LEONA



L’autunno dipinse il mondo di rosso, giallo, bronzo finche’ il vento non strappo’ anche gli ultimi frammenti di colore e li rapi’ turbinando sul suo canto. In cambio e con puntigliosa galanteria, la stagione cattiva porto’ i soldati dell’esercito regolare che travolsero il paese di Bianca cancellandolo semplicemente dalla storia.
Sconfitto, l’esercito zapatista si disgrego’ in numerose bande indipendenti, schegge di uno specchio infranto piccole ma pur sempre insidiose.

Bianca marciava in silenzio. Marciava e pensava a com’era cambiata la sua vita nell’ultimo anno.
La famiglia distrutta, lo stupro, la vendetta esatta coi fucili della rivoluzione. E poi ancora l’arrivo dei soldati, la fuga, l’incidente con Diego…
Gia’, Diego, in fondo quell’animaletto in calore se l’era andata a cercare, ma ricordare l’episodio lasciava sempre in bocca un gusto strano, come di limone acerbo.

Diamine, il problema e’ che a volte gli uomini sono cosi’ poco intuitivi!
Eppure sarebbe bastato osservare, farsi camminare il cervello… si insomma, Bianca era stata picchiata e stuprata non le avevano mica regalato un mazzo di petunie. Pare che esperienze del genere tendano ad essere formative, che arrivino persino ad influenzare le capacita’ relazionali di un essere umano. Che fatto singolare, no?
Ecco, a Bianca era accaduto precisamente questo: dopo la violenza qualcosa in lei si era inaridito e l’aveva resa taciturna e ombrosa, secca e dura nelle risposte tanto da scoraggiare ogni confidenza.
Solo con Diego riusciva ad essere diversa. Voleva esserlo. Perche’ lo conosceva da una vita, perche’ avevano giocato insieme da bimbi, perche’ a quindici anni avevano persino consumato un piccolo flirt fatto di baci e di carezze… Era un riflesso istintivo. La ricerca disperata di un rapporto umano in grado di sanare le ferite dell’anima, di provarle che gli uomini potevano ancora essere compagni degni di fiducia.
Una relazione timida e coraggiosa, quindi, e fragile come un bisbiglio di cristallo. Un qualunque primate semisenziente l’avrebbe intuito… Il punto e’: un giovane in estro puo’ definirsi tale?

“Serata fantastica, Bianca. Facciamo quattro passi sotto le stelle?”
“Perche’ no”.
“A me – non so come mai – ma stasera tutte ‘ste lucette giallognole mi stimolano la poesia”.
“Ti prego…”
“Ti prego si, o ti prego no?”
Bianca non volle ferire l’amico con un disperato diniego. Resto’ zitta, ma mormoro’ una preghiera per la lingua spagnola condannata allo scempio di innominabili sevizie.

Diego mantenne fede alle piu’ alte aspettative, ma alterno’ rime straziante a confusi apprezzamenti che nei suoi intenti dovevano essere galanti romanticherie.
Poiche’ la ragazza non scappo’ urlando, ne’ tento’ di ammutolirlo in malomodo o di stordirlo con un sasso, il poeta si fece audace e passo’ all’approccio tattile cingendole la vita con un braccio.
Subito un campanello d’allarme squillo’ nel cuore di Bianca. Lei cerco’ di ignorarlo ma cio’ nonostante si irrigidi’.

