parole. Ma uccidere un target di quel livello non è cosa facile: mi servono almeno due spalle ed è qui che entrate in gioco voi.
Mi serve un planner: un pianificatore, un investigatore, come quelli della polizia. E mi serve una talpa, un infiltrato, un camaleonte che avvicini la preda, la contatti, ci familiarizzi… tu, Manuel >>
Il conte di Carimacon degluttì istintivamente, ma la saliva scese giù lenta raschiando la gola come carta vetrata. “Firmeza y honor”, siempre. Mantenere il controllo.
Per mantenere anche la postura eretta, Manuel si appoggiò al vecchio termosifone anni ’20, unico esemplare dell’intero appartamento. Con le punta delle dita sfiorò un oggetto rigido, non metallico, ignoto e bloccato tra due elementi dell’attrezzo: il tappo d’una bottiglia! Quella di riserva!
Oh, si Dio esiste. Grazie Signore, grazie!
<< Gin, mademoiselle? >> trillò trionfante, estraendo il contenitore come per magia.
Chani, sollevò sorpresa un sopracciglio e, se possibile, per un istante riuscì ad essere ancora più bella. << No, grazie >>
<< Mister Greco? >>
<< No, nemmeno io >>
<< Alla vostra, allora >> Manuel si versò una porzione generosa di liquore. Ne aspirò lentamente l’aroma, storse il naso schifato, quindi s’affacciò al balcone e rovesciò l’intero contenuto nella ciotola del gatto del vicino.
<< Chiedo venia >> spiegò il giovane << ma è un gin scadente e degustarlo è più insulto al palato che un piacere. Perciò mi accontento di riempire il calice, una gestualità che mi riporta a giorni migliori >>
<< Bene >> continuò Manuel che, dopo aver espletato quella piccola ma catartica ritualità, sentiva d’aver ripreso anche controllo della situazione << Bene, signorina Chani, mi par di capire che abbiamo molto tempo, mesi addirittura, per… come si dice? Familiarizzare con l’ambiente? Con le possibili prede? >>
<< Soprattutto tra di noi >> sottolineò la ragazza << Come prima cosa dobbiamo imparare ad essere una squadra e come seconda abbiamo bisogno di un punto di riferimento logistico, quella che in gergo viene detta base operativa >>
<< I miei alloggi? >> gemette Manuel.
<< Già. Da oggi fino alla soluzione del contratto noi tre vivremo insieme, quindi cercate di provvedere alle necessità essenziali. Io ho bisogno solo di un letto ed un armadio, ma il planner dovrà trasferirsi qui con tutte le sua cianfrusaglie: computer, radio ad onde corte e compagnia cantante >>.
Manuel ebbe quasi un capogiro: il suo piccolo mondo, modesto e sobrio, sarebbe diventato un ostello con retrobottega annesso.
Calma, si disse il giovane, cerchiamo di fare il punto della situazione.
Ora o mai più.
Dunque, lui stava vivendo uno dei momenti più umilianti della propria vita e per porvi termine era assolutamente disposto a tutto: aveva persino accettato di dare lezioni di flamenco, praticamente era ad un passo dalla prostituzione.
In questo clima si inseriva l’offerta del Troncato: prender parte all’omicidio di un vip, divo o capo di stato che fosse.
Milioni di euro.
Dieci. No, dodici milioni di euro, che diviso tre fa quattro a testa.
Quattro splendidi, nobili, profumati milioni di euro. La fine di un incubo.
Ok, era disposto a tutto, no?
Certo, quindi ogni scrupolo morale era già stato eliminato. Restava la paura. Il timore che qualcosa andasse storto, che lui o uno dei suoi complici non fosse all’altezza del proprio compito.
Ecco, i complici, forse era quello il punto cruciale.
Di fronte a se aveva un figuro spregevole, rozzo, monco e per di più ingegnere. Poco più in la, invece, svettavano le forme provocanti di quell’amazzone creola che tutto pareva fuorché un killer.
E se fosse stata solo una mitomane?
Suvvia, va bene che a volte l’aspetto inganna, ma quella tipa sembrava nata apposta per conferire un tocco esotico alle lenzuola di un letto a baldacchino, altro che assassina!
Eppure, alla fine tutto gravava su di lei.
<< Signorina >> esordì Manuel, riesumando chissà come l’autorevole piglio d’un Grande di Spagna << Signorina, qui la posta in gioco è alta. Ora, io non vorrei mancarle di rispetto, ma mister Greco mi ha dato prova delle sue singolari capacità, mentre lei… si, insomma, alla fine sarà lei a compiere materialmente l’omicidio, vero? >>
<< Vero >>
<< Ecco, signorina, benché io non dubiti delle sue eccellenti referenze, come dire… tentenno (può capitare anche ai sovrani) e gradirei avere rassicurazioni. Mi basterebbe una prova diretta anche simbolica, qualcosa di più tangibile, non so se mi spiego >>.
<< Stronco il nano? >> voce piatta, nessuna espressione.
Italo sbiancò di colpo.
<< Naturalmente sto scherzando >> continuò Chani << comunque, se voi due avete bisogno di una prova, ve la darò. Tu, damerino, scegli una città >>
<< Una città? Che tipo di città? >>
<< Una città qualunque. Grande. Europea >>
<< Londra >> disse Manuel molto confuso.
Londra: il primo centro urbano che gli fosse venuto in mente.
Che c’entra Londra, adesso? Mi prende per il culo?
<< E Londra, sia. Domattina partirò per la capitale britannica. Starò li tre giorni, il quarto sarò di ritorno e voi avrete la vostra prova. Per allora, però, il monco si deve essere già trasferito qui, dovranno esserci tre letti, tre armadi, una lavatrice, scorte di cibo e detersivi. Tutto chiaro? >>
Nessun commento. Silenzio assenso.
Andrà a fare shopping da Harrod’s, scommise Manuel.
Dei principianti.
Dei dannatissimi principianti, si ripeté Chani.
Forse no, non completamente: lo sgorbio non sembrava del tutto a digiuno dei principi dell’arte.
Poi era un informatico, e gli istinti omicidi degli informatici son cosa risaputa. Come quelli dei maggiordomi.
Il damerino, invece, sembrava implume.
Bastava una prima occhiata: scarpe lucide, sciccose, eleganti ma troppo rigide.
