Gatti in amore




Est! Est!! Est!!! Tutti ne parlano e tutti lo vogliono ma non si tratta del vino famoso per stroncare vescovi con la cirrosi epatica, bensì di qualcosa di più pratico, diretto, semantico. Segui il gingle e fatti conquistare: EST! EST!! EST!!! è il nuovo mondo, la terra promessa, Atlantide, Shangri-La, Ultima Thule. Concentrati, prova ad immaginare: mercati vergini, manodopera in saldo, una comoda tana fiscale e puttane gratis! Cioè, bianche, capisci? Non occorre più migrare ai carabi, sono qui dietro l’angolo! Benedetto comunismo, che sempre sia lodato.



Est. Est. Sempre Est…
Stavolta tocca a Satu Mare, subito dopo il confine Rumeno.
Chi sono i fortunati? Io e Silvano, che domande «Ah, sì, dato che siete nei paraggi fate un’ispezione a Debrecen. Cercate di coglierli impreparati, ok?» sorride il capo, con rilassata naturalezza.
«Debrecen? Ma non è in Ungheria?»
«Ecco, sì, più o meno. È comunque da quelle bande, che differenza fa?»
«Belgrado è da quelle bande, dobbiamo fare un saltino anche lì?»

Ah, Belgrado, magico suono.
Sandro, il capo, ne resta folgorato. Ci fissa intensamente, poi solleva lo sguardo e si concentra su un sogno inchiodato al soffitto, un presagio che solo l’eletto riesce ad intravedere. Eletto che, per inciso, è costretto ad uno sforzo doloroso per liberarsi dall’estasi della contemplazione e ricongiungersi alla deludente realtà.
«La Serbia…» mormora Sando, ancora rapito dalla trance «Mai stata laggiù, vero? Nemmeno immagini che grande paese sia, la Serbia. Quante opportunità, che potenzialità inespresse e che fiche da evidente paura! Un giorno dovremo aprire anche lì, sai? Il mercato lo esige e anche quella povera gente, dai, in fondo se lo merita... però dobbiamo aspettare ancora un po’: dobbiamo lasciare che la crisi kosovara raggiunga l’apice e il paese sia in ginocchio»
«Beh, non è che adesso…»
«Più in ginocchio, Nad, pensa in modo strategico, eccheccazzo! [gesto nervoso, viso atteggiato ad una smorfia d’insofferenza] Più affamato, più disperato, più prostrato che mai [la destra imprigiona un pugno d’aria, lo stritola]. Devono strisciare ai nostri fottuti piedi. Siii!»
Sandro è inquietante quando fa così: è preciso a Charlie Chaplin ne “Il Grande Dittatore”, gli manca solo il mappamondo che rimbalza e un busto gigante sulla scrivania. Il segreto è non farsi impressionare dalla scenografia perché in fondo Sandro è una brava persona, semmai il problema è sua moglie, bella come uno scaldabagno e amichevole come un orso polare: il Rottweiler, la chiamiamo, e il poveraccio ne è talmente terrorizzato che per evitarla si dedica completamente al lavoro, sverna in ufficio, perde il contatto col mondo e si riduce così. Secondo Vassilissa, la collega greca, lo stacanovismo da terziario avanzato è sintomatico di una vita sessuale infelice e frustrata. Sempre.

Comunque sia, lui è il capo e perciò due giorni dopo siamo in viaggio, destinazione far est.
Atterriamo a Debrecen e ci restiamo giusto il tempo necessario a tendere l’agguato prescrittoci, poi prendiamo una macchina della ditta e schizziamo in Romania. Guido io, così evitiamo di sfracellarci in un crepaccio e posso zittire Silvano con la scusa che mi deconcentra dalla rotta.
D’altronde basta il paesaggio a tenermi compagnia: è bellissimo, selvaggio, rurale, a tratti anacronistico tanto da non sembrare nemmeno europeo. In Ungheria, solo per fare un esempio, è comune incrociare folcloristici carri agricoli tirati da cavalli. Tuttavia, passato il confine rumeno, questi vengono rimpiazzati da carri identici ma trainati da asini.
Un indigeno mi ha spiegato che grazie a dettagli del genere, se dovessi perdere la strada, potrei sempre sapere in quale dei due paesi sono finita.

Arriviamo a Satu Mare in serata, col culo sagomato dal sedile di guida e le braccia stremate: non sono abituata alle vecchie Skoda e ho seri dubbi sull’efficienza del servo sterzo.
«Allora, Nadiuccia, un’altra seratina insieme, veh » esordisce Silvano, vispo e giulivo.
«Grrr»
«Stanca?»
«Mmmm»
«Visto? Dovevi far guidare me!»
«Su queste strade? Ma sei impazzito?»
«Ché, non ti fidi?»
Giro la testa, alzo un sopracciglio, non proferisco parola.
«Stronza»
Mi concedo un pallido sorriso, brevissimo, perché in quel preciso istante la versione locale di un Hell’s Angel sbuca da una stradina incassata tra decrepiti palazzoni d’era Ceausescu. In realtà non lo vedo nemmeno, sento solamente il gemito di una marmitta che ci piove addosso come un razzo anticarro. Fiiiiiuuu!
Scarto d’istinto, senza pensare. Scarto insieme al cervello che rievoca il terrore dei missili termoguidati e l’uso delle granate al fosforo come risposta. Scarto e grido «Yael! Ore otto. Fosforo, fosforo! »
«Che…?»