“Aspetta…” mormoro’.
Ma Diego era troppo eccitato per ascoltarla, percio’ la trattenne, scatto’ in avanti e le rubo’ un bacio.
In un attimo Bianca rivide di fronte a se Fernando, l’ufficiale governativo che l’aveva torturata e stuprata. “No!” esclamo’, ma Diego la strinse ancor piu’ forte.
“Smettila, Diego. Non voglio!”
“Bianca, tu non sai quanto ti desidero…” ansimo’ lui come tutta risposta e con la brillante originalita’ di una noce di cocco. Poi cerco’ di sollevarle la camicia, di infilarle una mano sotto la cinta. Bianca si rivide picchiata, violata, usata come una bestia. Nella penombra e nella sua immaginazione gli occhi di Diego diventarono quelli di Fernando, i due volti si fusero insieme confondendosi, perfino la voce sembro’ la stessa.
Agi’ d’istinto e prima di accorgersene aveva gia’ sguainato un coltello, lo aveva insinuato fulminea tra le gambe dell’uomo e lo stava premendo minacciosamente sull’inguine.
“Ho detto no, Diego” sibilo’ tra i denti, lo sguardo duro, la voce scolpita nella pietra.
Diego si immobilizzo’, bianco come una statua di cera e in punta di piedi per intuibili esigenze, poi giro’ i tacchi e strategicamente fuggi’.

L’incidente non ebbe seguito ne’ strascichi, ma non fu nemmeno dimenticato e da quel giorno Bianca divenne per tutti Leòna.
“Leòna…” mormoro’ la ragazza e storse il naso, perche’ quel nome guerriero ed altisonante era anche il simbolo della sua sconfitta come donna: le ricordava come Fernando riprendesse vita non appena una mano maschile la sfiorava, come si reincarnasse in essa e l’incubo non morisse mai.
Derubata di dignita’ e innocenza, castrata nell’anima ed incapace di darsi ad un uomo: ecco Leòna bella e intoccabile, coi denti affilati e gli artigli sempre pronti… Leòna un gran bel nome, certo, ma quanta amarezza nascondeva.

Meglio non pensarci, dunque. Camminare e buttarsi ogni cosa alle spalle insieme alla distanza.
Molto meglio, si, e quindi avanti, in marcia e in silenzio. Il fucile a tracolla e la cartucciera di traverso sul petto. Avanti insieme ai pochi compagni rimasti, una dozzina di uomini ostinati che non si rassegnavano alla sconfitta, idealisti o disperati che la logica insensata della guerra civile aveva trasformato nella sua nuova famiglia.

Ecco allora “papa’” Santo, il piu’ anziano, stempiato, con una folta barba grigia, i denti gialli e il respiro cattivo di chi ha il vizio di masticar tabacco. Santo, che era stato nell’esercito, che non perdeva mai la calma, che sapeva impartire ordini con una semplice occhiata e senza smettere mai di ruminare o sputacchiare.

Poi c’erano Domenico, Juanito e Felipe, detto il Reverendo per il suo zelo religioso. Un fervore talmente sentito ed ingenuo da spingerlo a dialogare continuamente con il Padreterno per mezzo di invocazioni e preghiere. Un trasporto sincero, davvero, che pero’ nei momenti piu’ ispirati tendeva a scivolare in un catastrofico solfeggio di indicibili profanita’, variegato e pittoresco, talvolta perfino creativo. Il poveretto ne era mortificato e per espiare moltiplicava le orazioni o si sbracciava come un indemoniato segnandosi “Padre & Figlio & SS - Padre & Figlio & SS”, ricorsivamente e ad libitum. Un dramma senza soluzioni.

“Alt!” ordino’ Santo, interrompendo l’appello mentale di Bianca “Per oggi basta: scarichiamo i muli e montiamo il campo”.
La ragazza lascio’ cadere lo zaino con un gemito di godimento e si sgranchi’ le spalle indolenzite.
Nel momento di massima tensione muscolare, quell’istante di orgasmo miotico che porta un po’ allo smarrimento, uno sconsiderato con tendenze suicide le premette un dito sul fianco e subito Bianca scarto’ di lato portando istintivamente la mano al coltello.
“Tranquila, chica. Io no soy un hombre” disse Pilar, sorridendo monella in quel suo modo sbarazzino.
“Deficiente” fu il serafico commento.
Pilar era effettivamente la sola altra donna della banda e come tale era la miglior amica di Bianca, quasi una sorella. Ed era anche, come dire…
Beh, insomma, gli altri la chiamavano “Mira”, imperativo presente del verbo “mirar”.
Cosi’, semplicemente, perche’ quando entrava nel raggio visivo di un uomo questo se la divorava con gli occhi e immancabilmente esclamava “Mira!”, tubando con la voce rotonda di chi e’ tentato da un goloso pasticcino e indicandola in un trionfo estatico di libidine.