E poi camicia griffata e sempre stiratissima, pantaloni da sartoria, calzini in tinta col foulard e ogni cosa perfetta, studiata, dai movimenti ai gesti, sembrava quasi… magari era solo finocchio!
Beh, sarebbe stato un sollievo: meglio frocio che inetto, gli inetti ti fanno uccidere.
La ragazza studiò il giovane conte di Carimacon alla ricerca di conferme per la sua ipotesi. L’osservò mentre discuteva col piccolo ingegnere e s’infiammava per qualche dettaglio relativo all’imminente trasloco.
Senza avvedersene usava un vocabolario ricercato, quasi desueto, ma aveva anche uno splendido accento, molto passionale. Ed era carino. No, non carino, proprio bello, con un fisico praticamente perfetto tanto che avrebbe potuto fare l’indossatore.
Una bellezza ispanica, quel moro mediterraneo che coniuga tratti europei ed arabi. Poteva quasi somigliare a…
No, nessuno gli assomigliava.
Nessuno avrebbe mai potuto assomigliargli.
Chani portò istintivamente una mano al collo, sfiorò un pendente, una piccola mano di Fatima con incastonato un minuscolo turchese. L’unico monile da cui non si separasse mai.
Al diavolo, così si perdeva solo tempo.
Meglio chiedere << Manuel, sei gay? >>
<< Prego? >>
<< No >> s’intromise il Troncato << Aveva una fidanzata svedese. Gnocchissima. Una modella di lingerie che l’ha piantato per un calciatore ricco e tarchiato. >>
È etero, peccato.
Manuel avvampò.
La sua privacy, la sua intimità, le sue ferite spiattellate in pubblico. La sua vita ridotta ad una telenovela brasiliana.
Per un breve istante sognò di strappare a quel pettegolo omuncolo anche l’altra mano, di segargli le gambe e lasciarlo così: un tronco umano scalciante riverso sul dorso come un maggiolino.
Provò un eccitazione quasi scimmiesca nel dipingersi l’immagine, poi tornò in se e ne fu turbato. Riuscì solo a mormorare << Per cortesia, un po’ di rispetto per i sentimenti altrui >>.
Amen, meglio non pensarci, decise Chani, meglio affrontare un problema alla volta.
Per ora i ragazzi le avevano chiesto una prova delle sue capacità e a ben guardare, mettendosi nei loro panni, era una richiesta lecita, perciò li avrebbe accontentati… tanto più che poteva servirle per mantenersi in esercizio.
Decise che avrebbe architettato qualcosa di singolare, che li tranquillizzasse e gli permettesse di concentrasi sul lavoro. Decise anche che quella notte si sarebbe trovata una locanda: sentiva il bisogno di una bella doccia fredda e poi di crogiolarsi così, nuda, con la pelle ancora umida sulle lenzuola fresche di bucato. Di addormentarsi con la finestra aperta e la brezza notturna che la sfiorava dolce come un amante fantasma.
Si, ne aveva bisogno. E domattina, di buon ora, sarebbe partita per Londra.
Chani prese con se solo uno zainetto da teen-ager con dentro spazzolino da denti, dentifricio, un po’ di biancheria e un unico cambio di vestiario. Il suo aereo atterrò ad Heathrow poco prima delle undici e, appena sbarcata, la ragazza si mise in cerca di una sistemazione adatta ai suoi scopi.
Solo nel tardo pomeriggio riuscì a trovare una specie di locanda a King’s Court che faceva al caso suo: una cosa a metà tra un hotel e un bed & breakfast tra le cui offerte spiccavano alcune twin.
Le twin sono una particolare perversione tipicamente inglese. Trattasi nella fattispecie di due stanze generalmente matrimoniali, che comunicano tra loro attraverso il bagno e pertanto vengono spacciate per ambienti dotati di toilette.
Ora, se si viaggia con la famiglia, coi figli grandi o con amici molto, ma molto intimi, la cosa non comporta grossi inconvenienti, ma in caso contrario l’essere costretti a condividere l’intimità del proprio cesso con degli sconosciuti viene curiosamente percepita come un’immonda barbarie dalla maggior parte dei turisti continentali (francesi esclusi, loro son abituati a ben di peggio)
<< Due matrimoniali ha detto, signorina? >>
<< Comunicanti. Gradirei avere l’esclusiva della toilette >>
<< Due stanze, quattro letti e un cesso solo per lei? >> il tono del britannico tradiva un pizzico di curiosità. Solo un velo, però, come quello di latte su una tazza di tea.
<< Si, ma dopodomani dovrei ricevere degli ospiti. Ci sono problemi? >>
<< Assolutamente: la nostra è una pensione rispettabile, ma se lei paga può fare ciò che vuole >>
La ragazza prese le chiavi e s’incamminò verso le proprie stanze, poi si fermò di colpo come se si fosse dimenticata qualcosa di importante << Oh, che sbadata, avrei un'altra cortesia da chiederle, posso? >> attese un qualsiasi cenno o grugnito che potesse esser interpretato come un assenso e continuò << Voi avete una cucina, vero? Glielo chiedo perché sto seguendo un corso di gastronomia continentale. Ha presente i manicaretti italiani, le insalate greche, i potages tedeschi? Ecco, se ne avessi l’occasione non mi dispiacerebbe esercitarmi… e, beninteso, sono dispostissima a risarcirla per il disturbo >>
L’albergatore restò perplesso dalla singolare richiesta, ma dopo aver ponderato i pro e i contro decise di accettare. Precisò anzi che non voleva altro denaro, ma s’accontentava del privilegio di godere delle creazioni culinarie elaborate dal genio della sua ospite.
Cazzo, ragionò Chani, rogna imprevista. Se accetto ho una rottura di coglioni in più, ma non mi pare d’avere alternative.
La ragazza fece una rapida valutazione e concluse con un’alzata di spalle. Perché no, si disse, non sarà così dura. In fondo è inglese, potrei sempre spacciargli un piatto di fusilli scotti, conditi con pesto e marmellata di lamponi, per una delle più ardite prodezze di Vissani.
Così i due stipularono un accordo e Chani sfruttò il resto della serata per riposarsi e guadagnare energie.