--- KABOOOOM! ---

Impallinati in pieno. Sul fianco arretrato, altezza cofano.
«Oddio!» urla Silvano «Ora ci bloccano, ci rapinano e ci stuprano! Anche me non solo te, cagna ninfomane! I rumeni sono bestie, Nad! Corri, scatta, accelera, Cristo, non ti far fregare! Mamma, mammaaaaaaa!» Ovviamente inchiodo.
Giro la testa e un vecchietto – avrà settantacinque anni, giuro – si rialza in piedi con uno scatto che nemmeno Michael Jordan, solleva un catorcio rugginoso e si mette a correre spingendolo, così, di prepotenza. Poi salta in sella alla bersagliera e se la squaglia.
Boccheggio ed elaboro: siamo stati fiocinati da un enduro truccato ma avrebbe potuto essere di tutto, da un triciclo ad una diligenza con tiro a quattro. Fortuna che siamo assicurati.
Anche Silvy si riprende e osserva la schiena del pirata, appena un rettangolino scoppiettante che interrompe la linea del tramonto. Sputa per terra e commenta «Vaccadì, ma è stato quel relitto umano? Bastardo rottinculo terrorista, fosse capitato a me non l’avrei mica lasciato andare: sarei sceso e l’avrei massacrato di pappine, giuro. Romanici, negri d’est. Tu sei traumatizzata, vero piccola? Vieni qui, fatti abbracciare che poi passa ogni cosa»

Alzo gli occhi e incrocio uno sguardo porcino, morboso, ignobile. Diamine fa così con tutte, colleziona incarnate ma non demorde. E’ innaturale, disumano... e quanto mi dà sui nervi, cazzo!
A tal proposito c’è un sospetto che mi ossessiona: ho paura che Silvano mi stia facendo diventare paranoica. E’ un pensiero recente che ha avuto origine qualche giorno fa, durante una riunione. Lui pontificava gesticolando, come al solito, ed io fingevo di ascoltarlo, come tutti, ma nel frattempo scarabocchiavo sul retro di una brochure, così, per terapia analgesica.
Prima ho disegnato un volto, che – fatalità – era il suo. Poi ho aggiunto un bersaglio sulla fronte. Ho cancellato immediatamente, provando anche un certo imbarazzo per la puerilità dello schizzo… tuttavia un attimo dopo ho ricominciato. C’era Lui, stilizzato ma riconoscibile, che arrostiva su un letto di fiamme, Lui scuoiato vivo dai selvaggi, Lui soffocato da uno strangolatore indù, Lui in chador lapidato come un’adultera, e via di seguito. La cosa allarmante è che la bravura nel disegnare aumentava proporzionalmente alla fantasiosa atrocità dei supplizi.
Che significa?
Forse mi auguro una sua dipartita?
Vuoi vedere che ha ragione mio fratello quando sostiene che sono irrecuperabilmente malvagia?

Sia come sia, ora voglio solamente raggiungere l’albergo, riporre le valigie e battere Satu Mare alla ricerca di un ristorante: mangiare come un bufalo è una delle due attività che mi riconcilia sempre col mondo e coi pirati della strada.
Espongo il progetto a Silvano facendogli intuire che, soprattutto dopo l’incidente, gradirei un minimo di privacy. Lui prontamente replica «Boia, ma se proprio insisti vengo con te… magari trovo qualche giovane cagna dell’est in cui infilare l’uccello»
«Ok, resto in albergo e ci si vede domani»
«Ma no, dai, Nadja: scherzavo!»
«Mi prendi per cretina?>
«Beh, in fondo sei una donna AHAHAHAHA. Cioè no, perché mi guardi così? Era una battuta, dai! Insomma, d’accordo che hai un utero ma sforzati di ragionare: siamo nella Cuba d’Europa e vuoi che non ne approfitti? Sarebbe amorale, che te lo dico a fare. Poi devo tenere alti i colori nazionali, la Patria, l’onore, lo stile!»
«Scusa?»
Sul serio il fenomeno ha intenzione di esibirsi nelle danze d’accoppiamento e proporsi come sex symbol latino? Obboia, e se stasera mi pungesse vaghezza di impersonare davvero un agente del male? Così, giusto per distendermi.

Ci rifletto e cedo di schianto alla tentazione: voglio andare con lui solo per il gusto maligno di assistere alle defaillances che lo perseguiteranno. Voglio godermele, cazzo. Vedere come riesce ad inventare nuovi modi per sfoggiare arroganza, insultare il prossimo senza accorgersene, disgustarlo e fallire in ogni contatto sociale, addirittura con le puttane, fino ad essere inevitabilmente cecchinato a morte dal primo che passa.
Tuttavia lo show vero e proprio consisterà nella cosiddetta “Operazione Penelope”, ossia il meccanismo sistematico con cui Silvano ricostruisce la fede incrollabile in sé stesso dopo ogni disumana umiliazione. Vi assicuro che è un’esperienza selvaggia, orrida se vogliamo, ma anche sublime, quasi catartica, e mai scontata, perché nessun essere umano senziente potrebbe sopravvivere alla mortificazione di un Silvano day, ma lui no, lui è diverso: inizia ammiccando stordito, poi sproloquia, alza la voce, si dà ragione e, in crescendo, stravolge la realtà con monologhi esaltati che nemmeno Al Pacino in un’interpretazione magistrale. Alla fine, immancabilmente, Silvano rinasce dalle proprie ceneri come un araba fenice. Integro. Intatto. Vergine. Tronfio e stronzo come prima.
È uno spettacolo impagabile, geometrico e per tutto il resto c’è Mastercard.