Gia’ perche’ Pilar aveva il corpo di un angelo e il viso di un diavolo, malizioso e innocente al tempo stesso, incorniciato da un fiume di capelli neri, lucidi e freddi che portava raccolti in una treccia grossa come un bicchiere.
In una giornata di profonda speculazione teologica Felipe ipotizzo’ che Pilar fosse un essere magico creato da Dio in un momento di distrazione e forse, a pensarci bene, non si era sbagliato di molto.
Al suo aspetto miracoloso, infatti, Pilar univa un carattere zingaro che la rendeva assolutamente unica. Leggera, mai imbronciata, libera… forse un po’ pazza, Pilar era un mondo di contraddizioni: parlava come un uomo ma con la delicatezza di una vergine (cosa che certo non era e forse non era mai stata), era tenera e spregiudicata, amava tutti e nessuno, uccideva senza pieta’ ma era dolce come il miele. Nella banda erano pochi quelli che non aveva provato e – incredibile a dirsi – riusciva a fare in modo che i suoi amanti stravedessero per lei senza esserne gelosi, aveva insomma potenzialita’ rivoluzionarie tali da far tremare il piu’ oscurantista dei bigotti.

“Ho bisogno di un favore, chica, posso contare su di te?” chiese Pilar senza preamboli.
“Certo”.
“Puoi occuparti del mio mulo? Stasera voglio farmi bella e voglio farlo con cura”.
“Bella?” domando’ Bianca incredula “Qui, in mezzo alla brughiera, tra noi e i muli… e poi come sarebbe a dire che vuoi farti bella? Vuoi forse far impallidire le stelle?”
“No, voglio far impallidire Manuel” rispose Pilar con malizia, e i suoi occhi brillarono come quelli del predatore piu’ feroce.
Bianca soffio’ col naso ricordando per un attimo il felino di cui portava il nome “Mira, sei incorreggibile!” poi penso’ a Manuel, quel giovane enigmatico che si era unito al gruppo in primavera: era sbucato praticamente dal nulla, in sella ad una giumenta baia di prima scelta e vestito come un signore di citta’, con giacca, camicia di lino, persino un panciotto!
“Quello e’ un uomo strano, Pilar. Un ricco che butta alle spalle i suoi privilegi per fare la rivoluzione deve essere un pazzo, oppure e’ un bugiardo, o ancora nasconde qualcosa.”
“Voglio ben sperare!” ribatte’ allusiva l’amica “E mi auguro che sia all’altezza del resto!
Guardalo, e’ piu’ alto degli altri di diverse dita, ha un bel viso, i capelli ricci e il portamento orgoglioso di un purosangue. E poi guarda che spalle, guarda che culo!
Basta, ho deciso, deve essere mio” sentenzio’ Pilar.

“E’ un bell’uomo, si. Giovane, colto, signorile… arrogante, distaccato e freddo.
Possiede il portamento di chi non ha mai dovuto piegare la schiena sui campi, la finta modestia di chi si sente migliore e probabilmente uno dei suoi cani mangiava meglio di una famiglia di campesinos.
Insomma, Pilar, non senti a pelle che lui e’ diverso?
Non ci sara’ mai compatibilita’ tra voi: lui e’ un cane e tu sei una capra, non siete fatti uguali”.
“Tu dici?” sorrise l’amica con tono di sfida, e accompagno’ la domanda con un movimento rotondo del bacino, morbido, sensuale ed animalescamente provocante.
“E’ anche l’unico maschio che non ti sia crollato ai piedi nello spazio di un sospiro” sottolineo’ Bianca, che conosceva il suo pollame.
“Appunto. Intollerabile, no?” rise la ragazza, con quella vitalita’ e quella spregiudicatezza che tanti uomini trovavano irresistibile. “Ora vado a prepararmi, chica, ti prego pensa tu al mio adorabile muletto” e si eclisso’ soffiandole un bacio.