Il mattino successivo la ragazza si svegliò di buon ora, chiamò un taxi e gironzolò per il quartiere facendo acquisti. Comprò tutta una panoplia di oggetti insensati nei negozi più disparati, tra cui un ferramenta, un negozio di articoli per la casa e, naturalmente, un alimentari con gastronomia annessa. Poi trascorse il pomeriggio e buona parte del terzo giorno blindata in hotel, in armonica oscillazione tra le proprie stanze e la cucina.
L’ultimo giorno, a pranzo, quasi avvelenò l’albergatore sottoponendogli una portata di calce cementizia che avrebbe voluto essere pasta alla carbonara, ma quello - che come s’era detto era inglese - ingollò tutto, anche la pancetta fossilizzata da una rosolatura troppo radicale. Lo fece con tranquilla voracità e quella porcheria che avrebbe tramortito un elefante, a lui provocò solo una leggera pesantezza di stomaco.
Dopo il dessert espresse il suo incondizionato apprezzamento alla cuoca << All so llllovely >>.
Verso le 17.00 Chani aveva concluso la fase preliminare del piano, quella che chiamava “i necessari tecnicismi”, ed era pronta per passare all’aspetto più impegnativo.
Indossò una camicia rossa, corta, che si legava sul davanti con un nodo e lasciava scoperto l’ombelico. Una gonna di pelle nera invece, sadicamente turbofasciante, le arrivava un po’ sopra il ginocchio e disegnava una liscia silouette di cuoio, partendo dal punto più stretto della vita per poi scendere verso il basso e calzare come un guanto l’esplosione dorica delle natiche.
La ragazza ancheggiò e provò a camminare, ma la gonna era troppo stretta e le schiacciava le cosce una contro l’altra.
<< Così non và >> mormorò << è come se Monica Bellucci avesse rubato un vestito ad Audrey Hepburn >> Allora agguantò un paio di forbicine da unghie e rimosse parte della cucitura laterale, liberandosi e ottenendo uno spacco che riusciva ad essere intrigante senza scadere nel volgare.
Mancava qualcosa… si, ecco, una piccola treccia al centro della testa e sotto, tutto attorno, una cascata di capelli neri e lucidi come un sogno di una mezzanotte indiana.
Voilà, un bel sorriso… si, sembrava una comune ragazza. Splendida, provocante come non mai, ma con abiti assolutamente ordinari per una città come Londra, abituata a ventenni vestite un pò da mignotte e a regine agghindate coi panni smessi di una perpetua di campagna.
Il tocco finale fu aggiunto da un paio di scarpe col tacco sottile ma non vertiginoso. Nulla di eccessivo, niente zeppe, trampoli o laccetti da schiava: calzature belle, eleganti che slanciano il piede ed esaltano la linea aggraziata della caviglia, nulla più. Mai esagerare.
Trucco?
Per carità, niente trucco. Chani non lo sopportava. Un po’ di mascara, tié, ma non ne aveva neppure bisogno. Sciò a rossetti, smalti, terre colorate e vernici epossidiche. Robaccia per gente che non ha nulla di meglio da fare nella vita o per imbianchini falliti. Diffidare sempre, per inciso, gli imbianchini falliti.
Ecco fatto, una borsetta per portafogli, passaporto e carta di credito, poi via. In caccia.
Blacksun trovò quello che cercava in un MacDonald.
L’obiettivo erano due ragazzi comunissimi, ventenni o giù di li, con maglietta, zainetto, cappello col frontino e tutte le piccole cose di moda che possono avere dei ventenni o giù di li.
Dovevano essere studenti, studenti pachistani. Forse uno dei due era arabo.
Perfetti, pensò Chani, che entrò e ordinò un maxi cheeseburger, le patatine e un happy meal perché i giochi dei bimbi esercitano un fascino incontenibile sui maschi adulti. Non come una donna, ma di più: come una playstation.
Da bere Chani non prese niente. Fa parte della tecnica.
La ragazza vagò per un po’, come alla ricerca del posto più adatto per consumare.
Sembrava spaesata e inavvertitamente fini per ancheggiare davanti agli occhi dei due.
Si, sono un po’ confusa. Ancheggio? Ma no, dai, non mi dire…
Tu mi stai guardando, ok. Il tuo amico è un po’ rincoglionito, ma… Si, ecco, ora anche lui.
Vi interessa l’articolo? Bene, allora meritate di più.
Ad un tratto Blacksun sfoggiò un sorriso che sembrava gridare “eureka!” e marciò decisa proprio sul tavolino adiacente a quello dei ragazzi.
Posò il suo bel vassoio pieno di schifezze, distese le braccia lungo il busto, giunse le mani all’altezza del ventre quasi supplicare (un gesto molto ochesco, è per questo che funziona) e le strinse così forte che il seno si alzò di un ottava sbocciando sul muso ai due poveracci << Posso sedermi qui? >> gorgheggiò e quasi riuscì a stimare l’erezione dei loro cazzetti triangolandola dalla dilatazione delle pupille.
<< Ma certo, ma figurati, ma ci mancherebbe >> replicò il coro dell’Aida.
Troppo facile, ragionò Chani, conquistarli è sempre troppo facile. Basta metterli a loro agio e fargli credere che sia una loro idea. Poi bisogna essere un po’ minchia, aggiunse mentalmente, mai fargli capire il contrario, che sei intelligente, colta, anche solo normodotata, no, il cervello li spaventa, soprattutto se son giovani.
Bisogna ridere o almeno sorridere per le atroci bestialità che ti propinano durante il rito del corteggiamento. Fingere di credere alle loro prodezze anche se ti sembrano sbruffonate tanto paradossali da rasentare l’insulto. E ringraziarli, oh si, apprezzare la loro galanteria, quello è fondamentale: che ti aprano la porta o si offrano di gettarti l’immondizia, che ti regalino una rosa o si privino dell’ultima patatina, quella più croccante, quella più gustosa, son tutti sacrifici che chiedono una risposta immediata come uno sguardo languido e sognante o un ringraziamento sussurrato tra le labbra chiuse a cuore, quasi una metafora di suzione.
Con un pò di pratica si impara anche a cogliere il momento più adatto per giocarsi le carte migliori. Quella della bibita, ad esempio.
