IO




Devo scrivere, cazzo.
Io che ho sempre schifato diari, agende e protesi mnemoniche per introversi insicuri.
Io che alla carta preferisco le parole, perche’ non ho peli sulla lingua ne’ tempo da sprecare.
Io che non scrivo mai. Mai. Tanto da esser quasi un’analfabeta di ritorno. Io…
Io devo scrivere e devo farlo adesso.

Mi sento confusa come al primo discorso pubblico di Bossi e devo fissare, capire, confessare qualcosa a me stessa.
Potrei parlare, si, come una deficiente davanti allo specchio.
Lo facevo all’universita’, lo faccio ancora quando preparo un’arringa importante.
Gia’, ma perche’ lo sto scrivendo? Che c’entra col busillis?
Cioe’ e’ una cosa che io so bene, che alla carta non frega un cazzo e che tu non saprai mai perche’ queste pagine tra dieci minuti verranno appallottolate e graziosamente scagliate nel caminetto.

Sto prendendo tempo, ecco cosa sto facendo.
Quando basterebbe un briciolo d’onesta’, ammettere che certe cose le intuisco da sempre ma non le affronto, che le nascondo.
A tutti e a me stessa.
Ecco fatto, l’ho detto.
L’ho scritto.
Io?
No, e’ stata questa merdosa bic che mi sbava tra le dita. E’ lei che scrive.
Mio malgrado, srotola parole su un foglio di risulta e quelle scendono da sole, piu’ veloci del pensiero. Incontenibili e spietate come un uragano tropicale. Come una verita’ alla luce del sole.

Ecco che fine fanno i miei autoinganni, le barriere di difesa. In poche righe si rivelano per quel grottesco bluff che sono… e scivolano inerti l’uno sull’altro.
Sgommate blu, speculari sull’anulare e sulla carta.
Ghirigori che non rileggero’ mai piu’. Perche’ io non ho bisogno di agende, non ho bisogno di diari.

Che poi… a chi cazzo sto scrivendo?
A me stessa no, dai. Fa troppo ragazzina primi novecento, come dire… mezza scimunita.
Ma ti immagini?
“Cara Claudia,
ti devo raccontare una cosa incredibile…”
Non posso scadere cosi’ in basso, su, oggi sarebbe roba da veline. Lesiva della mia dignita’ di essere umano.
Come me la cavo, allora? Mi rivolgo a qualcosa di impersonale?
“Cario diario, ti devo raccontare…”.
Occristo no!
Una sociopatica che si rivolge agli oggetti inanimati come se fossero persone senzienti. Si comincia cosi’ e si finisce neanche quarantenni a parlare col cane: “Attila, ciccino, vieni dalla mamma che ti da i croccantini”.
Confusione biologica.
Escluso.
Mi rivolgo a te, allora. Si, dai, a te, mi hai capita… non c’e’ nessun altro nella mia testa ora, solo tu.
Chiaro che non leggerai mai queste parole, diamine! Faro’ di tutto per distruggere ogni prova.
Ammesso e non concesso che tu sappia leggere qualcosa di piu’ impegnativo delle avventure di Geronimo Stilton, mi imbarazzerebbe comunque vederti con questo foglio tra le mani, capisci?
Un disagio che… si insomma, preferirei farmi lavare i capelli da mio padre, ecco.

‘Fanculo, ho esaurito il primo pezzo di carta e non ho ancora concluso niente. Andiamo al sodo, su. E che sia finita.
Dunque, tanto per cominciare sono bagnata.
Un mezzo lago.
Stronzo.

E questa e’ la parte facile.

Sono bagnata perche’ sto pensando a quando ho lasciato che mi prendessi come volevi. Ho forzato me stessa a non opporre resistenza, quasi nessuna (e comunque nella certezza che non mi avresti dato retta, che l'avresti fatto lo stesso).
Sto pensando a quando mi sono data a te, completamente, affidandoti il piacere e il dolore, la paure e l'orgoglio, il disagio.
La volonta' e il suo abbandono.
Ho fatto un bell'involto con tutto dentro, te l'ho dato e per una volta ho lasciato che fossi tu a decidere per me. Mi sono sentita aperta, sfondata con tutte le piccole scomodita' del caso. Usata. Magnificamente usata e… e, Diocristo, soprattutto mi sono sentita femmina.
Io che non ho mai saputo cosa volesse dire, in pratica.