Bianca scrollo’ le spalle, lavoro’ per due e dopo il tramonto si uni’ ai compagni.
Era una serata tranquilla: alcuni si erano allontanati per riposare, due o tre stavano pulendo le armi, altri avevano trovato un momento di solitudine nella compagnia delle stelle e si erano abbandonati alla ricerca di un ricordo o di un affetto perduto.
Avvicinandosi al gruppo Bianca noto’ che Pilar non aveva ancora fatto la sua comparsa. Divorata da una curiosita’ famelica, scelse di sedersi in posizione strategica, ossia vicino al fuoco tra Manuel e Felipe.

Manuel era impolverato, non odorava di pino silvestre e aveva ormai dismesso i suoi abiti da atelier a favore di indumenti piu’ rozzi e pratici. Nonostante cio’, anche mentre stava seduto per terra senza cappello, i pantaloni sporchi e la camicia strappata, anche in qual caso non sembrava un guerrigliero braccato, ma un nobile eccentrico impegnato in qualche gioco frivolo ed esclusivo.
Inoltre emanava una carica sensuale alla quale poche donne avrebbero saputo resistere: la camicia strappata all’altezza del fianco lasciava scoperti muscoli tondi e ben disegnati, sotto la scollatura si intravedeva il petto villoso ma non troppo ed avambracci abbronzati facevano capolino dalle maniche arrotolate. Come se non bastasse quella dannata camicia gli andava un po’ strettina, giusto quel tanto da disegnare perfettamente il bicipite quando Manuel compiva un gesto banale come scostarsi i ricci scuri dagli occhi.
Era decisamente un bell’uomo, magari stronzo e latifondista, ma innegabilmente bello.

Pilar si mosse lentamente, badando a fare il minor rumore possibile. Sguscio’ dietro un masso e fece un ultimo, rapido controllo alla luce stanca della luna.
Aveva sciolto la lunga treccia e si era spazzolata i capelli con feroce meticolosita’, eliminando ogni piccola imperfezione, lisciandoli e sfregandoli finche’ non si erano trasformati in un’unica, liscia marea nera percorsa dalle onde argentee del riflesso lunare.

Aveva sostituito i pantaloni da marcia con una gonna di lino bianca confezionata da lei personalmente, una sciccheria frutto di inconfessabili sevizie ai danni di un lenzuolo razziato in una villa. Il busto era coperto da una vezzosa camicia europea color vaniglia, una camicia che aveva certamente fatto parte del guardaroba di una signora facoltosa: era di tessuto fine, con maniche larghe ed ariose quasi trasparenti, mentre una scollatura generosa e rettangolare lasciava libere le spalle e tagliava il petto con una linea orizzontale giocando civettuola con la prorompente rotondita’ del seno.
Pilar era splendida. Lo sarebbe stata nel fasto di una citta’, in un accampamento di guerriglieri zapatisti sembrava semplicemente un’apparizione ultraterrena.

La donna si mosse verso il fuoco e quando entro’ nel cerchio di luce ci fu un attimo di irreale silenzio.
“Madre de Dios!” sussurro’ Felipe, come se fosse stato miracolato dal privilegio di una visione paradisiaca.
Manuel, che si era tolto la camicia e la stava rammendando, si blocco’ con ago e filo a mezz’aria e chiese “Pilar, ma sei veramente tu?”. (Obiettivo raggiunto).
A Santo ando’ di traverso la presa di tabacco che stava masticando, divento’ rosso, violetto, bluastro e comincio’ a tossire come una locomotiva su un passo di montagna.
La sua espressione, tra l’arrapato e il moribondo, era talmente comica che l’intero accampamento scoppio’ a ridere e ci fu una vera e propria gara per assestargli grossolane e salvifiche pacche sulla schiena.