Ok, allora il dado è tratto e il programma stabilito.
Arriviamo in hotel, che per fortuna è al centro della cittadina, lasciamo la macchina nel parcheggio blindato, sbrighiamo le formalità con il consierge e pochi minuti dopo siamo fuori, lanciati per nella lussureggiante vita di Satu Mare.

Come prima cosa ci fermiamo davanti ad uno sportello ATM. Silvy mi supera con uno scatto di reni ma, scoordinato com’è, sembra che il treno inferiore avanzi scordandosi indietro il busto. Colgo il movimento con la coda dell’occhio e per un attimo mi concedo di sognare che sia scivolato su qualcosa di immondo. Speranza disillusa, logicamente: è solo lo sprint olimpico per arrivare primo al bancomat «Con permesso! Hoppete, Ubi maior, minor cessat… Ma chi sono? Chi?» È in forma: felice quanto deficiente. Lo lascio carburare.
Preleviamo e poco dopo veniamo letteralmente abbordati da un branco di puttane ignobili. Non è un giudizio morale, sia chiaro, è che sono proprio inguardabili, raccapriccianti. Ho vissuto per un anno nel quartiere hot di Tel Aviv e concedetemi almeno una certa obiettività di giudizio.
«Ehy, voi due… turisti italiani?»
Beccati.
«Volete scopare in vostro albergo, sì?»
Se fossi un uomo scuoterei la testa or-ri-pi-la-ta, ma date le circostanze che mi frega? In fondo mica possono avercela con me e magari Silvy non mi colora la serata ma si toglie subito dalle palle. Che ci sarebbe di sbagliato? Per lui possono anche andar bene.
Infatti il roscano è consumato dal dubbio, si china e mi bisbiglia all’orecchio «Cioè, figa, allora no, insomma, che dici? Se tu ci stai e lesbicchiartene una, io mi cresimo l’altra come aperitivo, eh? Hehe? Allora si va?»
Non rispondo nemmeno, mi milito a fissarlo sognando che una maledizione egizia gli rinsecchisca il culo o, in alternativa, che i punti dell’Esselunga gli facciano vincere un safari nel Darfur.

Lo scarso entusiasmo, evidentemente, viene percepito e Silvano liquida le prostitute col suo solito tatto «Mmm, troppo cesse. Posso pretendere di meglio. Vi è andata male, fanghi, ora raus, andale, circolare.»
Com’è prevedibile, quelle lo coprono di insulti ma il fenomeno ha una spiegazione anche per questo e gentilmente la condivide: sono deluse perché sognavano di vivere una storia da mille e una notte con un maschio vero e si sono svegliate smusando contro la realtà, dura e impietosa come il muro del West Bank.
«E tu?» domanda a bruciapelo una delle squillo.
«Io?»
«Sì, tu, ragazza. Tu vuole fare fotti fotti con noi?»
«Ma non ci penso nemmeno!»
«E allora» il tono è perplesso «perché tu è venuta in Romania?»
«Beh, come dire, ragioni di lavoro»
«Ah no, eh! Qui tuto pieno. Se tu vuo’ lavorare, sta a casa tua che è tanto bela!»
«Sì, sì» fa eco l’altra «Non vuole stranieri su nostre strade. Se noi vedere ancora, prima taglia tette e poi dà a bulgari. E fida – mi indica minacciosa come un manifesto elettorale americano – fida se dico te che bulgari animali senzadio, no gentleman come rumeni o albanesi»
Cristo santo, ma per chi mi hanno presa?
«Uh, no, c’è un malinteso – preciso – non vengo a rubarvi il lavoro. Io me lo porto dietro»
«Aaahhh» una scintilla di comprensione ravviva lo sguardo «ecco perché lui brutto non vuole noi!»
Vabbè, lasciamo perdere.
Saluto con un sorriso stirato e levo le tende di gran carriera. Mi riprometto che appena entro nel locale, mi ci trincero dentro fino all’alba.

Il posto sfoggia l’improbabile nome di “Tay Mahal” ed è angusto, squallido, pien di troie, ma pare facciano un gulasch ungherese da sballo, così conquistiamo un tavolino tondo e afferriamo il menù. I prezzi sono talmente ridicoli che alzo la testa di scatto, incrocio lo sguardo di Silvano e, dopo un attimo di incertezza, scoppiamo a ridere sguaiatamente ma in sincronia «HAHAHAHAHA».
Chiamiamo il cameriere e ordiniamo un’orgia di aperitivi e piatti di ogni tipo. Man mano che l’elenco si allunga, il tizio sorride in modo sempre più vistoso e quando arriviamo ai dolci ha uno squarcio che gli apre la faccia come una tagliola.
Veniamo serviti a tempo di record e mentre dedico ogni fibra del mio essere a sfondrarmi, Silvano attacca uno dei suoi famigerati monologhi didattici.