<< Oh, non ho preso niente da bere >> gemette Chani affranta << mi daresti un sorso del tuo milk shake? >>
<< Ma scherzi, ma non devi neanche chiederlo! >>
<< Mmm >> Blacksun si morse appena il labbro inferiore e lasciò che si liberasse piano verso il basso. Contemporaneamente mugolò << mmm >> una m perplessa, dubbiosa come a dire “ci vengo o no a letto con te questa sera?”, non troppo sonora come il muggito di un bufalo, sennò il ragazzo si intimorisce, e quindi << mmm >> breve, un secondo o due al massimo, ed ecco che un giovane cuore sembra sollevarsi e restar sospeso, ritardando il battito successivo per non interferire con la prosecuzione della consonante << mmmagari ti secca se bevo dalla tua cannuccia. Ne prendo una nuova, ok? >>
<< Ma sei impazzita? Non devi nemmeno pensarlo >> ma stupramela con le lebbra quella fottuta cannuccia! Aspirala, ingoiala, assimilala! Potessi essere io al suo posto, invece di restar qui ipnotizzato dalla marea del milkshake che gorgheggiando sale, sale, sale fino alle tue labbra. Tortura! Shakira!
Eccolo la, su un bel piatto d’argento, taref, rosolato e con la mela in bocca.
Infine il colpo di grazia << Dai >> sorrisino lusingato << ho trent’un anni, potrei quasi essere tua madre >>
<< He he he >> ridacchiano sempre quando sanno già la risposta. Quando è talmente ovvia che non ci devono nemmeno pensare << ma fortunatamente non lo sei! >>
Bingo.
Dopo il MacDonald Chani invitò i due ragazzi a bere qualcosa in un pub. Un paio di pinte, niente più, quel tanto che bastava per giustificare una leggera ubriacatura. Anche questa, infatti, secondo la ragazza era molto utile perché gli uomini, la maggior parte delle volte e contrariamente alle proprie convinzioni, son dei gran codardi con le donne.
Riacquistano audacia quando bevono, ma in quel caso possono diventare maneschi, scoordinati e rischiano di addormentarsi sul più bello. Oppure gli può venire la balla triste e allora è una vera tragedia perché alla compagna tocca fargli da mamma e da psicologa insieme. In quei casi tanto varrebbe sparargli un chiodo in testa come si fa coi cavalli azzoppati, questa era la filosofia di Blacksun.
Di conseguenza, per infondere agli uomini quel quid di sicurezza che li rende virili quanto la discesa dei testicoli in età puberale, Chani aveva scoperto che bastava fare il contrario e fingersi un po’ brille. A quel punto al maschio crollano le inibizioni ed inizia a pensare “Fischia, è ubriaca! Mò anche se faccio la mia solita figura di merda non se ne accorge nemmeno. Evvai, il mondo è mio! MIO!”.
Anche in quella circostanza la tecnica di Chani funzionò e quando i due maschi uscirono dal pub procedevano tronfi d’esuberanza e speranze, felici che la ragazza fosse alticcia, che li abbracciasse entrambi e permettesse loro di sballottarla o strusciarsi su di lei.
Solo la luna, appesa lassù nel cielo come un lampione a gas, sembrava osservare la scena col sorriso bonario d’una vecchia nonna a cui non la si fa e, così facendo, illuminava tenuemente i tre e le mille strade che infilzano Londra.
Ad un tratto Blacksun piegò la testa di lato e sussurrò un po’ di sconcezze a N° 1 (aveva deciso che i nomi dei due erano ininfluenti, quindi li distingueva per mezzo di un numero progressivo). Pigolò scioccamente e poi, a sorpresa, si girò e baciò l’amico, scavandogli le tonsille con la lingua.
N°1, dopo aver superato lo shock, l’abbracciò da dietro ed iniziò a sbavarle sul collo come un terranova in calore. Contemporaneamente, tra linguaggio e lappata, gemeva << Lioneyes, oh, Lioneyes >> e mulinava le braccia cercando di palpare ogni cosa: tette, cosce, spalle, avambracci, non faceva distinzione.
N° 2 non si dimostrò da meno e cercò di infilare un’intera mano sotto la cinta della gonna, tentando al contempo di violare il confine degli indumenti e di saggiare le vellutate rotondità delle natiche. Purtroppo restò incastrato e si storzellò atrocemente due dita.
<< Ragazzi, sentite ragazzi >> miagolò Chani stretta a sandwich tra i due cinghiali << siamo in strada, non esageriamo… Cioè, ho una stanza in un bed & breakfast proprio qui vicino, vi va di andarci insieme? >>
Come mostrare un biscottino ad un cane. Uguale.
Se i due avessero potuto accucciarsi e scodinzolare l’avrebbero certamente fatto. Impossibilitati, si limitarono ad esternare un assenso reiterato e confuso che non avrebbe sfigurato al cospetto d’un composto arf, arf, arf.
Arrivarono alla locanda in pochi minuti.
L’albergatore, come da accordi, non fece domande per l’atipicità della situazione e Chani invitò i suoi ospiti ad accomodarsi in una stanza della twin.
Bisogna ammettere che in circostanze normali l’ambiente non sarebbe stato un granché stimolante: i muri erano tappezzati con una carta da parati beige ingiallita dal fumo, chiazzata qua e la dai segni dell’umidità ed impreziosita da grossi fiori rosa la cui classificazione avrebbe messo in doloroso imbarazzo qualsiasi botanico.
Sul pavimento, invece, regnava incontrastata la solita, squallida, antigienica moquette che nei paesi anglosassoni è talmente diffusa da far sospettare una tara connessa a qualche istinto primordiale. Una particolarità di quella specifica moquette, però, consisteva nelle innumerevoli bruciature di sigaretta sparse ad arte dagli ospiti precedenti. Esse conferivano senza dubbio un che di trasandato all’ambiente, ma avevano il pregio – spergiurava il locatario - che unendole tra loro nella giusta combinazione si sarebbe potuto riprodurre un quadro di Andy Wahrol.
Blacksun non riuscì a fare nemmeno due metri all’interno della stanza che già i due ragazzi avevano chiuso la porta, abbandonato gli zaini per terra e si erano gettati famelici sull’ambita preda. N° 2, quello con le dita slogate, s’era avvinghiato all’orlo della gonna nel tentativo di sfilargliela e coronare così il suo sogno di sempre. N° 1, invece, aveva abbozzato un placcaggio da rugby e spingeva la ragazza verso il letto a suon di baci, leccate e musate, proprio come un cane da pastore.