Pilar, padrona assoluta del campo, si avvicino’ alla sua preda “Hola, Manuelito, ti piaccio stasera?”
“Sei un sogno, Pilar. Ma in una sala da ballo saresti l’incubo di ogni dama.”
“Davvero? E tu mi inviteresti a ballare?” sorrise lei allusiva, dardeggiando uno sguardo piu’ esplicito di qualsiasi proposta e lasciando che un’onda di capelli le coprisse sbarazzina una meta’ del viso.
“Per carita’, si perderebbe tutto il vantaggio strategico!”.
“In che senso?” chiese Pilar perplessa e appoggio’ le mani sui fianchi in una postura tutt’altro che signorile, ma incredibilmente sexy.
“Nel senso che noi andremmo al ballo unicamente per derubare quella gentaglia, no, Pilar?” rispose Manuel serissimo “Bastera’ un tuo battito di ciglia, il collo della camicia che scivola appena sulla spalla nuda e subito un’angoscia tremenda si impadronira’ di tutti gli invitati. Le dame entreranno in crisi autodigestiva e qualcuna piangera’ come se avesse perso il figlio preferito.
Allora io, imperturbabile, approfittero’ dell’effetto Mira, l’arma segreta di noi zapatisti, e faro’ il pieno di bottino: denaro, gioielli, orologi, nulla si salvera’. Alla fine fuggiremo in sella a due cavalli rubati, mia dolce Pilar, di nuovo vestiti come vaqueri, di nuovo liberi, di nuovo guerriglieri, eroi della causa e della Revolucion”.
“Mmmm” miagolo’ Pilar “capisco, e quando saremo soli…”
“Io e te non saremo mai soli, amica mia” rispose lui con voce dolce “anche se tu sei mille volte piu’ bella della luna”.

Pilar resto’ senza parole (un evento straordinario, che capita solo una volta per era geologica).
Poi passo’ al dubbio se gettarlo ai cani o sorridere con modestia, quando infine si riprese riusci’ solo a dire “Allora stasera danza con la tua luna, amico mio, perche’ io ho voglia di ballare e lo faro’ con qualcun altro”. (Pericoloso rifiutare una Pilar).

Si giro’ di scatto e quasi inciampo’ in Felipe, il Reverendo, che se ne stava placidamente seduto per terra al confine luminoso del fuoco, inoffensivo e muto come una farfallina della pasta. “Felipe, oltre a pregare la Madonna saresti anche capace di ballare con lei?” chiese Pilar vendicativa.
Nessuno comprese la risposta borbottata dell’uomo, ma di certo fu sentitamente assertiva dal momento che la predatrice scavalco’ con un piede le sue cosce e scese piano, coprendo le gambe di entrambi con la bianca intimita’ della gonna di lino, quasi fosse l’enorme campanula di un giglio.