«Devi capire che la Romania è un paese onesto, Nad, sincero» esordisce così, un incipit che promette scintillanti gemme di saggezza «Da noi in Italia i supermercati ti rapinano, un paio di scarpe lo acquisti in leasing e le donne se la tirano che manco gliel’avesse disegnata Calatrava – anche tu, Nad, sì, sei ovviamente una gran mignotta, ma sei anche vecchia dentro, retrò. Senza offesa, si capisce. Cioè, ti spiego: nonostante studi americani dimostrino, DIMOSTRINO!, che il sesso tra colleghi aumenta la produttività e quindi vada logicamente inserito tra i doveri societari, voi persistete a negarvi. Ah, ma lo rimpiangerete! Aspetta che comincino a calare le tette e i capelli sbianchino. Aspetta che arrivi l’età in cui ve li tingerete di rosso-prugna, e allora vedrete! Segnati ‘sta profezia, stronzetta… con rispetto parlando. – ‘Spe, temo di aver fatto una digressione. Dunque, che stavo dicendo?... Ah, sì, la Romania è un paese onesto perché offri la cena ad una tipa, le regali due scemenze e poi te la scopi, mentre in Italia devi sganciare financo centinaia di euro. No, no, taci un momento, cazzo! So già cosa vuoi dire, ed è una cagata a sonagli, fidati: la vuoi smenare che è un paese depresso e che io ne approfitto e bla bla bla. I miei coglioni, dico! [Pugno sul tavolo] I soliti qualunquismi borghesi, ma osserva una verità incontrovertibile: sono maschio, no? Sì, dai sono maschio. Alto quasi uno e ottantacinque e perciò discretamente figo, perché lo dice anche Roy Paci “alteza, toda beleza!” hahahaha, bella lì! Sono un fottuto genio [Ride, si acclama, si compiace, poi torna serio di scatto] Fin qui, pace. Sono anche milanese, ingegnere e ricchissimo. (Rispetto a loro, si capisce. Anche la ricchezza è relativa). Comunque, sono quello che si dice un buon partito, Nad, è oggettivo. E allora perché dovrei essere io a pagare per scopare? Eh? Non è sensato, mi segui? Da un punto di vista biologico dovrebbe essere l’esatto contrario: io sono il successo, loro le puttane. Io ho i geni vincenti, loro hanno dei geni-puttana. Io vivo a nella città più bella del globo, loro in un puttanaio agrario. Insomma, il filo logico è chiaro, no? Lineare!... Invece guarda come va a finire [/sospiro, spalanca le braccia] non so, non so davvero… [scuote la testa sconsolato] è un mondo sbagliato, Nad. Come diceva Nietzsche, è tutto stravolto dalla chiesa e dai comunisti. [Si riprende di scatto, come il tic nervoso di un drogato] Già, perché ad essere puntigliosi c’è anche questo da considerare: i romanici, qua, ‘sti zingari che parlano sardo, SONO STATI comunisti, ce lo dimentichiamo? Io no, cazzo! Mo’ devono pagarla! ‘Sti fancazzisti leoncavallini strafatti, se la son spassata vivendo per anni sulle spalle di noialtri onesti lavoratori occidentali, l’ho letto sul National Geographic, e adesso si ritrovano asini al posto dei Cayenne. Ciapa, incarta e porta a casa, parassita! Hai voluto giocare al varsavico? Okkkeeeey, cuccatelo fino in fondo, dico io. E… [di nuovo si fa pacato, affabile] e qui viene il bello, Nad, perché loro, onestamente, se lo cuccano. [Dita unite a giglio che titillano le tempie, lentamente] Quest’umiltà va premiata, non è difficile, su.
… Ehy…
Ecco, hai di nuovo l’espressione tra l’ebete e l’allucinato che assumi quanto cerco di insegnarti l’ABC. Sai che se fossi un debole potrei anche scoraggiarmi? No, dico sul serio e senza offesa, ho come l’impressione di sprecare tempo e parole, addirittura come se tu pensassi solo a mangiare e non mi cagassi affatto, mi spiego? Oi? Oi Nad, sveglia! Ovvaffanculo, ma che te lo dico a fare»

Ebbene sì, lo ammetto, ad un certo punto perdo il contatto e lo lascio andare come un ventilatore a Casablanca. Il punto è che l’inconscio inizia a percepire Silvano come un rumore di fondo, una risacca e perciò non riesco proprio a pendergli dalle labbra come i pezzetti di cibo che sta ingollando.
Inoltre ho una nuova esigenza: devo andare in bagno, e di corsa. Mi alzo senza dare spiegazioni ed mi accodo alla fila promiscua che attende di fronte ad una sinistrata porticina a doppie ante.