“Ma questo puzza!” constatò Chani.
Cacchio, sudore e birra, una miscela micidiale.
Il poveretto aveva anche ingollato una specie di mentina o una jellybean made in Islamabad per ovviare ad uno dei due inconvenienti, ma la misteriosa schifezza aveva peggiorato la situazione e adesso gli puzzava l’alito da acido fenico.
<< Calma, ragazzi, calma. La notte è tutta per noi.
Non è che prima vi andrebbe di fare una doccia tutti insieme? >>
L’idea ci mise un paio di secondi a farsi strada nella fantasia dei due giovani. Poi cominciarono a ridacchiare e l’istante dopo erano li, di fronte a Chani, nudi come vermi e con due pulsanti erezioni che avrebbero fatto invidia a molti.
Blacksun li bloccò con un gesto, poi si spoglio anche lei, lentamente, solo per loro.
Tolse prima le scarpe, una alla volta, restando in piedi e piegando la gamba di lato, torcendola leggermente. Poi fu il turno della camicia: non sciolse il nodo, ma la rivoltò piano, scoprendo un millimetro di carne alla volta. Quando arrivò all’altezza del seno chiuse gli occhi e buttò la testa all’indietro, lasciando danzare i lunghi capelli sciolti con la loro treccia.
Sollevò bene le braccia, stirò la stoffa sulle due rotondità e tirò forte, lasciando che queste ultime si liberassero di colpo. Carnose, sode, promettenti e soprattutto nude, dal momento che lei non usava mai reggiseno.
L’espressione dei due maschi era un capolavoro: un pò miracolati dal superenalotto un po’ Jerry Lewis, purtroppo Chani non poté apprezzarla poiché la camicia rivoltata all’insù le nascondeva ogni cosa. Percepì però distintamente il “gollum” gemello delle deglutizioni.
Mancava solo la gonna. Blacksun staccò il gancetto, aprì la zip e infilò i due pollici tra la pelle conciata e la carne color rame. Poi cominciò a muovere il bacino, sciabordando, sculettando piano come uno sciatore che fa slalom. Solo molto, molto più dolcemente.
Alla fine lascio che gonna e slip scivolassero a terra insieme. Sfilò una gamba con pudore quasi virginale e con l’altra, a sorpresa, scalciò gli indumenti esattamente sul muso di uno dei due ragazzi. Quello col dito slogato, così si impara.
<< Vieni >> sorrise all’altro << aiutami a regolare la doccia >>
Gli inglesi sono un popolo strano, legato in modo morboso alle proprie tradizioni e letteralmente ossessionato dalla necessità di distinguersi anche a costo di imporsi scelte scomode, antieconomiche o tragicamente cretine.
Per questo motivo guidano a destra e si schiantano a dozzine non appena attraversano la manica. Per questo motivo misurano le cose in piedi, pollici e galloni (e pensare che poi hanno il coraggio di prendere per il culo quegli altri primitivi dei francesi che per dire ottanta dicono quattro volte venti: otto mani e otto piedi).
Per il medesimo motivo, infine, molte toilette britanniche non si sono ancora liberate dalla sobria ortodossia vittoriana e continuano a combinare l’austerità di un cesso a quella un lavandino senza mai cedere alle lusinghe del colonialismo culturale proveniente dal continente. Ecco perché mollezze come un bidet o un miscelatore sono affatto sconosciute presso i sudditi di sua maestà.
Naturalmente una scelta così radicale raramente non comporta effetti collaterali.
Nel caso specifico accade che farsi la doccia in Gran Bretagna può diventare un’esperienza formativa con interessanti analogie con la tortura medievale: senza troppo impegno, infatti, si riesce a passare dal congelamento all’evaporazione dell’epidermide più di una volta prima di ottenere una temperatura accettabile. A quel punto, in genere, finisce la scorta idrica del boiler e si è costretti ad una doccia freschina, più o meno sul tepore pioggerellina di novembre, come dicono i poeti.
Conclusione: se non sei un fachiro o non puoi vantare una cotenna suina, rischi di uscire dalla doccia meno rilassato di quando sei entrato, con la pelle sensibile d’un grande ustionato e probabilmente anche un po’ imbufalito. Nei casi più gravi potresti addirittura sviluppare un feroce ed immotivato sentimento antibritannico come capitò a Michael Collins.
<< Ecco, mettiti li >> mormorò la ragazza << Ora regolo la temperatura, tu dimmi solo quando va bene, ok? >> bacio schioccante sulle labbra e vellutata carezza sul cazzo. Un mondo di promesse.
Chani ci mise quasi cinque minuti a regolare la doccia, ostacolata com’era dai palpeggiamenti di N° 1 che le restò dietro per tutto il tempo.
Da principio le si era aggrappato alle tette come un koala. Poi aveva cominciato a soppesarle, a stringerle a schiacciarle tra loro ed anche a maltrattarle come mozzarele.
Ci mise un po’ a ricordarsi dell’esistenza dei capezzoli, ma quando cominciò a concentrarsi su di essi lo fece senza eccessiva energia. Un tocco deciso e curioso, persino maturo.
Esperienza pratica o miracoli dell’educazione sessuale? Mistero.
Lentamente N° 1 si ricordò che il corpo di una donna non si esaurisce nel seno, allora cominciò a baciare la ragazza sul collo. Un bacio bagnato, limaccioso, come spesso capita con le persone che hanno le labbra grosse. Piacevole anche.
Poi prese confidenza e spostò le mani, abbandonò quasi con rimpianto il primo istinto del mammifero, ma avanzò deciso e, come un orda barbarica preme sui confini, lui premeva sul busto e sul ventre.
Aveva mani calde, quasi bollenti e schiacciava forte come se cercasse di indovinare col tatto il miracolo della vita gelosamente nascosto dalla barriera degli addominali, e continuò a scendere, a scivolare verso la V dell’inguine. Quando la raggiunse, le sue dita tremarono al contatto con la pelle depilata. Tentennarono e poi si immersero decise.
La destra s’avventurò più in basso rompendo la simmetria. Riuscì a bagnarsi degli umori e ad imprigionare la donna contro una schiena calda e un membro pulsante. Salda, ferma, il braccio a bloccarla come una cintura di sicurezza.
Eggià, cinque minuti.
Cinque, per regolare la temperatura dell’acqua, ed era stata anche brava.