“Perche’ l’hai fatto?” chiese Bianca, sinceramente curiosa.
“Che cosa?” domando’ Manuel.
“Perche’ l’hai rifiutata. E’ bellissima e ti desidera… lo sai che e’ dal tramonto che si prepara per te?”
“No, non lo sapevo” mormoro’ l’uomo “e sono costernato che si sia data tanta pena. Non lo merito. Non sono una buona persona” E senza aggiungere altro abbasso’ il capo e si rimise a cucire.
Bianca lo osservo’ con attenzione. Diffidava sempre della modestia che spesso e’ solo la manifestazione del piu’ esaltato narcisismo, ma in quel caso la voce del compagno aveva un timbro strano, pesante e lui sembrava quasi schiacciato da un ricordo segreto.
Vergogna. Ecco cosa sembrava: vergogna!
E Bianca la conosceva bene quella sensazione, quel farsi ribrezzo da soli, quel sentirsi sporco dentro.
Impossibile. Intollerabile avere qualcosa in comune con un latifondista. Qualcosa di cosi’ intimo, di orribile e di personale. Impossibile.
La ragazza distolse lo sguardo che fu catturato dalla coppia di amanti improvvisati, stesi a pochi passi con naturalezza e senza pudore, come se nel campo fossero tutti fratelli e sorelle.
Felipe restava supino, il busto obliquo rialzato dai gomiti appoggiati a terra.
Pilar, sempre seduta sulle sue cosce, slaccio’ un nastro della blusa color vaniglia, ne afferro’ due lembi all’altezza delle prime costole ed esercito’ una leggera trazione verso il basso.
La stoffa si stiro’ evidenziando le curve generose ed in contemporanea il pio Felipe spalanco’ gli occhi e un po’ anche la bocca: un’allegoria perfetta dell’estatica assenza di volonta’.

Pilar non mollo’ la presa e piu’ tirava piu’ il seno sembrava comprimersi e salire finche’, inevitabilmente, si libero’ all’improvviso sbocciando come un frutto maturo a pochi centimetri dall’incontrollata salivazione di Felipe.
Il poverino inizio’ a degluttire ritmicamente, quasi sulle note del secondo concerto per piano ed orchestra di Rachmaninov, e l’accampamento fu percorso da un basso mormorio di risacca, un concerto involontario di fiati e sospiri sfuggito a quanti ostentavano indifferenza.

“Sei un uomo strano, Manuel… da quent’e’ che non stai con una donna?” Chiese Bianca a bruciapelo, stupendosi non poco per la propria audacia.
Lui non rispose subito, sembro’ riflettere, soppesare le parole. Poi confesso’: “Mesi. Alcuni mesi, suppongo”.
“Quasi peggio di me!” commento’ la ragazza con tono amaro.
Manuel interruppe di nuovo il suo gravoso impegno di taglio e cucito ed alzo’ significativamente un sopracciglio.
Le labbra di Bianca si strinsero in una linea dura e subito lei distolse lo sguardo che scivolo’ ancora una volta sugli amanti.

I due non avevano ancora cambiato posizione e Pilar stava finendo di sbottonare la camicia dell’uomo. “Pensi di sporcarmi la gonna, Felipe, o pensi di resistere?” sorrise.
Per tutta risposta il compagno si lascio cadere sulla schiena, intrufolo’ le mani sotto l’indumento di lino e vi perse l’orientamento, come tutti poterono evincere dalle sanguinarie oscenita’ sibilate tra i denti e lo scoppiettare del fuoco.
Traffico’ a lungo spronato anche dai prammatici suggerimenti dei compagni e quando finalmente riusci’ a portare a termine la sua sacra missione, Felipe celebro’ il suo trionfo sollevando completamente la gonna di Pilar. La ribalto’ e gremi’ il seno carnoso della ragazza con la gestualita’ solenne di un Perceval alle prese col Graal “Belle tettone” fu l’elaborato commento.

Trascinata dallo slancio dell’amante, quasi sull’onda spumosa della gonna, anche Pilar si sollevo’ ritta sulle ginocchia e per qualche secondo tutti poterono ammirare le natiche sode, l’attaccatura bronzea della schiena e sotto, baldanzoso e spavaldo, il pene eretto di Felipe.
Poi lui la trascino’ giu’, penetrandola fino in fondo e all’improvviso quasi con brutalita’, tanto che la ragazza inarco’ la schiena e butto’ indietro la testa per la sorpresa, coprendo con un sipario di capelli corvini la parte piu’ piccante del palcoscenico.