Non sono passati nemmeno trenta secondi che si fa avanti un buttafuori gigantesco con la faccia da serial-killer slavo e la mole di Danko, l’antagonista di Rocky. «Uh!» articola, poi mi prende per un braccio e mi parla in italiano «Ci penso io, padrona». Mi accompagna davanti alla fila con la grazia di un mastino che tiene in bocca un uovo, mi sfiora una spalla e specifica «Tu aspetta, io faccio cosa». Poi entra nei bagni e fa LETTERALMENTE rotolare fuori quelli che vi sono dentro, maschi e femmine.
La scena è surreale.
Non è normale vedere un ragazza cacciata da un bagno mentre cerca di tenersi su le mutande spisciate, né sentire boati di colluttazione seguiti da un agglomerato umano volante, le antine del cesso che sbatacchiano avanti e indietro come porte da saloon. Ho gli occhi così sbarrati che temo abbiano raggiunto il diametro di un piattino di caffè. Nel frattempo l’energumeno china il capo per passare sotto l’architrave, mi fa ceno e poi indica il cesso «Tu, Ok!» Alza entrambi i pollici per sottolineare che lo staff attende la mia sosta ai box.
“Non ci credo”, penso, ed entro nella stanza appena liberata. Mi guardo in giro: ci sono quattro porticine, tre col simbolo di una donnina e una con quella di un uomo. Ci sono anche vespasiani e lavandini… e poi c’è il deserto. Neanche un’anima, nisba, zero, nada. Sembra un’area abbandonata per allarme NBC e c’è perfino un mascara dimenticato sulla mensola di un lavabo. Non ci credo, continuo a ripetermi, il troglodita ha davvero cacciato tutti quanti per farmi pisciare da sola!

Un po’ intontita e molto imbarazzata, ne approfitto.
Quando esco, trovo la visuale ostacolata dall’oceanica schienona del buttafuori. Il tipo troneggia davanti alle porte, gambe leggermente divaricate e braccia aperte per impedire a chiunque di entrare. Di fronte a lui c’è la solita fila ordinata, assurdamente mite. Allargo le braccia «Scusate, non sapevo…», ma quelli mi guardano senza capire. Potrebbero perfino fraintendere, ragiono, magari pensano che li sfotta scimmiottando il gorilla: mi ricompongo. Scivolo alla destra del buttafuori che alza ancora il pollicione e fa «Padrona, se tu ha problema è mio problema, ok?»
Sorrido con una smorfia tesa quanto una gamba da fallo d’espulsione e fuggo, sì, cazzo, me la batto alla grande raggiungendo Silvano.

«Ehi, bestia, non puoi immaginare cosa m’è appena successo»
«Posso provarci in tre tentativi?»
«No» e gli racconto velocemente l’avventura
«Cioè, ma fai sul serio!» io sono allibita, lui è emozionato come un gibbone su una bananiera «Fichissimo! Ora ci provo anch’io.»
Prima che possa agguantarlo per la camicia, quello si alza e si precipita ai cessi. La scena si ripete identica e mi sembra perfino di riconoscere un paio di “interrotti”, dei meschinelli che sono stati sbattuti fuori per due volte nell’arco di pochi minuti. Uno di loro, intrepido o con tendenze suicide, si mette a discutere col buttafuori. Danko neppure lo ascolta: gli cala una pizza dall’alto al basso, a metà collo. SPLAT, il rumore di un badile su una bistecca, e il masochista rovina tramortito.
Il resto della fila gli concede un paio di sguardi spenti, poi le teste si girano. Nel frattempo Silvano sfoggia un’aria appagata, napoleonica, e sembra Tamerlano che si distrae assaggiando acini d’uva durante una pausa tra il decreto di un genocidio e quello di una deportazione di massa.

Sto osservando la scena, quando una bella ragazza si avvicina ed inizia a parlarmi in rumeno. Mi scuso, ammetto di essere straniera e lei, con facilità strabiliante, passa all’italiano. Ha un accento denso e sgrammaticato ma non è meno comprensibile di un carabiniere pugliese «Quello lì» dice «Quello che ride uno poco così, è il tuo uomo?»
Ossanta pace, sempre la stessa storia! Perché ogni maledetta volta che vado a lavorare col creaturo lo scambiano per il mio capo, marito, amante e talvolta perfino master o pappone? Sembro davvero così disperata da andare con Silvani? Sarebbe deprimente, cazzo!
Spiego alla ragazza che fortunatamente no, non sono la sua donna, ma semplicemente una collega.
«Ah, quindi è solo» conclude, con un riflesso di cupido calcolo negli occhi chiari.
«Come un cane, mi segui? As a dog. Sempre» e perciò, a Dio piacendo, è destinato all’estinzione come i triceratopi e la sua combinazione genetica non inquinerà la specie.