Ecco, ti rendi conto quanto sia bestialmente difficile ammettere questo? Ed e' incredibile con quanta semplicita' riesca a farlo adesso, qui, con te di fronte, comprensivo affettuoso attento e muto nel tuo pallido incarnato formato A4.

E’ semplice, nonostante tutto sia nuovo e terribile, spaventoso e splendido, anche perche’ so che non sono una succube e che non lo saro' mai. Non mi viene spontaneo, mi segui? Eppure la sensazione a due giorni di distanza, il "sapore" che sento prevalere, e' quello. Di aver assunto un ruolo passivo che mi e' alieno e di averne scimmiescamente goduto. Di essermi davvero lasciata andare, molto piu' di quello che faccio di solito… dannatamente piu’ di quello che ho sempre fatto.

E questa e’ tosta, eh? Da metabolizzare, dico.
Dico? No, non dico. Non lo voglio dire. Sentire suoni e pensieri che escono dalle mie labbra, con la mia voce. Raccapriccio! Via, via, vade retro: che sia la penna a scriverlo. Lei, da sola, sul dorso di un volantino pubblicitario imprudentemente bianco. Cosi’, poi, mi limitero’ a cestinare il tutto senza rimorsi.

Dov’ero rimasta? Ah, si, che sia chiaro, non e’ certo il modo in cui l’abbiamo fatto ad essere stato determinante. Il tipo di penetrazione e… si insomma, sono gia’ stata presa dietro, lo sai, ma normalmente riesco ad essere presente, attiva, dominante anche in quel caso. Sono io che conduco, nonostante la posizione. Sono io che parlo. Sono io che mantengo il controllo. Mi viene spontaneo e non mi e' stato mai chiesto di fare altrimenti.
Questa volta, pero’, e’ scattato qualcosa che l’ha reso completamente diverso. Qualcosa dentro di me che tu hai innescato e mi son trovata a mettere in gioco molto piu' del mio culo. Ho voluto darti la mia passivita', la mia debolezza. Fortemente.
Mostrarmi debole e inerme come ho fatto con te e' una cosa che non immaginavo neanche di saper fare, di poter fare. (Diocristo quante cose vengono fuori scrivendo… ecco perche’ non lo faccio mai: sono saggia. Analfabeta ma saggia)

E’ un termine che non ho mai nemmeno usato, debolezza. Eppure e' un termine che sento terribilmente vicino.
La sua negazione, soprattutto.
Mi appartiene.
E’ la struttura portante della mia vita, perche’ non ho mai sopportato di essere debole.
Ho sempre lottato con altri e con me stessa per affermare la mia autorita’ e bandire ogni forma di fragilita’. In tutti i sensi, fisicamente e non. Per questo qualsiasi bipede sulla terra mi descrivera’ come una persona forte, senza paure e incertezze. Una roccia. Una che magari muore ma non chiede aiuto, che se la cava da sola, che deve cavarsela da sola. E anche nel sesso, e' naturale, sono cosi'.
Mantenere il controllo e' un modo semplice per non mostrare il proprio lato debole, quello che ha bisogno dell'altro.

Eccomi quindi, distaccata, forte, inattaccabile. Orgogliosa fino a rasentare l’idiozia. Oh, si, eccomi, Lady Galadriel di Lothlorien… Ma allora come cazzo e' possibile che mentre mi legavi, mentre mi avvolgevi la corda intorno ai polsi e stringevi con piccoli strattoni, io sentissi tutte queste incrollabili certezze abbandonarmi come un sospiro esalato?
Sentivo l’esoscheletro che si sgretolava sotto la tua voce (sai quanto odio la tua voce, a proposito? Quanto mi manchi e quanto la odi, lo sai?), ma era solo la fase finale di un processo cominciato molto prima. Iniziato gia' a parole quando eravamo ad un inferno di distanza e continuato li, avvinghiati, tra graffi, morsi e baci. Una passione che ha raggiunto la massa critica di collasso quando non ho opposto resistenza e mi sono fatta inculare, in albergo, e poi di nuovo con dildi, mani, cazzo.