Il suo gemito istintivo ben presto si trasformo’ in un vocalizzo liquido, gorgogliante e lei si distese sul compagno sollevando la tenda notturna della chioma ed esponendo cosi’ le sue grazie trafitte allo sguardo di chiunque le volesse ammirare.
Felipe si aggrappo’ con entrambe le mani alle natiche di Pilar, le apri’ con forza tanto da tendere la pelle delicata che contorna i due buchi, da dilatarli in modo osceno e splendido, mentre il suo bacino iniziava a muoversi aritmicamente possedendola, fottendola dalla punta alla radice e viceversa, costringendola a gemere di piacere, il corpo reclinato in avanti, la chioma a proteggere i due volti vicini e la passione di uno sguardo che era l’unica intimita’ concessa ai due amanti.

Turbata, Bianca giro’ la testa. Per quanto quella violenza passionale fosse desiderata da Pilar, ai suoi occhi restava sempre e solo una violenza e in essa riviveva il suo passato e le si chiudeva lo stomaco in un nodo stretto che partiva dall’utero, le saliva nel ventre e stringeva, stringeva… Guardo’ altrove e cosi’ facendo si accorse di non essere l’unica ad ignorare lo spettacolo.

“Non li guardi nemmeno” osservo’ la ragazza rivolgendosi al compagno “tu stai li, seduto. E cuci. Potevi scopare con la donna piu’ bella che io abbia mai visto, ma sembra che non ti interessi… Chi sei, Manuel? Cosa sei?”
“Beh, non ho gusti ambigui, se e’ quello che mi stai chiedendo” rispose il sarto, quasi divertito “Sono solo un uomo che non ha bisogno di accoppiarsi come un cane per sentirsi vivo, Bianca”. “Non mi hai risposto, señorito” puntualizzo’ inesorabile la ragazza “Hai chiamato cani due compagni che morirebbero per te e hai eluso la domanda.
Dio mio come sei diverso: sei cresciuto guardando gli altri dall’alto al basso e non puoi farci niente. Sei cosi’, come io sono mora e ho i capelli lisci… Toglimi solo una curiosita’, Manuel: che cosa ti ha spinto a dare un calcio alla tua vita da sogno, a metterla in gioco facendo la rivoluzione? Avevi tutto, chi te l’ha fatto fare di vivere come una bestia?”
“E a te, chi te l’ha fatto fare?” sbotto’ lui con una veemenza di cui si stupi’ e che fece subito fiammeggiare lo sguardo di Bianca tra le trame della notte. “Lo siento [Mi dispiace]” aggiunse subito dopo “Ho reagito… scusa, ma e’ un fatto personale”. E fu il suo turno di distogliere lo sguardo. Fu il suo turno di restare involontariamente imprigionato dalla scena primordiale e magica che si stava consumando sotto i loro occhi.

I due amanti ansimavano forte e le cosce bagnate di Pilar brillavano alla luce delle braci ormai morenti, sembravano le curve perfette di una statua d’ombra percorse da venature di minerale luccicante.

“Hai ragione, Bianca, sono strano. Mesi fa avrei ucciso per una donna come Pilar… E’ che anch’io come te ho fantasmi che mi perseguitano” disse Manuel, guardando quasi con disgusto le proprie mani.

Le mani di Felipe erano sempre ferme allo stesso punto e trattenevano le cosce della donna, le stringevano, le aprivano imponendo alla pompata il ritmo desiderato. Solo un dito, un medio, si era fatto piu’ audace profanando appena il buchino piu’ stretto di Pilar, penetrandolo quel tanto che bastava per moltiplicarle il piacere.

“Ma per piacere! Sei stato anche tu picchitato, frustato e poi stuprato da una mezza dozzina di uomini?” chiese Bianca con un sarcasmo amaro.
“No, no, certo che no…” e per qualche strano motivo arrossi’ “… ma non e’ necessario essere vittime per rivivere degli incubi”, aggiunse dopo piano piano.
Il piano di Pilar era semplice: scosto’ parte dei capelli dal viso, se li butto’ sulle spalle e ancoro’ all’orecchio un ciuffo pilota. In questo modo il lato sinistro del volto restava nascosto da una doppia cortina, mentre quello destro, quello rivolto verso Manuel, era libero e scoperto.
Allora lo guardo’ negli occhi, spavalda, con sfida. Apri’ piano la bocca, e gioco’ con la lingua e con le labbra, sobbalzando al ritmo incalzante imposto da Felipe.