Parli del diavolo e spuntano le corna: Silvano riappare col cavallo del pantalone impreziosito da una gloriosa macchiolina d’umidità recente, evidentemente non sa sgrullare. «Oi» si presenta quindi sigilla il fonema producendosi in un aborto di inchino settecentesco con svolazzo. Non si accorge d’essere seguito da Danko che lo sorprende col linguaggio comunicativo che gli è più consono: SBADABAM, sulla spalla.
Il latin lover ne risente: sbianca, rantola, si incricca come gollum al cospetto dell’Oscuro Signore e il suo sguardo abbandona la tronfia sicumera per colmarsi di un’emozione altrettanto intensa: il più cieco terrore.
«Sig-nore tuo marito, padrona?»
E dagliela «No. Solo colleghi. Lavoriamo per un’azienda italiana» meglio chiarire, non si sa mai.
«Ach! Voi clienti più best di giornata! Io offrire cocktail di casa, sì?»
«Why not?» offre lui, volete che mi tiri indietro? Sia mai.
Danko grugnisce qualcosa alla ragazza che scopriremo chiamarsi Crystyna (con due ipsilon) lei va al bancone e poco dopo compare una specie di elfo domestico sopraffatto da quattro grossi beveroni. «Sgnappa» spiega il bisonte «Buona. Noi chiama “Stronca-russi”». La notizia è piuttosto allarmante, sapendo quanto alcol riescono ad ingurgitare ad est di Bratislava, ma a questo punto rifiutare sarebbe una pessima idea, quindi smaglio un sorrisone, inforco il boccale e mi riprometto di approfittare della prima scusa per tornare in albergo.

Scocco un’occhiata a Silvano e spero che colga l’universo racchiuso in uno sguardo, ma logicamente non ho speranze.
Il creaturo, infatti, guarda la sgnappa, l’annusa, esclama «Bazzecole» e prende a bere senza vergogna. Poi si lancia in un’autopresentazione ai confini della realtà e spiega ai rumeni che razza di supermanager in realtà egli sia, magari un pelo incompreso, ma geniale. Dice che qui in Romania si trova proprio a suo agio perché quasi tutti biascicano qualche parola di italiano, anche le troie da strada o gli omoni con presumibile intelletto prescolare che lavorano nei pub. Si complimenta con Danko per la performance ai cessi e giura che raccomanderà il locale sottolineandone la squisita ospitalità. Dice che dopo il comunismo i rumeni devono essere tutti finocchi senza palle perché a farsi trattare in quel modo ce ne vuole. Per fortuna sono un popolo sincero, però, e hanno femmine di gran classe come la presente Crystyna, giovane e calda troietta, degna rappresentante della fauna autoctona e in palese contrasto con la collega, cioè me: la brutta copia di un uruk-hai con l’utero, che glielo dice a fare?

Lo show si protrae per un’ora e l’alcol deve aver leso il sistema nervoso periferico di Silvano, perché lo sto massacrando di pedate senza che vi sia la benché minima reazione.
Sto iniziando a preoccuparmi sul serio quando, senza preavviso, l’eroe si incanta come un disco in vinile «Aga… cioè, figa… io me!… gghl… paese sincero… uè, compro tuuutto… mamma»
«Ehi, Silvy, sei andato?» contemporaneamente il collega collassa sul tavolo, allora gli do una pacca sulla schiena, poi un’altra e un pugno con le nocche. Silvano sussulta, rantola, geme «scusa, mamma» e si mette a leccare la formica del ripiano. ARG! E adesso che faccio? Ripiego in albergo da sola? Lo mollo qui e lo ripesco domattina?
«No problema, padrona. Capita» L’omone agguanta Silvano per i capelli radi, gli solleva la testa e la lascia ricadere SDONG- «Aga». Defunto.
«Capita una madonna!»
«Io detto: si tu ha problema, mio problema. Tranquilla, ehy!» e imita di nuovo Fonzie, tutto smile e pollicioni tesi.

La faccenda è seria, invece: da sola non riuscirò mai a trascinare fino all’hotel un Silvano che sbava e vomita. D’altra parte non me la sento nemmeno di abbandonarlo perché anche se non sembra ho una coscienza, o un addestramento, insomma quel che è: non si lascia nessuno in balia del nemico. Mai. L’unica chance è pagare il bisonte perché se lo carichi in spalla.
Avanzo la proposta che viene accolta con entusiasmo «Ti aiuto a mettergli giacca» fa Crystyna con due ipsilon «Io prendo lui: tu dici, noi aiuta. Ormai amici, no?» conclude il buttafuori, quindi scambia quattro grugniti enfatici con la ragazza e l’elfo domestico, si carica Silvano ed esce.

Dopo neanche dieci minuti siamo già in albergo. Ritiro le chiavi e spiego velocemente la situazione al consierge, poi saliamo nella stanza del collega strafatto.
Danko scarica Silvano sul letto e lo fa con insospettata delicatezza, quindi gli assesta una maschia pacca sul culo e mi sorride. Gli sorrido di rimando e lui accentua ulteriormente il gesto… vorrei imitarlo, ma ho una strizza tale che mi produco in un ghigno da vittima di gas nervini. E questo che cazzo vuole adesso? Poi l’illuminazione «Un secondo!»
Mi avvicino a Silvano, gli prendo il portafoglio dalla tasca della giacca e scopro che è orfano di bigliettoni. O lo scimunito ha solamente finto di prelevare per poi farsi offrire da me (e sarebbe un classico) oppure Crystyna l’ha ripulito. Merda… Guardo meglio e ho un secondo lampo di genio: il bancomat! Senza il minimo rimorso lo passo a Danko «Ecco fatto»
«Uh?»
«Tranquillo, il supermanager ci scrive sopra il codice con un pennarello indelebile. Si limita a cambiare i numeri in lettere, perciò A è 1, B è 2 e così via, elementare. Usala senza complimenti, se non fosse svenuto te lo direbbe lui stesso: ormai hai fatto breccia nel suo cuore. Fattelo dire da una che lo conosce bene.»
«Ohh… davvero, padrona? Grazie!»
«Figurati, te lo meriti» e anche Silvano, naturalmente «Ma ora scusami, sono veramente stremata e domani sarà una giornata micidiale. Vi lascio soli.» saluto con la mano e levo le tende: dietro-front! La mia stanza è quasi appiccicata, quindi mi ci fiondo, chiudo la porta, mi spoglio e mi infilo in doccia. Tempo pochi istanti e crollo addormentata sul letto, così, ancora avvolta nell’accappatoio.