N° 2, il sensore umano, urlò di dolore solamente tre volte. Grugnì di frustrazione molte di più.
Finalmente i tre entrarono nella doccia, ma la calca e le ristrettezze dell’ambiente non consentivano evoluzioni particolari e persino una contorsionista in quelle condizioni avrebbe avuto delle difficoltà a consumare. I due maschi, inoltre, uscirono dall’esperienza con la netta sensazione d’aver palpato più il compagno che la bramata Lyoneyes.
Un sospetto che non avrebbero mai esternato a costo della vita.
Poco dopo, asciugati in modo approssimativo, i tre si trasferirono nell’alcova matrimoniale. Gettarono da parte lenzuolo e copriletto (un orribile copriletto, una specie di natura morta reiterata all’infinito su un fondo ocra-rigurgito d’infante. Roba da deprimere il più euforico dei cocainomani).
Via tutto, restarono solo i cuscini e il lenzuolo di sotto, tragicamente blu cobalto. Su quel telo Chani, la dolce Lyoneyes, soddisfò i suoi uomini più volte, con la bocca, col seno, con le mani e in modo più tradizionale.
Dopo due ore d’evoluzioni ginniche, la ragazza iniziò a nutrire le prime perplessità.
Diamine, è da una vita che scopiamo e questi non sono ancora stanchi.
Dei caterpillar! È questo il problema coi ventenni, soprattutto gli orientali in Europa o gli italiani in Italia: combinano le esuberanti energie dell’età postpuberale con la disperazione di un astinenza forzata inaspettatamente soddisfatta.
Mentre filosofava sulle performances degli uomini frustrati e sui capricci del destino, Chani si trovava inginocchiata sul bordo del giaciglio, le gambe piegate ad angolo retto, le cosce perpendicolari al materasso e la schiena digradante, come a formare uno scivolo che terminava con la testa, premuta sul lenzuolo e piegata di lato.
In quella posizione si sentiva completamente esposta e, ad esser sincera, non le dispiaceva che N° 2, tatticamente appostato alle sue spalle, si masturbasse leccandola con una devozione tale da indurre tenerezza.
All’improvviso, come folgorato da un’intuizione epocale, N° 2 si alzò in piedi, mise una mano alla base della schiena di Chani e gliela fece scivolare ruvidamente lungo la colonna vertebrale. Giù fino al collo, fino al viso, schiacciandole quest’ultimo contro il materasso.
<< Ehy! >>
<< Così, così… così il culo ti si solleva di più >> articolò lui, in preda a gran trasporto.
Ed era vero, perché Chani irrigidì d’istinto i muscoli della schiena e, controbilanciando la pressione, sollevò un po’ il culo, spingendo fuori, esponendosi ancor di più.
La penetrò con energia, N° 2, senza preavviso e con violenza, tanto che alla ragazza sfuggì un gemito di sorpresa e dolore.
Subito dopo il giovane piantò l’altra mano alla base della schiena e con la destra le agguantò i capelli. Poi spinse la sinistra verso il basso e contemporaneamente tirò verso di se le redini della chioma, costringendo la sua vittima ad alzare la testa.
Immediatamente Chani si puntellò sui gomiti, poi passò alle mani e infine ai polpastrelli delle dita << Piano, piano >> supplicò, mentre quel disgraziato la tendeva come un arco mongolo, sbattendola con forza, grugnendo, e lei non riusciva a trattenersi dall’ansimare perché quei colpi di reni li sentiva fino al cuore e le toglievano il respiro.
Per un po’ Chani provò a resistere, poi si arrese, chiuse gli occhi concentrandosi sul ventre profanato, sui seni che oscillavano pesanti al galoppo incalzante della chiavata mentre il collo inarcato, iperteso la faceva sentire come una pecora condannata alla macellazione halal.
Quando riaprì gli occhi vide di fronte a se N° 1. Era in piedi, dall’altra parte del letto, talmente eccitato da sembrare sull’orlo di una sincope. Si stava godendo lo spettacolo e nel frattempo armeggiava con un telefonino.
<< Ehi tu, che minchia stai facendo? >> chiese Chani, ma le parole uscirono spezzate, ansanti, quasi un gorgheggio solfeggiato al ritmo della pompata.
<< Sto chiamando il Buggha >>
<< E chicazzè il Buggha? >>
<< Il mio migliore amico, mi piacerebbe che tu… si, insomma, lo conoscessi, Lioneyes >>
Leggi: ti piacerebbe che mi scopassi anche lui, così fai il figo della cumpa, il dongiovanni che conquista femmine, le chiava, le fa impazzire e poi – munifico – le divide con gli amici.
E chiamalo, và. Fallo venire, fagli conoscere la uri che lo porterà in paradiso.
<< È carino? >> mai accondiscendere subito: li disorienta o, peggio, può destare sospetti.
<< Quasi come me >> sorrise quello con una faccia da caprone e il corpo da orango in fase di crescita.
D’istinto Chani stava per replicare qualcosa d’irreparabile, ma fortunatamente N° 2 scelse proprio quel momento per esondarle nel ventre cancellando ogni altra considerazione.
Fu un esperienza: il suo orgasmo sembrò durare un eternità e fu facondo, generoso, quasi eccessivo.
Ma è una bestia, un verro – si stupì Chani - ma quanto ne ha, mezzo litro?
Però… però, com’era godurioso. La ragazza si accorse di essere prossima anche lei all’orgasmo, così rilassò i muscoli e si lasciò andare. Oh, si, era magnifico, fantastico… evidentemente doveva aver espresso ad alta voce l’ultima osservazione perché N° 1 fraintese, arrossì e balbetto qualcosa del tipo << Non pensavo mi trovassi così attraente >>
Ma vattene, asino.
Fosse per me ti farei castrare solo per migliorare la specie.
Quando Chani si riprese, scoprì d’essere sudata, bagnata, sbavata e con una strana macedonia di umori che dall’inguine le calava fino a metà coscia. Inoltre il caldo della stanza era bestiale, insopportabile.
La donna si sganciò dal provato N° 2 che barcollava come un manzo affetto da encefalopatia spongiforme e scivolò sulle lenzuola. I drappi, che un tempo erano blu cobalto, ora sfoggiavano orgogliose patacche di sperma grandi come l’Australia.