Ma credo di aver davvero abbandonato ogni timore, ogni rigidezza, in un momento preciso: quando gia' serravo i denti intorno alla stoffa e non tanto quando ho aperto la bocca e accettato di farmi imbavagliare.

Seguimi, e' una sfumatura, ma voglio spiegartela.
Anzi devo sviscerarla, sezionarla, squartarla, gorgheggiare e sputarla fuori come un fastidioso grumo di catarro…
Che c’e’, e’ poco signorile come espressione?
Ti secca, ti ghiaccia, ti disgusta? Caro, ora sei tu cieco e muto e legato.
Sei solo un uomo di carta e come tale morirai appallottolato nel caminetto fra pochi minuti.
Quindi e’ inevitabile che tu, adesso, sia in mio potere. Non puoi nemmeno lottare come io facevo con me stessa. Quando ho aperto la bocca con la volonta' e mi sono imposta di cedere. Quando mi sono violentata come sai che possiamo e sappiamo fare. Sfidandomi. Detestandomi. Sentendomi ridicola mentre ti percepivo armeggiare dietro di me.

Poi le tue mani sono tornate sul mio corpo, mi hai toccato, hai imbrigliato i polsi e hai stretto, mani su mani, in una morsa di corda e passione. Una, due, tre volte, con forza controllata e tranquillizzandomi al tempo stesso. Dicendomi che la tua mente ingegnosa era riuscita ad evitare i nodi; ma non avrebbe fatto differenza, sai?

E' in quel momento preciso, mentre mi stringevi i polsi, che ho ceduto. Muta, cieca, costretta, ho sentito dileguarsi la mia volonta' di restare vigile.
Prima,
quando ho aperto la bocca e stretto i denti sulla stoffa, l'ho fatto ancora con coscienza.
Poi, dopo
ho deposto le armi, l’ho leccata quella stramaledetta stoffa, e mi sono data completamente a te.
Mi sono lasciata fare.

E' stato da quell’istante che mi sono sentita davvero femmina.
Mi sono sentita bella, bellissima, e terribilmente sexy, capisci? Legata, mi hai trascinata in giro come una cagna, ma io camminavo a testa alta, con orgoglio, seguendoti al buio degli occhi chiusi, un passetto dopo l'altro come una geisha sui trampoli. Era una condizione cosi’ imbarazzante, cosi’ umiliante… ma non per me, non in quei minuti.
Come cazzo faccio a spiegarti?
Come faccio, come? Anche quando mi sono inginocchiata obbedendo ai tuoi ordini, in quella posizione esposta e mortificante che rendeva impossibile muovere alcunche’. Anche allora, nemmeno per un attimo ho avuto il timore di apparire ridicola (anche se, rivedendomi ora… ma no, no, sarei capace di eccitarmi come uno scimpanze’ davanti ad un casco di banane) ma mi sono sentita, di nuovo, bellissima, invitante, tua. Assolutamente.

Il dolore delle corde che mi massacrava i sensi, il desiderio vergognoso di essere esposta e aperta alla tua merce' che scioglieva come acido le mie ultime resistenze.
Schiava, si.
E, splendido a dirsi, padrona dei tuoi sensi.
Padrona tanto da farti venire sfiorandoti il ventre duro con l'unica cosa che potevo muovere, le dita.
Tanto da premere il culo contro di te, da scoparti, letteralmente, mente venivi. Imponendoti un modo di godere che non ti e' proprio. E non sai quanto mi sia piaciuto. Non ne hai la piu’ pallida, lurida, fottuta idea mentre io possiedo ogni sfumatura del tuo piacere senza che, ancora, tu te ne renda minimamente conto.