Sto dormendo da pochi minuti quando la quiete della notte viene profanata da un suono insistente, acuto, un gemito strozzato che buca il sonno come un ago rovente e lo tortura, lo uccide. MIIAOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO… GROOAOOO.
E’ un’agonia, uno strazio, sembra un gatto che subisce violenza di gruppo: GUUAR-GNAAOOO.
Oh santa pace, dev’essere il periodo degli amori e la bestia è ingrifata forte perché non demorde, continua per ore, è così insopportabile che fra un po’ mi si ingrossano i linfonodi. Le provo tutte pur di isolarmi: ficco la testa sotto il cuscino, mi tappo le orecchie e sbatto forte la testa contro il materasso, infine accendo la luce e mi metto a leggere. Niente, cazzo, niente: GUARGNAAAAOOOO! GRROORRRR… GUAOOOOOO! FFFFfrrrrrrr, FfFFrrr…E g… GNAAO!
Diamine è da impazzire e in questo momento darei un rene per un lanciafiamme. Mi affaccio alla finestra per individuare il felino e scacciarlo o anche solo memorizzarne i lineamenti e ucciderlo l’indomani, con calma. Purtroppo, però, la notte è nera come l’anima di un peccatore e sono costretta ad abbandonare ogni velleità sanguinaria.

Di fatto riesco ad appisolarmi solo verso le prime ore del mattino ma alle sette, impietosa, suona la sveglia. Indosso una camicia, i jeans e i sandali, scendo nella hall e avanzo verso il buffet con la testa rintronata dai miagolii.
Dopo un primo trauma, decido di evitare gli specchi perché mi restituiscono l’immagine di una pazza con due occhiaie da panda segaiolo e l’espressione lievemente esaltata di un ergastolano prima dell’ora d’aria. Per come la vedo io, non sono mai stata specchiogenica ma quel gatto mi ha veramente distrutta. Inutile nasconderselo: non ho più l’età per certe cose. Però, se oggi becco un micio, uno qualunque, giuro che gli faccio fare una brutta fine. Probabilmente lo inseguo, lo catturo e lo regalo a Silvano. E’ un destino atroce che nessuna bestia merita, ma io non sono giusta né caritatevole. Oggi ce l’ho con la specie e sarà un suo rappresentante a pagare per tutti. Filosofia Mao Zedong.
Ma ‘fanculo anche i gatti, adesso c’è una sola cosa che possa farmi tornare il buon umore: una sana colazione all’inglese. Uova, pancetta, yogurth coi cereali, marmellate, pane e burro, un po’ di frutta, un bombolone o un paio di cornetti pucciati nel caffelatte. Un giorno pagherò caro tutto questo… ma anche no. In famiglia crepiamo giovani e di cancro, averne consapevolezza è un ottimo incentivo a godersi la vita.