Chani si spalmò sul letto e allargò le braccia per aumentare la superficie epidermica in grado di scambiare calore con l’aria circostante. Si stiracchiò e disse << Ok, dai, chiamalo coso la, Bobbo, Buggo, ma non so se ho voglia di stare anche con lui: voi due stalloni mi avete sfinito >>
<< Ah, si >> aggiunse subito dopo, come per una folgorazione << se viene digli di portare uno zainetto come il vostro pieno di roba da mangiare: biscotti, patatine, snacks. Che si fermi nel primo alimentare indiano e faccia il pieno. Non so voi, ma io ho di nuovo fame >>
<< Cazzo, anch’io >> s’illuminò N° 1 << Quando scopo mi viene sempre fame >>
E quando mai scopi, baccalà.
Blacksun rotolò fino al citofono interno abbandonato sul comodino, chiamò la portineria ed informò il locandiere che di li a poco sarebbe arrivato un altro ragazzo arabo o pachistano, che lo mandasse pure nella sua stanza.
Il portinaio boffonchiò qualcosa che la donna non sentì bene o non comprese. In fondo non le interessava. Prima di uscire aveva sborsato una mancia più che generosa ed era certa che l’uomo avrebbe fatto come gli era stato richiesto. Ogni altra considerazione non era rilevante, perciò Blacksun chiuse gli occhi, cercò di rilassare i muscoli e svuotare la testa. La nottata era ancora lunga e sarebbe stata più impegnativa del previsto. Amen. Il risultato sarebbe stato proporzionale allo sforzo, come sempre.
Dopo circa un’ora la quiete appagata della stanza fu interrotta da un timido bussare.
Chani si alzò e prese la camicia da uomo dimenticata da uno dei ragazzi su una poltrona.
Agì d’istinto e ne restò sorpresa perché in fondo lei non provava più pudori, non gliene fregava nulla degli altri, di ciò che vedevano o pensavano. Non gliene fregava nulla nemmeno di se stessa, eppure prese quella camicia e la indossò. Forse un riflesso sopravvissuto ad un tempo lontano in cui un gesto del genere avrebbe avuto senso.
Ancora quel rumore. Simile, ma più deciso.
Bussano.
Chani aprì la porta e si trovò di fronte non un terzo, dannato ventenne in fregola, ma due, agghindati con magliette colorate, berrettini a visiera e quei pantaloni sbracati alla rapper americano che tanto andavano di moda
Loro, invece, all’improvviso si scoprirono a mezzo metro da una donna bellissima, che profumava d’amore ed era vestita solo d’una camicia maschile abbottonata in modo approssimativo. Entrambi fecero un passettino indietro, forse per ammirarla meglio o più probabilmente per creare una distanza, un tempo per riempirsi la testa di parole.
Altri due ragazzi ordinari, pensò Blacksun, anche questi arabi o pachistani.
La ragazza sorrise con studiata timidezza, ma non si curò di valutare se erano carini o meno così come non diede importanza ai loro nomi quando, superato lo tzunami ormonale, i due si presentarono. Per lei sarebbero stati semplicemente N° 3 e N° 4 e solo uno di loro, stramaledetto il mondo, aveva con se uno zainetto.
Chani li invitò ad entrare e chiuse la porta alle loro spalle, quindi si sedette sul letto a gambe incrociate, alla turca. Lo fece con una naturalezza disarmante, come se non si rendesse conto dell’effetto che provocava. Bella donna ed eccellente attrice.
Si, numerini miei, so bene che avete occhi solo per la mia cicala.
So che vedete quella carne depilata, rosa come rosebeef e il testosterone vi risale la colonna vertebrale, dilaga nel cervello, lo spenge e lo fotte.
È il destino. È ciò deve succedere, quello che mi serve.
Ma ora calma, non subito che sono stanca e ho veramente fame… dopo, per adesso limitatevi a fermentare come birra.
Mentre i nuovi arrivati s’impegnavano a metabolizzare la situazione, N° 1 agguantò lo zaino di N° 3 e lo capovolse sul letto dando vita ad un tumulo di vettovaglie e schifezze varie.
L’ultima, piccola slavina di snack non aveva ancora completato la sua scricchiolante calata che già N° 1 e N° 2 s’erano tuffati sulla cibaria più vicina e la stavano sbranando.
Erano cotti. Tra sudori e passioni la dolce Lioneyes li aveva quasi prosciugati della linfa vitale e il loro sesso giaceva defunto, più simile alla salma di un grillo-talpa che ad uno spavaldo “creapopoli”, come dicono a Napoli.
La frenesia mangereccia durò almeno mezz’ora si e concluse quando ogni milligrammo di sostanza commestibile era stato definitivamente spazzolato.
Solo dopo, con calma, Chani si occupò di N° 3 e N° 4. Li svestì piano, come una mamma e poi si stese con loro nel lettone.
Finì di fare l’amore alle quattro o alle quattro e mezza di mattina, non avrebbe saputo dirlo. Era sfinita.
Ingollò una confezione intera di pocket coffee nella speranza che l’aiutassero a restare sveglia e a non far cazzate proprio nel momento più delicato.
Si fece anche una bella doccia gelata e quando rientrò nella stanza vide i quattro ragazzi addormentati sul letto in posizioni impossibili: il più astruso, scomodo, scomposto groviglio umano che si potesse immaginare, a metà tra una fossa comune e la liricità de “La zattera della medusa”, il capolavoro di Théodore Géricault esposto al Louvre.
Per un attimo le fecero quasi tenerezza… si, insomma, come possono fare tenerezza dei cuccioli di cane.
Senza far rumore, senza svegliarli, Chani prese gli zaini dei ragazzi e si spostò nella seconda stanza della twin, dove aveva lavorato il giorno precedente e dove aveva lasciato tutte le sue cose.
Svuotò anche il suo zaino ed indossò vestiti puliti: un perizoma nuovo, un paio di normalissimi jeans, una T-shir bianca corta, senza scritte, ed un paio di basse scarpe da ginnastica, anch’esse bianche, tipo Superga.
Impiegò più di un’ora a fare il resto e quella notte non riuscì a dormire nemmeno un minuto.
<< Su, su, ragazzi, che devo lasciare la stanza >>
<< Oh, Lioneyes, che ore sono? Dai, svegliami con un bacio >> era N° 3 a parlare.