Femmina. Schiava e padrona insieme.
E' questo che volevi, vero?
E' questo che desideravi da me. Avermi cosi’ come non mi ha avuta mai nessuno e non parliamo di sesso, cretinetti.
Volevi avermi come sapevi che potevo essere, come io stessa nemmeno immaginavo.
Eccolo qui il tuo regalo per me, sigillato da un Danubio di sperma e infiocchettato da quel sorriso magnetico da maschera di Tutankhamon. Quella linea carnale delle labbra. Ironica, odiosa, adorabile e da modrere. Quella che sembra dire “guardati ora. Specchiati nei miei occhi e chiudi quella bocca da pastorella sbalordita. Questa sei tu, non la Madonna e io l’ho sempre saputo che eri cosi’. Meravigliosa.”

Oh, dio stramaledetto, io si! IO!

E sento che e' solo l'inizio, che e' solo un assaggio.
Lo rifaro’ e lo rifarai. Magari non ti serviranno neanche le corde, e sara' ancora diverso, e ancora bellissimo. E io non sapro’… occristo, no, nemmeno ora non so piu’ che fare, se piangere di gioia o ridere di dolore, perche’ uscire da una crisalide e’ terribile. Lacerante.

Ed io… gia’ ma chi sono io adesso? Che cosa sono?
Le mie realta’, i miei punti fermi… si, perche’ se non sono quella che per una vita ho creduto di essere. Se ogni scelta o vigliacco dettaglio della mia vita e’ stato calibrato su postulati intoccabili che hai spazzato via in ventiquattro ore. Se… se io non sono io ogni fottuta certezza che avevo se ne vola via come un aquilone tagliato.
E io non sono io.
Non so piu’ chi cazzo e’ questo io.
Io, che non ho mai scritto.
Io.

Per questo. Esattamente per questo, lurido bastardo, lo sai quanto ti odio?
Vorrei prenderti a schiaffi, adesso, qui, pugnalarti con la bic sul petto, sulle spalle, fare un colabrodo della tua pelle di seta. Ti detesto per avermi desiderata cosi' intensamente. Per aver voluto abbattere le mie resistenze senza lasciarmi scampo, e soprattutto ti detesto perche’ ora sento un cazzo di legame con te.
Fortissimo.
Perche’ nessuno mai mi ha travolta cosi’: si son sempre arenati. Felicemente arenati sugli scogli del mio essere forte e attiva, a loro bastava avere il mio corpo. Gli bastava il paradiso dei pompini o la superficie del mio piacere, ma nessuno ha veramente voluto… nessuno si e’ realmente interessato a me. Ad Io.

Questo e' il motivo per cui alla fine, seduti una nell'altro, con l'acqua della doccia che ci piangeva sulla pelle, ti sfioravo il volto mentre tu mi sfioravi sotto, in quella parte di me che e’ cambiata, che non riconosco piu’, ed io sentivo di essere tua.
Tua davvero.

Anche adesso che lo rivivo e’ come se provassi un affetto strano, bastardo, una cosa senza nome fatta di sesso e di cuore. E questo niente indefinito aumenta ad ogni parola che ci scambiamo, ad ogni scemenza che viviamo insieme, ma dev’essere la stanchezza, si.

Per inciso, non so come mi venga in mente ora, ma ti sei mai domandato perche’ gli uomini si sforzino tanto ad inventare termini per ogni cosa, perfino per quelle astratte che fuggono ai canoni di ogni definizione? Mi spiego: io capisco un cavallo, e l’idea di cavallo. Capisco una rosa, e l’idea di rosa. Capisco un figlio di troia, e l’idea stessa, rispettabilissima, di figlio di troia. Ma perche’ masturbarsi il cervello su idiozie impalpabili?
Perche’ investirci energie?
In fondo e’ come scrivere: non serve a nulla, solo a perdere tempo.
Ecco perche’ non lo faccio mai.
Mai.
E nemmeno leggo, a dire il vero… soprattutto cio’ che viene fuori da questa bic blu, impiastricciata di blu, umida di blu, scivolosa di blu e non solo di blu.

Poi appallottolo e butto nel fuoco.
Ecco fatto.
Tanto ci son solo cazzate senza nome. Cose che non esistono e non sono mai esistite.
Cose che, se per assurdo esistessero, sarebbero sacre e impronunciabili come il nome di Dio.


Nadja Jacur

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