Davanti al buffet, quasi sbatto contro la sagoma di un rigidissimo Silvano.
«Oi, come va?» saluto
«Una merda»
«Sciocchezze. È la solita emicrania post sbornia»
«SCIOCCHEZZE? SCIOCCHEZZE??!! TU NON SAI CH..»
«Cazzo gridi, deficiente? Vuoi iniziare la giornata coi ceffoni che non t’ha mai dato la mamma?»
«No… è che tu non sai…»
«Ma cosa vuoi che non sappia, Silvano, non fare il bambino e ricordati chi sono»
È interdetto, riflette «Beh, sì, in effetti magari tu sai meglio di altri…»
«Ecco, così mi piaci»
«… perché… cioè, Nadja, amica mia, se ti confido un segreto, sai mantenerlo?»
TIN! Recettiva come un satellite spia «Silvano, diamine, tu mi offendi» mano sul cuore, sguardo ferito.
«Ok, ok, ma ti avverto che è una cosa delicata»
«Silvy, hai presente una tomba? Un mausoleo? Una necropoli?» ho già il cellulare che scotta.
«Bene… [inspira forte] allora no, insomma, io credo di aver bevuto un po’ ieri sera, ma poco, pochissimo, perché sai che reggo come un alpino. Cioè, il fegato mi si spappola ma non crollo, sono come il nonno, uguale. Quindi ieri sera questi romanici bastardi devono avermi drogato l’aperitivo, mi segui?»
«Come un rimorchio.»
«Ecco [sottovoce] parliamo piano, va bene? Basso profilo [e si china fino a sfiorare il tavolo col mento]. Dunque, ricordo nettamente che la puttanella era cotta di me. D’altra parte non c’era partita tra il sottoscritto e King Kong, che te lo dico a fare. Comunque dopo… dopo ho come un vuoto: so di aver comprato l’intero locale perché tanto non costava un cazzo, so che Crystyna con due ipsilon mi ha chiesto il permesso di salire in camera e, data l’euforia del momento, gliel’ho concesso perché in fondo la mia è una natura generosa, ma poi… Cristo, è difficile, sai? Ricordo il letto, e lei, e te… sprazzi, solo sprazzi. So per certo di averla scopata, anche se non ricordo i dettagli. Evidentemente quella porcheria mi ha rimosso la memoria tipo Matrix, presente? Pillola rossa e pillola blu. Che fottuta sfiga.»
«Sì, vabbè, Silvy: sogni, allucinazioni ma a me?» biascico, le labbra incipriate di zucchero a velo e la bocca che duella con un bombolone alla crema.
«Dio che buzzurra da paura… Vabbè, sei straniera quindi è logico. No, scusa, [di nuovo un sussurro] è che… mi hanno derubato, Nad»
«No!»
«Sì, cazzo, sì! Tutti i liquidi e anche il bancomat!»
«Maddai»
«Che se ne faranno del bancomat senza il codice poi, mah... Però, Nad, questo è il meno.»
«Come il meno?» sono sinceramente stupita, che altro ci può essere? Silvy è un taccagno esecrabile, un vero spilorcio, un “bagna-patatine” come si diceva in TZHAL, uno che si nasconde per non far sentire che sgranocchia.
«No, no…» abbassa la voce ad un filo sottile e, sarà una mia impressione, ma un velo d’umidità gli scintilla tra le palpebre «È che il mostro, King Kong, ad un certo punto me lo sono trovato in stanza. Sì, Cristo, non fare quella faccia, devi credermi! Era in combutta con la puttana, cazzo ne so. Insomma, io sono sul letto strafatto d’amore e questo vigliacco mi mette le mani addosso, capisci? Mi sveglio di colpo e gli dico, cazzo fai? Guarda che ero infuriato come un toro, tu non mi hai mai visto così, ma sono una bestia, un animale, un assassino spietato con meno scrupoli di Unabomber. King Kong era già morto se solo non mi avessero drogato, e anche così, diamine so il fatto mio.»
«Non ho dubbi»
«Infatti, cazzo! Gli spiego che è un frocio anabolizzato rottinculo solo un po’ più grosso e fesso del normale, poi gli intimo di smetterla e di mandarmi Crystyna, non subito: immediatamente, ma quello si mette a ridere e dice qualcosa tipo “mongoloski”, “dementov”, sai che non ci capisco un cazzo di zingarese. Gli do una sberla e lui mi solleva e mi pianta faccia al muro, Nad!»
«Naaaa, e poi?!»
«Zitta, per carità del cielo!»
[Sottovoce] «Sì, ok, ma tu vai nel dettaglio»
«Allora… è imbarazzante e non te lo racconterei mai, ma ho bisogno di te, capisci?»
«Naturalmente, vecchio mio: lasciati servire.»
«Cioè, mi ha trascinato fino al davanzale e… e non farmi dire, Nad, cazzo!»
«Ma tu non hai reagito?!?!»
«Shhhttt, zitta! [sottovoce, ventre sul tavolo] Sì, certo… cioè, ho cercato, come dire… ma quello menava! Lo sai che da ‘ste parti si usa così: rovesciare la faccia al prossimo è parte essenziale del protocollo comunicativo slavo. Perciò più reagivo e più quello andava giù di stramusoni.»
«Madonna… e allora?»
«Allora ho desistito, mica sono masochista. Però non so se ho fatto proprio bene, perché King Kong m’ha ficcato una manona sulla nuca, mi ha spinto giù, contro la balaustra, la faccia nel vuoto, le punte dei piedi a sfiorare il pavimento, e poi…»
«Poi?»
«Un’ordalia, che te lo dico a fare! Quel nato da un cane aveva una putrella da trenta, un traliccio dell’ENEL, Gesù, Gesù, Gesù [singhiozza piano]… M’ha martirizzato per ore, ti rendi conto? E’ per questo che ho bisogno del tuo aiuto: tu sei troia (scusa, tu sei pratica, volevo dire pratica), hai esperienza e devi esserti presa tutte le malattie del mondo, perciò dimmi, è il caso che mi faccia qualche test?»
«Beh, direi di sì, ma scusa Silvy perché non hai provato a chiamare aiuto?»
«COSA? [Shhhtttt, sottovoce] L’ho fatto, cazzo, ho gridato, gridato e gridato per tutta la fottuta notte, ma con un rotolo di carta igienica incastonato tra le fauci non è mica facile, che ti credi?»
A quel punto si è accesa una lampadina e ho collegato i pezzi del puzzle.
Ci ho messo un po’ perché di mattina sono ancor più rintronata del solito, ma alla fine ce l’ho fatta: a tenermi sveglia fino alle quattro del mattino era stata una bestia in calore, sì, ma non s’era trattato di uno stramaledettissimo gatto rumeno.


Nadja Jacur

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