<< Ti darò un bacio, ma dopo. Adesso devo veramente andare. Vi ho detto che faccio l’indossatrice, no? Il mio volo per Parigi parte fra poche ore e non posso perderlo, però… però ragazzi sono stata davvero bene in vostra compagnia >> miagolò Chani, oca più che mai e sbatacchiando le ciglia come ali di libellula << Si, insomma, se vi fa piacere quando torno a Londra posso farvi uno squillo. Avete dei cellulari? >>
N° 2 e N° 3 si fiondarono come saette sui rispettivi telefonini, mentre N° 1 e N° 4 si misero a sciorinare numeri come mantra tibetani.
Chani prese nota e sorrise. Propose anche una rapida colazione in un take-away dei dintorni e, mentre vi si recavano, colse l’occasione per chiedere a N° 4 una cortesia << Scusa, posso chiederti un favore? >> la voce era timida, imbarazzata, paradossalmente virginale, ma la ragazza non attese risposte e continuò << Qui a Londra ho una cugina che mi ha prestato un libro e i vestiti che indossavo ieri. Dovevo restituirglieli, ma con tutto quello che è successo… Tu sei l’unico senza zaino, se te lo lascio saresti così gentile da portarglielo? >>
<< È tanto lontano? >>
<< Abbastanza, ma se ti secca… >>
<< Essù, non essere villano! >> intervenne N° 1.
<< Ma si, che ti costa? Ingrato! >> altra voce.
<< Poi se la cugina indossa quei vestiti ha un fisichetto che… ma lo sai che sei proprio stupido? >> gli amici cominciarono a spintonarlo scherzosamente, a coprirlo di schiaffettini e vere e proprie mazzate, così N° 4, con un’alzata di spalle, cedette e la sua Lioneyes lo premiò con un gridolino di gioia ed un popputo abbraccio di gratitudine.
Si salutarono davanti al taxi che avrebbe portato Chani all’aeroporto. Tutti e quattro pretesero un bacio, ma non uno di quelli con la lingua, profondi e carnali: uno di quelli a fior di labbra, da innamorati. Uno di quelli che in oriente, a volte, ci si scambia anche fra fratelli.
<< Lioneyes… non so come dirlo, mi sento scemo >> confessò N° 2 prima di lasciarla << ma tu, per caso, hai mai pensato di sposarti? >>
<< Non lo so, forse un giorno… >> mentì Chani sorridendogli, e quel sorriso per N° 2 fu come un secondo bacio segreto, più intimo, più prezioso.
Poi la ragazza si girò e salì sul taxi.
Il volo, un normalissimo charter, decollava alle nove in punto e Chani arrivò giusto in tempo. Scapicollandosi, riuscì anche a fare un salto al duty free e ad acquistare un paio di occhiali scuri. Indispensabili per mascherare quel po’ di occhiaie e per creare una piccola, invisibile barriera tra se e l’universo.
Quando mancavano pochi minuti all’imbarco, Chani accese il cellulare e compose quattro numeri telefonici. Uno squillo solo, senza attendere risposta. Il segnale portante.
Poi spense l’apparecchio, varcò il gate e salì a bordo.
Ronzio metallico.
Insistente ronzio metallico.
Merda, è quel maledetto campanello!
Riformulare: numi è… oh, merda, ma che ore sono?
Manuel sbirciò il quadrante della sveglia e diede una testata sul cuscino: le dieci e mezza.
Ma guarda te se è un’ora da cristiani.
Il ragazzo si issò faticosamente in piedi e, trascinandosi come uno sciancato, guadagnò il citofono. Gli era sembrato d’aver appena pigiato sul pulsante dell’apriporta quando Chani aprì il battente, scavalcò il gatto del vicino che giaceva tramortito sullo zerbino ed entrò.
Aveva qualcosa quella bestia: negli ultimi giorni dormiva un sacco, caracollava in maniera strana ed era addirittura precipitato due volte dal tetto. La sua anziana padrona era preoccupatissima.
Chani non degnò il felino d’uno sguardo, si limitò a superarlo ed a richiudersi la porta alle spalle. Sembrava provata e indossava solo un paio d’occhiali scuri, scarpe da tennis, comuni jeans e un T-shirt bianca crudelmente mutilata proprio sotto la generosità del seno.
Manuel non era ancora del tutto sveglio, ma gli venne duro come una putrella.
Subito cercò di mascherare l’erezione fingendo un fortissimo prurito sulla coscia sinistra, poi, più come diversivo che per altro, domandò << Allora? La prova? >>
<< Non è sufficiente? >> gli fece eco Chani con un sorriso morto, quasi acido.
<< In che senso? >>
<< Accendi la televisione >>
Manuel fece come gli veniva detto e si sintonizzò sul primo notiziario.
Non fu difficile perché quel giorno, giovedì 7 luglio 2005, il mondo della stampa era in fibrillazione: ben quattro giovani insospettabili, in realtà una cellula dormiente di un organizzazione terroristica, avevano portato a termine altrettanti attentati suicidi nella capitale del Regno Unito.
La conta delle vittime era ancora in corso ma il bilancio si preannunciava pesantissimo: si parlava infatti di decine di morti e centinaia di feriti.
Londra proprio in quelle ore si stava svegliando incredula e ferita, ma già l’intero mondo civile si ergeva al suo fianco esprimendo cordoglio, solidarietà e, naturalmente, unanime condanna per responsabili di questa nuova, vile barbarie: Al Qaeda e gli sceicchi del terrore, chi altri?
Manuel spense il televisore e ammiccò più volte. Cercò con gli occhi un orrore inconcepibile e lo trovò. Chani sciolse i lunghi capelli d’ebano che aveva legato sul capo e subito una cascata di notte le coprì il volto e le spalle, danzando come seta.
La donna ripose con calma gli occhiali scuri sopra il tavolino e si sfilò scarpe, pantaloni e maglietta, restando quasi nuda: un perizoma e nessun pudore.
Manuel l’osservava senza parole, non sapendo che pensare di quel mostro incantevole e disumano. Lei si girò di schiena, l’inarcò e si stiracchiò un po’. Poi si distese su uno dei nuovi lettini Ikea senza nemmeno sollevare le lenzuola e abbracciò un cuscino stretto stretto.
Un minuto dopo dormiva già, le gambe rannicchiate come una bambina.
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