Bianca incalzo’ senza pieta’ cercando conferme ai suoi sospetti “C’e’ qualcosa di cui ti vergogni, señorito. Qualcosa che nascondi, che vuoi dimenticare. Qualcosa che…”
“Ti prego, Bianca. Ti prego…” mormoro’ il compagno. Ed era realmente angosciato, torturato: lo si intuiva dallo sguardo.

Lo sguardo di Pilar non si stacco’ mai dal volto di Manuel, nemmeno nel momento estremo. E si capi’ benissimo quando la donna raggiunse l’orgasmo perche’ tutto il suo corpo fu percorso da uno spasmo intenso e lei si morse il labbro inferiore per non gemere… ma con gli occhi sembrava dire “Lui mi scopa, ma e’ con te che vorrei godere” oppure “Eri tu che desideravo questa notte” o molto piu’ probabilmente “Ci potevi essere tu al suo posto, gran pezzo di stupido”.

Con stupore Bianca si rese conto che il compagno, quell’algido e distaccato “señorito” che detestava in quanto simbolo della classe egemone, nascondeva in se enormi insicurezze.
In un certo senso era come se da qualche parte nella sua anima ci fossero un dolore o una vergogna tali da sopraffarlo e lui vedesse in Bianca l’incarnazione di quest’incubo passato cosi’ come la ragazza vedeva Fernando in ogni uomo.
Tutto d’un tratto Manuel non le sembrava piu’ un dio invincibile e nemico, ma una creatura fragile e ferita molto simile a se stessa. Fu una folgorazione e le si apri’ un mondo in un istante.

In quell’istante venne anche Felipe, che fu decisamente meno discreto della compagna: muggi’ come un uro selvaggio, sveglio’ i dormienti, spavento’ i cavalli, forse fece sobbalzare anche i regulares accampati da qualche parte laggiu’ tra le montagne.
Nella foga usci’ da Pilar investendole il culo e parte della schiena con una sborrata generosa e densa che sali’ verso il cielo come un fuoco d’artificio, raggiunse il culmine e ricadde sulla pelle tesa e sudata della donna, gocciolando in lapilli esausti come il suo padrone.
Il campo fu pervaso da un’ovazione e Juanito, sinceramente impressionato, per applaudire si sollevo’ persino in piedi.

Senza riflettere Bianca sollevo’ una mano e, con un automatismo che credeva perduto, cerco’ di accarezzare il viso di Manuel. Arrivo’ fin quasi a toccarlo prima di venire inesorabilmente bloccata dal marchio di fuoco che si portava nel cuore.

Il cuore di Felipe comincio’ a decelerare e lui si abbandono’ supino, liberando finalmente le cosce di Pilar dalla presa rapace. Lei rimase ancora qualche istante a quattro zampe, il seno scoperto e il sesso esposto, ancora disponibile.
Poi porto’ una mano alle cosce, con le dita raccolse parte del seme di Felipe e lentamente se lo porto’ alle labbra. Spregiudicata, impudica e fiera, succhio’ le dita con lussuriosa golosita’, ma soprattutto senza mai distogliere gli occhi da Manuel.

Manuel prese la mano di Bianca tra le sue, consapevole dello sforzo che le era costato quel semplice gesto. Il suo tocco fu leggero, rispettoso, tanto che la ragazza non provo’ il bisogno di ritrarsi.
In un sussurro disse “Grazie, Leòna”, col tono di chi riceve un’assoluzione.
E per una volta, la prima, quel nomignolo non le sembro’ pugnace e bellicoso.
Per una volta fu solo affetto sincero.


Nadja Jacur

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